Psichiatria e carcere

 

Introduzione

 

Dopo aver analizzato le molteplici difficoltà che caratterizzano la psichiatria penitenziaria in generale, ho ritenuto opportuno approfondire un'esperienza concreta del nostro paese rilevante sotto l'aspetto psichiatrico, ed ho scelto quella del carcere fiorentino di Sollicciano. Questo istituto, infatti, si contraddistingue per essere l'unico in Italia in cui è stato creato un vero Servizio Psichiatrico. L'unicità di questa esperienza e la rilevanza che essa ha assunto all'interno del carcere, ma a cui non sembra sia stato dato il giusto riconoscimento, mi hanno spinto ad analizzarne le vicende storiche e le modalità di organizzazione.

Va precisato che la novità dell'operazione affrontata a Sollicciano è tale solo per il nostro paese; in altre nazioni della Comunità Europea gli istituti penitenziari fruiscono di una consistente e qualificata presenza psichiatrica al loro interno, tale da offrire opportunità terapeutiche paragonabili a quelle che la Sanità eroga ai cittadini liberi.

 

1. Storia del servizio psichiatrico interno del carcere di Sollicciano

 

Quando, nel 1983, venne costituito il Nuovo Complesso Penitenziario di Sollicciano, al suo interno era prevista una Sezione per "minorati psichici" uomini che fu chiusa verso il 1985 e trasferita presso l'ospedale psichiatrico giudiziario di Reggio Emilia, dove ancora oggi è ubicata. Non era prevista invece una Casa di Cura e Custodia (CCC) femminile.

Un primo tentativo di istituzione del Servizio Psichiatrico si ebbe nel 1984 quando il servizio di Guardia Medica era organizzato in tre settori distinti: una guardia medica ad indirizzo medico, una ad indirizzo chirurgico ed una ad indirizzo psichiatrico, nella quale prestavano servizio 5 medici specializzandi in psichiatria e il Dott. Jannucci già specializzato. Il Dirigente Sanitario dell'istituto, Dott. Matteo Lex, pregò quest'ultimo di assumere la responsabilità di questo gruppo di medici al fine di organizzare un vero Servizio. Il progetto era però irrealizzabile, per come era strutturata l'attività del Consulente, il quale essendo retribuito "a prestazione", cioè per le visite mediche compiute, non avrebbe potuto assumere la responsabilità e la supervisione di un gruppo di medici, richiedono tali attività una discreta quantità di tempo e il riconoscimento di funzioni che uno psichiatra retribuito a prestazione non ha. Malgrado la disponibilità concessa dallo specialista a ricercare forme organizzative nuove per realizzare questo progetto, non ci fu da parte del alcuno un ulteriore interessamento.

Il progetto del 1984-85 fallì e l'attività della guardia medica psichiatrica fu progressivamente depauperata e svuotata di funzioni, tant'è che fu soppressa qualche anno dopo, nel 1988, lasciando che i medici della guardia medica psichiatrica fossero assorbiti all'interno della guardia medica generale.

Da segnalare che, per un certo periodo di tempo, i medici della guardia psichiatrica furono impiegati prevalentemente per le visite di primo ingresso, precorrendo un po' i tempi, se consideriamo che verso la fine del 1987 fu istituito dal Ministero di Grazia e Giustizia il "Servizio Nuovi Giunti" effettuato dagli psicologi.

Nel frattempo, verso la fine del 1984, il Dipartimento della Amministrazione Penitenziaria stabilì che a Sollicciano dovesse essere istituita l'unica CCC femminile presente in Italia, senza però prevedere per essa una collocazione muraria specifica. Succedeva così che coloro che venivano inviate in CCC (seminferme di mente raggiunte da misura di sicurezza detentiva a causa della ridotta capacità di intendere e di volere e della riconosciuta pericolosità sociale al momento del fatto; nonchè detenute in regime di osservazione psichiatrica ai sensi dell'art. 99 del DPR 431/76, e infine condannate ad una pena definitiva nei confronti delle quali è stato applicato, per sopraggiunta infermità mentale, l'art. 148 c.p.), dovevano essere "sistemate" nelle sezioni ordinarie insieme alle altre detenute. Ciò che le distingueva era la posizione giuridica (internate e non detenute).

Fu posto da parte del Consulente specialista in psichiatria Mario Jannucci, unitamente all'allora direttrice Ambra Barbieri, un quesito al Ministero di Grazia e Giustizia per sapere qual era la sistemazione più adeguata da dare alla CCC. L'auspicio era che venisse trasferita altrove, cioè presso un OPG, come succede per le CCC maschili. L'unico OPG femminile in Italia era (ed è tuttora), però, Castiglion delle Stiviere il quale, al contrario degli OPG maschili, non prevede la presenza del personale di custodia, ma solo quella del personale infermieristico. Per questo motivo svanì la possibilità di trasferire la CCC femminile presso un ospedale psichiatrico giudiziario.

Al quesito posto, il Ministero rispose che la CCC doveva essere organizzata, anche da un punto di vista architettonico, presso il reparto femminile della Casa Circondariale di Firenze - Sollicciano.

Non rimaneva altro che dare inizio ai lavori di organizzazione della struttura, che, in poco più di un anno, portarono alla realizzazione anche dal punto di vista murario della CCC.

Nella lettera del 2/6/89 prot. n. 3619 inviata dal Direttore Paolo Quattrone al Direttore dell'Ufficio VIIº di Roma e, per conoscenza, ai Direttori di altri Uffici di Roma nonché al Presidente, al Magistrato e all'Ispettore Distrettuale del Tribunale di Sorveglianza di Firenze, si legge:

Con decorrenza 1/1/84, l'Onorevole Ministro Guardasigilli ha decretato presso il reparto femminile di questa Casa Circondariale l'istituzione della sezione di Casa di Cura e Custodia. La Direzione dell'istituto ha più volte in passato rappresentato all'Amministrazione centrale l'opportunità che la predetta sezione, e per carenze strutturali e per mancanza di personale specializzato, fosse abolita.
Tuttavia gli Uffici 5º, 7º e 8º, hanno più volte ribadito la inopportunità della soppressione della sezione in epigrafe, significando che l'unico istituto della Repubblica idoneo ad ospitare le detenute internande o periziande è la Casa Circondariale di Firenze.
Questa autorità Dirigente preso atto di quanto comunicato ha ritenuto doveroso attivarsi al fine di poter assicurare, nel più breve tempo possibile, l'attivazione della sezione. Ha ritenuto pertanto opportuno richiedere ai Sigg. medici incaricati e allo specialista psichiatra di voler fornire notizie utili in merito ai seguenti punti:

 

  1. individuazione degli ambienti idonei dove allocare le periziande ed internande che allo stato attuale coabitano con le altre detenute;

  2. individuazione di locali idonei da utilizzare come ambulatori per gli interventi psicosanitari indispensabili;

  3. indicazione del personale paramedico ritenuto necessario perché possa essere assicurato adeguato sostegno ai soggetti affetti da turbe psichiche;

  4. numero di operatrici addette alla vigilanza utile a contenere episodi di auto ed etero-aggressività;

  5. opportunità di assicurare un presidio psichiatrico permanente;

  6. eventuale possibilità di interventi da parte degli operatori del C.I.M. competente per territorio.

A questa lettera fece seguito un'altra del 6/7/89 Prot. N. 4554 con stesso mittente e stessi destinatari della precedente, in cui si dichiarava che la capienza della sezione era stata determinata in 12 posti. Si stabiliva inoltre che alcuni ambienti dovevano essere ristrutturati ed adeguati funzionalmente: al piano superiore occorreva modificare un ambiente da destinare a guardia medica psichiatrica ed approntare un locale destinato ad ospitare detenute da sottoporre ad intensa vigilanza; mentre al piano terra occorreva approntare un ambulatorio per le visite mediche, un ambulatorio per la psicoterapia ed un ambiente per gli operatori. Si sosteneva poi che era necessaria la costruzione di un cortile di passeggio per le internate che, al momento, fruivano dei passeggi comuni; ed opportuno sarebbe stato un ambiente da destinare alle attività ricreative e sportive ed un altro ad area verde in modo tale da assicurare, a soggetti le cui condizioni psichiche risultano particolarmente fragili, idonei spazi vitali.

