Reti per la salute mentale

 

Atti del Convegno

Sviluppare e connettere reti per la Salute Mentale

Domenica 8 Aprile 2001

 

Dal Sito www.opgaversa.it

 

Interventi sul Progetto di Rete per l'alternativa agli Ospedali Psichiatrici Giudiziari

 

 

Dott. Adolfo Ferraro

Psichiatra, Direttore dell'O.P.G. "F. Saporito" di Aversa

 

Dott. Gennaro Perrino

Psichiatra, Direttore del Dipartimento di Salute Mentale dell’A.S.L. NA 2

 

Dott. Franco Scarpa

Psichiatra, Direttore dell'O.P.G. di Montelupo Fiorentino

 

 

Adolfo Ferraro

(e-mail: direzione@opgaversa.it

 

L’Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Aversa è il più antico d’Italia, fu costituito nel lontano 1876 con un semplice atto amministrativo e serviva, come molti di voi sanno, a contenere le emergenze che venivano a verificarsi in due istituzioni totali di allora che erano il carcere e l’ospedale. L’Ospedale Psichiatrico Giudiziario, all’interno di un discorso di rete, può rappresentare con un simbolismo abbastanza efficace il "buco nella rete" o i buchi nella rete, cioè quelli che impediscono le comunicazioni e che nello stesso tempo diventano una sorta di buchi neri. Mi ricordano quasi le tonnare, indicano un certo tipo di strada che poi diventa alla fine una strada chiusa da cui con grande difficoltà si riesce a uscire, a differenza della grande facilità con cui si riesce ad entrare.

Per dirla in maniera molto semplice, all’interno di questa struttura ci si può entrare o ci si può essere ricoverati o internati, com’è la giusta definizione, nel momento in cui una persona malata di mente commette un reato, qualsiasi tipo di reato commetta.

Questo significa che molto spesso diventano reati anche degli atteggiamenti difficili e strani.

All’interno dell’istituto in cui io lavoro abbiamo una percentuale, anche abbastanza elevata circa il 10% delle persone internate, che come reato hanno commesso quello di maltrattamenti in famiglia che naturalmente è un evidente escamotage di famiglie che hanno difficoltà a poter sostenere il peso di un malato di mente e che sono costrette in qualche modo a denunciarlo.

Questo tipo di struttura si basa quindi su un’ambiguità di fondo che è quella del carcere e dell’ospedale messe insieme.

S possa superare anche l’ufficializzazione che fu data dal codice Rocco nel 1930 e che individuava un concetto ben preciso che definiva la motivazione dell’internamento che è quello della "pericolosità sociale", intesa come possibilità di ripetere il reato da parte della persona malata di mente.

Al di là delle proposte di risoluzione (quella Margara, quella Corleone e altri), noi che lavoriamo all’interno degli OPG, abbiamo pensato che, forse, una possibilità seria e concreta poteva essere quella di uscire dell’ambiguità rispetto alla condizione di carcere e la condizione di ospedale. Visto che siamo medici o magari pure psichiatri, l’uscire dell’ambiguità poteva essere l’andare verso una "sanitarizzazione". Al di là del pessimo termine lessicale ed anche al di là delle suggestioni e dei pericoli che naturalmente un’interpretazione del genere propone, ci è sembrata pragmaticamente l’unica strada che potesse in qualche modo dare una prima risoluzione ad un problema per il quale da decenni non si trova via d’uscita.

L’uscita dall’ambiguità con un’identificazione dell’aspetto sanitario, e quindi dell’internato esclusivamente come malato di mente indipendentemente da quelli che potevano essere i reati che aveva commesso, ha naturalmente prodotto delle difficoltà sia all’interno della struttura sia al suo esterno. Per quanto riguarda le difficoltà interne voglio ricordare che queste strutture, anche se sono popolate da persone che hanno una patologia mentale, seguono delle regole che sono le regole carcerarie, regole dell’ordinamento penitenziario, il che significa, per esempio, che le pulizie devono essere fatte dagli stessi internati e naturalmente potete immaginare quale possa essere il livello dell’igiene e della pulizia; o ancora, per quanto riguarda il vitto, dobbiamo mantenerci all’interno di certi schemi dati dal Ministero della Giustizia ed il cibo giornaliero di un nostro ricoverato costa globalmente, per i tre pasti previsti, una cifra pari a circa 2.930 lire al giorno. Naturalmente con queste difficoltà l’intervento sanitario, che si è attuato attraverso varie forme di animazione e terapia per dare agli internati la possibilità di esprimersi -ad esempio con la musicoterapia, l’attivazione di un laboratorio del colore, teatro e altro - ha prodotto una certa ripresa del paziente che però, quando è arrivato alla porta e doveva essere dimesso, ha trovato tutte le difficoltà esterne che si prospettano in questi casi. Le difficoltà esterne spesso nascono in relazione ad una condizione di prevenzione, l’essere matto e criminale non sono caratteristiche positive per un territorio che deve riaccogliere una persona, sono gravi ostacoli per un territorio in cui gli stessi colleghi psichiatri molto spesso hanno manifestato una sorta di disinteresse. Ricordo che l’anno scorso il bollettino della Società Italiana di Psichiatria inviato a tutti gli iscritti, proponeva un questionario per verificare come gli psichiatri pensavano di poter risolvere il problema degli OPG; l’85% delle risposte è stato "lasciateli così come sono".

Le altre difficoltà esterne naturalmente sono quelle della facile criticabilità di queste strutture, ognuno può entrare e dire che questo posto è schifoso. Ma lo sappiamo anche noi che ci lavoriamo. Il problema non è tanto questo, ma quanto il cosa si può fare per trasformarlo in un posto diverso e queste purtroppo sono delle domande che spesso non ricevono risposta. In un periodo di campagna elettorale è facilissimo trovare parlamentari o candidati al Parlamento che entrano all’interno delle nostre strutture e che a mezzogiorno vanno a guardare se i termosifoni sono caldi o no e dichiarano "state trattando male i pazienti, questi posti bisogna chiuderli". Al di là dell’aspetto polemico, questi esempi rappresentano anche e soprattutto qual è il disagio delle persone che, lavorando all’interno di queste strutture, credono che questa possa essere una strada per ridare dignità a persone che hanno perduto la maggior parte di ciò a cui hanno diritto, ed alle volte hanno perso tutto.

