Newsletter n° 14 di Antigone

 

Newsletter numero 14 dell'Associazione "Antigone"

a cura di Nunzia Bossa e Patrizio Gonnella

 

L’Editoriale di Patrizio Gonnella: torture, imputati eccellenti, indecenze

L’Osservatorio Parlamentare, a cura di Francesca D’Elia

La sanità penitenziaria nelle Regioni italiane di Nunzia Bossa

Le iniziative di Antigone a cura della Redazione

Brevi a cura della Redazione

L’editoriale: torture, imputati eccellenti, indecenze, di Patrizio Gonnella

 

I carabinieri italiani mostrano a meri fini didattici alle reclute irachene le immagini di Genova 2001. Cariche, manganelli, ordine pubblico. La democrazia ha bisogno di buoni esempi. Avrebbero potuto mostrare le immagini di tante altre manifestazioni senza il morto e senza le torture, ma era proprio Genova - Carlo Giuliani, la Diaz, Bolzaneto - il più emblematico degli esempi possibili. Tutto questo a meno di un anno dallo scandalo di Abu Ghraib.

Un tempo esportavamo buon cibo e moda, oggi tecniche di contenimento del disordine pubblico. L’Italia non ha ancora introdotto il crimine di tortura nel proprio codice penale. La legge sull’ombudsman penitenziario non è mai stata approvata. Abbiamo un codice penale del 1930, ossia fascista. Da ottobre nelle carceri è ripresa la protesta. Il sovraffollamento viaggia verso cifre e proporzioni mai viste. Sofri non ha ancora avuto la grazia. Tra qualche giorno il Comitato europeo per la prevenzione della tortura viene a ispezionare le nostre prigioni, i nostri commissariati e i nostri centri di permanenza per stranieri.

Eppure all’ordine del giorno dei lavori parlamentari vi è il disegno di legge Cirielli o meglio l’emendamento salva Previti. È una questione di decenza, o meglio di indecenza. Intervenire chirurgicamente sui tempi di prescrizione del processo pensando a un imputato specifico è grave, direi immorale. Occuparsene mentre tutto il resto va in malora è oltremodo inaccettabile.

"La giustizia è amministrata nel nome del popolo" con una frase di questo tipo il Ministro Roberto Castelli voleva sostituire la vecchia - e a suo dire oramai superata - espressione "La legge è uguale per tutti". Non è ancora riuscito a modificare la scritta nelle aule di tribunale, ma ugualmente ci vuole provare andando a scalfire alcuni baluardi della nostra democrazia, primo tra tutti l’indipendenza dei giudici.

Il Ministro non parla con nessuno: ironizza sullo sciopero bipolare di magistrati e penalisti, ignora l’appello del Csm, in Parlamento minaccia la fiducia, la Corte Costituzionale la colloca nella schiera degli apocalittici. E, questo, mentre ridisegna completamente la figura del giudice e, con essa, la struttura generale dei poteri statali. Nella riforma dell’ordinamento giudiziario in votazione in Parlamento, prevede che i giudici debbano fare un test psico-attitudinale utile ad accertare che non siano mentalmente disturbati (così il presidente del Consiglio li aveva un po’ tutti genericamente definiti non più di qualche mese fa). Un qualche probo psicologo al soldo del governo potrà decidere chi può e chi non può fare il magistrato. A questo punto perché non avere il coraggio di tornare al passato e impedire l’accesso alla polizia, al corpo dei carabinieri o alla magistratura a chi abbia anche un lontano parente comunista?

 

Osservatorio parlamentare, a cura di Francesca D’Elia

 

Decreto legge sull’immigrazione (241/04): approvato il parere negativo della Commissione Giustizia della Camera

 

In data 28 ottobre, la Commissione Giustizia della Camera ha dato parere negativo al decreto legge sull’immigrazione presentato dal Governo dopo che la Consulta, nel luglio scorso, aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale della Bossi-Fini nella parte in cui non prevede che il giudizio di convalida dell’espulsione si svolga in contraddittorio e con le garanzie della difesa (sentenze 222 e 223 del 15 luglio 2004). In Commissione, infatti, è stato approvato il parere di minoranza - contrario al decreto legge - presentato dalla responsabile Giustizia dei Ds, Anna Finocchiaro (e firmato anche da tutti gli altri esponenti dell’opposizione), nel quale si critica il provvedimento che, più che ottemperare alle esigenze richiamate dalla Corte Costituzionale, sembra volerne eludere le pronunce, ridisegnando parte della materia e modificando la ripartizione di competenze degli organi giurisdizionali con scelte di politica legislativa fortemente discutibili. In particolare, l’opposizione ha espresso la propria critica rispetto alla scelta di affidare ai giudici di pace la convalida dei provvedimenti di espulsione, nonché all’inasprimento di pene per i clandestini e per coloro che aiutano gli stranieri ad entrare sul territorio nazionale senza permesso (e non solo per fini di lucro - come è nel caso di scafisti e criminalità organizzata - ma anche per chi invece agisce per motivi umanitari). "Una ingiustificabile deroga all’equilibrio generale delle competenze giurisdizionali, resa ancor più palese da quelle modifiche introdotte dal Senato che trasformano reati contravvenzionali di inosservanza di un provvedimento dell’autorità (fattispecie per la quale l’articolo 650 c.p. prevede una pena fino a tre mesi di arresto) in delitti di particolare gravità puniti con pene edittali superiori, ad es., a quella prevista per il furto. In tal modo una sola categoria di persone, gli stranieri extracomunitari, vede ricadere sotto la giurisdizione del giudice di pace pronunce che incidono sul loro status libertatis, in evidente contraddizione con il principio di uguaglianza sancito dall’articolo 3, primo comma, della Costituzione e senza che, per i tempi e per i modi previsti, sia effettivamente garantito quel nucleo incomprimibile del diritto di difesa sancito dall’articolo 24 della Costituzione".