Inoltre era scritto:

attese le esigenze della Casa di Cura e Custodia si prega di voler valutare la possibilità di istituire una guardia medica psichiatrica per 18 ore giornaliere nonché autorizzare la stipula di convenzioni con infermieri specializzati per le prestazioni para-sanitarie da garantire per l'arco delle 24 ore. Si segnala infine che il consulente psichiatra della struttura, dott. Jannucci, ha espresso disponibilità a sottoscrivere una nuova convenzione ove sia prevista una retribuzione oraria e non a visita. Si è dell'avviso che la proposta del professionista favorirebbe l'espletamento del servizio in quanto più assidua sarebbe la presenza dello psichiatra in Istituto.

Era evidente, quindi, che Mario Jannucci stava offrendo una disponibilità assolutamente nuova nel panorama carcerario italiano, proponendo lui stesso di lavorare di più e guadagnare molto meno (come prevede la convenzione oraria), per riuscire ad organizzare quello che già da tempo gli veniva chiesto: un Servizio Psichiatrico. Il nulla osta del Ministero arrivò nel luglio 1989.

Innanzitutto, Mario Jannucci, fino ad allora unico consulente psichiatra del Complesso Penitenziario di Sollicciano, venne affiancato da un altro consulente, la psichiatra Gemma Brandi.

Quando fu chiesto ai consulenti che avrebbero assunto la responsabilità del Servizio, che cosa ritenevano fosse necessario per organizzare un servizio psichiatrico efficiente per la CCC, essi pensarono subito che quel Servizio non dovesse essere utile solo per la CCC, ma anche per l'intero istituto che aveva esigenze psichiatriche maggiori rispetto alla CCC. Negli anni in cui essa era stata "dispersa" all'interno delle sezioni ordinarie, la gestione delle pazienti ivi internate non aveva, infatti, mai dato grossi problemi, dato il numero delle internate (50 circa nell'arco di 5 anni) e considerato che, in quegli anni, nelle sezioni femminili si registrava un numero di presenze sicuramente minore rispetto alle sezioni maschili. Fu pensato allora di organizzare un Servizio Psichiatrico che coprisse, nei limiti del possibile, le esigenze dell'intero carcere.

Il Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria rifiutò, per motivi economici, la richiesta avanzata dai consulenti di dar vita ad un servizio specialistico, formato cioè da medici specializzati in psichiatria coordinati naturalmente dai due consulenti. Una simile organizzazione avrebbe comportato una spesa troppo elevata per l'Amministrazione poiché la retribuzione spettante ad un medico specialista è maggiore di quella dovuta ad un medico di guardia. La proposta del Dipartimento fu quella di organizzare un Servizio con medici specializzati in psichiatria ma retribuiti come guardie mediche. Accettata tale condizione, ebbe inizio una fase di preparazione non priva di ostacoli e incomprensioni. L'entrata in funzione del Servizio coincise con la inaugurazione dei nuovi locali della Casa di Cura e Custodia. Entrambi iniziarono a funzionare il 5 novembre 1990.

Il personale per la CCC di Sollicciano era composto da:

 

vigilatrici (2 per turno)

infermiere (1 per turno con i seguenti orari: 8-14, 14-20, 20-08)

medico incaricato

 

specialisti in psichiatria, i quali:

 

  1. seguono direttamente i casi con le modalità da essi stabilite;

  2. assicurano una presenza feriale quotidiana, nei limiti del possibile;

  3. propongono l'inserimento in attività formative, ludiche, lavorative;

  4. tengono rapporti con i Servizi Psichiatrici territoriali, legali, familiari, magistrati;

  5. propongono una prima riunione del G.O.T. (gruppo di osservazione e trattamento), all'ingresso della paziente;

  6. decidono dell'eventuale affidamento di un caso agli psichiatri di guardia, supervisionandone l'attività;

  7. propongono l'istituzione di quanto ritenuto utile alle internate.

 

psichiatri di guardia (con sede in CCC) i quali:

 

  1. rispondono alle urgenze psichiatriche in Istituto;

  2. effettuano, all'inizio di ogni turno, un giro di reparto in CCC e alla 7º sezione (sezione psichiatrica);

  3. seguono i casi loro affidati, con supervisione come previsto;

  4. evitano di inserirsi in relazioni psicoterapeutiche già stabilite da altri, limitandosi ad interventi di contenimento urgenti;

  5. soggiornano in CCC;

  6. svolgono i seguenti orari (per complessive 18 ore sulle 24):

    mattina 8-12

    pomer. 14-19

    notte 23-08

Alla 7ª sezione maschile è approntato un locale ove gli specialisti e i medici di guardia ad indirizzo psichiatrico e il personale militare assicurano adeguata assistenza ai detenuti psichicamente fragili.

Il programma delle attività in Casa di Cura e Custodia era il seguente:

 

ORE 8.00

Sveglia e apertura delle celle

ORE 8.30-9.30

Colazione

ORE 9.30-11.30

Sala pranzo, soggiorno e passeggi (chi non vuole usufruire di tutto ciò rimane i cella).
È possibile la socialità con le ristrette del penale

ORE 11.30-13.00

Sala pranzo

ORE 13.00-16.30

Sala pranzo, soggiorno, passeggi (possibile socialità con il penale)

ORE 16.30-18.00

Docce, pulizia personale e delle celle

ORE 18.00-19.00

Sala da pranzo

ORE 19.00-20.00

Sala soggiorno e passeggi

ORE 20.00-21.00

Socialità in cella

 

Come si può facilmente intuire l'atmosfera che si respirava in CCC non era segregativa come nel resto del carcere; le celle rimanevano aperte per l'intera giornata e c'erano spazi gradevoli e vivibili: la stanza dei colloqui, un'ampia sala illuminata adiacente al giardino (di cemento) fornita di tavolo, televisore, fornellino, e un'altra sala molto grande per ascoltare la musica.

Questa dinamicità che caratterizzò la CCC nel periodo iniziale subì delle limitazioni quando, anche in seguito ad incidenti occorsi tra le ristrette e le vigilatrici o infermiere, furono stabiliti degli orari in cui le celle rimanevano chiuse, soprattutto per evitare aggressioni durante la distribuzione del vitto e dei medicinali.

L'équipe di medici specialisti in psichiatria che formavano il Servizio non fu scelta dal responsabile del servizio stesso, che invece ebbe la possibilità di formare un gruppo di infermiere e un gruppo di vigilatrici, valutando attraverso dei colloqui le esperienze e le aspirazioni di ciascuna candidata, in modo da scegliere un personale più informato e più motivato.

Si legge infatti nella nota del Direttore del 10/10/90, che

nell'ambito del IVº corso di formazione per Vigilatrici Penitenziarie...che prevede una fase di tirocinio nella sede di assegnazione, è evidente che l'addestramento pratico deve porsi come occasione di richiamo e di verifica delle problematiche affrontate in sede teorica, nonché come occasione di integrazione e di approfondimento delle conoscenze di una complessa realtà qual è quella penitenziaria. Di conseguenza appare opportuno fornire alle corsiste ogni utile indicazione mirata ad arricchire il patrimonio ed a stimolare l'interesse professionale. Pertanto, in relazione agli obiettivi suindicati, il tirocinio pratico sarà articolato secondo il seguente programma:

 

conoscenza dell'istituto

gestione amministrativo contabile dell'istituto

attività trattamentale come indicata nella normativa con particolare attenzione alle problematiche connesse a: lavoro, istruzione, attività culturali ricreative e sportive, corsi di addestramento professionale, affettività, osservazione, attività trattamentale

servizio sanitario

casa di cura e custodia

organizzazione del servizio di vigilanza e custodia delle detenute

rapporti con il territorio

rapporti e collaborazione con altri uffici ed enti

fase conclusiva.

