Intervista ai direttori degli O.P.G.

 

Che cosa sono gli O.P.G.? Che cosa fa la società

per migliorare queste strutture? Rispondono sei direttori

(Interviste realizzate dalla rivista dell'Amministrazione Penitenziaria "Le due città")

 

Chi opera dentro il carcere sa che il disturbo mentale non riguarda pochi detenuti per i quali potrebbero bastare alcune misure di contenimento. Si tratta purtroppo di un problema diffuso negli Istituti di pena ordinari, che ripropone il grave e a volte tragico intreccio tra psichiatria e diritto, cura del malato e tutela della società.

Il luogo fisico dove questo intreccio si manifesta e si cura in tutta la complessità, sono gli Ospedali Psichiatrici Giudiziari (Opg), una realtà che l'Amministrazione penitenziaria deve affrontare misurandosi ogni giorno con problemi di grande delicatezza. Oggi in Italia sono circa 1.200 i detenuti ospitati e curati negli Opg. Per molti di essi il vero carcere è la malattia e la speranza è legata alle passibilità di recupero psichico e di un superamento dell'infermità. Ma che cosa sono realmente gli Opg?, come funzionano a che cosa si deve fare in prospettiva per riorganizzare questo servizio evitando la presenza sul territorio di tanti piccoli manicomi sotto i quali nascondere ciò che non si deve e non si vuole far vedere? Per affrontare questi interrogativi Le Due Città ha organizzato un dibattito al quale partecipano numerosi protagonisti. Sono sei direttori di Opg che in molti anni di esperienza professionale hanno maturato opinioni precise e idee per il futuro.

 

Rispondono

 

Valeria Calevro

Direttrice Opg di Reggio Emilia

Adolfo Ferraro

Direttore Opg di Aversa

Umberto Raccioppoli

Direttore Opg di Napoli

Nunziante Rosanìa

Direttore Opg di Barcellona Pozzo di Gotto

Franco Scarpa

Direttore Opg di Montelupo Fiorentino

Michele Schiavon

Direttore Opg di Castiglione delle Stiviere

Che cosa è e come funziona, secondo la vostra esperienza, un Opg?

 

Rosanìa: "Ho scritto, e ripeto anche oggi, che gli OPG sono strutture preminentemente repressive.

È un'affermazione della quale naturalmente mi assumo pienamente la paternità ed è fondata ormai su diversi anni di esperienza. Ancora oggi nonostante i progressi fatti in questo settore, li vedo come strutture repressive votate ad assicurare soprattutto la difesa sociale e a generare una separatezza tra l'uomo malato, ancorché autore di reato. Si pone un problema di assistenza autentica, di cura autentica, di approccio al problema di alto profilo clinico. In questo senso sono convinto che gli OPG restino strutture eminentemente carcerarie, con un ordinamento e un regolamento che ancorché emendato da ultimo, tuttavia non fa salva la situazione dei malati mentali rispetto ai detenuti reclusi nelle istituzioni ordinarie. Ma vi è di più: l'indeterminatezza del fine della misura di sicurezza (della quale è sicuro l'inizio, ma non la fine) determina, nei fatti, una esclusione dal contesto sociale di questi soggetti che sono, ripeto, primariamente malati, per periodi di tempo che diventano lunghissimi, attraverso il meccanismo perverso delle proroghe della misura di sicurezza, proroghe naturalmente dovute alla difficoltà di raccordo con i servizi territoriali di tutela della salute mentale. In questo senso l'OPG diventa una valvola di sicurezza per le istituzioni carcerarie, una soma di "pattumiera", dove immettere di tutto, e ciò vale anche per gli stessi servizi sanitari nazionali di natura psichiatrica che volentieri lasciano in OPG soggetti di difficile gestione".

 

Calevro: "Condivido quello che ha detto il collega Rosanìa perché, in effetti, gli OPG ancora oggi non sono delle strutture penitenziarie deputate alla cura, ma sono organizzate come strutture deputate di più alla pena.

