Capitolo 1

 

Presentazione generale della situazione italiana

   

I principali aspetti della devianza fra gli immigrati extracomunitari

Immigrazione regolare e immigrazione irregolare

Le attese degli immigrati e l’impatto con la realtà

L’integrazione difficile

I principali aspetti della devianza negli immigrati extracomunitari

 

Per chiunque oggi percorra l’Italia, sia nelle zone urbane, sia in quelle rurali, balza agli occhi il mutamento avvenuto negli ultimi anni nella nostra società: dovunque si incontrano persone delle svariate nazionalità. Ci stiamo davvero avviando verso la multietnicità, (<1">1) a nostro avviso per molti versi auspicabile, superando una società tradizionalmente chiusa e provinciale qual era quella italiana degli anni ‘60-’70. Ma, come tutte le medaglie, anche questa ha il suo rovescio: l’afflusso massiccio e indiscriminato di immigrati ha comportato difficoltà e disagi sia per gli stessi stranieri in rapporto alla società italiana, sia per i cittadini italiani a contatto con realtà culturali, religiose e sociali finora semisconosciute. L’affollarsi poi sul nostro territorio - che già annovera difformità e problemi socioeconomici rilevanti - di tante etnie, culture, usi e costumi, ha in taluni casi e in talune zone, acuito tensioni sociali già in atto, tanto da far comunemente individuare nel "diverso" la causa dell’incremento del numero globale dei reati, poiché con l’accrescersi dell’immigrazione, clandestina e non, è necessariamente aumentata la percentuale degli stranieri che delinquono rispetto al numero degli autoctoni.

Di questi "delitti" intendo occuparmi più specificamente, distinguendo tra i vari luoghi della penisola. Occorre in primo luogo far osservare, basandosi su dati e rilevamenti recentissimi, fondati sulla ricostruzione dell’andamento dei più gravi reati, che l’aumento della criminalità verificatosi nel nostro paese non è dovuto tout court all’immigrazione, giacché un primo incremento dei crimini più gravi, durato fino al 1982, ha avuto luogo precedentemente ai grandi flussi migratori. È seguita poi una contrazione cui ha tenuto dietro un nuovo ciclo, a partire dal 1987: da quel momento la presenza degli stranieri negli istituti di pena è fortemente aumentata (dal 1991 al 1996 si è passati dal 16% al 28%). (<2">2) Bisogna però considerare che, a parità di reato commesso la custodia cautelare è imposta più spesso agli stranieri che agli italiani; in secondo luogo gli stranieri usufruiscono meno spesso delle misure alternative e delle pene sostitutive alla detenzione; in terzo luogo gli stranieri commettono di solito reati che portano invariabilmente a pene detentive.

Se, per comodità di analisi, sulla scorta dell’opera di Marzio Barbagli già citata, si considerano gli undici reati prevalenti in Italia, cioè il furto, la rapina, la produzione e lo spaccio di stupefacenti, la ricettazione, le lesioni volontarie, il contrabbando, l’incendio doloso, l’estorsione, la violenza carnale, l’omicidio tentato e consumato, le statistiche indicano una situazione singolare: se la quota degli stranieri rispetto ai condannati è aumentata fortemente per la maggior parte dei reati, come la produzione e il commercio di stupefacenti, per due degli undici delitti considerati essa non è aumentata altrettanto significativamente (incendio doloso ed estorsione).

In valore assoluto il reato per il quale è stato condannato il numero più alto di stranieri è il furto, mentre quello che ha visto la crescita più rapida, sempre relativamente agli stranieri (sestuplicata dall’88 al ‘96) è la rapina, seguita dallo spaccio (quintuplicato). Anche qui, però, la situazione presenta aspetti variegati, poiché nella definizione del reato di rapina confluisce un ventaglio di azioni delittuose che vanno dalle rapine accuratamente preparate e attuate ai danni di pubblici uffici, banche o gioiellerie - monopolio degli italiani - a quelle improvvisate, effettuate nelle strade, nei negozi o nelle abitazioni private: casi, questi ultimi, per i quali la quota attribuita agli stranieri è notevolmente cresciuta. Appare inoltre interessante notare come, sempre nell’ambito dei reati che non implicano preparazione preliminare, sia cresciuta la quota degli stranieri per i quali da un comportamento implicante il furto occasionale e di modesto valore, si è avuta una degenerazione delittuosa culminata nella condanna per rapina. Nettamente tracciata è anche la relazione tra il paese d’origine degli stranieri e la tipologia di reato. (<4">4) Riferendoci ai dati del triennio ‘93-’95, il 60% dei condannati per contrabbando proviene dal Marocco, mentre il gruppo che segue, quello senegalese, si attesta appena al 7%. Si può quindi parlare di una sorta di monopolio detenuto dai marocchini per quanto attiene al contrabbando. Analogamente si disegna una sorta di oligopolio per quanto concerne lo spaccio di stupefacenti, poiché i tre maggiori gruppi (marocchino, tunisino, algerino) raccolgono il 70% delle condanne per questo tipo di reato. La concentrazione percentuale dei furti si distribuisce, a seconda dell’arco temporale considerato, per un 40-50% appannaggio degli ex iugoslavi, seguiti con uno scarto considerevole dai marocchini e dagli algerini. Maggiore dispersione del dato percentuale riguarda la rapina, che vede grosso modo un’equa distribuzione tra iugoslavi, algerini, marocchini e tunisini.

Se queste rappresentano le differenziazioni etniche dei reati, ancor più interessante è rilevare la distribuzione del fenomeno criminale in ambito regionale nel territorio italiano sempre per i reati che attengono l’immigrazione. Notiamo che al Nord gli stranieri con permesso di soggiorno sono più numerosi rispetto al Sud, e che al Centro-Nord si concentrano la produzione e il commercio di stupefacenti, insieme ai borseggi e ai furti d’appartamento, mentre il Sud registra una prevalenza di omicidi, rapine, scippi e contrabbando. Assumendo come punto di riferimento il 1988, registriamo come la percentuale di stranieri sul totale dei condannati fosse molto maggiore nel nord Italia, per la precisione doppia rispetto al Sud relativamente ai reati di rapina, quadrupla relativamente ai reati di furto e per quelli legati agli stupefacenti, quintupla per i reati di violenza carnale, sestupla per gli omicidi. La percentuale più alta di stranieri condannati apparteneva alla Liguria, mentre in Sicilia (la regione meridionale che alla fine degli anni ‘80 registrava il più alto numero di immigrati) la percentuale di stranieri condannata per i reati presi in esame era bassissima. Nel corso degli anni ‘90 questa percentuale è aumentata in tutte le regioni, con un’impennata per la violenza sessuale nel Mezzogiorno, per cui, dato curioso, in questo il Sud ha quasi pareggiato il Nord, mentre invece per furti, rapine, spaccio di droga e omicidi è accaduto l’opposto, sicché la distanza tra Nord e Sud si è accentuata incrementando il primato del Nord. Vale in ogni caso il dato generale per cui è sempre nell’Italia centro-settentrionale che la quota degli stranieri condannati si mantiene più elevata.

Chi abita in una grande città, ha assistito, negli ultimi venticinque anni, ad un’impressionante escalation dei delitti più gravi e anche dei reati di media gravità, oltreché di quei crimini che alcuni studiosi americani hanno battezzato col nome di soft crimes, vale a dire lo spaccio di droga, la prostituzione, gli atti di vandalismo, le molestie agli anziani, le oscenità nei confronti delle donne, le gazzarre, gli schiamazzi, l’accumulo di rifiuti, l’occupazione indebita e spesso perturbante di edifici pubblici abbandonati. Specialmente le violazioni più visibili e più eclatanti come la prostituzione, praticata ad un livello così esasperato da suscitare forte disagio sociale, hanno indotto un senso di malcontento nei cittadini che spesso ha originato l’acuirsi di tensioni di cui si è fatto interprete lo stesso Ministro dell’interno Giorgio Napolitano, nelle sue relazioni al Parlamento, sia nel 1996 che nel 1997.

Sono stati gruppi di varia estrazione politica, provenienti da tutti i ceti sociali, a difendere la vivibilità urbana e a cercare di ristabilire l’ordine sociale messo in pericolo da devianze di vario tipo. Alcuni di questi gruppi hanno finito per dirigere il loro risentimento contro gli immigrati, considerati la fonte principale o esclusiva di tutti i problemi urbani, dell’aumento della criminalità e del degrado di alcuni quartieri in rapporto ad un passato che viene spesso mitizzato nel ricordo, rispetto al quale il presente ‘multietnico’ si traduce in una insopportabile alterazione. Il fatto poi che questi comitati siano sorti e abbiano operato quasi esclusivamente nelle città dell’Italia centro settentrionale è dovuto, a nostro parere, ad una esasperazione originata dall’evidenza che in questa parte d’Italia l’aumento del numero dei reati commessi dagli stranieri è stato assai più forte, e ha comunque trovato maggior risalto nel tessuto socio-culturale in cui si è sviluppato. Infatti l’ordine sociale è quasi sempre connesso a sistemi di organizzazione del lavoro e di industrializzazione impostati su rigidi modelli di organizzazione sociale che hanno la loro riuscita nel fatto di risultare impenetrabili da elementi perturbatori esterni, quali potrebbero essere, per esempio, quelli derivanti dall’infiltrazione di modelli culturali allotri, modi di vita alternativi che rompono il congegno socio-produttivo su cui si regge quella determinata cultura del lavoro in quella determinata società.