La formazione delle vigilatrici, per quanto riguarda l'aspetto sanitario, fu opera dei due consulenti psichiatri. Tali vigilatrici rivestirono un ruolo molto importante nell'attività svolta in CCC, divenendo ben presto per le internate un sostegno indispensabile. Ciò non fu semplice per più motivi: il loro ruolo, almeno all'inizio, non era ben definito e le difficoltà che quotidianamente si presentavano erano molte. Le vigilatrici della CCC erano aperte all'ascolto, al dialogo, alla comprensione e molte colleghe non condividevano un simile atteggiamento nei confronti di "detenute che si fingevano pazze per usufruire di questo posto più appartato, più tranquillo, più vivibile rispetto al carcere". Inoltre, era difficile attuare quello sdoppiamento di personalità che portava ad essere comprensibili e "disponibili" con le internate della CCC e rigide ed inflessibili con le detenute delle altre sezioni giudiziarie che le vigilatrici affermano essere persone totalmente diverse da quelle ristrette in CCC.

Tutto ciò però non scoraggiava né fermava il lavoro svolto, perché l'entusiasmo di queste giovani vigilatrici era tanto e la possibilità che a prestare servizio in CCC fossero sempre le stesse persone permise l'instaurazione di un rapporto di fiducia con le internate altrimenti irrealizzabile, che portò ad insperati miglioramenti. Nacque, per esempio, fra le internate e le agenti l'idea di una rivista all'interno della CCC.

Molte di loro amavano scrivere, della notte, del nulla, dell'impulsività e amavano dedicare poesie alle loro vigilatrici. Fu anche realizzato, con l'aiuto di una di esse, un libro di poesie composte da una detenuta che, completo di prefazione e copertina fu stampato in 100 copie e distribuito, con immensa gioia della paziente detenuta che le aveva scritte e che non si aspettava un interessamento tale nei suoi confronti.

Tutto questo serve a capire quale fosse il clima che si respirava in CCC a seguito dell'organizzazione del Servizio Psichiatrico. La CCC di Sollicciano era gestita in modo diverso rispetto alle altre CCC e agli OPG. C'era un aspetto trattamentale di minor contenimento sia dal punto di vista farmacologico sia dal punto di vista fisico, mirando ad un lavoro centrato sull'elaborazione psichica della sofferenza. La custodia era una parte importante della cura che però non doveva "schiacciare" le altre parti travalicando in quegli aspetti repressivi e punitivi che caratterizzano la custodia in generale. La custodia doveva essere qualcosa di curativo per proteggere persone tanto fragili dal male che possono fare a se stesse o agli altri.

Le internate in CCC non sono mai state molte e, sebbene si trattasse di persone con disturbi psichici piuttosto gravi e quindi impegnativi, è stato possibile ben presto estendere al resto del carcere il lavoro della Guardia Psichiatrica. Questo perché il bisogno di intervento psichiatrico all'interno di un'istituzione penitenziaria come quella di Sollicciano è stato ed è indubbiamente molto forte.

Prima dell'istituzione del Servizio, provvedevano alle esigenze psichiatriche dell'intero carcere i due consulenti psichiatri, ai quali non era certo possibile garantire la necessaria assistenza psicoterapeutica. Essi infatti occupavano il loro tempo ad effettuare visite psichiatriche urgenti segnalate dal medico generico di guardia o dal medico incaricato, senza poter strutturare una frequenza ameno settimanale d'incontro che invece è un presupposto fondamentale della psicoterapia.

La più grande innovazione che ci si attendeva dal Servizio era proprio la possibilità di garantire ai detenuti che soffrivano di un disagio psichico un'assistenza che non fosse solo psichiatrica ma anche psicoterapeutica. Il Servizio non doveva servire semplicemente a coprire le emergenze psichiatriche che, indubbiamente, si presentavano in un carcere, bensì a prevenirle. Come? Attraverso la relazione terapeutica che un maggior numero di professionisti psichiatri (i due consulenti coordinavano adesso un gruppo di 6 medici psichiatri) permetteva finalmente di instaurare.

Così il Servizio Psichiatrico Interno di Sollicciano decollò, anche all'interno dell'istituto, verso la fine del 1990.

Esso funzionava in questo modo: i consulenti oltre alle visite dei pazienti che personalmente seguivano, provvedevano anche a tutta una serie di attività non certo irrilevanti, quali la stesura di relazioni medico-legali su richiesta dell'autorità giudiziaria o dell'autorità dirigente, la partecipazione alle riunioni del Gruppo di Osservazione e Trattamento per la concessione di benefici ai detenuti che essi seguivano, l'esecuzione di consulenze richieste dal Medico Incaricato, ecc. Inoltre, assicuravano la supervisione dei casi da loro affidati agli psichiatri di guardia. Il paziente psichiatrico poteva giungere all'osservazione del servizio attraverso diverse modalità: su segnalazione al consulente della guardia medica del Servizio Integrativo, del Medico Titolare, di un medico del SERT, o di uno psicologo del Servizio Nuovi Giunti o della Guardia Psichiatrica chiamata a rispondere ad un'emergenza dalle altre figure sanitarie o anche dal personale infermieristico. Ai consulenti spettava il compito di decidere chi inserire in un trattamento continuativo, seguendo il paziente essi stessi o mediante l'affidamento alla guardia psichiatrica e la conseguente supervisione del caso. In questo modo il Servizio operava capillarizzando il suo intervento e soprattutto fornendo risposte specifiche a realtà psicopatologiche diverse, risposte che non fossero soltanto o prevalentemente di carattere psicofarmacologico.

Un lavoro importantissimo era poi quello delle guardie psichiatriche le quali svolgevano una duplice funzione: da un lato, essi rispondevano alle numerose emergenze che si verificavano in carcere (gesti autolesionistici di varia natura, dalle ferite da taglio agli arti a scopo dimostrativo ai più gravi tentativi di suicidio), e dall'altro seguivano i pazienti che venivano loro affidati (c.d. "affidamento personalizzato dei casi") e, laddove possibile, instauravano con essi una vera relazione psicoterapeutica. Il paziente in trattamento veniva seguito dallo psichiatra con la regolarità e la frequenza che le esigenze terapeutiche richiedevano e le possibilità operative consentivano. Gli incontri si svolgevano, generalmente, una volta alla settimana, ma non era escluso, che lo psichiatra visitasse il paziente anche più volte, secondo necessità.

Altro aspetto innovativo e significativo era costituito dalla possibilità di intrattenere una fitta rete di rapporti con i servizi psichiatrici esterni, con la magistratura, gli assistenti sociali, i servizi per le tossicodipendenze (SERT), costituendo per i pazienti psichiatrici un sostegno fondamentale.

Il lavoro di questi medici psichiatri, appassionati e animati da forte spirito filantropico però, ha dovuto superare molteplici ostacoli. La presenza del Servizio Psichiatrico all'interno di Sollicciano ha suscitato diverse reazioni, non tutte positive purtroppo, che hanno assorbito e disperso buona parte delle energie. L'assistenza psichiatrica ai detenuti, non poteva non sollevare contraddizioni e polemiche. Prestare attenzione alle esigenze e sofferenze psichiche di persone che hanno commesso reati più o meno gravi, che hanno picchiato, violentato, ucciso, risulta spesso cosa difficile da capire e accettare. E inevitabilmente emergono contrasti fra chi quell'attenzione la presta e anzi la traduce in cura, e chi si fa paladino delle finalità contenitive e repressive dell'istituzione carceraria nel suo complesso.

Nonostante i contrasti e le polemiche, i consulenti psichiatri e i medici di guardia psichiatrica hanno continuato ad operare con volontà e tenacia, redigendo tra le altre cose un "piccolo decalogo per un miglior uso del Servizio Psichiatrico Interno", contenente disposizioni tecniche volte ad agevolare i rapporti anche con gli altri medici e ad evitare spiacevoli ed inutili incomprensioni fra i membri stessi del Servizio e fra questi e le diverse categorie mediche.