L’OPG di Reggio Emilia è forse 1'unico OPG in una struttura veramente penitenziaria. Noi siamo dal dicembre del '91 nel nuovo carcere di Reggio Emilia insieme con la Casa Circondariale. Un Istituto costruito o comunque progettato negli anni delle emergenze del terrorismo e quindi con una struttura che è veramente segregante. Ogni piano ha una sua scala di accesso per impedire appunto la commistione; le stanze sono stanze con una metratura per ospitare una sola persona visto che noi occupiamo la meta dell'Istituto e la presenza dei ricoverati è sempre fra i 200/220. Praticamente in quasi tutte le stanze ci sono due persone.

Negli OPG non si possono mettere letti a castello, sembra una sciocchezza ma è così, per cui la superficie della stanza è quasi interamente occupata dai due letti dove ci sono le persone.

Questo credo sia gia abbastanza per illustrate una situazione provocatoria.

In questa situazione a Reggio Emilia non possiamo dividere nulla. Abbiamo i semi-infermi insieme con i prosciolti, con gli internati. Abbiamo gli osservandi, cioè persone che vengono dal carcere e devono stare un mese per fare l'osservazione psichiatrica, insieme con i prosciolti che stanno in Istituto magari da diversi anni. Per come è fatto, appunto, il reparto e per come sono i numeri delle varie tipologie non è possibile dividere. La situazione è in questi termini".

 

Raccioppoli: "L'Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Napoli è un'antica struttura prestata al Ministero della Giustizia e si trova nel centro storico di Napoli, ospita 170-180 internati, ma non solo internati perché è annessa anche la Casa di Cura e Custodia della sezione per minorati psichici e il nostro Istituto svolge come altri OPG compiti di osservazione psichiatrica per le strutture penitenziarie che inviano in sostanza in osservazione per 30 giorni detenuti in attesa di giudizio e hanno posizione giuridica definitiva, per i quali è necessario avere uno studio della loro condizione psichiatrica per valutare se possono o meno permanere nelle strutture penitenziarie ordinarie, oppure se hanno bisogno, in applicazione dell'art. 148, di cure che devono essere espletate in OPG. Quindi il contenitore OPG di Napoli che grosso modo è simile a quello degli altri OPG, è un contenitore molto variegato, dove convivono praticamente situazioni anche diverse per quanto riguarda il trattamento penitenziario e per quanto riguarda i benefici che i soggetti possono ricevere dalla vita penitenziaria. L’utenza che noi serviamo è un'utenza abbastanza simile e costante nell'arco di 10/15 anni, 20 anni. Spesso l'opinione pubblica ha impressione che ci siano delle inversioni di tendenza, patologie psichiatriche, recrudescenze di problematiche di determinati delitti. In realtà questo andamento della popolazione presente negli OPG negli ultimi 10 anni è abbastanza costante.

Sicuramente un 50% degli internati, come dicevano i colleghi, ha commesso reati gravi verso la persona, ma un altro 50% si trova nella situazione di avere commesso reati generati da maltrattamenti in famiglia, espressioni del disagio lacerante, che la malattia mentale porta nella famiglia, e del fallimento degli interventi della società civile. Perché è anche espressione di un fallimento; un soggetto che viene con una misura di 2 anni, che è pericoloso socialmente, per maltrattamenti in famiglia, in realtà paga le pene del fallimento della sicurezza sociale, della protezione sociale che dovrebbe esserci, nel tessuto cittadino, nel tessuto dell'intervento pubblico. Le patologie variano, il disturbo schizofrenico è sicuramente quello più rappresentato, le fasce di età sono variegate.

Registriamo, talora, una simulazione interessante, la simulazione del povero disgraziato, cioè la simulazione di chi è emarginato anche in carcere, di chi, cioè, non riesce a tollerare il regime custodiale forte che c'è in alcuni istituti, dove abbiamo, come è noto, sovraffollamento, dove la possibilità di lavoro è inesistente, proprio perché si tratta di strutture congestionate in cui la proposta trattamentale non può che essere modesta e dove i soggetti più deboli, fatalmente, finiscono con il soccombere. Ecco questi soggetti, talora, cercano proprio il rifugio in OPG. Questo è successo negli ultimi anni e io rivendico alla nuova generazione di direttori degli OPG il merito di aver cercato tutte le strategie possibili per far sì che, comunque, nell’ambito delle difficoltà, fosse data una dimensione assistenziale, fossero individuate delle alternative. Spesso, per molti, l'OPG rappresenta un rifugio estremo in cui sostanzialmente vivere in maniera più umana la dimensione detentiva".