Consideriamo le undici maggiori città italiane (Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Roma, Napoli, Bari, Palermo, Catania): nel 1988 le città centrosettentrionali raggiungevano una percentuale di stranieri, tra i condannati per furto, cinque volte maggiore rispetto a quelle meridionali, ma negli otto anni successivi il divario si è accentuato perché questa percentuale è triplicata nelle città del Nord.

Analogo discorso può essere fatto per la produzione e il commercio di stupefacenti, e poiché l’annotazione ci riguarda da vicino, vale la pena sottolineare che a Firenze la percentuale di stranieri sul totale dei condannati per produzione e commercio di stupefacenti ha subìto una straordinaria impennata; se poi si considerano le rapine e ci riferiamo a Napoli, una città divenuta emblematica in Italia in questo campo, si rimane allibiti nel constatare come nella prima metà degli anni ‘90 la percentuale di stranieri condannati fosse molto più elevata nel capoluogo toscano che in quello campano. Tutto ciò sfata alcuni luoghi comuni che finiscono per apparire semplici pregiudizi o enfatizzazioni, mentre la realtà offre un quadro ben più sfaccettato e di complessa analisi.

Un dato confortante riguarda le donne e la psicologia femminile: risulta che le donne violano le norme penali con molta minore frequenza degli uomini; non solo, ma le differenze per tali violazioni risultano tanto maggiori quanto più grave è il reato. (<5">5) Un altro dato interessante mette in correlazione età e violazione delle norme penali. Come dice Barbagli:

Le probabilità che una persona commetta un reato crescono molto rapidamente durante la preadolescenza e l’adolescenza, raggiungendo il valore più elevato un po’ prima o un po’ dopo la maggiore età, e scendono bruscamente dopo di allora... I furti e le rapine sono compiuti da persone molto giovani, hanno in media tre o quattro anni di più i condannati per produzione e vendita di stupefacenti e per omicidio. (<6">6)

Questi sono dati di carattere generale che riguardano non solo l’Italia, ma tutti i paesi del mondo, che si dovrebbero applicare anche per gli immigrati, a maggior ragione se teniamo presente che questi ultimi hanno in genere un’età medio bassa e una quota più alta di uomini di quella autoctona. Si potrebbe pertanto pensare che la percentuale di donne sul totale dei condannati sia più bassa fra gli stranieri che fra gli italiani. Ciò è vero per alcuni reati, come il commercio di stupefacenti, la ricettazione, il contrabbando; ma per altri, come il furto, la rapina, l’estorsione, risulta vero l’opposto. Ancor più sorprendente è vedere come la colpevolezza delle donne vari notevolmente a seconda dei gruppi etnici di riferimento: le donne magrebine sono perle di virtù, le cilene e le peruviane incorrono frequentemente in rapina e spaccio, ma si astengono perlopiù da furto e ricettazione (occorre tuttavia tener presente che Cile e Perù esportano quasi esclusivamente donne). Non sorprende che gli ex iugoslavi, generalmente nomadi, abbiano un’alta quota di donne fra i condannati per furti e rapine.

Quanto all’età, sempre partendo dal 1988, si nota la punta massima delle rapine fra gli stranieri adulti, dello spaccio fra i giovani maggiorenni, del furto fra i minori, fino ad arrivare ad oggi, quando si constata che fra i minori condannati per furto gli stranieri sono quasi la metà, e di questa il 90% proviene dalla ex Iugoslavia (nomadi): il 30% sono ragazzi, il 70% ragazze. Secondo l’opinione di alcuni magistrati e studiosi italiani, sarebbe in atto un processo di ‘sostituzione’ degli stranieri agli autoctoni in alcune attività illecite: (<7">7) ciò significa che questi ultimi, considerando tali attività meno remunerative di un tempo, hanno generosamente ceduto il campo ai nuovi arrivati. Una tale analisi della situazione risponde a criteri ripresi dall’analisi del mercato del lavoro, ed equivale a considerare il delinquente alla stregua del ‘fornitore di un reato’, il che suscita perplessità, specie in riferimento a delitti come l’omicidio.

È necessario quindi, per addentrarci in questa indagine, distinguere fra i reati di tipo ‘espressivo’ (dettati cioè da impulsi passionali, come l’omicidio o la violenza sessuale), e quelli ‘strumentali’ (finalizzati ad un interesse economico. come il furto o la rapina). Solo per una parte di questi ultimi si possono usare schemi tratti dal mercato del lavoro, accettando appunto il criterio che un sempre crescente numero di italiani della classe disagiata abbia smesso di compierli e sia stato in ciò sostituito dagli stranieri. Vi sono però reati come il furto o la rapina in cui è aumentata sia la percentuale degli stranieri sui condannati, sia il numero degli italiani condannati: occorre pertanto ritenere che non vi sia stata una sostituzione, ma semplicemente l’accostamento di un gruppo all’altro in un campo che, com’è ovvio, offre illimitate occasioni delinquenziali. Per quanto concerne i commerci illegali, invece, l’ipotesi della sostituzione appare più mirata. Al centro di tali mercati vi è infatti il ricettatore, che trae profitto appunto dalla posizione di intermediario che occupa tra ladro e acquirente. Se la ricettazione diventa meno redditizia è plausibile che molti italiani l’abbandonino e gli stranieri li sostituiscano. I dati a disposizione, però, ci dicono che la percentuale di stranieri sul totale è aumentata, ma anche il numero assoluto di italiani condannati per questo reato è cresciuto ininterrottamente: sembrerebbe dunque che anche in questo campo, più che di sostituzione, si debba parlare di ‘comunione’. (<8">8)

I dati forniti da Barbagli circa il numero delle persone indagate per produzione, traffico e spaccio di droga dal ‘91 al ‘97 evidenziano che nei gradini più bassi di tale traffico, cioè fra gli spacciatori di strada, è effettivamente avvenuta una sostituzione degli spacciatori italiani a vantaggio di quelli stranieri, ma secondo dati aggiornati al 1997, gli stranieri risultano molto aumentati anche negli strati medio alti del mercato della droga (produttori e trafficanti), il che non avalla l’ipotesi di una sostituzione degli autoctoni per diminuzione di interesse remunerativo. Il mercato della droga resta comunque difficilmente interpretabile in quanto la domanda per i vari tipi di stupefacenti ha subìto notevoli trasformazioni, sia nel corso degli anni ‘80 che nel corso degli anni ‘90, e di conseguenza è variato anche il predominio in questo campo dei vari gruppi, italiani o stranieri, che producono (o monopolizzano) l’importazione dei vari tipi di droga richiesta dal mercato in un determinato momento.

L’ipotesi della sostituzione coglie invece nel segno per quanto attiene il mercato della prostituzione. Anche qui ci imbattiamo in livelli diversi di remunerazione, legati al luogo e al modo in cui la prostituta e il cliente si incontrano, e che determinano anche la differenza di prezzo. Sommariamente si può parlare di un livello basso per le prostitute che battono il marciapiede, di uno più alto per quelle che entrano in contatto con i clienti attraverso il telefono e per quelle (estetiste, massaggiatrici, spogliarelliste, entraineuses) che nascondono la loro vera attività dietro altre professioni. Nel corso degli anni ‘70-’80, le prostitute italiane hanno abbandonato le strade, cioè il gradino più basso, per salire a livelli medio-alti e sono state sostituite dalle straniere, succedutesi dall’88 ad oggi in tre diverse ondate migratorie: la prima, dopo la caduta del muro di Berlino, dai paesi ex comunisti, la seconda dal Sud America, la terza dall’Albania e dalla Nigeria. (<9">9) A questo proposito occorre osservare che nello sfruttamento della prostituzione sono coinvolti sia uomini che donne, ma diversamente dalla gestione praticata dai nigeriani, ove lo sfruttamento avviene, per così dire, ‘a ciclo chiuso’, nelle forme ‘classiche’ del sequestro e della costrizione al marciapiede, gli albanesi hanno impiantato un solido business ‘a ciclo continuo’, che investe i proventi derivanti dalla prostituzione nel più redditizio traffico di droga.