Nonostante molteplici difficoltà il Servizio è riuscito a svolgere, soprattutto nel primo anno, un ottimo lavoro. L'affidamento personalizzato dei casi e l'instaurazione della relazione terapeutica hanno permesso di raggiungere risultati insperati. Si è registrato, in quel primo anno di attività, dalla fine del 1990 all'inizio del 1992, un dimezzamento dei casi di autolesionismo a dimostrazione del fatto che il Servizio non operava solo per risolvere le situazioni di emergenza ma anche per prevenirle. Sono stati effettuati ricoveri presso i servizi psichiatrici di diagnosi e cura esterni solo in casi davvero eccezionali, per crisi particolarmente gravi che non era possibile "gestire" in carcere. Tutto ciò senza poter effettuare, all'interno dell'istituto, nessun T.S.O. Nel 1991, infatti, i consulenti psichiatri avevano rivolto al Ministero di Grazia e Giustizia un quesito per sapere se era possibile effettuare trattamenti o accertamenti sanitari obbligatori all'interno della CCC, intendendo con ciò significare il ricorso a somministrazioni coatte di farmaci e all'uso di mezzi di contenzione meccanica, allorché indispensabili alla terapia del soggetto e all'esecuzione di indagini cliniche. Inoltre, nell'ipotesi in cui si rendesse necessario un T.S.O. e fosse possibile effettuarlo in CCC, veniva chiesto se doveva essere attivata la procedura di legge per i T.S.O. (duplice certificazione medica, ordinanza del Sindaco, comunicazione al giudice tutelare) ovvero altra procedura.

La risposta del Ministero di Grazia e Giustizia fu la seguente:

"Accertamenti e trattamenti sanitari obbligatori devono essere effettuati secondo procedura prevista dalla legge 833/78 (art. 33 e seguenti). Pertanto il T.S.O. andrà effettuato presso strutture sanitarie pubbliche".

Il Servizio Psichiatrico ha funzionato quindi senza ricorrere a trattamenti sanitari obbligatori in carcere, ricorrendo solo in pochi casi (quando il paziente era particolarmente disturbato e quindi bisognoso di cure ma rifiutava la terapia) al T.S.O. presso strutture pubbliche e quasi senza inviare detenuti in osservazione psichiatrica presso l'ospedale psichiatrico giudiziario.

Il Servizio Psichiatrico fu così attivo che a metà del 1991 si pensava all'istituzione presso le sezioni maschili del Nuovo Complesso Penitenziario di Sollicciano di un'area nella quale assistere più adeguatamente soggetti maschi affetti da turbe psichiche. Ciò anche a seguito di una circolare del Dipartimento della Amministrazione penitenziaria del marzo 1991 in cui si legge:

L'art. 98 ult. comma del D.P.R. 29/4/76 n. 431 prevede che i soggetti condannati a pena diminuita per vizio parziale di mente sono assegnati per l'esecuzione della pena agli istituti o sezioni speciali per soggetti affetti da infermità o minorazione psichica. Poiché si è rilevato che l'attuale numero e dislocazione delle sezioni non è tale da garantire il principio della territorialità della pena e, peraltro, l'eccessiva lontananza dalle famiglie e dal centro degli affetti degli interessi è suscettibile di influire negativamente sulle condizioni psichiche dei detenuti, si dispone che, ove è possibile, siano istituite presso codesti istituti sezioni per minorati psichici, anche ovviamente di modeste capienze.
Le SS.LL. loro garantiranno che tali sezioni siano conformate in modo da poter consentire un regime di vita e un trattamento penitenziario conforme alla posizione giuridica ed alle condizioni si salute dei soggetti.

Era previsto che prestassero servizio nella sezione per minorati psichici il medico incaricato, i consulenti psichiatri, i medici di guardia psichiatrica (si rendeva a tal fine necessario ampliare l'orario destinato a questo servizio per la CCC, che doveva passare dalle 18 alle 24 ore giornaliere), un infermiere presente 24 ore su 24, due agenti. Per quanto riguarda i criteri di ammissione, ad eccezione dei problemi di vera urgenza, nel qual caso avrebbe dovuto decidere il Medico di Guardia Psichiatrica, le ammissioni venivano stabilite su proposta del Medico Incaricato e del Consulente psichiatra della sezione di provenienza. I criteri clinici di ammissione erano i seguenti:

 

  1. stato depressivo grave;

  2. scompenso psicotico acuto;

  3. psicosi cronica;

  4. psicopatologia comportamentale non gestibile nelle sezioni ordinarie.

I consulenti psichiatri seguivano direttamente i casi o ne decidevano l'affidamento ad uno dei medici di guardia psichiatrica, supervisionandone l'attività. Gli stessi consulenti psichiatri mantenevano, inoltre, i rapporti con i Servizi Territoriali e, di comune accordo con l'Incaricato, avviavano i detenuti, quando necessario, alle strutture esterne competenti.

L'attivazione di una sezione per minorati psichici a Sollicciano non avrebbe comportato altro che il riconoscimento normativo di una situazione, di fatto, già esistente. Il Centro Clinico dell'Istituto (una sorta di infermeria centrale) vedeva e tuttora vede ricoverati detenuti affetti in prevalenza da disturbi psichici, molti dei quali con turbe psicotiche o parapsicotiche gravi. A distanza di un anno e mezzo circa dalla completa esautorazione del Servizio Psichiatrico, vengono trasferiti a Sollicciano (dove oramai è risaputo che non esiste più un Servizio vero e proprio) sempre meno pazienti abbisognevoli di cure psichiatriche provenienti da altri istituti. Durante l'efficienza del Servizio, i penitenziari non attrezzati alla cura di soggetti sofferenti di disturbi psichici poiché mancanti di un'assistenza intramuraria adeguata, inviavano tali detenuti presso il carcere di Sollicciano dove era nota l'esistenza del Servizio Psichiatrico. Da ciò possiamo facilmente rendersi conto di come la situazione non fosse semplice e soprattutto di quanto estesa fosse, allora come ora, la patologia psichiatrica all'interno del carcere.

Continuando nell'analisi storica delle vicende che hanno interessato il Servizio Psichiatrico di Sollicciano, è da segnalare un ordine di servizio del marzo 1992 avente ad oggetto l'istituzione di una "sub-area psicologico-psicoterapeutico-trattamentale all'interno dell'area del trattamento", al fine di consentire un adeguato funzionamento dell'équipe di osservazione e trattamento. Poiché, infatti, il fulcro del Servizio Psichiatrico era costituito dalla relazione terapeutica, ai consulenti psichiatri sembrava uno spreco di energie rispetto alle esigenze che la psicopatologia penitenziaria, l'osservazione e il trattamento psicologico pongono, che ci fossero più persone che, con funzioni analoghe, si occupavano dello stesso detenuto. Quest'ultimo infatti veniva (e tuttora viene) visto al suo ingresso dallo psicologo del Servizio Nuovi Giunti il quale, in presenza di problemi psicopatologici rilevanti, faceva intervenire il consulente psichiatra o il medico della guardia psichiatrica. Questi a sua volta poteva ritenere opportuno inviare il detenuto presso lo psicologo del Presidio tossicodipendenti o sieropositivi, oppure presso lo psicologo dell'area trattamentale per il trattamento dei pazienti normali, o, infine, presso lo psicologo del SERT. Il detenuto quindi aveva molteplici colloqui con persone aventi funzioni analoghe, senza che nessuna di esse stabilisse con lui una relazione terapeutica. Risultò quindi evidente la necessità di istituire un'area all'interno della quale le varie figure professionali avrebbero potuto coordinarsi per evitare inutili "sovrapposizioni". La "sub-area psicologico-psicoterapeutico-trattamentale si sarebbe riunita una volta alla settimana per raccogliere segnalazioni da parte degli psicologi addetti ai vari Servizi (Servizio Nuovi Giunti, Presidio tossicodipendenti e sieropositivi, SERT) e per distribuire i casi "a seguito di discussione congiunta secondo opportunità e valutata la professionalità specifica dei vari operatori". Tale iniziativa, accolta positivamente dalle varie figure professionali, finì per tramontare nel giro di pochi mesi ed essere liquidata come un esperimento effettuato in un momento di "debolezza" dell'istituzione.