In particolare, rispetto all’inasprimento delle pene, il provvedimento prevede da 1 a 4 anni di reclusione "se l’espulsione è stata disposta per ingresso illegale" o per revoca o annullamento del permesso di soggiorno. Si ha invece l’arresto da "sei mesi a un anno" se il permesso è scaduto da più di 60 giorni. Come detto, l’aumento delle pene interessa anche coloro che favoriscono l’ingresso di clandestini nel territorio nazionale, anche se non a fini di lucro.

Il provvedimento sarà esaminato dall’Assemblea nel corso di questa settimana, stante la scadenza del decreto fissata al 13 novembre prossimo.

 

Diffamazione a mezzo stampa: dopo l’approvazione da parte della Camera, il testo passa ora all’esame del Senato

 

In data 26 ottobre, l’Aula di Montecitorio ha approvato in prima battuta il provvedimento in tema di diffamazione a mezzo stampa. In base al testo, che ha registrato un larghissimo consenso, i giornalisti non rischieranno più il carcere. Chi commetterà il reato di diffamazione a mezzo stampa, e non accetterà la rettifica, sarà condannato al pagamento di una sanzione che, in caso di danno non quantificabile, non potrà superare i 30 mila euro. Per l’ingiuria, invece, è prevista una multa fino a 3 mila euro, che però può anche arrivare a 10 mila euro se, diffamando, viene attribuito un fatto determinato.

Inoltre, se l’offesa all’altrui onorabilità viene compiuta attraverso giornali o "con qualsiasi altro mezzo di pubblicità", la multa andrà dai 3 mila agli 8 mila euro. In caso di rettifica della notizia, il giornalista non è punibile; nei casi di recidiva, invece, il giudice potrà decidere, come pena accessoria, l’interdizione dalla professione per un periodo da uno a sei mesi per 6 mesi. Per quanto riguarda la responsabilità del direttore, nel testo si legge che "fuori dai casi di concorso" il direttore o il vicedirettore responsabile rispondono del reato commesso solo "se il delitto è conseguenza della violazione dei doveri di vigilanza sul contenuto della pubblicazione". La pena per loro, in ogni caso, è ridotta di un terzo.

Nel provvedimento figura anche la cosiddetta norma "salva-Iannuzzi": una disposizione transitoria che, nel caso in cui la condanna al carcere per i reati di diffamazione debba essere ancora eseguita prima della data di entrata in vigore della legge, o sia in corso di esecuzione, stabilisce che la pena della reclusione debba essere convertita in pena pecuniaria.

 

La sanità penitenziaria nelle regioni italiane, di Nunzia Bossa

 

Quando il passaggio di competenze dallo Stato agli Enti Locali avvicina i reali bisogni del cittadino, di qualunque cittadino, alle istituzioni, assaporiamo il lato dolce del decentramento amministrativo. Fin dove si può arrivare con la devolution senza alimentare i fantasmi secessionistici dei nostri ‘connazionali’ padani? Si può arrivare, col risvolto positivo di questo processo, ad accorciare le distanze fra la politica e la gente. È quantomeno ovvio che ognuno di noi senta di poter incidere individualmente di più sulla politica locale che non su quella nazionale; ognuno di noi si sente finanche più rappresentato dall’una piuttosto che dall’altra, indipendentemente dalla situazione attuale, indipendentemente da chi governa il Paese o la Regione piuttosto che la Provincia o il Comune. Questo per tutta una serie di motivi che andare ad elencare sarebbe finanche banale, per quanto sono immediatamente percepibili da chiunque. Da ciò deriva quello che poche righe più su definivo il lato dolce del decentramento.

Il caso specifico cui mi riferisco qui, per non tirarla per le lunghe, è il passaggio di competenze, in tema di sanità penitenziaria, dallo Stato alle Regioni.