Le gangs albanesi sono così efferate che le cronache non mancano di riferirci quasi giornalmente episodi di torture e assassini di ragazze poi gettate lungo le strade o in qualche fiume. La loro aggressività è tale che da un’indagine recentissima (<10">10) si apprende come questi stiano subentrando d’impeto quasi ovunque al racket nigeriano. Sul marciapiede non vengono utilizzate solo maggiorenni (in ogni caso raramente consenzienti), ma anche giovanissime, rapite alle famiglie d’origine o addirittura comprate da esse, come si apprende dalla lettura di qualsiasi quotidiano. A differenza poi dell’organizzazione criminale ‘tradizionale’, cioè verticistica, queste gangs criminali sono tanto più pericolose in quanto possono agire autarchicamente ed autoritariamente, secondo l’impulso del momento, e questo si traduce in una sorta di anarchia dell’omicidio, dello stupro, della tortura e via dicendo. (<11">11) Si delinea in questo caso una nuova forma di riduzione in schiavitù, difficilissima da provare, che la società civile tollera, salvo insorgere e sdegnarsi quando schiamazzi e oscenità colpiscono direttamente i singoli cittadini e le loro famiglie.

L’opinione di Quassoli è che la oramai ben nota efferatezza di queste gangs scaturisce dal contatto tra una società rurale, qual è quella albanese, con una società dal capitalismo avanzato, quale la nostra: l’impatto è così traumatico da mandare in crisi i valori tradizionali, mentre l’aprirsi della possibilità di acquisire grandi somme di danaro e quindi di potere (binomio standard nella nostra società), ha trasformato l’aspirazione ad una vita dignitosa da parte degli immigrati in brutale cupidigia e ha condotto ad evidente degenerazione un consolidato sistema di convivenza civile.

Risulta quindi che gli stranieri occupati in attività illegali non sono solo ai gradini più bassi, ma va anche detto, per disegnare un quadro realistico della criminalità, in specie di quella organizzata, che finora gli stranieri non sono entrati nei principali settori da essa controllati: appalti pubblici, frodi comunitarie, illegalità ambientale, riciclaggio, traffico di auto rubate e usura. Ciò è probabilmente avvenuto perché in questo campo occorre una tale conoscenza dell’intreccio tra burocrazia e legislazione, e agganci e connivenze tali da risultare un’impresa impossibile per chiunque non conosca dal di dentro il carattere e le peculiarità italiche. Inoltre l’ambiente in cui occorre muoversi per svolgere una simile attività delinquenziale è tale che l’evidenza dell’estraneità predispone alla diffidenza e quindi pregiudica la riuscita del crimine.

Il campo delle estorsioni è monopolio quasi esclusivo dei cinesi. Il Ministro dell’interno Napolitano ha di recente denunciato la presenza a Roma di nuovi poli di criminalità di questo tipo, originati dal massiccio afflusso di extracomunitari, particolarmente cinesi, che operano a livello d’imprenditorialità artigianale. (<12">12) È rilevante anche la presenza di stranieri nel traffico clandestino di immigrati: essi forniscono passaporti falsi, mezzi di trasporto, alloggio e appoggio nei paesi di destinazione; talvolta fanno anche parte di organizzazioni criminali dotate di notevoli mezzi e gestiscono il traffico delle vittime più vulnerabili, le donne e i bambini: le prime sono destinate alla prostituzione, i secondi sono acquistati, affittati dai ‘produttori’, ossia dai genitori, secondo prezzi che variano in base alla loro capacità di fornire reddito. È questo forse l’aspetto più drammatico e disgustoso di una devianza che, a qualsiasi latitudine, in scia al decadimento morale che interessa la nostra società, misconosce i più elementari e tradizionali valori, tesa com’è a rincorrere il profitto e a perseguirlo con ogni mezzo. Da quanto detto risulta destituita di ogni fondamento l’ipotesi che l’aumento di criminalità che ha interessato il nostro paese sia da attribuire solo ed esclusivamente all’incremento dell’immigrazione perché, come si è visto, questa crescita ha avuto luogo nella prima metà degli anni ‘70, appena all’inizio del verificarsi dei processi migratori. È vero invece un altro fatto, e cioè che nell’ultimo decennio risulta cresciuta la percentuale di stranieri sul totale dei condannati; vale la pena osservare che vittime di questi reati sono spesso gli stessi immigrati: bambini utilizzati nelle attività illecite, donne e uomini circuiti, violentati o uccisi da concittadini e anche da italiani. Si pensi a questo proposito alle gravi lesioni inferte anche a Firenze ad alcuni extracomunitari, o al recente traffico di attestati di lavoro falsi, in occasione della regolarizzazione appena conclusasi.

Nel nostro paese gli immigrati sono ancora al più basso livello nella gerarchia dei reati: i crimini più raffinati risultano in Italia appannaggio dei ceti più alti (politici, imprenditori, dirigenti d’azienda, farmacisti, avvocati e medici). Gli immigrati occupano posizioni medio basse in termini di gestione e di remunerazione del crimine. È consolante inoltre notare come tra gli immigrati extracomunitari presenti in Italia non tutte le nazionalità risultino coinvolte alla stessa maniera nella criminalità, che interessa marginalmente i filippini, gli indiani, i pakistani, gli egiziani, i nigeriani (fra i quali si registrano reati connessi alla prostituzione, che può comunque inquadrarsi come una sorta di devianza, più che come un crimine), gli ivoriani, gli etiopi, i senegalesi, i somali, gli argentini, i brasiliani.

I furti e le rapine coinvolgono soprattutto ex iugoslavi, marocchini, algerini, tunisini; lo spaccio di eroina è in mano ai marocchini e ai tunisini; quello della marijuana agli albanesi; quello della cocaina ai sudamericani. Nello sfruttamento della prostituzione, come si è visto, primeggiano gli albanesi e i nigeriani. Per questi reati la crescita della quota di stranieri fra i condannati è presente in tutto il paese, seppure non risulti ovunque altrettanto veloce; questi valori sono oggi eccezionalmente elevati nelle grandi città del Centro-Nord.

 

Immigrazione regolare e immigrazione irregolare

 

La prima sommaria suddivisione nell’ambito della popolazione straniera che vive in Italia consiste nella regolarità o irregolarità dell’immigrazione, vale a dire nella titolarità o meno del diritto di risiedere nel territorio nazionale, subordinato al rilascio di un permesso provvisorio di soggiorno firmato dal questore della provincia in cui lo straniero dimora. Per precisione si possono distinguere, nell’ambito degli irregolari, tre gruppi dalle caratteristiche diverse: coloro che sono entrati nel nostro paese eludendo i controlli alla frontiera; gli immigrati che, pur essendo entrati legalmente, sono poi rimasti oltre i limiti consentiti; coloro che usano il visto turistico per svolgere lavori occasionali, spesso attendendo di partire per altri paesi europei.

Va da sé che non è possibile censire né ogni singolo gruppo, né il numero globale degli irregolari: si giustifica così la notevole variazione delle stime da parte dei diversi istituti di ricerca, che vanno dalle trecentomila unità a quasi due milioni. Se poi si deve prestare orecchio alle ipotesi, occorre dire che i mass media enfatizzano il numero di coloro che Napolitano definisce clandestini (quelli cioè che sono entrati illegalmente in Italia); gli esperti a loro volta giudicano più numerosi quelli del secondo gruppo, che cioè si sono fermati più del consentito. (<13">13) I tre provvedimenti di regolarizzazione approvati dal Parlamento italiano nel 1987, 1990 e 1996 hanno invece permesso di dedurre precise informazioni sul ‘travaso’ avvenuto in queste occasioni dal numero degli irregolari a quello dei regolari.

Quello del 1990, una vera e propria sanatoria, considerava sufficiente per la regolarizzazione la semplice presenza in Italia, indipendentemente dal lavoro: data quindi l’ampiezza del provvedimento, in quell’occasione un gran numero di stranieri ottenne il permesso di soggiorno, cosicché grazie anche alle tappe successive, si sa che circa seicentomila persone sono passate dalla condizione di irregolari a quella di regolari. La Caritas e l’Istat concordano comunque nell’affermare che il numero aggiornato degli irregolari è di uno ogni due extracomunitari con permesso di soggiorno, precisando che nelle regioni meridionali la presenza di irregolari è sempre stata ed è ancora più alta di quella delle regioni settentrionali. (<14">14)

L’1/9/97 il Ministro dell’interno annunciava in un rapporto al Senato che circa 1’83% dei detenuti extracomunitari risultava senza permesso di soggiorno. Era importante però la sua dichiarazione che "gran parte della devianza straniera si annida nella componente irregolare degli immigrati". Pur essendo questo un dato impugnabile, era comunque la prima volta che un ministro della Repubblica attribuiva agli irregolari gran parte dei reati commessi in Italia dagli stranieri. Marzio Barbagli, analizzando i dati sugli extracomunitari denunciati per tutti i crimini, rileva che una grandissima parte dei reati in questione è sì commessa dagli irregolari, ma ciò è vero più per i reati prevalentemente strumentali che per quelli di tipo espressivo. (<15">15) C’è poi la variabile del sesso e quella dell’età: la quota delle persone prive di permesso di soggiorno è maggiore per le donne ed altissima fra minorenni ed ultrasessantenni, ma è molto più bassa per le età intermedie.