Non possiamo negare che da parte dei consulenti psichiatri ci sia stato fin dall'inizio un interessamento quantomeno raro, considerato l'ambiente di cui stiamo parlando e le crescenti difficoltà che il Servizio ha dovuto affrontare.

È datata 8 ottobre 1992 una nota della psichiatra Gemma Brandi, rivolta al Direttore dell'istituto (su richiesta di quest'ultimo), circa le "modalità di intervento presso la CCC". Vorrei riportarne alcune parti poiché trovo che essa esprima appieno i significati del Servizio e lo spirito con cui esso è stato affrontato e perché essa si presta bene a fare il punto della situazione sia nella Casa di Cura e Custodia che nel resto del carcere alla fine del 1992, poco prima cioè che cominciasse lo smantellamento del Servizio Psichiatrico.

[...] Il programma di qualificazione dell'assistenza da offrire alle internate della CCC, in precedenza disperse nelle sezioni ordinarie, passò attraverso una serie di proposte solo in parte accolte dagli organismi superiori, che tendevano a distinguere uno spazio nel quale erogare prestazioni proporzionali alle esigenze della popolazione cui era stata applicata una misura di sicurezza. Uno spazio del quale si auspicava l'integrazione con le altre aree detentive, perché non diventasse luogo separato di esclusione, gabbia nella gabbia. [...]
Le significative "forzature" normative introdotte determinavano una condizione trattamentale più consona alle Regole Minime dell'ONU, al Codice di Deontologia medica e alla Legge di Riforma del Corpo degli Agenti di Custodia. Se è infatti vero che si forzava la mano a norme desuete, benchè vigenti, quali quelle che regolamentano l'assistenza sanitaria dietro le sbarre, laddove era assegnata alla Psichiatria un ruolo più determinante, meno generico di quanto preveda la legge 740, ad esempio (d'altronde la Direzione Generale manifesta da tempo l'intenzione di modificare tale dettato normativo), si era però meno distanti dallo spirito del Regolamento Penitenziario, che non confonde la funzione dello psichiatra con quella di un qualsiasi specialista in altre branche, e si dava rapida attuazione ai cambiamenti legislativi, che assegnano un diverso ruolo nel trattamento agli Agenti di Polizia Penitenziaria rispetto alle precedenti consuetudini carcerarie.
La Direzione accolse il criterio di una stabilità tendenziale delle figure professionali adibite a tale sezione, agenti e infermieri compresi, premessa indispensabile alla creazione di un clima terapeutico. Non fu inoltre ostacolata nessuna iniziativa di formazione del personale medico e infermieristico e di custodia, che i consulenti psichiatri intesero promuovere. Lo spirito di quella fase "pionieristica" non contrastata e comunque patrocinata dalla Direzione, ha tessuto la trama di un intervento cresciuto nonostante vari eventi "traumatici" occorsi. Su questa trama, personale nuovo ha potuto inserirsi efficacemente, quando disposto ad apprendere dall'esperienza.
Tutti, consulenti psichiatri, medici della guardia psichiatrica, infermieri, agenti, hanno contribuito alla creazione del clima terapeutico, che, in mezzo a resistenze e ostracismi (non tutti prevedibili), in mezzo al travaglio determinato da drastici cambiamenti, sembra avere resistito.
Tale clima è determinato da un atteggiamento di comprensione e di sostegno psicoterapeutico ad ogni livello che diluisce le tensioni e aiuta a reperire valide vie di uscita alle quotidiane impasse.

Gemma Brandi infine ribadisce come i medici della guardia psichiatrica siano intervenuti prevalentemente per risolvere momenti critici, ricorrendo in minima misura a trattamenti farmacologici, supervisionando piuttosto l'opera delle altre figure professionali coinvolte e distillando il problema attuale, per consigliarne la soluzione possibile a chi di dovere. La relazione terapeutica stabilita, benché in genere profonda, ha tenuto sempre conto del carattere limitato della medesima nello spazio e nel tempo, ponendosi come momento interlocutorio orientativo e di sostegno, che prospettasse un affidamento continuativo e duraturo ai competenti servizi territoriali. L'obiettivo è stato quello di limitare l'intervento farmacologico, relativamente necessario in un luogo chiuso di per sé già destinato a "contenere", privilegiando la messa a punto di una strategia riflessiva, perché il tempo claustrale fosse utilizzato al meglio e perché la liberazione fosse dotata di senso.

Si può quindi affermare, conclude Gemma Brandi, che la tecnica e l'organizzazione sono risultate efficaci e prive di effetti controproducenti, almeno in riferimento allo scopo terapeutico e di gestione del disagio che ne aveva motivato il concepimento.

Le polemiche si facevano sempre più pesanti e gli ostacoli posti al Servizio sempre più numerosi. Con una nota al Coordinatore Sanitario, i membri del Servizio segnalarono come essi condividessero il provvedimento di istituzione di un registro nel quale i Medici di Guardia Psichiatrica dovessero scrivere annotazioni relative ai casi loro affidati dai Consulenti, trattati con la supervisione dei Consulenti stessi, i quali controfirmavano ogni intervento dei Medici di Guardia Psichiatrica (eccettuati quelli che si configurano come emergenze) assumendosi la responsabilità del trattamento adottato. Non condividevano, invece, il fatto che queste note, atti medici sotto ogni profilo, non comparissero sul diario clinico, tale omissione essendo causa del venir meno di notizie importanti all'occorrenza e comunque utili ad ogni medico che, al presente e in futuro, dovesse occuparsi del paziente seguito.

I membri del Servizio ritenevano, inoltre, di aver svolto fino a quel momento (giugno 1992) un'opera indispensabile di contenimento e di cura del dilagante disagio psichico penitenziario, attraverso una presa in carico mirata dei pazienti più gravi, "trattati" da un punto di vista prevalentemente psicoterapico, coordinando i molteplici contributi istituzionali finalizzati a una sempre più rigorosa assistenza psichiatrica intra moenia. Tale scopo diventava ineludibile in un momento di crescita dei problemi sanitari in genere, psichiatrici in specie, che il sovraffollamento creava e avrebbe continuato a creare; per affrontarli occorreva mettere a frutto l'esistente e coordinare gli interventi, non disperdere le scarse energie disponibili. Già ci si rendeva conto che la dispersione e lo smantellamento avrebbero avuto conseguenze serie e non responsabilmente prevedibili quanto a estensione e profondità.

D'altra parte sembrava che il D.A.P. si esprimesse a favore di un intervento allargato da parte del Medico di Guardia, laddove scriveva alle direzioni degli Istituti: "Appare, infine, quanto mai opportuno ricordare, e a tale proposito si sollecita la massima attenzione...che, ... i Medici di Guardia non devono essere destinati soltanto alle urgenze ed agli interventi di pronto soccorso. Sono, invece, Medici dell'Istituto e nelle loro competenze rientrano tutti i compiti che fanno parte dell'area sanitaria".

 

1.1 Fase di smantellamento del Servizio Psichiatrico Interno di Sollicciano

 

Il periodo a cavallo fra il 1993 e il '94 fu uno dei momenti di maggiore regressione.

Il Ministero cominciò a valutare l'ipotesi di "passare" nuovamente a visita (anziché ad ore) i consulenti psichiatri, i quali esternarono subito la loro perplessità mostrando come ciò avrebbe comportato solo uno svantaggio economico per l'Amministrazione.

Nel frattempo un ordine di servizio del Dirigente Sanitario del marzo 1993 stabilì che Mario Jannucci si sarebbe occupato solo delle sezioni maschili e Gemma Brandi solo di quelle femminili, compresa la CCC.

Nel 1993 cambiò il Dirigente Sanitario e si assistette a tutta una serie di limitazioni non indifferenti per il Servizio. Con un ordine di servizio n. 5 del 1993, avente ad oggetto i controlli specialistici psichiatrici, il Direttore dell'Istituto dispose:

 

  1. Qualora il medico incaricato richieda l'intervento del consulente psichiatra questi provvederà a visitare il paziente, a formulare una diagnosi e ad indicare con precisione la terapia che ritiene opportuna;

  2. Ove il consulente psichiatra ritenga necessaria una terapia prolungata e/o controlli periodici avrà cura di informare il medico incaricato redigendo una relazione riassuntiva della prima visita nella quale indicherà il programma terapeutico che intende seguire. Tale relazione determinerà automaticamente la presa in carico del paziente che il consulente gestirà autonomamente nell'ambito della propria specifica competenza.