Qualcuno, coi tempi che corrono, potrebbe stupirsi a leggerlo, ma ancora abbiamo una Costituzione in Italia, sarà anacronistico citarla nei giorni in cui si firma la Costituzione europea, eppure, citiamola: Parte Prima - "Diritti e doveri del cittadino", Titolo II, art. 32 - "La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti (…)". Inoltre, l’art. 117 della carta costituzionale, come modificato dalla Legge 3/2001, stabilisce in maniera definitiva ed inequivocabile le competenze e le responsabilità di Stato e Regioni in materia di tutela della salute, in regime di legislazione concorrente.

Detto questo, l’enunciazione dell’articolo 32 non necessita di spiegazioni, un diritto fondamentale è un diritto fondamentale, semplicemente di tutti, tutti. In ambito penitenziario, però, per ragioni che talvolta sfuggono alla comprensione degli stessi addetti ai lavori, questo diritto fondamentale, fondamentalmente è rimasto inapplicato.

Il sistema sanitario penitenziario, infatti, è sempre stato altra cosa rispetto al sistema sanitario nazionale, sin dall’istituzione di quest’ultimo (L.833/78). Come funziona quello nazionale lo sanno tutti, come funziona quello penitenziario lo sa solo Dio. Il sistema si regge, in effetti, su una serie di rapporti convenzionali e non omogenei fra i vari istituti di pena e i medici incaricati, il che vuol dire che si regge su rapporti pressoché individuali. Non solo, si tratta altresì di rapporti fra istituti e liberi professionisti, il che vuol dire che non esiste esclusività del rapporto di lavoro, e quindi un numero variabile di medici, specialisti, infermieri, psicologi ecc. è titolare, in momenti diversi, di una pluralità di incarichi dentro e fuori dagli istituti. Cosa ne consegue? Ne consegue che questo sistema di lavoro risulta precario e incompatibile con un servizio globale ed unitario, e quindi efficiente. Questo senza neanche menzionare l’esiguità di fondi messi a disposizione dall’Amministrazione Penitenziaria per tale servizio. I tentativi fatti nel corso del tempo per uscire dall’inadeguatezza cronica di tale sistema sono via via falliti, e del resto l’insufficienza della tutela della salute nelle carceri italiane è ampiamente documentata.

Poi, ad un certo punto, qualcosa. Un tentativo di qualcosa, magari un tentativo che presenta delle lacune, ma per come siamo messi, qualcosa è pur sempre qualcosa.

Il diritto alla salute del detenuto-malato, da sempre compresso e limitato da condizionamenti ambientali, ha visto finalmente un possibile riconoscimento dalla formulazione di quel qualcosa di cui sopra, e mi riferisco al Decreto Legislativo 230/99 recante "Riordino della medicina penitenziaria, in applicazione dell’art. 5 della L. 419/98", che ha sancito il principio fondamentale della parità di trattamento, in tema di assistenza sanitaria, dei cittadini liberi e degli individui detenuti, prevedendo il graduale trasferimento alle Regioni delle funzioni sanitarie svolte precedentemente dall’Amministrazione Penitenziaria, nonché il trasferimento delle risorse finanziarie, professionali, delle strutture e degli strumenti fino ad allora impiegati dal Ministero della Giustizia per l’assolvimento delle suddette competenze. Il D.Lgs 230/99 ha di fatto trasferito al Servizio Sanitario Nazionale (SSN), con decorrenza 1° gennaio 2000, le funzioni sanitarie svolte dall’Amministrazione Penitenziaria. Sono state individuate tre Regioni per avviare la fase sperimentale del trasferimento stesso, Toscana, Lazio e Puglia, cui si sono poi aggiunte Emilia Romagna, Campania e Molise.

Inutile sottolineare che i ritardi nell’applicazione dei provvedimenti adottati si sono prolungati nel tempo fino ad arrivare ad oggi. A quattro anni di distanza tale riforma non è ancora applicata: soltanto alcune funzioni sono passate di competenza alle Regioni, come la cura delle tossicodipendenze e la prevenzione senza coperture finanziarie e professionali necessarie. Al momento, quindi, la situazione è, se possibile, ancora più precaria ed ingovernabile che in precedenza, in quanto all’inconsistenza del sistema precedente si è aggiunta la non attuazione di quello subentrante, con il risultato che oggi ci ritroviamo in un limbo che non è né carne né pesce. In alcune delle Regioni dove avrebbe dovuto sperimentarsi il trasferimento di competenze, si è colpevolmente ignorato il problema, e il Ministero, colpevolmente, è rimasto a guardare. L’attuale situazione di stallo crea precarietà e incertezza riguardo al sistema sanitario penitenziario, e come al solito a farne le spese sono i detenuti.