A leggere i giornali, a seguire i dibattiti televisivi o le interviste di piazza, parrebbe che a delinquere in Italia fossero solo gli stranieri e fra questi gli irregolari, ovviamente circondati nel giudizio della gente da un alone di illegalità e di mancanza di controllo che li rende fatalmente predisposti al crimine. In realtà, stando alle tabelle del Barbagli, per i tre delitti principali presi in esame (furto, stupefacenti, lesioni) l’incremento del numero dei denunciati riguarda non solo gli extracomunitari irregolari, ma anche quelli regolari; (<16">16) e prendendo in esame un arco di tempo che va dal ‘90 al ‘97, la percentuale dei due gruppi sul totale dei denunciati è rimasta sostanzialmente invariata. Se poi è vero che, dal ‘90 al ‘97 si registrano delle difformità nel rapporto fra le due componenti, bisogna però notare come questo fenomeno sia strettamente legato ai provvedimenti di regolarizzazione varati dal Governo: nel periodo immediatamente successivo a uno di questi provvedimenti, cresce il numero dei regolari sul totale dei denunciati, ma diminuisce poi negli anni successivi. Ciò significa che almeno una parte di coloro che ottengono il permesso di soggiorno continua a commettere reati per un po’ di tempo.

Un’altra affermazione spesso usata con intenti strumentali da giornalisti e uomini politici è che i cosiddetti clandestini costituiscono una componente delinquenziale molto più numerosa da noi che in altri paesi. Per verificare la verità di tale affermazione bisognerebbe possedere dati certi sul numero degli immigrati irregolari presenti nei vari paesi europei, cosa tanto impossibile quanto lo è per l’Italia. Inoltre negli altri paesi la polizia spesso si limita a distinguere tra stranieri residenti e non, comprendendo fra questi ultimi una casistica variegata (turisti, richiedenti asilo, viaggiatori per lavoro e immigrati illegali). Comunque, statistiche alla mano, si può fare un tentativo di lettura dei dati da cui si evince che in Svezia, in Svizzera e in Germania, la percentuale dei non residenti sul totale degli stranieri indiziati di reato è - per il motivo anzidetto - molto più bassa di quanto non lo sia quella degli irregolari in Italia. (<17">17) Pur tenendo conto che il gruppo degli stranieri con regolare permesso di soggiorno è da noi molto minore che negli altri paesi europei, la differenza che intercorre fra l’Italia e i paesi stranieri presi in esame colpisce negativamente.

Il nostro Governo ha tentato di combattere l’immigrazione irregolare; tutti i paesi europei hanno compiuto analoghi sforzi, ma da noi, che siamo un paese votato per tradizione alla feroce autocritica e a complessi d’inferiorità, molti si sono chiesti se gli sforzi dell’Italia abbiano avuto minor successo di quelli degli altri paesi. Si sono formate così due scuole di pensiero circa i controlli esterni, cioè di frontiera e quelli interni, cioè sulla permanenza: chi urla al disastro, chi invece inneggia ai progressi compiuti verso una convergenza con gli altri paesi europei. Ebbene, i dati disponibili, indicano che l’Italia ha avuto finora un sistema molto meno efficace degli altri paesi per espellere gli irregolari. Gli esempi concreti per spiegare le cause delle difficoltà che le nostre questure incontrano sarebbero spassosi se non fossero così gravidi di conseguenze: uno straniero può assumere nell’arco di quattro-cinque anni anche quattro-cinque identità diverse che appalesa in sequenza alle varie questure che lo hanno ‘pizzicato’ per i più svariati reati. L’individuo in questione colleziona una serie di procedimenti penali pendenti, spesso in località diverse e agli effetti pratici risulta quindi irreperibile. (<18">18)

Comunque, anche nel caso in cui venga individuato, l’espulsione si può applicare solo se egli non ha procedimenti penali pendenti; a questo punto la storia è quella del serpente che si morde la coda, perché generalmente si caccia uno se ha violato una norma penale, ma non lo si può cacciare proprio perché ha in corso un procedimento giudiziario. E, per assurdo, più provvedimenti penali pendenti sparsi per la penisola egli ha, più diminuiscono le probabilità di espulsione, in quanto il questore del luogo dove lo straniero è stato bloccato deve presentare un numero conseguente di domande ad altrettante autorità giudiziarie competenti interessate.

Bisogna inoltre sottolineare che è quasi impossibile espellere uno straniero se non lo si identifica con esattezza, e come abbiamo visto l’identificazione, dato il ‘trasformismo’ degli imputati, è pressoché impossibile. A questo proposito è illuminante l’osservazione di Giancarlo di Cataldo, giudice del Tribunale di Roma

È praticamente impossibile espellere i magrebini ... È impossibile espellerli perché non vogliono essere espulsi. La norma che prevede il possesso di un valido documento è una norma che noi non possiamo pensare di cancellare: nessun paese si riprende un suo cittadino della cui identità non è certo ... È rarissimo il caso in cui il detenuto abbia un passaporto o un qualunque visto consolare, un qualunque documento valido, e, in special modo, voglia tornare nel suo paese. (<19">19)

È pertanto ovvio che nessuno stato accetta di far entrare nel suo territorio una persona espulsa da un altro stato se prima non abbia la certezza che si tratti di un suo cittadino, di cui, quindi, devono essere note le generalità: così anche nel migliore dei casi, occorre un enorme dispendio di tempo e di energie per le procedure di controllo. Uno degli avvocati intervistati da Barbagli ha dichiarato:

A ottenere un’espulsione diventiamo matti anche noi, quando la chiediamo per i nostri assistiti perché prendono delle condanne pesanti o perché fanno fatica a stare in galera. Tutte le volte che voglio che un mio assistito venga espulso, chiaramente su sua richiesta, richiedo al giudice di richiedere all’Ufficio stranieri della questura di richiedere al consolato se quel soggetto corrisponda alle generalità che il mio assistito mi ha fornito per ottenere il lasciapassare all’espulsione. Ma passano mesi prima di averlo. (<20">20)

Bisogna inoltre tener presente che normalmente, quando l’espulsione non è voluta, i tempi si allungano. È ovvio che gli immigrati irregolari fermati dalle forze dell’ordine mettono in atto tutta una serie di escamotages per eludere i controlli: di fronte a generalità che sono sempre false non resta che rifarsi alle impronte digitali. Il cartellino dattiloscopico viene inviato all’Interpol che interpella la polizia del paese di origine dello straniero. Si riesce ad individuarlo solo se egli ha precedenti penali, perché in molti stati sono conservate solo le impronte digitali di chi ha infranto la legge; in altri paesi, invece, le cose vanno meglio perché sono conservati i dati dattiloscopici anche degli incensurati.

Fino al febbraio 1998, le forze di polizia italiane non potevano espellere uno straniero irregolare se non con il suo consenso. Dagli studi sulla popolazione italiana e sugli immigrati in Italia (riferiti al ‘94-’95) Sl possono dedurre due importanti conclusioni: la prima è che, a parità di sesso e di età, gli immigrati regolari annoverano un numero di condanne maggiore di quello degli italiani (questa differenza tocca un picco per gli omicidi e diminuisce per i furti e le rapine); la seconda è che gli immigrati regolari del Centro-nord hanno percentuali molto più alte di condanne di quelli del Sud. Molto più ardua la stima circa gli immigrati irregolari, giacché non sappiamo quanti siano, ma, dalle informazioni assunte, risulta che proprio per la condizione di clandestinità cui sono costretti questa sia la categoria di immigrati più coinvolta in attività illecite.

Rispetto alla popolazione ospitante gli immigrati si trovano in una situazione socio-economica molto più svantaggiata. Sono più spesso disoccupati o sottoccupati o mal retribuiti, hanno maggiore difficoltà a reperire un’abitazione decente, più spesso vivono soli o comunque senza il sostegno di una solida trama familiare. L’esattezza di un confronto fra autoctoni e immigrati, quanto a violazione delle norme penali, dovrebbe basarsi sulla parità di condizione economica e di integrazione familiare: insomma si tratterebbe di verificare, poste le stesse condizioni di base, se delinquano di più gli immigrati o gli autoctoni.

Come al solito non esistono dati precisi che permettano di svolgere un’indagine documentata, ma certo l’immigrazione influisce sia sulla condizione economica che sull’integrazione familiare, e a loro volta queste incidono sulla probabilità di delinquere. Concludendo, nell’ultimo decennio, in Italia, il numero dei reati commessi dagli stranieri, siano essi immigrati regolari o irregolari, è considerevolmente aumentato, ma i secondi hanno contribuito all’escalation del crimine molto più dei primi. Così, se gli immigrati regolari commettono oggi reati più spesso degli autoctoni (almeno in certe fasce d’età), gli irregolari superano di molto in criminalità sia gli uni che gli altri. Questo fa pensare che nell’ultimo decennio le motivazioni alla base dei processi migratori nel nostro paese si siano notevolmente diversificate: a chi è venuto per cercare lavoro si è aggiunto l’avventuriero in cerca di occasioni per arricchirsi, con una conseguente e prevedibile propensione a violare la legge.