In questo ambito apparentemente disperato e disperante, improvvisamente apparve Nino Perrino il quale ci propose un protocollo di intesa – aveva già proposto la stessa cosa all’ospedale psichiatrico giudiziario di Napoli, Sant’Eframo; la Campania, come molti di voi sanno, ha due ospedali psichiatrici giudiziari, gli ospedali sono cinque in tutta Italia, in Campania ce ne sono due -. Un protocollo che rappresenta la possibilità di presa in carico del paziente, da parte dei servizi del territorio di sua provenienza, fin dal momento del suo ingresso in istituto accompagnandolo con una sorta di équipe mista all’interno del trattamento in istituto fino all’uscita e quindi anche fino alla ripresa del rapporto con il territorio. Questo strumento rappresenta sicuramente un concetto preciso su cui noi non possiamo che concordare: è un paziente quello che entra nell’ospedale psichiatrico giudiziario, non è un criminale, non è un delinquente, leviamo questo tipo di interpretazione altrimenti rischiamo demagogie e false interpretazioni che sono quelle che non hanno fatto evolvere o cambiare questo luogo. Questa è una risposta a leggi sanitarie: finalmente anche all’interno dell’ospedale psichiatrico giudiziario entrano le leggi sanitarie! Questo protocollo rappresenta anche una forma di difesa sociale perché questi pazienti, che noi conosciamo bene, potrebbero essere seguiti anche dalle strutture territoriali e gli operatori che dal territorio entrano nell’OPG potranno seguirli meglio e prevenire in futuro quelle condizioni dolorose che spesso la cronaca ci propone. Inoltre, rappresenta una possibilità di ritrovare una "psichiatria di dentro" rispetto ad una "psichiatria di fuori", una "psichiatria di dentro" che forse per tanto tempo è stata considerata solamente finalizzata all’aspetto contenitivo e non di trattamento.

Non mi dilungo oltre per permettere ai colleghi di approfondire i diversi aspetti della proposta operativa da noi attuata e delle conclusioni del Gruppo di Lavoro svoltosi ieri. Grazie.

 

 

 

Nino Perrino

 

L’assetto attuale dei rapporti tra giustizia e salute mentale prevede l’esistenza in Italia degli OPG, riteniamo che ciò sia da considerarsi totalmente insoddisfacente e che sia necessario trovare un assetto diverso di questi rapporti. Da anni questa questione è discussa ed è stata affrontata anche ieri nel Gruppo di Lavoro, le cui conclusioni saranno illustrate nell’intervento successivo. Noi abbiamo voluto affrontare le conseguenze che l’assetto attuale, che prevede gli OPG, determina nei meccanismi di abbandono sociale e nel sostanziale non-rispetto dei diritti di chi, trovandosi all’interno del circuito di assistenza psichiatrica, per particolari accadimenti ha a che vedere anche con la giustizia. Abbiamo iniziato dalle cose minime a partire da un’operatività concreta, rimandando ad un momento successivo la necessità di riflettere, di discutere di più e di trovare in seguito un giusto e più adeguato assetto alla luce di un rapporto meglio definito tra giustizia e salute mentale.

Che cosa abbiamo fatto: siamo partiti dal nostro dipartimento di salute mentale perché volevamo che i cittadini di nostra competenza territoriale non subissero il destino di cui prima diceva il direttore dell’OPG di Aversa, e cioè il rimanere reclusi anche dopo la scadenza della misura di sicurezza. Partiti da questo primo elemento, ci è venuto in mente quello che già altre volte avevamo fatto come struttura territoriale che deve rapportarsi con un’istituzione speciale di trattamento, come lo erano una volta gli ospedali psichiatrici civili. Per stabilire un rapporto istituzionale, abbiamo quindi formulato un protocollo d’intesa che richiama il concetto delle équipe miste e che dettaglia tutti i particolari del rapporto operativo. In particolare, si definiscono le modalità con cui l’équipe territoriale entra nell’OPG, ma anche il come gli operatori dell’OPG possono uscire sul territorio senza incappare in misure anch’esse penali; si definiscono le modalità di collegamento tra un’operatività quotidiana di intervento interna ed esterna, finalizzata al miglioramento del trattamento, alla facilitazione della successiva presa in carico ed dell’inserimento nel territorio di provenienza.

Dal censimento fatto degli internati, da cui ricavare quali e chi erano i pazienti incappati in questa rete, siamo stati rimandati ad una questione generale più urgente: sui circa mille cittadini ricoverati nei sei OPG italiani, 120 sono campani. Allora il programma di lavoro si è spostato anche su un altro obiettivo che è quello di cercare di diffondere questi dati e di sensibilizzare e motivare gli altri dipartimenti di salute mentale della Campania a prendere in considerazione la nostra modalità operativa. Perché il fatto che 120 cittadini campani, per alcuni dei quali è scaduta la misura di sicurezza e sono trattenuti illegalmente negli OPG, istituzioni del Ministero della Giustizia, ci sembrava una questione da affrontare con estrema urgenza e con estrema concretezza.

Da alcuni mesi questa rete regionale si è allargata, vede la presenza di cinque dipartimenti di salute mentale, di alcune associazioni del territorio sensibili a questa questione, della cooperazione sociale e delle associazioni dei familiari che già ieri hanno partecipato in maniera molto intensa al Gruppo di Lavoro. Ieri inoltre si è aggiunta anche l’affiliazione di un altro dipartimento di salute mentale della Regione Campania, che è quello dell’ASL Napoli 1.