 

Ferraro: "Credo che per capire bene la realtà dell'ospedale psichiatrico giudiziario bisogna in qualche modo dare delle indicazioni "storiche" sul senso e sulla costituzione di queste strutture. Penso di poterle dare perché io lavoro ad Aversa nell'ospedale giudiziario più antico d'Italia. Fu organizzato molto rapidamente nel 1876 con semplice atto amministrativo e funzionava, all'inizio soprattutto, per eliminare quello che poteva essere in qualche modo dannoso e fastidioso nel carcere e nel manicomio. Quindi tutto ciò che non era controllabile confluì in questa struttura, che da subito prese questa connotazione precisa, quella di contenitore dell'ingestibile. Questo ricordo storico serve anche a giustificare, a comprendere quello che poi nel tempo si è venuto a verificare. Se è vero, come qualcuno ha detto, che gli Opg rappresentano il "tappeto sotto cui mettere i fallimenti", c'entrano i fallimenti di parecchie persone, c'entra anche il fallimento della psichiatria in senso stretto. Dall'applicazione della legge n. 180 in poi i nostri istituti, almeno il mio, si sono riempiti di soggetti che presentano un aspetto delinquenziale rispetto ad un delitto che all'epoca era quasi riconosciuto, come il maltrattamento in famiglia, o atti osceni in luogo pubblico, o oltraggio a pubblico ufficiale. In realtà se il fallimento c'e stato, c'e stato in riferimento a quello che non era possibile contenere e viene contenuto all’interno di questi enormi contenitori. Tutti sono d'accordo sulla necessità del superamento di queste strutture, il problema è che nessuno riesce a realizzarlo. Non credo che dobbiamo parlare in questo momento, anche ideologicamente, di un’eliminazione, di una soppressione di queste strutture, che hanno avuto una funzione e che hanno ancora e, in un certo senso, potrebbero ancora averla. Noi parliamo, almeno io parlo, di una condizione che si chiama superamento. Sotto questo aspetto, da medico, posso dire che l'unica possibilità che intravedo di superamento è di uscire da questa ambiguità di carcere-ospedale. Quindi avere un'indicazione ben precisa che possa essere, per quello che mi riguarda, la sanitarizzazione, con la riduzione notevole dell’aspetto custodialistico. L’esperienza che da circa 4 anni stiamo provando ad Aversa è abbastanza indicativa in questo senso e indica un miglioramento delle persone che stanno all'interno, viste finalmente come ricoverati, internati e non come detenuti. Un discorso particolare va fatto infine sul personale. Ad Aversa abbiamo un personale di circa 60 infermieri, una novantina di agenti di Polizia penitenziaria e 2 soli medici direttori, 5 consulenti psichiatri e 5 medici incaricati, più uno per uno di ogni branca della specializzazione: un cardiologo, un dentista e così via.

Ritengo che il personale non sia sufficiente per questo tipo di problematiche. Abbiamo fatto un grosso salto in avanti da un punto di vista qualitativo in relazione ad un aumento quantitativo del personale infermieristico che fino a qualche anno fa si aggirava sulle 28-29 unità. Credo tuttavia che soprattutto il numero degli infermieri abbia la necessità di essere aumentato e anche migliorato qualitativamente con dei corsi di formazione".

 

Schiavon: "L'OPG di Castiglione delle Stiviere è una struttura del servizio sanitario nazionale in convenzione con il Ministero della Giustizia, quindi di fatto è una struttura che, da quando è nata, ha personale esclusivamente sanitario.