Ci sono gruppi che giungono come filamenti staccati di potenti organizzazioni criminali, altri piccoli e coesi che giungono già con l’intento di svolgere remunerative attività illecite (come albanesi e nigeriani). È il caso anche dei nomadi ex iugoslavi, che oltre ad addestrare i propri figli al furto, acquistano o affittano a tale scopo altri minori dalle famiglie d’origine, introducendoli in Italia con documenti falsi. Esiste una ragnatela di reti informali di estrema importanza per l’emigrazione; quelle che conosciamo ufficialmente sono le positive (immigrazione per motivi di lavoro), ma non sappiamo quasi nulla delle reti negative che spostano masse di persone con occulte finalità, eppure esse sono importantissime perché grazie al loro aiuto entra e si accampa sul nostro territorio il maggior numero di clandestini.

A seguito, poi, dell’inefficienza del sistema di controllo interno del nostro paese, della Legge Martelli rimasta in vigore fino al febbraio ‘98, e della mancanza di collaborazione da parte dei paesi d’origine, l’espulsione dall’Italia degli stranieri senza permesso di soggiorno, come abbiamo già visto, risulta praticamente impossibile. È accaduto perciò che, paradossalmente, gli irregolari sono rimasti più impuniti dei regolari poiché questi ultimi, avendo un valido documento d’identità, sono effettivamente identificabili e perseguibili; inoltre si è costituito un folto esercito di persone escluse dal mercato del lavoro lecito che quindi si dedicano a tempo pieno ad attività illecite.

 

Le attese dei migranti e l’impatto con la realtà

 

Uno dei paradossi della società attuale è che lo sviluppo delle telecomunicazioni e dei trasporti, insieme alla diffusione planetaria dei modelli di massa, spingono i giovani dei luoghi più sperduti del pianeta a sognare, a desiderare e tentare di realizzare quello che appare alla portata di tutti nei modelli delle società dominanti.

Questo è tanto più vero per i giovani dei paesi limitrofi all’Europa: i magrebini, i mediorientali, i balcanici e quelli dell’Est. I giovani di queste aree possono vedere la televisione italiana e di altri paesi europei grazie alla straordinaria diffusione delle antenne paraboliche; incontrano spesso turisti italiani, talvolta parlano con patrioti che risiedono o hanno risieduto in altri paesi: captano così messaggi sufficienti a costruire miti, aspirazioni (o sarebbe meglio dire illusioni) che appaiono loro a portata di mano nelle grandi città italiane; italiane in primo luogo perché fra i cinquanta circa giovani immigrati albanesi e marocchini intervistati, si nota che la motivazione prevalente della loro scelta di trasferirsi in Italia risiede nell’estrema facilità di penetrazione del nostro Paese e nel carattere conciliante e cameratesco del nostro popolo.

Nel ‘villaggio globale’ i modelli di comportamento e gli status symbol della società capitalistica avanzata non raggiungono solo la fascia limitrofa, ma penetrano capillarmente in ogni angolo del pianeta. Questo fa sì che la disposizione d’animo iniziale di chi emigra da un paese economicamente sottosviluppato sia mutata rispetto a quella del passato: fino alla fine degli anni ‘70, valeva ancora come modello di immigrazione riuscita quello di chi aveva trovato un lavoro nel paese ospitante e che viveva dignitosamente di questo; oggi, molti dei giovani che partono dal loro paese sono preventivamente imbevuti dei modelli devianti che circolano anche nelle periferie delle nostre città grazie ai messaggi cinematografici, televisivi, e persino agli spots pubblicitari.

L’immigrato tradizionale, quindi, che si guadagna la vita col proprio lavoro, effettivamente sfruttato e sottopagato come avviene abitualmente in una società come la nostra, appare un povero diavolo che non arriva a granché ed è già tanto se sopravvive e riesce a farsi una casetta modesta per sé e per la sua famiglia. Ma non è certo questo il miraggio cui aspirano i giovani albanesi o i giovani tunisini emigranti, questa prospettiva non fa gola a chi guarda gli spots pubblicitari o i film tv: i ‘riusciti’ sono quelli che guadagnano molto, ma non si può guadagnare molto e fare la vita che propongono gli ingannevoli messaggi televisivi senza passare attraverso traffici illegali, e così il numero di giovani che emigrano con l’intenzione di attuare un comportamento deviante è oggi più numeroso che in passato, di pari passo al degrado della loro società d’origine, aggravatosi attraverso appunto la penetrazione di modelli estranei alla loro tradizione culturale (si pensi alla diffusione recente del consumo di droga in Marocco e in Albania).

Spesso coloro che emigrano rappresentano frange non integrate di popolazione, prive di un radicamento nel tessuto sociale, messe ai margini da quella stessa società e che pertanto, non avendo nulla da perdere, cercano sbocchi altrove. Altri giovani invece si spostano dai loro paesi con le stesse motivazioni di qualsiasi giovane europeo, per gusto di avventura e anche per trovare onestamente una sistemazione impossibile a casa loro. L’impatto con una realtà che impedisce la realizzazione di queste aspirazioni può avere conseguenze molto gravi e aprire la strada al rischio di cadere nelle trappole che conducono alla devianza. La condizione di inferiorità nella quale piombano gli immigrati a dispetto delle loro aspettative li instrada cioè verso modelli devianti. Questa analisi trova conferma nelle numerose interviste effettuate a stranieri di varie etnie, fra le quali appare particolarmente indicativa quella di un giovane marocchino ex detenuto di Sollicciano per contrabbando e che attualmente vive di espedienti.

Quando ero in prigione riuscivo a mandare qualche soldo giù alla famiglia, ma da quando sono fuori non ci riesco. Sì, non avrei mai potuto immaginare una cosa del genere. ma in Italia, fuori, è l’inferno. Passi da uno schifoso lavoro ad un altro, per essere sfruttato e malpagato e per arrivare a non poter pagare né l’affitto né il resto delle spese indispensabili a vivere decentemente. Se ti lasci spingere a cercare di guadagnare un po’ di più, dopo poco finisci in galera e per colmo, solo in prigione ho potuto fare qualche lavoretto che mi facesse guadagnare abbastanza da mandare al Paese. (<21">21)

Ancora più interessante la testimonianza di un ventiquattrenne di famiglia povera originario di Tirana, arrivato in Italia nel 1991, fra i primi rifugiati albanesi:

Sono venuto via come tanti altri, era la prima volta che ci si sentiva liberi di andare all’estero e l’Italia è sempre stato il nostro sogno. Non sapevamo molto attraverso la televisione, ma ci sembrava bellissima, un paese ricco dove i giovani si divertono, si vive bene, non manca niente. Soprattutto speravamo di possedere dei veri jeans. Arrivato qui mi sono accorto che ci sono un sacco di problemi e che anche qui ci sono dei poveri che vivono male, ma gli stranieri vivono peggio e non si fa niente per loro.

Egli ora lava i piatti in un ristorante per dieci-dodici ore al giorno sottopagato e senza assicurazione. Prosegue la sua testimonianza

I miei amici sono solo albanesi perché gli italiani schifano la nostra amicizia e parlano male di noi. Avrei bisogno di guadagnare di più per una vita dignitosa, ma non sono disposto a fare il domestico perché noi siamo troppo orgogliosi. La polizia prende sempre noi, ma gli italiani fanno dei delitti più gravi di quelli commessi da noi, eppure noi siamo considerati sempre come i peggiori delinquenti.
Non pensavo che in Italia potesse andare così male: come clandestino non posso far niente, non posso tornare in Albania vista la situazione che c’è là. (<22">22)

Ancora più esplicito è un giovane russo fuggito nel 1990 dalle difficoltà economiche di quel paese e che ha lasciato a Mosca una sorella, la madre e il padre:

Quando arrivi qui ti accorgi che con un lavoro in nero sei quasi sempre trattato come uno schiavo e guadagni una miseria; con un lavoro regolare non va meglio e spesso ci si chiede a che vale affannarsi per ottenere una regolarizzazione, a parte la possibilità di andare e tornare quando si vuole. Inoltre basta niente per trovarsi nei guai; anche se non si fa niente si può passare da criminali. Allora se tanta gente si lancia in attività illegali è perché questo oggi è il solo modo di riuscire a fare soldi; pochi ce la fanno ma non c’è altra strada. È finita l’epoca degli ‘zii d’America’ e il solo modo per fare i soldi è quello illegale; del resto questo è il metodo che nel mondo usano tutte le grandi personalità e gli uomini di potere. Vale almeno la pena di tentare; non ci sono altre alternative; oggi il destino dell’immigrazione è la miseria e la criminalizzazione; quello che vedo e che sento mi fa pensare al ritorno al colonialismo; allora tanto vale diventare banditi come una volta. (<23">23)

Per la cronaca, questo immigrato ha avuto la fortuna, data la sua cultura, di sposare una fiorentina benestante con cui gestisce un fiorente commercio di antichità. Bisogna inoltre aggiungere che quest’uomo si è perfettamente e velocemente integrato nella mentalità italiana perché mostra agli ospiti con orgoglio un lato del muro di cinta dello splendido parco che circonda la sua casa in campagna, muro totalmente fuori legge, costruito con le sue stesse mani nel corso di una notte, dopo aver chiesto e richiesto autorizzazioni mai giunte. "Così non ci si pensa più": come egli dice ridendo soddisfatto. A parte l’atteggiamento ‘sbarazzino’ dell’uomo, il suo discorso sembra rivelare che la devianza può essere contemporaneamente un’alternativa o una rivolta all’umiliazione dell’immigrato.