La Regione più solerte a cogliere il diritto/dovere di cui sopra, anzi, l’unica a coglierlo finora, è stata la Toscana, la cui Giunta, lo scorso 2 agosto, ha approvato all’unanimità la Proposta di Legge n. 70 concernente la "Tutela del diritto alla salute dei detenuti e degli internati negli Istituti penitenziari ubicati in Toscana", disponendone l’inoltro al Consiglio Regionale.

La Pdl della Regione Toscana sancisce il principio di parità di trattamento fra individui liberi ed individui detenuti ed internati e garantisce i livelli essenziali di assistenza sanitaria; individua gli strumenti per dare compiuta attuazione a questo diritto; prevede, fra le altre cose: di stipulare un Protocollo d’Intesa con i vertici dell’amministrazione penitenziaria, di inserire questa problematica nel piano sanitario regionale attraverso uno specifico progetto obiettivo triennale, di definire i compiti della Asl e delle Aziende Ospedaliere e i provvedimenti in materia di personale. La legge regionale propone, ancora, l’adozione di una cartella clinica informatizzata per ogni detenuto all’ingresso in istituto e che il personale infermieristico sia potenziato nell’organico, e soprattutto aggiornato professionalmente. Già dal 2003 la Regione Toscana garantisce l’assistenza farmaceutica negli istituti di pena esistenti sul suo territorio, destinando ai detenuti più o meno la stessa cifra riservata per acquistare i farmaci per i liberi cittadini residenti, nel rispetto di un sistema universalistico di assistenza e parità di prestazioni per tutti i cittadini. Che cosa aspettano le altre Regioni a seguire il buon esempio?

 

Le iniziative di Antigone, a cura della Redazione

 

Giovedì 4 e venerdì 5 novembre – A partire dalle ore 9.30, convegno dal titolo Costituzione e diritti dei detenuti. Esperienze istituzionali comparate: Argentina e Italia a Roma, Sala di Porta Castello - Via di Porta Castello, 44. Per Antigone partecipa Stefano Anastasia.

Sabato 6 novembre – Dalle ore 10.00 alle 15.00, incontro su Cittadinanza e diritti: esperienze a confronto a Roma, presso la Direzione nazionale del Prc, Sala Lucio Libertini, in Viale del Policlinico, 129. Per Antigone partecipa Patrizio Gonnella.

Lunedì 15 e martedì 16 novembre - Convegno organizzato dall’Istituto Superiore di Sanità, dal titolo La ricerca Psicologica, Neuropsichiatria e Sociale nell’infezione da HIV e nell’aids, presso l’Aula Pocchiari dell’Istituto Superiore di Sanità a Roma. Per Antigone partecipa Claudio Sarzotti.

Martedì 16 novembre - Dalle ore 11.00 alle 14.00, presentazione del Terzo rapporto sulle condizioni di detenzione Antigone in carcere a cura di Giuseppe Mosconi e Claudio Sarzotti. Roma, Camera dei Deputati, Sala del Refettorio, Via del Seminario, 76. Saranno presenti i curatori, nonché Stefano Anastasia, Patrizio Gonnella e Mauro Palma.

Mercoledì 17 novembre – L’associazione Libera e Magistratura Democratica in collaborazione con Antigone organizzano l’incontro sul tema Narcomafie e questione giustizia: vecchie e nuove mafie nel centro Italia. Analisi e strategie di contrasto. L’appuntamento è fissato dalle ore 15.00 alle 19.30 a Roma, presso la Sala Blu dell’Assessorato alle Politiche per le Periferie, per lo Sviluppo Locale, per il Lavoro del Comune di Roma, in Lungotevere dei Cenci, 5. Per Antigone partecipa patrizio Gonnella.

Venerdì 19 novembre - Dalle ore 9.30 alle 18.30, convegno in memoria dell’avvocato Chiusano, organizzato dalla Camera Penale "Vittorio Chiusano" del Piemonte Occidentale e Valle D’Aosta, dal titolo La pena ideata applicata vissuta, al Palazzo di Giustizia di Torino. Per Antigone partecipa Cristiana Bianco.

 

Brevi, a cura della Redazione

 

Ricordiamo nuovamente ai nostri lettori che entro metà novembre sarà disponibile presso le migliori librerie, nonché presso la sede dell’associazione, il terzo rapporto di Antigone sulle condizioni di detenzione dal titolo Antigone in carcere. Il volume è a cura di Claudio Sarzotti e Beppe Mosconi ed è edito da Carocci.

Presso la sede dell’Associazione è disponibile, inoltre, per la collana "I quaderni di Antigone", il volume dal titolo Araba Fenice: l’inserimento lavorativo di persone provenienti da percorsi penali, a cura di Alessandra Naldi, con la collaborazione di Paola Bonatelli, Chiara Ioele e Matilde Napoleone, edizioni Sinnos.

 

 

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