La composizione attuale, in relazione alle persone ospitate, è di 14 medici, 2 psicologi, 3 assistenti sociali, 5 educatori, poi ci sono figure che in forma di convenzione lavorano per progetti specifici, di tipo riabilitativo, e poi personale infermieristico che (tra infermieri professionali e operatori tecnici di assistenza ausiliaria) è pari a 153 per una popolazione che oscilla tra i 170 e i 200 pazienti.

Per ciò che riguarda la funzione degli OPG il mio punto di vista è che si deve puntare a costruire una realtà sanitaria sgomberata da quella commistione difficile da gestire dello psichiatrico e del carcerario, in modo da poter trattare il paziente semplicemente con gli strumenti tecnici della psichiatria. La cosa principale è evitare una prassi manicomiale, perché si può dimostrare che lavorando in una certa maniera, con una struttura di dimensioni relativamente ridotte rispetto a quelle che erano un tempo le dimensioni dell'OPG, si può lavorare in maniera integrata, dinamica, per un percorso del paziente psichiatrico, utile e fruibile. In sostanza: 1'OPG possiamo abolirlo come struttura fisica. Tuttavia una fase in cui il paziente psichiatrico deve avere una gestione forte, con una certa prassi, credo che rimanga una realtà da affrontare. Se gli OPG sono attrezzati in termini sanitari con una proporzione ragionevole, allora possono svolgere sostanzialmente una certa funzione.

L’OPG di Castiglione, è favorito da questo punto di vista, perché vi si può senz'altro lavorare senza il gravame degli aspetti custodialistici. Negli ultimi dieci anni, da quello che sento, la realtà di Castiglione è sempre stata considerata bene: è il modello sanitario. Nessuno ha mai negato questa linea di tendenza, salvo poi dire che, in fondo, a Castiglione ci va solo una certa tipologia di pazienti. In realtà questo modello non è estensibile a tutta la popolazione OPG.

Su questo aspetto, se andiamo a verificare le tipologie di reato, e i parametri che identificano la popolazione OPG, non so se, oggi come oggi, esistano differenze importanti che autorizzino a mantenere questo doppio discorso: Castiglione è il modello sanitario, ma occorrono anche gli OPG forti, ad impostazione carceraria, perché certi problemi gestionali possono essere risolti solo con un certo assetto. Un fatto però è certo e deve essere ribadito: una misura di sicurezza o un equivalente di misura di sicurezza per questa tipologia di pazienti, deve rimanere, è utile che rimanga. Se partiamo da questa connotazione positiva dell'OPG, è chiaro che uno strumento come la misura di sicurezza, se utilizzato nella maniera migliore, permette al sanitario di avere un principio di autorità che viene espresso nei confronti del paziente e che il paziente vive come tale, ma permette al sanitario di lavorare, secondo un progetto sul paziente, e garantisce continuità, cosa che non è sempre possibile in certi contesti delta psichiatria territoriale.

Penso che occorra svincolare la gestione del paziente psichiatrico, autore di reato, da questi eccessivi legami di tipo carcerario interpretando nella maniera migliore le indicazioni di custodia. Per il resto si tratta di arrivare ad una serie di integrazioni, di gestire il percorso del paziente secondo un progetto che viene sviluppato all'interno dell'OPG, ma sicuramente vede diversi referenti che sono: il dipartimento di salute mentale, i vari interventi del privato e del sociale. In questo senso credo che sia realizzabile un percorso che garantisce la tutela delta salute al paziente, garantisce continuità, e di fatto si preoccupa anche di quello che è l'allarme sociale. Per quanto non sia un compito preciso o primario dello psichiatra, questo rimane un compito che tutti quanti probabilmente dobbiamo tener presente".

 

Scarpa: "Sicuramente gli OPG sono luoghi nati, come dicevamo, per punire. L'aspetto repressivo diventa preminente quando per la particolare tipologia di punizione che è la misura di sicurezza, quando gli strumenti di mancato intervento terapeutico o di distorsione del concerto di pericolosità sociale, che può essere anche mantenuto a vita, diventano ingiusti e anche repressivi. Però effettivamente gli OPG sono nati per punire, custodire, per difendersi dalle persone che sono ritenute pericolose socialmente. Per alcuni aspetti sono anche adesso, e possono tornare, repressivi totalmente, se questa componente di cura, di trattamento, di presenza sanitaria viene meno. Quindi in mancanza di ciò riprevalgono gli aspetti di contenimento che sono in un certo senso insiti in qualsiasi struttura, che comunque è una struttura rigida, carceraria. La stessa questione credo che si possa porre per il carcere: il carcere è punitivo, diventa repressivo quando alla punizione è accoppiata una mancanza non solo di umanità, ma di trattamento, di prospettive. Allora è repressivo".