A partire dagli anni ‘80, l’immagine dell’Italia diffusa tra gli immigrati è cambiata: a quella di un paese non ostile, talvolta accogliente, generoso e senza troppi controlli, si è sostituita l’immagine di un paese poco accogliente, con molti controlli e un’ostilità crescente. Vale la pena di raccontare un fatto accaduto a Milano e riferito dall’Ispettore L.D. che spesso si reca in questa città per motivi di lavoro: una ventina di immigrati hanno potuto partecipare a un corso di formazione finanziato dal Fondo sociale europeo, finalizzato a un diploma regionale di assistenza agli anziani e agli handicappati. Quasi tutti hanno ottenuto il diploma e fra questi alcuni, a detta degli insegnanti, sono molto qualificati.

Le cooperative che gestiscono strutture parasanitarie o di ricovero dei vecchi e degli handicappati, che avevano promesso di occupare i neodiplomati, hanno rifiutato di farlo dicendo che erano ‘troppo neri’ e che avrebbero imbarazzato la loro clientela. Dei venti diplomati hanno trovato occupazione due neri come uomini delle pulizie, una polacca bionda e un marocchino per altri impieghi. Così questi diplomati, che hanno fatto uno sforzo eccezionale per pagarsi un corso di ben seicentonovanta ore, illusi dal miraggio di un impiego statale, ora si ritrovano per la strada con l’unica previsione di un lavoro in nero o della disoccupazione. (<24">24)

L’idea che sembra oggi molto diffusa fra gli stranieri presenti in Italia è che l’ingresso e la conservazione della regolarità sono diventati più difficili e che si tratta soprattutto "...di una questione di soldi e di conoscenze...". (<25">25) È diffusa inoltre l’idea che la condizione di subordinazione in cui precipitano anche gli immigrati regolari sia una sorta di ‘neoschiavismo’ che peraltro coinvolge anche gli autoctoni svantaggiati (come succede per esempio al sud dove si sfrutta il lavoro minorile o quello delle ragazze nelle fabbriche clandestine).

Ai giovani, specialmente delle periferie europee, l’emigrazione appare come un’aspirazione legittima in un mondo in cui si sbandiera il rispetto dei diritti e delle libertà umane, ma l’impatto con la dura realtà dell’umiliazione e del rifiuto costituisce forse l’aspetto più drammatico ed evidente del degrado della società planetaria. È un circolo vizioso: il degrado sempre maggiore delle società d’origine dei migranti, specialmente dei paesi più vicini alla Comunità Europea, spinge masse di persone a trasferirsi dalla periferia al centro, contribuendo ad aggravare ancor più il disagio dei paesi d’arrivo e a creare una sorta di unico territorio che va da quelle periferie fino al cuore degli agglomerati urbani italiani ed europei. (<26">26) Solo una minoranza di immigrati finisce per integrarsi nei ranghi della ‘nuova povertà’ dei paesi dominanti.

In taluni casi occorre osservare come l’adesione profonda verso il credo religioso ponga il migrante al riparo da fenomeni criminali: infatti capoverdiani e filippini, non figurano quasi mai nei tabulati della criminalità, né è facile incontrarli nelle cronache nere, né intervistarli. I canali della loro immigrazione sono gestiti direttamente dalla Chiesa cattolica che provvede non solo ad espletare le pratiche di immigrazione, ma anche a trovare loro una collocazione regolare, generalmente presso famiglie della medio-alta borghesia come domestici, giardinieri, bambinaie, guardiani o assistenti di persone anziane e inferme.

 

L’integrazione difficile

 

Dall’inizio degli anni ‘90, con l’aumentare del flusso di extracomunitari, l’atteggiamento degli italiani verso i migranti si è fatto sempre più ostile. Nel 1988 solo il 34% degli italiani intervistati da Eurobarometro ne riteneva eccessivo il numero, ma cinque anni dopo la percentuale saliva al 65% ed era la più alta d’Europa. (<27">27) Sondaggi recenti confermano questa tendenza: (<28">28) nonostante la cautela doverosa riguardo ai sondaggi di opinione, che come è noto utilizzano esclusivamente campioni di popolazione, è sotto gli occhi di tutti che l’immigrazione negli anni ‘90 è diventata una delle preoccupazioni principali, sia per l’opinione pubblica, sia per i mass media, sia per le forze dell’ordine.

Mentre questo capitolo viene scritto, la ‘pulizia etnica’ in Kossovo incrementa gli arrivi sulle coste pugliesi. Considerando che questa sia un’emergenza, e come tale un fenomeno momentaneo, ci si può richiamare alla situazione antecedente la guerra Nato-Milosevic. L’Italia, con circa il 2% di extracomunitari sulla popolazione residente, (<29">29) si colloca in coda alla graduatoria europea dei paesi interessati all’immigrazione. Eppure è innegabile che 1’enfasi ‘pubblica e mediale’ (<30">30) sbandiera una ‘emergenza immigrazione’ da prima pagina, tuttavia i dati non confermano questa emergenza, dato che l’immigrazione in Italia è almeno in linea con lo standard europeo.

Gli studi storici, antropologici e sociologici di Beck, Bergdolt, Escobar, Goffman, hanno messo in evidenza come la paura sia uno dei principali fattori di stigmatizzazione di gruppi interni o esterni a una data società: per ‘paura’ si intende "il sentimento di una minaccia alla stabilità o all’esistenza della società di cui si fa parte". (<31">31)

Sappiamo bene come in Europa, per secoli e secoli, ebrei e zingari siano stati additati come capri espiatori di tensioni e di crisi che non avevano in essi la causa, e abbiano pagato a caro prezzo il loro isolamento rispetto alla società ospitante. L’extracomunitario vive una vita generalmente marginale, spesso in luoghi degradati, raramente svolge un’attività lecita: è insomma uno sconosciuto e un emarginato di cui si parla poco o niente, e in questo vacuum possono essere convogliate le paure più varie. È appunto l’ignoranza di ciò che egli è che lo rende psicologicamente colpevole di qualsiasi comportamento giudicato dalla società come minaccia in determinati momenti e condizioni.

Numerosi indizi mostrano che la paura nei confronti degli immigrati è un fenomeno specifico di costruzione simbolica della minaccia, cioè del nemico. Come tale, essa non potrebbe affermarsi se non si basasse su un sapere di fondo, all’occorrenza confermato da imprenditori politico-morali, e non fosse amplificata e diffusa da retoriche pubbliche irradiate dai media. È il reciproco intreccio tra queste due pratiche che conferisce alla "tautologia della paura" (<32">32) la sua forza di persuasione, soprattutto in un’epoca in cui la vita sociale è esposta più di ieri ad un’insicurezza diffusa dovuta allo smarrimento di chi patisce la sensazione di trovarsi in un universo ‘aperto’, privo di nicchie o di ripari sociali stabili assoluti, un mondo in cui è venuto meno il ruolo di mediazione sociale assicurato tradizionalmente da partiti, associazioni o religioni.