Con l’evolversi della situazione, sempre nell'ottica di un’operatività concreta, abbiamo cercato di darci una segreteria organizzativa, perché non eravamo più un dipartimento che aveva stabilito un protocollo d’intesa, ma raggruppavamo più realtà. Ne è nato un punto di riferimento che centralizza e ridistribuisce le informazioni la cui sede è nel dipartimento dell’ASL Napoli 2 e che vede la dottoressa Sagliocco e la dottoressa ***** come referenti. Ci siamo collegati naturalmente con la Rete contro l’Esclusione Sociale, che ci ha appoggiato inserendo nel sito www.exclusion.net tutto il materiale da noi trasmesso e che sta appoggiando la campagna nazionale di informazione. Gli obiettivi minimi di questo nuovo gruppo di lavoro regionale allargato sono stati quelli di fare in modo che tutti e tredici dipartimenti di salute mentale si approprino di questa modalità operativa e che nei dipartimenti che siamo riusciti a sensibilizzare sia individuato un referente istituzionale sulla questione degli OPG quale responsabile dell’elaborazione delle proposte concrete, per la dimissione dei pazienti di competenza di quel territorio che sono illegalmente trattenuti e per predisporre l’intervento opportuno per quelli che invece devono scontare la misura di sicurezza. Se alcuni dei dipartimenti di salute mentale, invece di un referente, potessero mettere a disposizione una mini-équipe pluri-professionale, come ha fatto il mio DSM, ciò sarebbe particolarmente incisivo per poter perfezionare in maniera più analitica la qualità del censimento dei 120 pazienti e per individuare il percorso operativo da portare avanti. Partendo da queste specifiche iniziative, chiediamo ufficialmente all’Assessore alla Sanità della nostra Regione, che questo Gruppo di Lavoro, che è un gruppo motivato che conta anche sulla collaborazione e sul contributo tecnico della Direzione Generale dell’ASL Caserta 2, venga formalizzato a livello regionale, all’interno delle modalità organizzative che l’assessorato vorrà predisporre, con un mandato a termine i cui compiti sinteticamente dovranno essere:

  1. formulare un protocollo d’intesa, tra Assessorato alla Sanità, Assessorato alle Politiche Sociali e le due sezioni di sorveglianza dei Tribunali di Santa Maria Capua a Vetere e di Napoli, che definisca i compiti istituzionali in maniera ufficiale. A partire quindi dal protocollo operativo che abbiamo sperimentato, lo perfezioni, lo arricchisca e lo trasformi in uno strumento regionale che istituzionalmente codifichi le modalità di rapporto tra i due Tribunali ed i dipartimenti di salute mentale.

  2. con il supporto tecnico necessario, che è quello che ci può mettere a disposizione gli assessorati competenti della Regione Campania, indicare le linee di intervento per l’elaborazione di un’iniziativa regionale e sollecitare la sua applicazione.

In questo senso saranno sicuramente di grande utilità i progetti di ricerca sulla salute mentale che il Ministero della Sanità ha predisposto e le regioni, ma specialmente la Regione Campania in cui hanno sede due OPG, può essere l’attore principale, il capofila nei progetti di ricerca.

Cedo ora la parola a Franco Scarpa, direttore dell’OPG di Montelupo Fiorentino, che vi riferirà su quanto prodotto nel Gruppo di Lavoro svoltosi ieri.

Grazie

 

 

 

Franco Scarpa

(e-mail: fscarpa@internetlibero.it

 

Brevemente aggiungo una sola piccola considerazione a quella che è stata la descrizione del sistema, già esaurientemente esposta da Adolfo Ferraro, per farvi capire attraverso quale faticoso percorso, che direi è ancora agli inizi, e a fronte di quali ostacoli siamo giunti a proporre quanto finora presentatovi dai colleghi. Credo che ad ogni operatore della psichiatria sia capitato, o potrà capitare nel futuro, che un suo paziente abbia a ché fare con la giustizia. Nel momento in cui ciò accade, procedimento penale, se è vero che comunque resta un cittadino e come cittadino può essere in contatto con i servizi territoriali competenti, su un piano normativo, ma anche di presa in carico di competenza sanitaria e soprattutto psichiatrica, egli sparisce completamente dal servizio. Viene cioè "assorbito" da questo sistema sanitario-penitenziario specifico che si chiama ospedale psichiatrico giudiziario, con modalità normative che sono specifiche della misura di sicurezza che gli viene applicata e che possono determinare una sorte di internamento senza fine, quello che nel passato veniva definito "ergastolo bianco". Si entra cioè in un sistema e non se ne esce mai o si rischia di non uscirne mai, perché la decisione sulla dimissione, sull’uscita, non è una semplice decisione clinica, ma nemmeno è una decisione carceraria caratterizzata da una determinatezza della pena e da una certezza della quantità della pena, quanto da un concetto che è quello della " pericolosità sociale dipende da tutta una serie di fattori che fan sì che si potrebbe anche restare internati a vita in una struttura come l’OPG. Qual è, allora, il percorso che ha portato a far cambiare il giudizio espresso circa vent’anni fa’, dall’allora ministro della giustizia, che definì solo delinquenti gli internati relegando quindi l’OPG a mero problema della giustizia, visto che al suo interno non ci sono malati, ma solo criminali e delinquenti?

Ultimamente invece il ministro alla Sanità Veronesi, nella recente Conferenza della Salute Mentale a gennaio a Roma, ha dichiarato che gli OPG sono un luogo che si deve adeguare al tipo di trattamento necessario nei confronti dei pazienti a loro affidati. Quindi il percorso è stato quello di evidenziare la natura specifica di intervento che deve assicurare questa struttura, o la struttura che deve svolgere questa funzione, e collegarla con il territorio.

Proprio il dire che probabilmente ogni operatore della psichiatria si è trovato o si troverà prima o poi ad avere a che fare per un suo paziente internato in questa struttura, evidenzia quelle che sono le difficoltà poiché non c’è nessun legame né normativo, né protocollare, né di collaborazione specifica, tra queste due organizzazioni istituzionali.

E allora, attraverso una serie di passi mano a mano identificati, di cui l’occasione di oggi è una delle tante, si è evidenziata l’esigenza di dare un corpo, una prassi, un protocollo operativo a questi contatti che devono essere stabiliti tra operatori che lavorano all’interno degli ospedali psichiatrici giudiziari e operatori del territorio, finalizzandoli ad individuare le specifiche necessità, i bisogni dei singoli pazienti, delle singole persone affidate alla struttura e ad individuare le soluzioni più opportune, operando anche in termini di sollecitazione degli enti locali, delle organizzazioni che possono dare risorse per riempire le mancanze e risolvere i problemi della singola persona.

