Diritto per malati mente

 

Un nuovo diritto per i malati di mente (e non solo)

Di Paolo Cendon (Università di Trieste)

 

È stata pubblicata sulla G.U. del 19 gennaio 2004 il testo della legge 9 gennaio 2004, n. 6 (approvata in via definitiva dal Senato il 22 dicembre 2003) che introduce in Italia il nuovo - attesissimo - istituto di protezione civilistica degli infermi di mente: l’ "amministrazione di sostegno". Si tratta di una riforma che è destinata a incidere profondamente sulla quotidianità dei malati psichici.

Gli inconvenienti della disciplina in vigore - quella imperniata sulle figure dell’interdizione e dell’inabilitazione, vecchia ormai di due secoli - sono in effetti molteplici: costosità del processo, eccesso di pubblicità (le sentenze vengono annotate nel registro di stato civile), difficoltà per l’interessato di difendersi. Soprattutto pesantezza delle conseguenze tecniche: all’interdetto viene impedito di fare ogni cosa; non può sposarsi, né fare testamento, né regalare un oggetto a un amico, né riconoscere un proprio figlio naturale, né ottenere un impiego pubblico. Qualunque contratto da lui stipulato è annullabile, anche il più modesto, solo che al tutore così piaccia. E all’inabilitato non va molto meglio.

Misure "totalizzanti" insomma, quasi sempre sproporzionate alle necessità di protezione del soggetto. Etichette odiose, che le famiglie sono le prime a temere per i propri cari.

Oltre tutto misure spesso inapplicabili. È quanto emerge dall’art. 414 c.c. (versione in vigore fino a poco tempo fa): per essere interdetti occorre versare "in condizioni di abituale infermità di mente", e tale stato deve rendere la persona "incapace di provvedere ai propri interessi". Ebbene, fra i disabili psichici viventi in Italia (circa 700.000) solo una piccola parte sta effettivamente così male; gli altri non sono colpiti fino a quel punto, comunque non sempre, non continuativamente. E per soccorrerli legalmente , quando arriva un momento difficile , non esiste nulla oggigiorno. Come investire una piccola liquidazione, quali clausole introdurre in un vitalizio, a chi vendere i mobili di casa, quanto farsi dare per la cessione delle quote in un’azienda, a quale appaltatore affidare un restauro, a quanto affittare quel magazzino, come attuare una divisione ereditaria? Il disabile psichico (se non ha una famiglia, o se questa non lo ama) resta abbandonato a se stesso: facile preda per chiunque.

Ecco perciò l’amministrazione di sostegno. Il giudice tutelare - mettiamo - viene avvertito (dagli operatori, dai vicini di casa, dal p.m.) che una persona si trova in difficoltà: entra in azione allora, s’informa tramite gli assistenti sociali, dispone eventualmente una perizia, se occorre va a parlare con la persona, consulta chi le sta intorno. Alla fine emetterà un decreto - anticipandone magari una parte, in via d’urgenza – in cui provvede a nominare qualcuno (tratto dalla famiglia, dal volontariato, dagli amici) amministratore di sostegno: indicando quali operazioni costui potranno essere compiute "in nome e per conto" dell’interessato, precisando date d’inizio e fine dell’incarico.

Una "filosofia" opposta a quella dell’interdizione, come si vede. Sul piano dei principi in primo luogo: l’incapacitazione non è più a 360°, ma riguarda solo gli atti specificamente menzionati (magari uno soltanto); per tutto il resto il beneficiario conserva intatta la propria sovranità, i suoi diritti. Sul piano della direzione della tutela, poi: le misure tradizionali, non è chiaro se siano qualcosa che va a pro dell’infermo, o non piuttosto della società (emarginare dal traffico i diversi) o magari della famiglia (bloccare qualcuno che potrebbe dilapidare il patrimonio); il nuovo provvedimento dovrà essere assunto, invece, tenendo "conto, compatibilmente con gli interessi della persona, dei bisogni e delle richieste di questa".

Sul piano delle garanzie, poi: l’infermo può attivare lui stesso la procedura, nominare un proprio consulente, esigere un rendiconto periodico, pretendere in ogni momento la modifica o la revoca del provvedimento. Sul piano della snellezza procedurale, ancora; ogni passaggio del rito si svolge in modo informale, gli avvocati non servono, tutto è tendenzialmente gratuito. Sul piano dei doveri dell’amministratore, infine: costui - scelto "con esclusivo riguardo agli interessi e alla cura della persona del beneficiario" – dovrà operare per la miglior felicità del paziente, agendo "con la diligenza del buon padre di famiglia"; e se non si comporta bene potrà venir sospeso, rimosso, eventualmente condannato a risarcire di danni.

La seconda grande differenza si coglie sul terreno dei destinatari della protezione. L’interdizione riguarda solo gli infermi di mente, nessun altro "debole" esiste per il legislatore. Il nuovo strumento è pensato - invece - per venire incontro a chiunque si trovi in difficoltà nell’esercizio dei propri diritti. Non soltanto disturbati psichici: anche anziani della quarta età, handicappati sensoriali, alcolisti, tossicodipendenti, soggetti colpiti da ictus, malati, morenti. In certi casi extracomunitari, detenuti.

Quante fra le persone che versano in frangenti simili non risultano – effettivamente – sole al mondo, attorniate da parenti di cui non si fidano, alle prese con decisioni superiori alle proprie forze , impossibilitate a conferire una procura a chicchessia?

Inutile dire che tutto ciò - milioni di futuri "clienti" dell’a.d.s. - richiederà uno sforzo organizzativo di prim’ordine: uffici giudiziari potenziati, assistenti sociali capillari, scuole di formazione, coordinamento fra i servizi , tecnologia e informatica a piene mani. È sufficiente dire che i beneficiari dell’a.d.s. dovranno, nella misura del possibile, contribuire al finanziamento dell’apparato? Che si tratterà, in generale, di una maniera diversa di impiegare risorse attualmente investite in altro modo? E se emergesse che occorrono invece nuove spese, varrà la pena per il paese di affrontarle? Ecco alcune domande del nuovo welfare che si affaccia per il terzo millennio.

 

 

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