Paradossalmente, benché si nutra di leggende metropolitane e anche di calunnie, la paura esprime oscuramente un sentire sociale profondo, e quindi una sorta di verità sociale certamente inquietante. (<33">33) Una piccola analisi di sette quotidiani nazionali degli anni ‘92-’93 evidenzia che su ottocentoventiquattro articoli relativi agli immigrati, il 47% di essi riportava notizia di reati da questi commessi o di provvedimenti di ordine pubblico che li riguardavano e solo 1’8% riferiva reazioni di razzismo o di xenofobia. (<34">34)

Del resto, se si presta una certa attenzione ai titoli dei principali quotidiani di oggi, si noterà che questi, in generale sempre enfatici quando si tratta di episodi supposti ‘attraenti’ per l’opinione pubblica, diventano ancor più ridondanti quando riguardano episodi che hanno come attori i migranti. È interessante anche notare che, in concomitanza con l’acutizzarsi dell’atteggiamento di insofferenza nei confronti dei migranti, a partire dai primi anni ‘90 si afferma una svolta semantica nelle informazioni che li concernono: frequentissimi sono i termini che riguardano l’illegalità e il degrado per definire fatti e situazioni concernenti l’immigrazione, mentre sempre più spazio è riservato al cittadino che protesta contro il degrado, realizzando così l’implicita equazione che egli protesta contro gli immigrati. (<35">35)

In particolare, il fenomeno dell’immigrazione viene tradotto in modo diametralmente opposto a seconda dell’orientamento politico delle testate: la stampa ‘di sinistra` mette in risalto il disagio sociale degli immigrati e se ne fa portavoce dei diritti esortando alla tolleranza; la stampa ‘di destra’ e quella marcatamente ‘nazionalista’ (ci riferiamo alle frange regionaliste o ‘leghiste’) evidenzia il malcontento degli autoctoni sottolineandone le ragioni e i timori.

Secondo la definizione di W.I. Thomas, "... se gli uomini definiscono le situazioni come reali, esse sono reali nelle loro conseguenze." (<36">36) Questo è tanto più vero quanto più delicati socialmente sono gli aspetti presi in considerazione. Inoltre è ovvio che quando si tratta di ‘colpe’ o di ‘responsabilità’, sono sempre le vittime eventuali e, in seconda istanza l’accusatore, ad avere il diritto di definire ciò che è accaduto e mai il presunto colpevole, anche se il crimine addirittura non è avvenuto affatto, ma risulta solo supposto.

A questo proposito è illuminante la testimonianza di D.C., cittadino senegalese, che nel maggio ‘98 si trovava a Milano dove risiedeva prima di ‘fuggire’ a Firenze. Egli si intratteneva in Piazza del Duomo con due amici brasiliani in pieno giorno; questi vivevano degli scarsi proventi di un lavoro in nero e tutti avevano i documenti in regola. Avvicinato da due poliziotti e risultato ‘assolutamente pulito’, il senegalese è stato duramente interpellato da uno dei pubblici ufficiali circa i suoi rapporti, giudicati apparentemente strani, con i due brasiliani. All’obiezione che quelle amicizie erano affar suo, pronunciata mentre il giovane senegalese estraeva una sigaretta dal pacchetto di contrabbando, è seguito un gesto deciso del poliziotto che gli ha afferrato il polso contestandogli la legittimità della sigaretta fumata. L’uomo ha per conseguenza afferrato il polso dell’agente per liberarsi la mano, ma ciò ha scatenato l’ira del secondo poliziotto che gli è saltato addosso insultandolo e schiaffeggiandolo, mentre una piccola folla radunatasi intorno, pur ignorando l’antefatto, tifava per gli ‘agenti’ in divisa. Trascinato in Questura e poi rilasciato, l’uomo si è allontanato da Milano a scopo prudenziale ma, tornatovi dopo qualche mese ha scoperto di essere stato denunciato e condannato per quell’episodio riportandone l’espulsione. Datosi, per così dire, alla macchia, è oggi uno dei tanti irregolari che si mimetizzano a Firenze, dove ha rilasciato questa intervista. (<37">37)

Le proteste dei cittadini, alimentano la retorica dei gruppi politici dei quali essi sono rappresentanti: assistiamo così al]a commedia dell’opposizione che deve dimostrare che il Governo è insensibile alla voce dei cittadini e del Governo che deve dimostrare, attraverso adeguati provvedimenti, di saper agire sollecitamente, di vegliare sul paese. I partiti politici cavalcano questa situazione e, per esempio, la Lega ha conquistato il ruolo che ha attualmente, proprio facendosi interprete del ‘grido di dolore’ dei cittadini del Nord in generale e del laborioso, ordinato e ‘sfruttato’ Nord-est. Sostenuti soprattutto da essa, sono sorti qua e là nelle principali città industrializzate anche comitati per così dire ‘di salute pubblica’ che annoverano rappresentanti delle più svariate classi sociali, ad indicare, come dice Dal Lago, che le ‘‘definizioni di massa, ovverosia le etichettature, funzionano a trecentosessanta gradi". (<38">38) I cittadini hanno paura, sono a disagio, non si sentono protetti, generalizzano; del resto essi confondono criminalità e devianza, delittuosità e marginalità sociale, infrazioni gravi e comportamenti al più discutibili e questa confusione riguarda particolarmente gli immigrati.

Una giovane ‘vigilessa’ di Scandicci diceva che uno dei suoi primi interventi, appena assunta nell’aprile del ‘99, è avvenuto alla periferia di questa cittadina su segnalazione di un gruppo di abitanti della zona preoccupati e infastiditi dalla presenza in loco di un gruppetto di zingari "che parlavano a voce molto alta e sembravano litigare". Erano all’incirca le ore sedici di un sabato e alla volante dei vigili accorsa sul posto insieme a quella dei carabinieri locali, si è presentato lo spettacolo di una roulotte di nomadi, fra i quali erano diversi bambini, che intendevano accamparsi ingenuamente sul praticello antistante la recentissima chiesa parrocchiale e discutevano tra loro animatamente circa l’orientamento della loro abitazione mobile. È risultato che intendevano fermarsi solo per la notte, ma l’accoglienza ricevuta li ha indotti a ripartire immediatamente, trasferendo il disagio che essi comportano in un altro luogo, ad un’altra comunità. (<39">39)

Ciò che è interessante nel caso dell’emergenza immigrazione, dice A. Dal Lago, è la sproporzione tra la realtà materiale dei problemi attribuiti all’immigrazione e l’allarme con cui sono socialmente rappresentati.

Non si deve dimenticare che, secondo gli stessi interessati, cittadini e osservatori pratici, sono i piccoli comportamenti criminali ad alimentare la paura. Probabilmente è la saldatura tra opinione locale e opinione nazionale (rappresentata dai media) a causare la sproporzione perversa tra la realtà materiale dei fatti e la loro costruzione sociale. (<40">40)

È anche vero che la realtà urbana è interessata da fenomeni di microcriminalità che investono direttamente i cittadini i quali non possono restare impassibili dinanzi allo scadere della qualità della vita, degrado che legittimamente denunciano. Quando la polizia opera non secondo un programma strategico di controllo e di prevenzione, ma per mettere in atto semplici operazioni di facciata o di rassicurazione sociale, le posizioni dei cittadini divergono da quelle della polizia e nasce la tipica protesta contro il disimpegno, la superficialità delle forze dell’ordine, diffusa specialmente al Nord. Prendiamo un caso emblematico: il conflitto esploso nel luglio ‘98 a Milano tra alcuni abitanti della zona di Via Meda e i frequentatori di un bar divenuto punto di riferimento per i giovani immigrati marocchini che si affollavano davanti a questo piccolo locale in una concentrazione indubbiamente eccessiva. I frequentatori del bar finivano ovviamente per sedersi sul marciapiede producendo schiamazzi, fumando e consumando bevande e prodotti dolciari sporcavano marciapiedi, selciato e macchine parcheggiate, ostruendo in parte la circolazione; inoltre alcuni si lasciavano andare ad eccessi alcolici e sicuramente c’era anche qualcuno che deviava. I quotidiani e la televisione hanno in quel periodo enfatizzato la protesta dei cittadini che chiedevano alle autorità di polizia di chiudere il bar; sono stati fatti reportages e dibattiti sul degrado di certi quartieri della megalopoli e sul diritto sacrosanto della gente perbene ad abitare in casa sua in santa pace e a poter dormire nel suo letto.

Va detto che il territorio italiano ha conosciuto, nel secondo dopoguerra, una formidabile migrazione interna dei cosiddetti ‘terroni’, quelle genti del meridione che cercavano fortuna nel Nord industrializzato, ma il fenomeno anzitutto s’inseriva in una realtà economica in fase di espansione, di costruzione di città e di industrie, capace di recepire meno traumaticamente le diversità culturali in entrata. Diciamo pure che lo spirito di chi viveva, nelle grandi città del Nord, l’arrivo delle famiglie di coloni meridionali, era più ben disposto a ricevere, pervaso da un senso di cooperazione, di costruzione del progresso materiale, di sviluppo, che tollerava di buon grado le differenze; e anche gli emigrati cercavano di inserirsi entro un modello di vita e in una società che per molti versi ammiravano e di cui rispettavano, da ospiti, le regole. Non vi era poi il sentimento, diffuso oggi in una fase economica non certo di espansione ma semmai di stagnazione o addirittura recessiva, di sottrarre agli autoctoni il lavoro, di occupare spazi vitali per i residenti. Inoltre, l’Italia proveniva da una guerra che molto aveva distrutto, ma aveva costruito nell’animo delle persone un senso di maggiore coesione, derivante da una storia vissuta insieme. In quel periodo la polizia non ha mai considerato l’immigrazione il principale pericolo per l’ordine pubblico e la sicurezza, anzi essa era vista come indispensabile allo sviluppo economico della nazione, e le aspirazioni e le ambizioni dei migranti si adattavano allora perfettamente alla cultura di una società in via di industrializzazione e di sviluppo.