Che rapporto c'è tra gli OPG, la società esterna e gli Enti locali?

 

Calevro: "In Emilia Romagna si stanno realizzando delle iniziative importanti anche rispetto all'OPG. Dal luglio dell'anno scorso abbiamo attivato delle convenzioni con il Comune e con la Regione per un progetto sperimentale, per il momento limitato esclusivamente ai ricoverati che sono residenti in Emilia Romagna. È un progetto sperimentale che cerca di coinvolgere anche altre Regioni e altri Dipartimenti di salute mentale. In poche parole il progetto consiste in questo: abbiamo un reparto che doveva essere l’infermeria di tutto il complesso, quindi ha un'architettura un po' diversa anche se le stanze sono sempre delle stesse dimensioni. In quel reparto, alcuni anni fa, prima di attivare questo rapporto con la Regione e con il Comune, avevamo cominciato la sperimentazione, costruendo praticamente una custodia attenuata con una trentina di ricoverati. Il reparto è gestito esclusivamente da personale parasanitario e sanitario, non c'e personale di Polizia penitenziaria. Partendo da questa nostra piccola esperienza interna abbiamo fornito praticamente alla Asl e alla Regione la possibilità di lavorare in una struttura sempre carceraria, più orientata verso la riabilitazione. Devo dire che c'è, quindi, la buona volontà e questo è stato fatto anche grazie all'impulso che la Regione ha dato. Certo, non è tutto fatto, non è tutto facile, perché al di là della firma, delle convenzioni ci sono sempre dei Dipartimenti di salute mentale che firmano e poi non è che lavorino più di tanto. Comunque, mi sento di testimoniare che questo interesse, questa attenzione c'e anche nella città di Reggio Emilia, che è stata sede fino a pochi anni fa di uno dei più grandi manicomi civili dell'Italia del nord. Il "San Lazzaro", infatti, ospitava alcune migliaia di malati mentali. Nel momento in cui sono arrivata non c'erano degli ottimi rapporti fra l'OPG e la città, forse perché allora, anche l'OPG di Reggio Emilia soffriva di situazioni che forse nella maggior parte dei casi avevano poco a che fare con la malattia di mente. Con questo cambiamento che per fortuna c'è stato all'interno degli OPG, anche la situazione dei rapporti tra la città, tra l'Ente locale, fra il dipartimento di salute mentale di Reggio Emilia, è notevolmente cambiata. Adesso esiste un'ottima collaborazione, siamo riusciti ad inserire sul territorio reggiano persone non reggiane, ed è tutto dire. È un bel successo perché poi Reggio Emilia è anche una città piccola, ci guardano sempre, perché più di tanto non possiamo fare, pero c'e molta sensibilità. Il volontariato è sviluppatissimo e dentro l’OPG di Reggio Emilia noi abbiamo una quarantina di volontari che ci aiutano a fare moltissime cose anche nel trattamento, non solo interno, ma anche esterno".

 