Esperienze come quella descritta da Nino Perrino e Adolfo Ferraro, sono state anche avviate nelle altre regioni, ieri erano presenti sia il direttore dell’OPG di Napoli, sia quello di Barcellona Pozzo di Gotto in Sicilia, e in una precedente occasione diincontro a Roma, c’erano anche il direttore di Reggio Emilia e di Castiglione delle Stiviere. Quindi la rete comprende esperienze ormai avviate in tutte le regioni dove ci sono gli OPG e ci sono dei protocolli di rapporto tra struttura dell’ospedale psichiatrico giudiziario e territorio. Desidero ricordare che è necessario dare priorità d’intervento a quelle regioni dove ci sono gli ospedali psichiatrici giudiziari che per molti versi sono anche le regioni dove c’è un maggior numero di pazienti del territorio internati e poi ad alcune altre regioni, come la Lombardia ed il Veneto, che hanno una grossa prevalenza di pazienti, cittadini residenti in queste stesse regioni, che sono internati negli OPG. L’intento quindi, che risulta dalla riunione del Gruppo di Lavoro di ieri è quello, come ha descritto Perrino, di far sì che in ogni regione nascano gruppi di coordinamento che abbiano la funzione di identificare in ogni dipartimento i referenti a livello regionale per i problemi di chi è internato negli OPG e che lavorino in maniera concorde, formalizzata e accreditata dagli organi della sanità regionale. Il riconoscimento istituzionale e l’accreditamento sono fondamentali per ottenere i mezzi e le risorse per poter agire e realizzare il lavoro necessario ad individuare le soluzioni per i singoli pazienti. Questi gruppi di coordinamento devono essere istituiti almeno inizialmente nelle regioni sede di OPG - Sicilia, Campania, Toscana, Emilia Romagna e Lombardia - e nelle altre regioni da cui numericamente proviene una maggiore presenza e prevalenza di internati.

Riassumendo: · costituire gruppi di coordinamento nelle varie regioni, farli accreditare, formalizzare, dare un corpo riconosciuto presso gli organi della sanità regionale · organizzare un protocollo di lavoro che grosso modo preveda una raccolta dati per evidenziare il numero e le caratteristiche delle persone internate in OPG distinte per singole regioni e per singole aziende sanitarie. · creare e formalizzare delle occasioni di incontro periodiche e di coordinamento per poter affrontare le singole situazioni ed evidenziare le soluzioni necessarie.

A questi gruppi di coordinamento è importante che partecipino l’associazionismo ed il terzo settore, la cooperazione sociale, che lavora nel campo della psichiatria e del disagio mentale. E questo è uno dei punti per noi fondamentali: che ad ogni persona sia comunque data la possibilità di realizzare un percorso di inserimento basato anche sul lavoro, sulla riacquisizione di autonomia, sulla riacquisizione di autosufficienza.

Le associazioni dei familiari sono lo stimolo fondamentale, ma uno dei grossi problemi è che queste associazioni non sono territorialmente presenti; capirete com’è difficile creare un’associazione familiare specifica per i pazienti in OPG quando ci sono situazioni geograficamente così distanti l’una dall’altra.

Concludendo, desidero dare come punti di riferimento per cominciare a raccogliere le adesioni e le disponibilità, l’indirizzo di due siti Internet, quello dell’OPG di Aversa, che è www.opgaversa.it e quello della Rete Internazionale delle Pratiche di Lotta contro l’Esclusione Sociale che è www.exclusion.net, dove oltre agli atti di questo convegno, cercheremo in tempi brevi di rendere disponibili gli indirizzi anche informatici dei singoli OPG e delle regioni per fare in modo che in ogni regione si raccolgano le disponibilità e si costituisca il gruppo di coordinamento regionale.

 

O.P.G. 2001

 

 

Da molti anni sono evidenti le difficoltà nell’attuare qualunque modifica legislativa riguardante l’imputabilità ed il vizio di mente nel sistema penale italiano ed il sistema istituzionale deputato all’applicazione delle misure di sicurezza in caso di ritenuta pericolosità derivante da infermità e non è difficile prevedere che continueranno ad esistere anche in futuro. E’ anche ragionevole pensare che in un settore così delicato un’eventuale modifica legislativa può diventare controproducente se non è preceduta e sostenuta da significativi cambiamenti nelle culture e nelle pratiche. D’altra parte è noto che ormai vi sono esperienze consolidate che riguardano sia la possibilità di evitare l’invio in O.P.G. di persone "inferme di mente" che hanno commesso reati sia la possibilità di una precoce presa in carico di persone già inviate in O.P.G. sia la possibilità di sensibilizzare ed orientare le pratiche dei S.S.M. affinché la presa in carico dei pazienti corrisponda anche ad un atteggiamento di attenzione-prevenzione. Inoltre anche le pratiche psichiatrico-forensi stanno mutando, anche se in misura minoritaria, accompagnate da nuove elaborazioni dei temi dell’incapacità di intendere e di volere e della pericolosità. I Direttori degli O.P.G. in alcuni casi stanno dando avvio a nuove pratiche all’interno e dall’interno degli stessi istituti stabilendo nuovi rapporti con alcuni S.S.M. e con altri soggetti della rete del c.d. territorio, verificando che un lavoro adeguato e ben orientato può sciogliere molti nodi che nello stereotipo vengono attribuiti alla malattia e/o alla pericolosità della persona. Non solo. Richiamano inoltre l’attenzione sul fatto che almeno alcune decine di persone internate non manifestano problemi di pericolosità ma rimangono in O.P.G. per mancanza di iniziative, disponibilità o risorse da parte dei S.S.M. dei luoghi di provenienza, ma anche delle Aziende sanitarie e delle Regioni. Prescindendo dalle questioni normative e/o dai fondamenti culturali e giuridici, vi è l’evidenza che in alcuni casi, pochi o molti, è possibile affrontare in modo diverso il problema, più consono alla cultura ed al rispetto dei diritti fondamentali sia della persona che della società. Diventa quindi necessario cercare di agire in modo concreto, razionale, programmato e coordinato su tutte le questioni nodali sulle quali vi è già da tempo l’evidenza che è possibile intervenire efficacemente sia per prevenire l’applicazione della misura di sicurezza sia per ridurne la durata, indipendentemente da qualunque possibile modificazione legislativa. A partire da queste considerazioni una commissione mista del Ministero della Giustizia e del Ministero della Sanità ha elaborato un documento che indica con chiarezza i diversi livelli delle responsabilità istituzionali ed alcuni percorsi possibili per cercare di ridefinire in concreto, nei numeri e nella cultura, il problema dell’O.P.G. e della Casa di Cura e Custodia senza la pretesa di risolvere del tutto il problema, ma con il preciso intento di ridefinirlo in modo radicale al fine di modificare e comprendere meglio il significato di alcuni meccanismi istituzionali stereotipati e le possibilità di intervento che oggi in molti casi sono realizzabili. Ridotto drasticamente il numero degli internati "non necessari" con azioni concrete quanto esemplari, diventa possibile comprendere meglio e nella sua globalità anche la reale natura del problema O.P.G. in tutti i suoi aspetti. Il documento è stato approvato dai due Ministeri, dall’Osservatorio Permanente per la Tutela della Salute Mentale, dal Consiglio Superiore di Sanità, mentre ha trovato qualche difficoltà nella Conferenza Stato-Regioni. In questo momento, considerato che la questione O.P.G. sta trovando spazio e rappresentazione anche all’interno delle questioni relative alla Tutela della Salute Mentale, ad esempio nella recentissima Conf. Naz. S.M., si tratta soltanto di definire alcune modalità organizzative per stabilire responsabilità, modalità, risorse e quant’altro. La questione potrebbe essere assunta, ad esempio, come un ambito di intervento dell’Osservatorio Tutela S.M. con l’intervento del D.A.P. e di alcuni esperti esterni. Parallelamente deve essere anche affrontata con decisione la questione dell’ingresso dei S.S.M. in carcere come previsto dal D.M. 230/99.