  3. Ove il consulente psichiatra rilevi la presenza di patologie psichiche maggiori o di disturbi tali da far realisticamente e legittimamente sospettare una grave diminuzione della capacità di intendere e di volere del soggetto, informerà con relazione dettagliata il medico incaricato...

  4. Resta fermo il dovere del medico incaricato di effettuare i controlli sulle attività specialistiche.

Comincia ad essere evidente come il ruolo degli specialisti in psichiatria stesse subendo un drastico ridimensionamento. Di fatto, il Servizio cessava di essere tale, privato della propria autonomia gestionale. Era il Medico Incaricato, infatti, che organizzava i controlli specialistici. Non c'era più supervisione dei casi da parte dei consulenti. Tutto veniva rivoluzionato. Anche la funzione delle infermiere della CCC. Scomparve infatti l'unità infermieristica notturna; delle 24 ore del personale infermieristico che il Ministero aveva assegnato alla CCC, improvvisamente scomparvero le 12 del turno notturno che sarebbero state assicurate dall'infermiera presente nei reparti femminili.

Le cose continuarono a peggiorare e a metà del 1994 venne rivisto l'orario di servizio dei due consulenti psichiatri. Questi ultimi risultavano ancora legati da un "contratto ad ore" ma, considerato che, a fronte del noto e grave sovraffollamento, esisteva una non meno grave carenza degli organici del personale dell'Area della Sicurezza, il che comportava un impegno del personale ai limiti, se non oltre, della tollerabilità; considerato che anche il personale paramedico risultava carente per il mancato adeguamento del monte ore, a fronte di esigenze accresciute a dismisura; considerato che occorreva adeguare le possibilità operative interdisciplinari alle esigenze delle aree interessate, nel rispetto delle competenze e dei diritti previsti, il Dirigente Sanitario dispose che le attività cliniche dei consulenti nei reparti (sia visite che redazione delle note) dovessero essere effettuate in base ad orari ben precisi, esattamente come succedeva per gli specialisti convenzionati a visita.

Con questo ordine di servizio l'attività degli specialisti in psichiatria veniva ulteriormente ridotta. E veniva ridistribuita anche quella dei medici di guardia psichiatrica che a seguito di una disposizione del 21/9/94 del Dirigente Sanitario svolgeranno due soli turni con il seguente orario:

 

Primo turno - dalle ore 8.00 alle ore 17.00
Secondo turno - dalle ore 14.00 alle ore 23.00

 

L'unica specificità di esordio che si riuscì a salvare fu l'affidamento personalizzato dei casi ai singoli membri del Servizio Psichiatrico, benchè la carenza di coordinamento interno e tra il Servizio e gli altri organi interessati, rendesse inevitabilmente asfittica anche tale modalità operativa. Comunque all'interno di questa scelta operativa a favore della popolazione più bisognosa di cure, i Medici di guardia hanno svolto un'attività specialistica, finchè è stato possibile in maniera almeno in parte autonoma. Questi Medici hanno inviato relazioni all'Autorità Giudiziaria o alla Direzione dell'istituto e hanno prescritto direttamente la terapia, essendo il Consulente, almeno nelle sezioni maschili, impossibilitato a svolgere da solo l'enorme mole di lavoro. Questa situazione subì un ulteriore aggravio nei primi mesi del 1996. Era stato frattanto nominato un nuovo Direttore che non sembrava condividere le forme organizzative del Servizio Psichiatrico.

Nel giugno 1996 con circolare del D.A.P. n. 593931/2, vennero concessi dal Ministero gli aumenti delle retribuzioni per l'attività di Consulenza Medico-specialistica nel suo complesso, fra cui era compresa quella che il nuovo "Nomenclatore Tariffario per l'espletamento dell'attività di Consulenza Medico-specialistica" definisce "Guardia Psichiatrica". Il Direttore decise, in un primo momento, che questo aumento spettava ai medici di guardia psichiatrica i quali però, avendo un contratto come Medici di Guardia Integrativa ad indirizzo psichiatrico, avevano già ottenuto l'aumento disposto in gennaio dal Ministero per i Medici di Guardia. A questo punto i consulenti psichiatri inviarono un quesito all'Ufficio Legislativo del D.A.P. lamentando che secondo il nuovo Nomenclatore Tariffario l'aumento non veniva applicato ai Consulenti Specialisti in Psichiatria di Sollicciano, bensì ai Medici del Servizio di Guardia Medica Integrativa a indirizzo psichiatrico, ancorchè non Specialisti in Psichiatria, giacchè la circolare usava la dizione "Guardia Psichiatrica". I consulenti fecero notare che a Sollicciano non esisteva una Guardia Psichiatrica, bensì un Servizio Psichiatrico composto da due Consulenti Specialisti in Psichiatria a rapporto orario e una Guardia Medica integrativa a indirizzo psichiatrico, per brevità definita "Guardia Psichiatrica", benchè mai qualificata in questo modo nelle comunicazioni e nei documenti ufficiali interni all'Istituto, né tantomeno nelle convenzioni sottoscritte.

I due consulenti psichiatri della C.C. di Sollicciano sarebbero stati quindi gli unici Psichiatri ad avere un rapporto di convenzione specialistica oraria con l'Istituto. Il quesito che essi rivolsero al Ministero sostenendo che l'aumento non doveva essere concesso ai medici di guardia ma a loro, era dettato da una semplice constatazione: gli aumenti concessi ai 5medici di guardia psichiatrica avrebbero segnato, inevitabilmente, la definitiva scomparsa del Servizio Psichiatrico.

Il Servizio Psichiatrico che il D.A.P. aveva acconsentito ad istituire a patto che risultasse composto da medici di guardia generica (la cui retribuzione è più bassa di quella dovuta agli specialisti), proprio per limitare la spesa, sarebbe venuto a costare una somma così alta da indurre l'Amministrazione Penitenziaria a ridurlo ed eliminarlo nel giro di poco tempo.

La decisione finale della Direzione, sulla scorta di quanto stabilito dal D.A.P., sulla materia interpellato, fu di dare l'aumento (arretrati inclusi), sia ai Consulenti Psichiatri a rapporto orario che ai Medici di Guardia Psichiatrica, riconoscendo soltanto ai primi l'indennità di eccesso specialistica.

In seguito alle modifiche contrattuali intervenute per i membri del Servizio, venne presentato nel luglio 1996 dal Dirigente Sanitario un "progetto di riordino del Servizio Psichiatrico Interno di Sollicciano" che teneva conto dei potenziali carichi di lavoro e delle caratteristiche dei diversi specialisti, fatti salvi i trattamenti in corso che sarebbero proseguiti come stabilito dal singolo psichiatra senza interruzione del rapporto terapeutico. Questo progetto fu inviato alle superiori autorità.

Il progetto prevedeva quanto segue:

 

Ciascun membro del Servizio Psichiatrico si occuperà di uno specifico settore, al cui interno provvederà ad effettuare le prime visite e i trattamenti continuativi. In occasione dei trasferimenti di sezione, qualora non fosse possibile delegare la terapia al collega responsabile dell'area di nuova destinazione, lo psichiatra sarà autorizzato ad operare fuori dal territorio di sua competenza anche per i trattamenti continuativi [...] I medici di Guardia Psichiatrica si occuperanno, oltre che della presa in carico dei pazienti ristretti nelle sezioni di loro competenza, delle urgenze in tutto l'istituto, dei controlli periodici dei casi particolarmente gravi, delle visite dei nuovi giunti che necessitino di un intervento immediato e assicureranno una presenza quotidiana in CCC [...]
Per evitare l'affollarsi di domanda psichiatrica, sarà compito del singolo specialista contenere l'abuso del servizio da parte di che è ristretto nella sezione di sua competenza, stabilendo con gli ospiti della medesima una relazione chiara e garantendo loro una continuità terapeutica tramite la sua presenza in giorni ed ore prestabiliti. I medici di Guardia Psichiatrica potranno comunque richiedere l'intervento del Consulente anche per casi da loro seguiti, qualora lo ritengano necessario, segnalando sul diario clinico, al Medico Incaricato, la cosa.
Nel rispetto della continuità terapeutica ripetutamente segnalata come irrinunciabile, non solo gli affidamenti in corso rimarranno vigenti, ma verranno segnalati allo psichiatra che li ha avuti in cura i pazienti che dovessero eventualmente fare nuovo ingresso in carcere in futuro.