Nella società postindustriale le migrazioni diventano invece oggetto privilegiato dell’attività di polizia perché le mutate condizioni economiche fanno sì che esse siano considerate come una delle principali minacce per le società di destinazione incapaci ad assorbire gli immigrati con la stessa facilità di prima. Oggi, in piena globalizzazione,

...la gestione dell’ordine pubblico non può essere limitata al territorio nazionale... A ciò si aggiunge il fatto che la costruzione della Unione Europea implica una nuova restrizione all’immigrazione da paesi terzi, cioè una protezione della cittadinanza europea. Due sembrano essere le principali conseguenze ne] nuovo contesto dell’attività di controllo sociale attribuite alla polizia: da una parte le migrazioni in quanto tali diventano reati, con il doppio effetto di rendere pericolosi (si pensi all affondamento della nave albanese nel Canale d’Otranto nella primavera del ‘97) gli stessi tentativi di emigrare e di alimentare (come ogni proibizionismo) il mercato dell’emigrazione illegale; dall’altra, la maggioranza dei migranti, in quanto categoria oggettivamente criminale diventa 1 oggetto privilegiato dell’azione di polizia. Questo non solo a causa dei reati connessi alla loro condizione di irregolari o clandestini, ma anche perché inevitabilmente confusi con i trafficanti e inseriti nei ranghi delle nuove classi criminali. (<41">41)

Bisogna anche notare che nel mutato ordine politico planetario, dopo la scomparsa del comunismo, considerato tradizionalmente una minaccia dell’ordine internazionale, i nuovi oggetti dell’azione di polizia, anzi delle polizie (perché spesso intervengono tra quelle dei vari paesi accordi di cooperazione), sono l’immigrazione, le varie mafie, le varie forme di terrorismo. È significativo infatti che, sempre a partire dal 1990, come si espunge da un’analisi delle denunce, comportamenti che in precedenza erano classificati come infrazioni o reati minori, sono ora sentiti come reati più gravi. Ad esempio: lo spaccio di droghe leggere può essere perseguito come quello delle droghe pesanti; l’ambulantato abusivo può diventare ricettazione; un piccolo furto al supermercato può convertirsi in rapina (se il ladro cerca di sfuggire alla presa di un poliziotto pur non avendo con sé alcuna arma). (<42">42)

In taluni casi si può assistere addirittura ad un rovesciamento, da parte delle forze dell’ordine, del modo di definire e gestire un banale caso di razzismo. Ricordiamo che durante il carnevale del ‘90, a Firenze, in San Lorenzo, dei giovani locali, mascherati e armati di bastoni, picchiarono un immigrato senegalese. Fu chiamata la polizia, ma con un certo ritardo e con una certa dose di indifferenza da parte degli astanti, a detta di un testimone oculare. Un funzionario di polizia si distinse in tale occasione per aver riportato l’ordine; l’encomio tributatogli dalla Commissione del Ministero dell’interno recita: "...in occasione dei disordini provocati dalla presenza degli extracomunitari". È appena il caso di ricordare che il senegalese non aveva provocato proprio niente, anzi era lui la vittima dell’aggressione e si deve anche ricordare, per dovere d’oggettività, che in quel momento a Firenze i commercianti del centro erano inferociti contro gli ambulanti abusivi (quasi tutti senegalesi) che facevano loro ‘concorrenza sleale’ nelle vie del centro, allontanando i preziosi turisti. (<43">43)

In privato, un’avvocatessa del foro di Firenze che vuole mantenere l’anonimato, rivela che la polizia trova sempre il modo di incastrare chi vuole e anche quando non c’è l’estremo di reato lo inventa. Ovviamente non si può generalizzare, ma occorre rilevare che nelle forze dell’ordine, come in tutti gli altri settori della vita nazionale, si trovano atteggiamenti, orientamenti, caratteri estremamente variegati. È certo che anche da noi si configura un modello di intervento della polizia che assomiglia sempre più a quello visto e rivisto in innumerevoli polizieschi americani e che si potrebbe definire, con Palidda, "la democrazia della sicurezza": la polizia fa quello che l’opinione pubblica richiede e la sua azione diventa più efficace perché gode della piena collaborazione dei cittadini. A questo punto è interessante citare un pensiero del sociologo Maneri:

La definizione concreta dell’ordine sociale si configura sempre più come prodotto di una inedita collaborazione tra polizia, in quanto agenzia pubblica, i cittadini come soggetti dell’opinione locale e le loro espressioni politiche. È questa collaborazione l’elemento su cui si fondano le immagini prevalenti dell’immigrazione come pericolo per l’ordine pubblico: la circolarità delle interazioni tra senso comune dei cittadini, media, autorità locali, polizia e magistrati, produce verità indiscutibili che fanno da sfondo all’attività della polizia. (<44">44)

In tale contesto l’immigrato tenta di integrarsi o, almeno, di sopravvivere.

Note al capitolo 1

(1) M. Barbagli. Immigrazione e criminalità in Italia, il Mulino, Bologna 1998, p 48.

(2) Indagine Caritas, 1997

(3) Tabella in appendice.

(4) M. Barbagli, op. cit., p. 52.

(5) Intervista a Maria Rosaria B., Ispettrice della Digos, Questura di Firenze, del 15/2/99.

(6) M. Barbagli, op. cit., p. 61.

(7) Intervista a Guido d’Amelio, Consigliere della 2a sez. penale presso la Corte d’appello di Firenze, del 27/2/99.

(8) Intervista a Maria Rosaria B., cit., p. 13.

(9) Intervista a C.I., Commissario della Squadra mobile, Questura di Firenze, del 8/2/99.

(10) Cfr. F. Quassoli, Research report on: The interaction between immigrants and judicial system, MIGRINF Immigrant insertion in the underground economy, deviant behaviour and the impact on receiving societies TSER-DGXII, CE, contract SOE2-CT95-3005, 1998 p. 12.

(11) Intervista a G.G., Ispettore della Guardia di finanza. Nucleo operativo di Roma, del 2/4/99.

(12) M. Barbagli, op. cit., p 72.

(13) Cfr. M. Barbagli, op. cit., p. 107.

(14) Relazione annuale Caritas 1997; relazione annuale Istat 1998.

(15) M. Barbagli, op. cit., p. 108.

(16) M. Barbagli, op. cit., tab. p. 212.

(17) S. Palidda, Devianza e criminalità degli immigrati. Immigrant Deviant Behaviour-MIGRINF 1998. p. 14.

(18) Intervista a L.D., Ispettore della Questura di Firenze, del 4/2/99.

(19) M. Barbagli, op. cit., p. 23, intervista del 1994.

(20) M. Barbagli, op. cit., p. 114.

(21) Intervista a M.N., del 4/5/99.

(22) Intervista a I.M., del 4/5/99.

(23) Intervista ad A.P., del 12/5/99.

(24) Intervista a L.D., cit., p. 23.

(25) Intervista ad A.H., ivoriano, del 24/2/99.

(26) F. Quassoli, op. cit., p. 17.

(27) Dati raccolti da Eurobarometro, Commentati da R. Munz in A. Dal Lago, La tautologia della paura, ‘Rassegna italiana di sociologia’, n. 1, 1999.

(28) Sondaggio Abacus 1996, ibid.

(29) A. Dal Lago, op. cit., p. 7.

(30) Ibid.

(31) A. Dal Lago. Lo straniero e il nemico, Costa & Nolan, Genova 1997, p. 14.

(32) Cfr. A. Dal Lago, ‘Rassegna italiana di sociologia’, n. 1, 1999, p. 17.

(33) Ibid.

(34) M. Maneri, Stampa quotidiana e senso comune nella costruzione sociale dell’immigrato, Facoltà di sociologia, Università di Trento, 1995.

(35) M. Maneri, op. cit., p. 16.

(36) P. Mc Hugh, Defining the situation. The organisation meaning in social interaction, Bobbs-Merrill, Indianapolis 1968, p. 29.

(37) Intervista a D.C., del 19/3/99.

(38) A. Dal Lago, La tautologia della paura, pp. 25-27.

(39) Intervista al vigile urbano S.T. del 8/5/99.

(40) A. Dal Lago, op. cit., pp. 35-36.

(41) S. Palidda. Polizia e immigrati, ‘Rassegna italiana di sociologia’, n. 1, 1999, p. 83.

(42) Ibid.

(43) Ibid., p. 84.

(44) M. Maneri, I media nel processo di costruzione sociale della criminalità degli immigrati. Il caso italiano, CE-COST Migrations, Bruxelles 1996, p. 57

 

 

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