Rosanìa: "In Sicilia ci sono 25 istituzioni penitenziarie, e l’OPG. Quello che mi pare di scorgere è un incremento importante della presenza del volontariato cattolico e laico. Un volontariato fortemente motivato, talora critico, ma critico in maniera intelligente tanto da rappresentare un interlocutore importante e imprescindibile nelle strategie trattamentali, che cosi abbiamo posto in essere sia all’interno dell’istituto che in esterno. Si pensi, per esempio, all’enorme numero di gite per i ricoverati che facciamo ormai sistematicamente in accordo con la Magistratura di sorveglianza e con l’ausilio dei volontariati. Tante licenze-esperimento sono gestite dal volontariato stesso, e da ultimo addirittura una "Casa famiglia" per 8 persone che è, grazie anche all’aiuto del Dipartimento di salute mentale, un'esperienza molto interessante, molto bella. Se abbiamo questo tipo di presenza, certamente il "manicomio", come viene di norma definito senza molti giri di parole, rappresenta un elemento di diffidenza e, complessivamente, l’interesse che la cittadinanza barcellonese appunta nei confronti di questa istituzione è più un interesse legato a quello che rappresenta come realtà lavorativa importante, come azienda significativa che da lavoro a tante famiglie in una zona in cui, come è noto, l’aspetto occupazionale rappresenta un grosso problema. Questi anni, quindi, sono stati dedicati tutti, direi, al tentativo di rendere, come dico io, permeabili le mura di cinta. Forse ci siamo posti addirittura come motore di iniziative anche per l'esterno, in qualche misura. Questa è stata un'esperienza interessante, molto bella, estremamente formativa, perché effettivamente siamo riusciti a muovere delle cose importanti. Ma, rimane, naturalmente, una diffidenza profonda, anche perché fino all'altro ieri si diceva che la presenza del manicomio avesse di fatto incentivato il radicamento mafioso sul territorio barcellonese e messinese in particolare, a suo tempo zone di bassa, diciamo, pericolosità dal punto di vista mafioso. Naturalmente questo non è vero, sono ben altre le cose che sono intervenute. Sono intervenute, cioè, una serie di iniziative di creazione di infrastrutture che hanno ovviamente portato capitali e questo di conseguenza ha portato, tra le altre cose, una presenza mafiosa divenuta preoccupante. Stiamo avviando un grosso lavoro, per esempio, per la realizzazione di officine, create all'interno dell'Istituto che dovrebbero servire anche ad aziende esterne, sulla base di commesse, è una grossa scommessa anche questa. Con il Dipartimento di salute mentale abbiamo raggiunto ormai un'intesa importante, per la quale il Dipartimento di salute mentale di Messina si è impegnato a facilitate la presa in carico, cosiddetta intelligente dei soggetti e favorire quindi una dimissione che sia la più precoce possibile, non solo, ma anche a porsi come mediatore rispetto altri dipartimenti di salute mentale di altre realtà della Sicilia. Io auspico che presto si possa arrivare ad una Conferenza dei servizi, direttamente all'Assessorato alla sanità siciliana in modo di riuscire effettivamente a create un processo di osmosi importante. Con gli Enti di formazione abbiamo anche realizzato degli sportelli formativi, dove regolarmente un certo gruppo di questi soggetti vengono presi in OPG direttamente e portati in luoghi di lavoro in esterno. Quindi con possibilità formative significative ai fini speriamo, poi, di un inserimento lavorativo importante. Tutto questo rappresenta un grosso passo avanti. Rimane intonso il problema della farraginosità di tutti questi processi. La difficoltà di darvi un'autentica continuità, cioè di create una strategia alternativa autentica all'OPG. Rimango persuaso del fatto che queste istituzioni, sostanzialmente non servono a niente all'alba del nuovo millennio. Cioè hanno concluso, l'ho detto tante volte, la loro parabola storica, hanno dato risposta a determinate necessità a fronte di una psichiatria ancora in luce, di una branchia medica che aveva scarse possibilità di incidenza, se non appunto quella di agire in termini anche di repressione chimica per certe punte di aggressività. Anche sul piano giuridico non ha più significato parlare di pericolosità sociale, se non altro non ha più significato parlarne in questi termini. La pericolosità sociale non diventa più una qualificazione intrinseca della persona, ma diventa un dato legato alle realtà diciamo esterne, le realtà territoriali di afferenza dei soggetti. E questo è per me sconsolante e certe volte mi porta a reazioni rabbiose, anche molto polemiche nei confronti, per esempio, dei livelli politici, dei livelli sanitari della mia Regione.