Il progetto di riordino del Servizio Psichiatrico non ebbe risposta dagli Uffici Centrali, ma fu applicato in istituto dal '96 al '97. Nel luglio 1996 il Provveditorato della Toscana propose al D.A.P., con il fine di ridurre la spesa sanitaria - come era stato previsto - il riordinamento del Servizio di Guardia Psichiatrica, che sarebbe passato così dalle 18 alle 6 ore giornaliere. Nel marzo 1997 tale proposta diventò una disposizione del D.A.P. e contestualmente fu decisa dal Dirigente Sanitario, d'accordo con i Medici del Servizio di Guardia Psichiatrica e contro il parere dei Consulenti Psichiatri, la sospensione, con decorrenza 1 aprile 1997, di tutti gli affidamenti e i trattamenti terapeutici che i medici di Guardia Psichiatrica avevano in corso.

L'8 aprile 1997 con una disposizione di servizio della Direzione del N.C.P. di Sollicciano fu stabilito che:

A parziale modifica di precedenti disposizioni in merito, tenuto conto di quanto rappresentato dai Consulenti Psichiatri, in via provvisoria e fino a nuovo ordine, la Dott.ssa Brandi, per aiutare il Dott. Jannucci, effettui le visite psichiatriche anche nei reparti maschili. Agli stessi, inoltre, in caso di necessità, sarà consentito l'accesso in Istituto per effettuare le visite anche nei giorni attualmente non previsti e di nominare i rispettivi sostituti in numero congruo ad effettuare le visite psichiatriche.

La Direzione si era evidentemente resa conto delle difficoltà che una abolizione così repentina del Servizio stava provocando e delle urgenze cui essa aveva dato luogo. Tale disposizione conteneva anche alcune disposizioni per una riorganizzazione del Servizio Psichiatrico in base alle quali le funzioni dei Consulenti Psichiatri consistevano nell'effettuare le prime visite, e le successive che si rendessero necessarie, su esclusiva richiesta dei Medici Incaricati e dei Medici di Guardia; le funzioni dei Medici di Guardia Psichiatrica consistevano prevalentemente in interventi d'urgenza su segnalazione dei Medici Incaricati, dei Medici di Guardia Generica, dei Medici del SERT, degli Psicologi del Servizio Nuovi Giunti, per i pazienti non seguiti dal Servizio Psichiatrico, e su segnalazione infermieristica per quanto riguarda i casi seguiti dal Servizio Psichiatrico nel suo insieme. La suddetta disposizione di servizio prevedeva infine che:

Nel caso in cui non fosse possibile procedere ad un'integrazione delle attuali ore di Guardia Psichiatrica, riteniamo che, ferme restando le indicazioni fornite dal Dirigente Sanitario, la presenza in istituto di una Guardia Psichiatrica inutilizzata potrebbe creare un grave disservizio in luogo di un servizio supplementare e che più opportuno sarebbe sostituirla con un maggior numero di consulenti Psichiatri, trasferendo con urgenza, tra i pazienti affidati attualmente alla Guardia Psichiatrica, quelli che, abbandonati tout court, potrebbero non sostenere la presenza in servizio dello specialista responsabile del trattamento e l'impossibilità di ricorrere a questi. Sarebbe inoltre opportuno informare l'Ufficio Trasferimenti del Ministero, che ha sempre individuato in Sollicciano l'istituto in grado di rispondere alla emergenza psichiatrica penitenziaria, della futura impossibilità di rispondere qui in maniera diversa dagli altri Istituti di Pena italiani.

Credo che queste ultime parole (della Direzione della Casa Circondariale di Sollicciano) siano esemplificative della situazione in cui si trova attualmente il Servizio Psichiatrico Interno di Sollicciano.

Le speranze di ricostruire un Servizio Psichiatrico, però, si sono riaccese recentemente con la circolare del Direttore Generale del Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria, Alessandro Margara, del 5 gennaio 1998 avente ad oggetto l'intervento psichiatrico in carcere, con la quale:

si ritiene utile di richiamare l'attenzione sulla situazione dei detenuti che, nel nostro sistema penitenziario, presentano problemi psichici e sull'intervento sanitario svolto nei loro confronti.

 

  1. Il primo rilievo riguarda l'aumento considerevole dei casi in questione. Le cause di ciò possono essere diverse. Sicuramente rilevante fra queste, ma non unica, la presenza di numerosi tossicodipendenti multiproblematici, che presentano anche patologie psichiatriche. [...] Il che rende opportuno di interrogarci sul come affrontare questa ulteriore emergenza.

  2. Le risposte date attualmente sono sicuramente perfettibili.
    Intanto, sembra insufficiente la risposta del solo consulente psichiatra e di un suo intervento sporadico in caso di emergenza. In alcuni istituti si è attivata una guardia medica psichiatrica, abbastanza limitata, però, ed ulteriormente ridotta recentemente per la diminuzione dei fondi relativi alla sanità.
    Quello che sembra necessario è di istituire un vero e proprio servizio psichiatrico interno, che sia in grado di prendere in carico i singoli casi e di seguirli. Questo significa:

     

avere personale sufficiente per attivare e seguire questo servizio, che deve avere carattere di continuità;

tale personale deve avere una propria autonomia rispetto al servizio medico generico, in modo che gli interventi del servizio psichiatrico non debbano essere attivati dal servizio medico generico e possano svilupparsi nei tempi e nei modi ritenuti opportuni dal servizio psichiatrico stesso;

si tratta di chiederci, infine, se un tale servizio abbia bisogno, oltre che dell'indispensabile ambulatorio, anche di un reparto proprio per chi abbisogni di interventi più continui e rilevanti.

 

Va considerato che un servizio siffatto potrebbe essere tale da evitare di investire l'OPG anche per modeste osservazioni psichiatriche, che si potrebbero invece svolgere in istituto.
È chiaro che si dovrebbero graduare le dimensioni del servizio tra istituti maggiori e minori e che solo nei primi lo stesso potrebbe assumere la completezza di cui alla ipotesi prospettata. Ma una risposta più o meno completa va comunque data ovunque.

 

  1. Nella attuazione di un servizio psichiatrico e anche di appositi reparti per svolgerlo, si può cadere in modelli di solo contenimento delle situazioni di crisi, che ancora derivano dalle risposte date in tempi non recenti: celle prive di qualsiasi arredo o addirittura con pareti imbottite, reparti di sostanziale isolamento con lunghe chiusure in cella, che rispondono in termini di solo contenimento al bisogno di intervento assistenziale e terapeutico che i soggetti presentano. È anche possibile che, in qualche caso, data la scarsezza di spazio, l'isolamento del malato di mente si realizzi nel reparto in cui si provvede all'isolamento di altri soggetti e per altre cause. Risposte di tale tipo devono essere superate.

Si sono avuti rilievi da parte della Magistratura di sorveglianza, che consigliamo più che mai di dare risposte di tipo diverso.
Non si è in grado, allo stato, di indicare tali risposte, ma si attendono proposte e suggerimenti, che possono anche articolarsi in veri e propri progetti di servizio psichiatrico interno, definiti nelle risorse necessarie di personale e di spazi, progetti di cui questa Direzione generale possa autorizzare la attuazione. Vi è solo da dire che tali progetti devono comunque escludere un'impostazione di isolamento e di prolungata chiusura in cella dei soggetti malati, impostazione che non fa che accentuare l'abbandono che gli stessi subiscono e soffrono e aggravare la loro condizione. Gli interventi da attuare dovranno essere invece di segno opposto.
Si pregano pertanto i Provveditorati in indirizzo di raccogliere attraverso gli istituti, in particolare quelli maggiori, le indicazioni e i suggerimenti suindicati, ricorrendo in special modo ai professionisti psichiatri operanti negli istituti stessi.