 

Mario Novello

Trieste, 6 febbraio 2001

 

 

Gruppo di lavoro dell’Osservatorio per la Tutela della Salute mentale del Ministero della Sanità (Dipartimento della Prevenzione)

 

 

Il superamento dell’Ospedale Psichiatrico Giudiziario

marzo 1998

 

 

1. Premessa

Il processo irreversibile che sta conducendo alla chiusura definitiva degli ospedali psichiatrici impone una riflessione seria sulla necessità di perseguire in prospettiva un obiettivo analogo riguardo al superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari (O.P.G.).

Di fatto, fino alla Riforma Psichiatrica avviata con la legge n. 180 del 1978, i due sistemi, quello dei c.d. manicomi civili (legge manicomiale del 1904) e l’ospedale psichiatrico giudiziario istituito quale misura di sicurezza dal Codice Rocco del 1930, avevano proceduto sostanzialmente in parallelo, ispirandosi a principi terapeutici e socio-riabilitativi ma anche a quelli della difesa sociale e della prevenzione delle condotte devianti. Se è vero comunque che l’abolizione del manicomio, sulla scorta delle nuove concezioni e conquiste della psichiatria moderna, ha affermato quale irrinunciabile, pregnante e prioritaria l’esigenza del momento terapeutico e riabilitativo nei confronti del malato di mente ed il suo diritto ad essere non custodito ma curato e seguito dal "territorio", è pur vero che per lo stesso Codice Rocco il "trattamento curativo" non era ontologicamente una pena e che nell’esecuzione della misura doveva essere esclusa la finalità affittiva tipica della pena detentiva. Sulla scorta di tali principi già contemplati nella stessa normativa penale e delle linee innovatrici introdotte dalla citata riforma del 1978, l’obiettivo da conseguire è dunque quello di un riallineamento, per quanto possibile armonico ed interattivo, di due sistemi che, come prima precisato, hanno a lungo marciato in sostanziale parallelismo. La tematica del superamento dell’O.P.G., investendo peculiari aspetti di natura legislativa  correlandosi a problemi non solo di natura terapeutica e socio-riabilitativa ma anche di tutela dell’ordine e sicurezza pubblica, si configura comunque oltremodo complessa ed articolata. Essa va dunque affrontata con grande attenzione, cautela e realismo, soprattutto nell’intento di non ingenerare possibili fenomeni controindicativi o di rigetto, che rischierebbero di vanificarne i principi e le finalità.

 

2. L’intervento del legislatore

L’attuale situazione normativa degli ospedali psichiatrici giudiziari, di seguito o.p.g., come configurata dal codice penale sostanzialmente si divarica dalle linee della cura psichiatrica moderna quale delineata dalle leggi n. 180/1978 e 724/1994..2 Invero, solo una profonda rivisitazione dell’impianto del codice penale, con la riconsiderazione del cosiddetto doppio binario, può ragionevolmente consentire una soluzione ottimale del problema. Pur nella consapevolezza che una scelta di tal genere, oltremodo impegnativa per il legislatore, sia sul piano dell’elaborazione sia soprattutto sul piano politico, non appare al momento prossima, si possono comunque delineare le possibili ipotesi normative compatibili con il quadro generale del sistema italiano in materia. Una prima possibilità, conseguentemente ad un chiaro abbandono della scelta del Legislatore del 1930 è costituita dall’abrogazione sic et sempliciter del sistema delle misure di sicurezza. Ciò comporterebbe che all’assoluzione per incapacità piena di intendere e volere, dovrebbe tener dietro un intervento terapeutico del servizio sanitario nazionale, con le modalità che si attuano regolarmente. Più limitatamente, una seconda possibilità potrebbe essere costituita dall’abrogazione della misura di sicurezza specifica dell’ospedale psichiatrico giudiziario e correlativamente delle case di cura e custodia (artt. 219 e 222 c.p.). Problemi immediatamente conseguenti sarebbero le modalità di espiazione della pena per il condannato a pena diminuita a cagione di infermità psichica e le modalità di trattamento del prosciolto per infermità psichica, anche nel rilievo che alla struttura costrittiva dell’o.p.g. non è più affiancata una struttura, egualmente costrittiva, per l’infermo non autore di delitti, quale era il vecchio manicomio. Sotto tale profilo, il legislatore potrebbe considerare uno specifico trattamento sanitario obbligatorio con modalità rispondenti alla tipologia del malato. In questo senso si ha notizia di un’iniziativa legislativa dei consigli regionali d’Emilia e Romagna e della Toscana, che prevede la soppressione del manicomio giudiziario e la sostituzione con la misura di sicurezza del ricovero in un istituto di trattamento sanitario custodito. Una diversa soluzione, per il vero affacciata all’esame del Parlamento attraverso la p.d.l. Corleone (A.C. 151), consisterebbe nella rivisitazione del criterio di imputabilità: la malattia commesso; l’autore verrebbe egualmente processato; in caso di condanna la pena verrebbe espiata in apposite strutture adeguate alla situazione di salute mentale del reo, e fornite pertanto di presidi terapeutici e trattamentali. Si tratterebbe di scelta  quasi rivoluzionaria rispetto alle linee evolutive del diritto penale europeo, da sempre collegato all’idea di normalità psichica quale condizione di responsabilità personale. Al riguardo va osservato che l’unica proposta organica di revisione del libro del codice penale, consacrata nel ddl Ritz, A.C. 2038 della XII Legislatura, non innova né al sistema delle misure di sicurezza né al sistema dell’imputabilità. Una diversa, più limitata possibilità consisterebbe nel mantenere l’attuale misura di sicurezza, modificandone però con interventi adeguati sull’ordinamento penitenziario, il contenuto. Dovrebbe, cioè, esemplarsi una misura di sicurezza confermata sulle misure alternative alla detenzione, e pertanto finalisticamente rivolta ad una graduale reimmissione nella vita sociale, adeguatamente controllata per quanto attiene alla sicurezza attiva e passiva dell’internato. I controlli e le misure potrebbero così essere calibrati sulle patologie concretamente sofferte dal soggetto, alternando ai tempi di custodia tempi di più aperta relazione con il mondo esterno, ed in questo senso avvicinandosi al modulo terapeutico attualmente più praticato dal servizio sanitario nazionale. In alcune ipotesi legislative si prospetta un affidamento in prova per programma sanitario. Tale ultima possibilità evidentemente prescinde dall’ipotesi, che in altro settore è stata egualmente divisata, che il legislatore riformi l’intero sistema delle sanzioni, prevedendo forme più duttili, che permetterebbero quanto meno una riduzione dell’incidenza delle misure di sicurezza e forse costituirebbero un passo verso il superamento della presente struttura binaria.