Penso che occorra affidare questi soggetti a personale altamente qualificato, capace di affrontare la crisi e quindi di immaginare, in fasi le più brevi possibili, una presa in carico ulteriore da parte di altre strutture di competenza psichiatrica. Quindi, il discorso della manicomializzazione è un discorso che, a mio giudizio, va superato in questi termini. Chiunque abbia esperienza di approccio al malato mentale, e soprattutto a certe forme di patologia psichiatrica, sa che ci sono soggetti che hanno bisogno di un trattamento entro strutture protette per un certo periodo di tempo. Questo fa parte delta realtà, purtroppo, ma la scommessa autentica è quella di un reinserimento rapido, cioè di un recupero autentico che è possibile alla luce di quello che è stato detto e concretizzato in ambito psichiatrico negli ultimi anni".

 

Ferraro: "Per quarto riguarda la situazione locale c'e da dire che Aversa aveva anche un altro istituto ospedaliero psichiatrico per cui l’OPG veniva considerato, e molti lo chiamano ancora cosi, "il carcere", a differenza dell’ospedale psichiatrico civile, e come tale c'era sempre stata una grande frattura fra l’isola e il territorio. Negli ultimi tempi questa frattura si sta superando, perché l'Istituto si sta aprendo motto alla città e al territorio, permettendo, non solo le uscite dei nostri ricoverati, ma soprattutto gli ingressi delta comunità esterna all'interno. Le varie iniziative, gli spettacoli, i convegni o l'esistenza di un museo storico, richiamano parecchie persone all'interno delta struttura. La collaborazione con le Università fa sì che alcune lezioni avvengano all'interno delta struttura.

Anche negli Enti locali, per quello che concerne la Campania, ci sono stati ultimamente maggiori interessamenti. Con l'Assessore regionale alla Sanità si è gia organizzato un protocollo d'intesa che prevede la presa in carico del paziente dal suo ingresso in Istituto fino all'uscita. Il vero problema non è tanto quello del malato di mente che arriva all'interno di questa struttura e che nel momento in cui viene preso in carico viene affidato alle varie attività trattamentali e riabilitative. Nel giro di un tempo più o meno breve nel 90% dei casi si riesce a mettere nella condizione di potersi reintegrare in una società di vita civile. Il problema è alla porta, all'esterno: i servizi sanitari non sono in grado di potersene far carico, o il luogo di residenza in qualche modo lo rifiuta, o non ci sono famiglie disponibili ad accoglierlo. Per cui abbiamo anche una grossa percentuale di persone che stanno in proroga di queste misure di sicurezza perché la loro pericolosità sociale è cessata non per una riduzione della patologia, ma per una assenza di strutture che possono farsene carico all'esterno".

 

Schiavon: "Ben vengano queste iniziative, anche se in un certo senso sono ancora limitate. Qualcuno si chiede: non c'e il rischio che tutte queste proposte siano un po' disorganizzate, spontaneistiche, e poco costruttive? Penso che sia un'osservazione estremamente puntuale su un rischio che si corre. In realtà il coordinamento di tutte queste aperture e interventi con l’esterno dovrebbe essere un obiettivo di fondo. Un lavoro dove però il controllo della situazione è gestito da un apparato tecnico magari in collegamento tra alcune realtà istituzionali. La Regione: anche per Castiglione c'è un cenno della Regione nel progetto-obiettivo tutela della salute mentale che ricorda l'OPG e l’opportunità di instaurare una serie di collegamenti con i dipartimenti di salute mentale. Allora occorre fare un lavoro combinato, che preveda anche un mix di interventi, inclusi anche quelli del privato-sociale. Noi abbiamo l’esperienza di collaborazione con l'Enaep (corso di formazione professionale), una convenzione ad hoc e tutti gli interventi esterni che si attivano, generalmente, sono formalizzati e prevedono un percorso studiato per evitare la frammentazione e la dispersione del lavoro.

