Ospedali psichiatrici giudiziari

 

Ospedali psichiatrici giudiziari, questione ancora aperta

di Alessio Pellegrini, operatore psichiatrico cooperativa Itaca

 

Il Gazzettino, 25 settembre 2003

 

Entrare in visita in un Ospedale psichiatrico giudiziario, per quanto sia relativamente più facile oggi rispetto a pochi anni fa, rimane un'esperienza unica, importante ed esclusiva: purtroppo anche decisamente forte per lo stomaco e per il cuore, paradossale nella vista, assolutamente assurda considerando i tempi che corrono. È in questi luoghi che le idee di una nazione si fanno mattoni e stanno lì erette nella loro durezza. Le paure si fanno dure come pietre e diventano così pericolose da richiedere di essere recluse in luoghi che si vogliono dio dimentichi... ma io no non voglio dimenticare. Ho avuto l'opportunità di poter visitare l'Opg di Montelupo Fiorentino.

Entri lasciando fuori cellulare, macchine fotografiche, i paroloni dei libri e dei finti moralisti che vogliono tutto esista per un ben definito motivo, e senti una vocina dentro che sussurra... "lasciate ogni speranza o voi ch'entrate", ma dopo aver passato lo spesso portone attraverso l'unica fessura che ti aprono per il passaggio degli ospiti, ti trovi dentro, dentro... dentro... sei dentro.

Vi porto dentro con me, contro ogni regola che mi impongano. Dato che non lasciano entrar nessuno, dato che non permettono l'uso di macchine fotografiche ho impresso tutto dentro e ve lo voglio dire, anche senza cellulare, in diretta dall'Opg, da dentro quelle celle. Appena entri vedi un luogo molto grande, abbastanza grande dici a te stesso, non male cerchi di convincerti; ma poi abituati come siamo a cercare la fine delle cose ti accorgi che la fine di quel luogo abbastanza grande è troppo vicina. L'abbastanza grande ha una dimensione molto diversa lì dentro, ha una misura precisa, duecento quarantatre passi, questo è abbastanza grande, forse se imbrogli un po' anche duecentoquarantacinque ma quella è l'illusione che fa parte dei sogni, prova a immaginare un posto più grande di 243 passi, quello è il sogno.

A Fede' che hai sognato oggi?- Eh mi go sognato 246...-Bugiardo hai brontolato tutta la notte?Si ride forse, ma la schifosa verità è che ci si vede la fine di quei muri e sono muri alti e spessi che ti mettono l'angoscia dentro, e non riesci più a vedere un'alba né un tramonto. È allora che tutte le giornate diventano uguali e la tua storia finisce. Ma l'assenza di libertà è riabilitativa? Un'altra schifosa verità è che quel posto è costruito su una villa medicea del Quattrocento, quattro torri piene di affreschi e saloni rinascimentali, che potrebbe essere un museo o una attrazione per turisti, e invece l'Italia l'ha trasformata in un luogo dove si soffre e si muore... dentro... si muore dentro, e dentro si muore, entrambi i significati funzionano, una palindromia che mette paura.

Tutte le ali del carcere-manicomio sono fatiscenti. Ma vivere in un posto fatiscente, sporco, squallido, e freddo è riabilitativo? E mentre entravo mi saliva una rabbia nervosa, e accanto alla rabbia una domanda come un tuono, ma perché in Coop siamo costretti dalle leggi a mantenere tutti questi standard di pulizia, di sicurezza, di 626, e tutti i limiti che le leggi ci impongono per rimanere aperti, e in quel posto direttamente gestito dallo stato tutte quelle leggi non valgono? Perché lì le tubature elettriche possono essere con fili scoperti senza problemi, perché lì può gocciolare dal soffitto sul tuo letto, perché lì i muri possono essere sporchi di feci. Perché quel posto può fare schifo e se da noi c'è una virgola che sfugge ci fanno chiudere creando un caso nazionale? L'ho chiesto alle guardie e quelle mi rispondono che lo stato non sgancia neanche per coprire i turni in maniera adeguata, puoi immaginare per la struttura. Perché che turni fate?

Io potrei prendere tre mesi di recupero. Io ogni mese faccio quasi il doppio delle ore che dovrei fare. Io sono stanco ...e lo sono davvero stanchi, stanchi dentro intendo. Una cosa che mi ha colpito molto è il fatto che quando siamo entrati, tutti i detenuti-pazienti ci si sono avvicinati, e mica per le sigarette, no volevano solo parlare, sentivo la necessita loro di dover parlare con qualcuno, solo parlare, questa cosa qui non riesco a descrivervela, ma non erano malati, era solo gente che soffriva del male della solitudine, della mancanza di libertà. Sono persone che in piena difficoltà hanno sbagliato è vero, ma se ne rendono anche conto, e molti chiedono di poter essere aiutati, e noi li sbattiamo nel dimenticatoio comune-statale. La cosa che ti stronca è quando vedi che lo stesso bisogno di parlare ce l'hanno anche le guardie, e le guardie si rendono conto che sono come le persone che devono controllare, vedono le stesse sbarre. Anche se dalla loro parte c'è una porta che potrebbe portarli fuori, loro sono sempre dentro, sono secondini assecondati, imprigionati pure loro, e hanno bisogno di parlare.

 

 

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