 

3. L’azione amministrativa.

Come si è accennato più volte, tutte le prospettive di adeguamento normativo non si presentano di pronto esame e di rapida determinazione da parte degli organi legislativi. Rimane pertanto, al momento, possibile solo lo studio delle migliori attuazioni amministrative della disciplina legislativa vigente, nella consapevolezza della divaricazione di fini presente nel sistema terapeutico ordinario e terapeutico penitenziario nella specifica materia, ma anche nella consapevolezza che solo l’attento esame di tutte le possibilità di integrazione fra le presenti strutture dei dipartimenti di sanità mentale e quelle degli o.p.g., così come lo studio comune delle rispettive pratiche terapeutiche, porrà le premesse per i maggiori interventi del legislatore e per i conseguenti adeguamenti dell’azione amministrativa. Ciò porta con sé un’inevitabile ed auspicata riduzione della separatezza dalla comunità civile delle comunità terapeutiche, e con ciò una loro apertura sicuramente proficua per gli internati sofferenti. L’invio in o.p.g. ed in casa di cura e custodia in applicazione di una misura di sicurezza avviene fondamentalmente per motivi connessi con una infermità mentale, alla quale viene associata – in senso generale e/o genericamente – una pericolosità sociale. L’applicazione di una delle predette misure di sicurezza non può implicare la perdita dei fondamentali diritti costituzionali riguardo alla tutela della salute. Debbono quindi essere garantiti e messi in atto tutti quei provvedimenti terapeutico-riabilitativi, considerati utili e necessari secondo le conoscenze e le esperienze attuali, ed orientati prospetticamente nel tempo, in modo tale da permettere e favorire il superamento di quella condizione di infermità particolarmente acuta e grave a cui – in senso generale – viene fatta risalire la pericolosità sociale. Deve pertanto essere previsto necessariamente un lavoro terapeutico-riabilitativo collegato ed integrato tra il servizio sanitario degli O.P.G. e delle Case di Cura e Custodia e gli operatori dei Servizi di Salute Mentale delle zone di origine delle persone internate. Premessa e condizione indispensabile per l’attuazione di un siffatto sistema è che i Servizi di Salute Mentale siano sufficientemente dotati di risorse soprattutto umane e funzionino in modo adeguato e corretto; tale obiettivo, che sicuramente va perseguito e raggiunto comunque e indipendentemente dal problema del superamento delle misure di sicurezza c.d. sanitarie, non può prescindere, allorché si stimino i mezzi occorrenti, dalla considerazione del prospettato impegno di interazione tra le strutture del Ministero di Grazia e Giustizia e i Servizi stessi. Ogni invio in o.p.g. o in casa di cura e custodia deve comportare un programma terapeutico-riabilitativo specifico che preveda il reinserimento ragionato, ponderato, prudente e realistico, costruito nelle sue componenti fondamentali e necessarie – della persona internata, considerando anche con attenzione la reale entità e la gravità globale del reato commesso. A tale scopo, facendo anche riferimento alle esperienze più complesse di de-istituzionalizzazione e di organizzazione di nuovi Servizi di Salute Mentale avvenute nel territorio nazionale e ad alcune esperienze specifiche e significative, incoraggianti per i risultati raggiunti e non più tanto isolate ed eccezionali, è possibile individuare alcune linee di indirizzo che riguardano: a) le Regioni; b) le Aziende Sanitarie Locali; c) i Dipartimenti di Salute Mentale; d) gli O.P.G. e le Case di Cura e Custodia; e) i Magistrati di Sorveglianza; f) gli Istituti Penitenziari; g) il Ministero della Sanità e il Ministero di Grazia e Giustizia.