Prima di concludere vorrei svolgere alcune riflessioni su ciò che nell'organizzazione di questo Servizio Psichiatrico non ha funzionato e sul perché esso è stato abolito. Dopo aver raccolto le testimonianze dei Medici Psichiatri che hanno assistito alla nascita, allo sviluppo e alla abolizione di esso ho voluto raccogliere anche le loro proposte per un'eventuale riforma.

Tutti sono d'accordo che una Casa di Cura e Custodia giustifica ampiamente di per sé l'istituzione, voluta dalla Direzione Generale, di una Guardia Psichiatrica. Ma il problema psicopatologicico penitenziario è ben più esteso della pur complessa gestione della CCC. Disperso nel carcere, lo abbiamo già detto, sia nelle aree maschili che in quelle femminili c'è un elevato numero di reclusi affetti da turbe psichiche, la cui assistenza all'interno delle sezioni ordinarie è quasi impossibile.

È stato constatato come anche la locale Infermeria Centrale non sia in grado di rispondere alla massiccia presenza di simili pazienti, che si trovano a convivere con soggetti affetti da patologie organiche, bisognosi di tranquillità. Ma la tranquillità purtroppo non è caratteristica degli ambienti destinati ad accogliere e contenere l'emergenza psicopatologica. D'altra parte anche i servizi territoriali hanno dovuto constatare la necessità di una separazione tra Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura e Pronto soccorso Generale.

Difficilmente sarà possibile evitare il ricorso ai servizi esterni, ma certo si potrà provare con una prevenzione sapiente e rigorosa ad arginare il problema e a ridimensionarlo progressivamente. Questo è però un progetto delicato, che richiede un sostegno mai titubante e una chiarezza d'intenti presenti ad ogni livello.

La serietà del programma rende necessario cooptare personale particolarmente preparato e motivato, così da fronteggiare resistenze e difficoltà prevedibili. D'altra parte, formare un insieme di operatori professionalmente all'altezza del compito è indispensabile, non solo per i momenti più acuti e dunque per evitare gli elevati costi istituzionali della loro gestione esterna, ma anche per assistere i reclusi, affetti da turbe strutturali profonde.

In tale progetto si inserisce la proposta di istituire spazi dove l'attenzione psichiatrica per l'uomo sofferente sia davvero realizzabile e dove operi, coordinata dallo psichiatra responsabile del Servizio, la Guardia ad indirizzo psichiatrico.

Alcuni Medici Incaricati (cfr. Parte Prima, § 3) hanno espresso il timore che apposite aree di sorveglianza psichiatrica richiamino da altri istituti penitenziari una popolazione ad alto indice psicopatologico. E, in effetti, il Coordinatore Sanitario di un altro istituto penitenziario ha mostrato di avere inteso la Casa di Cura e Custodia di Sollicciano come una sezione ordinaria, nella quale trasferire una detenuta che creava particolari problemi di gestione, dimenticando che si tratta di un luogo destinato alla esecuzione di misure di sicurezza. Se, considerato tale punto di vista, detta struttura funzionasse anche per le recluse, si rischierebbe l'intasamento e l'ingestibilità (considerato, oltretutto, che i posti della CCC erano solo 12). Il problema può tuttavia essere affrontato brillantemente, secondo i medici del Servizio Psichiatrico, richiamandosi a quella territorializzazione della cura per il tossicodipendente, invocata dall'ex direttore del D.A.P. Nicolò Amato in varie circolari sull'argomento. Per la Psichiatria la divisione territoriale e ormai un dato di fatto; si tratta di una divisione per USL: il paziente ad esempio che richiede nella USL 10/A di Firenze, nel caso ne abbia bisogno viene in genere ricoverato nel Servizio Psichiatrico di tale USL. Così le emergenze vengono affrontate in loco e non "deportate" altrove.

Se tutte le Case Circondariali, quantomeno quelle di grosse dimensioni, si attrezzassero per la gestione del problema, la territorializzazione del medesimo sarebbe automatica, con l'ovvio vantaggio di una organizzazione doppiamente agile: e per il numero di casi da assistere, proporzionale alla capienza stessa dell'istituto, e per la possibilità di promuovere quella fitta rete di rapporti con i servizi esterni che il D.A.P. da tempo auspica, ma che stenta a decollare. Pertanto occorre premettere alla istituzione di tali aree la rigorosa e ferma territorializzazione del loro uso, così da evitare abusi. Il territorio "fisiologico" di Sollicciano potrebbe essere la città di Firenze con la sua provincia.

Ora, l'organizzazione del Servizio Psichiatrico è andata al di là di quanto prescritto. Ciò, a ben guardare, è inevitabile quando si tenta di dar vita ad un progetto "nuovo". Questa "irregolarità" del nuovo, questa trasgressione propositiva (consistita nell'approfondimento e nell'estensione dell'attività psichiatrica proporzionalmente ai bisogni rilevanti), hanno determinato irrigidimenti solo in parte comprensibili. Che il Medico di Guardia Psichiatrica, con la supervisione dei Consulenti e sotto la loro responsabilità, si prendesse cura di pazienti, è stato vissuto da taluni come una profanazione del regolamento, come un "abuso". Ciò anche se le ultime indicazioni del D.A.P. parlano chiaro a proposito dell'estensione delle competenze del Medico di Guardia a tutti i compiti che fanno parte dell'area sanitaria. È ovvio che per il Medico di Guardia Psichiatrica, questi non possono essere che compiti psichiatrici, con la supervisione e la guida di colui al quale l'Amministrazione Penitenziaria da sempre attribuisce la responsabilità delle proposte trattamentali nella sua branca, vale a dire il Consulente Psichiatra.

Parimenti intrusivo è apparso a molti operatori sanitari e non, che lo psichiatra svolgesse funzioni di cui nessuno in precedenza si era potuto o aveva voluto occuparsi, quasi che occupare spazi vuoti che richiedevano urgentemente di essere occupati, configurasse una sorta di "indebita appropriazione", laddove andrebbe piuttosto stigmatizzato il fatto che troppo a lungo, e conseguenze certo dannose alla persona detenuta e all'Istituzione, tali funzioni non siano state definite e attribuite.

Pertanto diventa urgente e indispensabile un riconoscimento centrale del modo di funzionare e dell'organizzazione del Servizio.

A quasi due anni dal concepimento del Servizio, fu proposto dai Medici Psichiatri che lo conducevano qualcosa di indubbiamente nuovo dal punto di vista organizzativo. Il Servizio, coordinato da un Consulente Psichiatra di provata esperienza penitenziaria, doveva articolarsi in due sottosistemi. Uno, composto da un congruo numero di Consulenti Psichiatri, che offrisse a chi ne aveva bisogno e ne facesse richiesta, una preziosa opportunità di trattamento, oltre a fare quanto attualmente è svolto dal Consulente. L'altro, costituito dai Medici di Guardia a orientamento psichiatrico, che rispondesse alle emergenze psicopatologiche istituzionali. La proposta non ebbe chiaramente seguito.

A me sembra che il Servizio Psichiatrico Interno di Sollicciano, soprattutto come era strutturato nei primi anni, possa costituire una valida proposta di Servizio Psichiatrico da attuare negli istituti di più grosse dimensioni e comunque offrire materiale utile alla riflessione e suggerire impostazioni operative efficaci.

Perché allora, considerato che quello di Sollicciano è stato un esperimento "pilota", poiché unico nel suo genere, non approfondirlo e magari utilizzarlo proprio come modello operativo di riferimento per intraprendere la riforma della psichiatria penitenziaria che la circolare di Margara sembra avere a cuore?

 

 

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