Tornando al discorso del modello sanitario, innanzitutto bisogna svincolare la gestione del paziente psichiatrico, autore di reato, dai legami eccessivi di tipo carcerario, di fatto interpretando nella maniera migliore quelle generiche indicazioni di custodia. Per il resto si tratta di arrivare ad una serie di integrazioni, di gestire il percorso del paziente secondo un progetto che viene sviluppato all'interno dell'OPG ma che vede sicuramente tutta una serie di referenti: il dipartimento di salute mentale, il privato-sociale, etc. In questo senso credo che sia realizzabile un percorso che garantisca la tutela della salute al paziente, garantisca continuità, e di fatto si preoccupi anche di quello che è l'allarme sociale. Per quanto non sia un compito preciso o primario dello psichiatra, rimane un compito sociale che tutti probabilmente dobbiamo tener presente".

 

Scarpa: "Che cosa possiamo fare noi, prima ancora che la società civile, per migliorare la situazione degli OPG? La risposta è sempre la solita: non dimenticare mai che si è medici, rispettare il codice deontologico, averlo sempre all'attenzione per centrare il lavoro su quelli che sono i bisogni delle persone. Noi siamo là perché dobbiamo garantire i diritti delle persone che sono affidate a noi. Il primo è il diritto di cura, una qualità di vita adeguata e cosi via. Siamo là anche per difendere, e far applicare le norme per il personale e il personale deve avere i suoi diritti rispettati.

Poi occorre ridare un po' di fiato all'idea di fare una politica specifica degli OPG, con piccoli interventi, che non prevedano né leggi, né altro. È già tutto scritto nei regolamenti e si possono evitare sovrapposizioni di figure ambigue all'interno dell'OPG.

Occorre una politica per i circuiti specifici, per la tossicodipendenza, una politica penitenziaria per quanto riguarda le donne o altre categorie specifiche. Credo sia importante per quello che ora si chiama elevato indice di trattamento, pensare ad un'organizzazione adeguata, una strategia, un percorso che coinvolga tutto il nostro personale, sanitario e anche non sanitario. Stando cosi le cose credo che si potrebbe rilanciare una politica penitenziaria sulla custodia attenuata degli Opg.

E poi, fondamentalmente, c'è bisogno del rilancio di una progettualità di riforma specifica degli OPG. Credo che non si faranno progressi fino a quando ci saranno istituti cosi grandi che hanno il pericolo di diventare, per forza di cose, manicomi piuttosto che strutture di cura, lontane dal territorio, dalla famiglia, dai rapporti sociali, con una dimensione di chiusura e di separazione completa tra quello che è il mondo della psichiatria e quello che è il mondo sociale, dell'associazionismo, del territorio. Quando c'è questa mancanza di scambio di opinioni e di progettualità, si rischia comunque che tali strutture rimangano ancorate a quello che sono. C'è bisogno di strutture più piccole, più vicine al rispettivo territorio dei pazienti internati, soprattutto con un servizio sanitario che non deve essere rappresentato da una pluralità di servizi sanitari, ma un unico servizio sanitario nazionale".

 

Raccioppoli: "L’Amministrazione ha fatto molto, complessivamente, in questi anni anche per gli Ospedali Psichiatrici Giudiziari. Il dibattito che c'è stato, le chiarificazioni intorno a tutta una serie di problematiche, non ultime quelle di carattere filosofico o addirittura ideologico sulla faccenda dell'imputabilità e della non imputabilità, sono stati passati importanti. Però quello che mi auguro e che vorrei sentire, è una presa di posizione chiara rispetto agli Ospedali Psichiatrici Giudiziari. C'è un livello politico che deve decidere, c'è un dibattito molto importante in corso e le soluzioni non sono facili, né semplici, su una questione apparentemente secondaria, nell'ambito di tutta la problematica del "penale" in questo Paese. Credo che l'Amministrazione penitenziaria debba assumere una posizione più netta e più chiara proprio su che cosa sia più opportuno fare per questi cittadini, che oggi sono relitti umani, ai quali occorre ridare un minimo di dignità di persona. Rispetto a questo fatto, che è fatto altamente qualificante per un Paese civile, l’Amministrazione penitenziaria dovrebbe assumere un atteggiamento più forte, farsi sentire di più e quindi invocare un processo di riforma che sia netto e che sia rapido. Se ne sta discutendo ormai da tanto tempo, ma mi pare che si giri intorno alla questione mentre i tempi sono maturi per una riforma importante".

 

 

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