 

4. Gli interventi da compiere

a) Le Regioni: sulla base di una corretta valutazione dei costi, mediante lo strumento della contabilità analitica, devono prevedere nei loro bilanci, ai sensi dell’art. 2 del Decreto Leg.vo 502/92, delle voci specifiche per iniziative necessarie a promuovere e a sviluppare programmi specifici e complessi di riabilitazione e di reinserimento di persone, appartenenti a ciascuna Regione, sottoposte alle misure di sicurezza in questione. Devono essere possibili, se necessari od opportuni:

1) spostamenti di operatori per mantenere contatti reali con la persona internata e con i Sanitari degli O.P.G. e delle Case di Cura e Custodia;

2) inserimenti di persone internate, anche con l’opportuno e lo specifico sostegno di operatori ad hoc, in strutture residenziali già esistenti, nel pieno rispetto delle loro caratteristiche "storiche e umane" e dei limiti che da queste ne possono derivare (quindi senza forzature destabilizzanti), e/o in nuove strutture residenziali;

3) sostegno economico per progetti di inserimento anche individuali, se possibili ed opportuni;

4) sostegno economico (ad esempio, attraverso borse di lavoro), promozione di occasioni di inserimento lavorativo (nel pubblico impiego, nel privato, nel privato sociale), facilitazioni alla partecipazione a corsi di formazione e quant’altro;

5) istituzione di un gruppo di lavoro permanente possibilmente integrato con rappresentanti delle strutture dell’Amministrazione penitenziaria in grado di seguire costantemente il flusso di accesso e di uscita degli abitanti della Regione, di valutare e di stimolare e di indirizzare le azioni delle AZIENDA USL e dei Servizi di Salute Mentale, di studiare le variabili che possono determinare gli invii in O.P.G., individuandone i possibili correttivi, monitorando complessivamente il fenomeno;

6) fornire una corretta informazione all’opinione pubblica e stimolare la partecipazione del volontariato ed il coinvolgimento del mondo del lavoro.

b) Le Aziende Sanitarie Locali: adeguatamente indirizzate e sostenute dalla Regione di appartenenza, inseriscono obbligatoriamente nei loro piani annuali e pluriennali le specifiche azioni indirizzate, tra l’altro, a:

1) prevenire l’invio in O.P.G. ed avviare processi di reinserimento e di riabilitazione di persone internate;

2) istituire corsi di formazione e di sensibilizzazione per il personale interessato a vario titolo nelle azioni necessarie per lo scopo;

3) stipulare idonee convenzioni con i competenti organi del Ministero di Grazia e Giustizia per permettere ai servizi di S.M. di intervenire in ambito penitenziario nelle forme previste dalla legge;

4) prevedere le idonee forme di integrazione con i Servizi socio-assistenziali, evidenziando le relative risorse anche nel caso in cui i servizi non sono stati delegati.

c) i Dipartimenti di Salute Mentale: responsabili istituzionalmente delle azioni a diretto contatto con l’utenza, adeguatamente sostenuti ed indirizzati sia da provvedimenti della Regione che dalla Azienda USL di appartenenza, sono chiamati a svolgere una funzione molto delicata che richiede grande attenzione e grande sensibilità e che si articola su diversi piani:

1) acquisizione e sviluppo della cultura e della pratica della "presa in carico", soprattutto per quanto riguarda l’utenza più problematica sotto il profilo della sofferenza psichica, con adeguata articolazione delle modalità di intervento, sia nei riguardi degli utenti già noti che delle persone non ancora conosciute (prima del reato);.

2) maturazione di specifiche attenzione e sensibilità, nell’operatività quotidiana, in quei casi che permettono di intervenire in tempo utile, comprendendo e valutando tutti quei segnali che, molto spesso anche se non sempre, precedono anche per molti giorni la commissione di un fatto-reato (ovviamente quando questo derivi da una condizione di intensa sofferenza psichica e non da una scelta criminale, che esclude in tal caso una rilevante diminuzione della capacità di intendere o di volere oppure la molto più rara sua assenza);

3) promozione di una cultura che, attraverso una relazione terapeutica più profonda e più vicina alla complessità dell’esperienza della soggettività umana, sia in grado di vedere oltre la lente deformante della "irresponsabilità" – e, quindi, della incapacità di intendere o di volere – troppo spesso attribuita a priori secondo ormai superati stereotipi, a chi manifesta e/o esperisce un disturbo psichico più o meno grave. Attraverso la criminogenesi, è possibile cercare di rilevare e verificare in concreto le quote di "responsabilità" presenti anche nel sofferente psichico, ridefinendo il campo dei diritti e dei doveri e le categorie culturali della persona interessata, dei tecnici della psiche e del diritto, della opinione pubblica, valorizzando anche – senza ideologismi – il valore della "punibilità" sia sotto un profilo giuridico che terapeutico (il tema è ovviamente molto più complesso e richiederebbe una trattazione approfondita);

4) implementazione di interventi terapeutici, mirati ed intensivi, nella fase immediatamente successiva alla commissione di un reato da parte di una persona che si trovi in così gravi condizioni psichiche da far ragionevolmente e fondatamente ritenere che il reato possa costituire un’espressione quasi sintomatologia delle stesse, indipendentemente dal fatto che la persona sia nota o non nota al Servizio. Frequentemente, infatti, una condizione di grave scompenso acuto, da cui può discendere un’eventuale pericolosità sociale, può essere compensata con idonei interventi terapeutici nel periodo necessario allo svolgimento delle indagini tecniche o peritali, che non dovrebbero mai essere troppo brevi, con superamento della condizione di eventuale pericolosità (l’intervento è reso possibile, se non anche dovuto, dall’art. 286 C.P.P. ed inoltre può essere connesso con la questione della cosciente partecipazione al processo prevista dall’art. 70 C.P.P.). L’eventuale reo può essere preso in carico nelle strutture dei Servizi di S.M., senza confusione e/o commistione tra ruolo terapeutico e custodia, oppure, se possibile ed opportuno, può essere seguito in ambito penitenziario dai Servizi, in seguito ad apposite convenzioni tra Regione o Azienda USL e Ministero di Grazia e Giustizia (con supporto formativo per la polizia penitenziaria).

d) Gli O.P.G. e le Case di Cura e Custodia: tenuto conto del rischio di possibili dinamiche regressive istituzionali, proprie del tipo specifico di struttura, devono avviare adeguate azioni di de-istituzionalizzazione, interagendo positivamente con i Servizi del territorio di origine della persona (eventualmente sollecitati) al fine di costruire programmi riabilitativi ad hoc, tenendo aperte prospettive verso il futuro. In tale modo è possibile preparare adeguatamente e con realistica prudenza, nella persona e nel contesto, le condizioni necessarie per la revoca anticipata della misura di sicurezza;

e) La magistratura di Sorveglianza dovrebbe, di conseguenza, assumere:

1) un ruolo attivo di promozione e di controllo della effettiva assunzione della realizzazione delle iniziative necessarie ed opportune per la revoca anticipata della misura di sicurezza, tenendo conto anche della gravità del reato commesso;

2) una funzione di garanzia circa la serietà delle stesse e delle valutazioni che le accompagnano;.

f) Gli Istituti penitenziari devono rendersi disponibili ad assumere tutte le iniziative possibili per assicurare l’interazione dei Dipartimenti di salute mentale sia in prospettiva terapeutica sia in prospettiva riabilitativa e ciò anche mediante apposite convenzioni.

g) Il Ministero della Sanità ed il Ministero di Grazia e Giustizia con il supporto dell’Osservatorio sulla Tutela della Salute Mentale, assumono un ruolo attivo nella valutazione degli interventi attuati e nella proposizione di azioni correttive nell’ambito dei rispettivi compiti di indirizzo e programmazione. Il Ministero di Grazia e Giustizia, inoltre, istituisce corsi di formazione ed aggiornamento per i propri operatori, anche di polizia penitenziaria, impiegati o da impiegare presso gli O.P.G. , le Case di cura e custodia e le Sezioni detentive degli I.P. destinate a soggetti con problemi di natura psichica.

 

5. Conclusioni

La somma e integrazione delle azioni sopra indicate e/o di altre di analogo significato, possono permettere, anche se non in tempi brevi, di avviare un lavoro organico con le persone già internate e con quelle che potenzialmente potrebbero esservi inviate (costituendo un filtro e contemporaneamente alcune esperienze emblematiche). E’ indispensabile il coinvolgimento integrato di tutti i livelli indicati. Nel corso delle azioni necessarie può strutturarsi un percorso di formazione-ricerca di notevole valore culturale, scientifico, etico e giuridico, che può essere individuato anche come un percorso di riconoscimento e di acquisizione concreta dei diritti da parte di soggetti intrinsecamente "deboli". Nell’immediato va avviata rapidamente un’azione di ricognizione della popolazione attualmente presente negli O.P.G. e nelle Case di Cura e Custodia con la quale valutare in concreto in ogni singola persona: - la qualità e la gravità della patologia in atto; - la sussistenza della pericolosità sociale, vista attraverso l’ottica e la comprensione istituzionali; - la possibilità di programmi terapeutico-riabilitativi individuali e comunitari; - la possibilità di revocare anticipatamente la misura di sicurezza nell’immediato o in un tempo breve, tenendo ben presente anche la gravità dei reati. Contemporaneamente deve essere avviata un’azione di sensibilizzazione alle Regioni ed un’azione di sollecitazione nei confronti dei Servizi di Salute Mentale con lo scopo di avviare l’istituzione di programmi a breve, medio e lungo termine. Diventerà possibile avere in seguito un quadro più analitico e preciso della reale situazione della popolazione internata e della possibilità di ridurre significativamente l’entità del problema dagli stessi costituito, comprendendo in modo più adeguato se esiste e quale potrebbe essere il "nucleo duro" degli O.P.G., per il quale attivare programmi speciali ed elaborare eventuali modificazioni legislative. Rimangono totalmente non toccati in questo documento il fondamentale problema della perizia psichiatrica, e delle culture che attraverso essa si possono esprimere, ed il complesso problema del rapporto tra organizzazione istituzionale, norma, cultura interiorizzata e costruzione di una visione della realtà, riproduzione della stessa, pratiche e così via. Parimenti potrà essere affrontato in futuro il problema di un possibile ruolo del giudice tutelare nel sistema di controllo e garanzia dei diritti fondamentali delle persone internate, nonché di stimolo del territorio interessato alla predisposizione di programmi di dimissione e reinserimento. Va evidenziato infine il contributo non secondario che possono assicurare alla realizzazione dei programmi i Comuni, le Province, le Associazioni di volontariato e privato sociale e le Economie locali.

 

 

Documento del Consiglio Superiore di Sanità

- Sessione XLIII Assemblea Generale -

Seduta del 15 luglio 1998

IL CONSIGLIO SUPERIORE DI SANITÀ ASSEMBLEA GENERALE

 

VISTA

la relazione del Dipartimento della Prevenzione del 7 aprile 1998 avente ad oggetto "Documento dell’Osservatorio per la Tutela della Salute Mentale sul Superamento dell’Ospedale Psichiatrico Giudiziario";

 

PREMESSO

che il documento in oggetto è stato messo a punto da un gruppo di lavoro ad hoc, coordinato dal Consigliere Salvatore Cirignotta, rappresentante del Ministero di Grazia e Giustizia;

 

CONSIDERATO

che fino alla riforma psichiatrica avviata con la legge n. 180 del 1978, il sistema dei cosiddetti manicomi civili e quello dell’ospedale psichiatrico giudiziario avevano proceduto sostanzialmente in parallelo ispirandosi a principi terapeutici e socio-riabilitativi e a quelli della difesa sociale e della prevenzione delle condotte devianti;

 

CONSIDERATO

il processo in atto di chiusura definitiva degli ospedali psichiatrici;

 

VALUTATA

la opportunità di perseguire in prospettiva un obiettivo analogo circa il superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari al fine di conseguire un riallineamento tra i due sistemi;

 

TENUTO CONTO

che il superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari, investendo aspetti di natura legislativa, di tutela dell’ordine e sicurezza pubblica oltre che di natura terapeutica e socio-riabilitativa, rappresenta una questione complessa ed articolata;

 

ESPRIME PARERE FAVOREVOLE

al documento dell’Osservatorio per la Tutela della Salute Mentale sul superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari, limitandosi ad esprimere due osservazioni:

- la prima, relativa al termine "territorio" menzionato nel terzo paragrafo della pagina 1, che dovrebbe essere inteso come "rete territoriale dei servizi di salute mentale";

- la seconda, relativa alle Conclusioni del documento, riguarda la necessità di prevedere adeguate risorse, sia umane che finanziarie, per lo svolgimento di ciascuna fase del progetto di collaborazione con l’Amministrazione giudiziaria.