L'educazione tra pari

 

L'educazione tra pari. Percorso formativo sull'AIDS

(da "Progetto Salute" - A.S.L. di Bologna)

 

Presentazione

 

L’assunto che la infezione da virus dell’HIV si contragga per effetto dei comportamenti individuali, piuttosto che in base all’appartenenza a determinate e limitate categorie di persone, costituisce il razionale più corretto delle strategie preventive volte a contenere la diffusione dell’AIDS. La prima ondata dell’epidemia aveva riguardato, in elevata percentuale, le cosiddette categorie a rischio creando il preconcetto che la rimanente popolazione ne fosse sostanzialmente indenne.

Tale equivoco, purtroppo di non esclusivo appannaggio del senso comune e dei mass media, è stato retaggio anche degli operatori sanitari impegnati nelle prime campagne informative. Ciò ha senza dubbio ritardato lo sviluppo di strategie di prevenzione più efficaci e favorito, indirettamente, la diffusione della malattia tra gli eterosessuali non tossicodipendenti considerati relativamente al riparo dalle possibilità di contagio.

Sono state le evidenze epidemiologiche degli anni seguenti, con l’aumento progressivo dei sieropositivi eterosessuali, a contraddire la primigenia impostazione delle campagne di prevenzione e spostarne l’obiettivo in direzione dei singoli comportamenti a rischio. Frutto della nuova consapevolezza, è stata L’individuazione di fasce di età che potevano considerarsi particolarmente esposte a causa di comportamenti e attitudini peculiari in grado di favorire la trasmissione dell’HIV. L’adolescenza costituisce, in questo senso, la principale popolazione target delle campagne preventive, in quanto è trasversalmente a rischio, cioè indipendentemente da eventuali specifiche caratteristiche di sotto gruppi.

In larga misura,sono le caratteristiche psicologiche di questa età di passaggio a favorire un atteggiamento di minimizzazione del rischio individuale. A nessuno sfugge, infatti, la nozione, ormai ampiamente acquisita dalla consapevolezza collettiva, che i rapporti sessuali non protetti o l’uso promiscuo delle siringhe da parte dei tossicodipendenti, costituiscano alcuni dei principali veicoli della trasmissione del virus. Certamente gli adolescenti non fanno eccezione, perché la capillarità dei messaggi dei mass media, l’educazione familiare e scolastica rendono improbabile, quasi impossibile, l’inconsapevolezza da parte dei giovani in età scolare. Ma la conoscenza nella sfera della razionalità, il possesso dell’informazione corretta, spesso non bastano ad incidere sui comportamenti individuali e gli stili di vita. Più forti vettori sono le motivazioni individuali, processate attraverso le dinamiche di gruppo, che influenzano le decisioni, le preferenze, le modalità di negoziare i propri punti di vista con quello degli altri coetanei.

Da qui la necessità di compiere il salto dall’informazione alla formazione, individuando strumenti più incisivi che investano direttamente l’insieme delle modalità con le quali si costituiscono e si affermano le preferenze individuali. L’educazione fra pari rappresenta uno strumento particolarmente utile da questo punto di vista, perché non si basa esclusivamente sulla trasmissione di messaggi ridondanti con quelli proposti dai media nelle campagne di massa, di cui i giovani sono comunque tra i più attenti fruitori Infatti, facendo leva sul sistema di valori e le dinamiche di rapporto tra l’individuo e il gruppo specifici dell’adolescenza, l’educazione fra pari forza la sfera della motivazione personale, e ancora il contenuto esplicito dei messaggi ad una esperienza concreta. Attraverso il percorso formativo, basato su giochi di ruoli che riproducono le normali modalità di formazione delle idee collettive, tale metodologia,mira a creare le basi dell’apprendimento sullo stesso terreno del piccolo gruppo, peculiare dell’adolescenza, che talvolta rende inefficaci le prescrizioni dei messaggi anonimamente diretti alla collettività, Si sostituisce la consapevolezza individuale passiva, sempre minacciata dalle insicurezze nei confronti degli altri, con una acquisizione originata da un percorso che mima il processo di formazione delle idee dominanti tra gli adolescenti.

Le Aziende USL della provincia di Bologna, da tempo impegnate sul versante della prevenzione primaria dell’AIDS attraverso campagne di informazione ed educazione alla salute, hanno ritenuto di sperimentare la metodologia dell’educazione fra pari attraverso una collaborazione con il Provveditorato agli Studi, e hanno perciò siglato un protocollo di intesa fra gli Enti sopraccitati per portare a realizzazione un progetto interistituzionale. Nell’Azienda USL della Città di Bologna, in particolare, si è costituito un gruppo di Progetto che ha coinvolto figure professionali, provenienti da vari settori disciplinari, impegnati nel campo della prevenzione che hanno contribuito sia alla ideazione che all’attivazione concreta del progetto formativo.

Dopo alcuni anni di sperimentazione, il Gruppo di Progetto dell’AUSL della Città di Bologna, ha deciso di formalizzare il programma di formazione dei peer educators, allo scopo di produrre una sintesi organica del programma ad uso dello stesso gruppo di progetto e di renderlo facilmente trasmissibile ad altri operatori che intendano svolgere analoghi progetti formativi.

Guida all’uso

 

Il percorso formativo da noi proposto si articola su tre giornate, ognuna delle quali comprende due moduli; le prime due giornate terminano con la somministrazione di un questionario di gradimento, mentre la terza ed ultima giornata si conclude con la verifica degli interventi effettuati dai leaders nelle classi, tramite un incontro di due ore e l’utilizzo di una griglia già predisposta.

Il testo è strutturato tenendo presente la tripla destinazione:

da un lato gli operatori didattici, dall’altro i leaders e dall’altro ancora i gruppi. I colori di sfondo delle pagine e la grafica sono concepiti e distribuiti in modo tale da determinare un’immediata identificazione delle parti del testo e della loro destinazione (le giornate, ad esempio, o le pagine che andranno fotocopiate).

Molta attenzione è stata inoltre rivolta a quelli che potremmo chiamare i "ferri del mestiere" del comunicatore, vale a dire quelle nozioni che, mutuate (e diluite) dalla psicologia, dalla scienza della comunicazione e dalla semiotica, forniscono una traccia per chi nel processo comunicativo passa da un ruolo passivo (l’ascolto) ad un ruolo attivo (il parlare, l’argomentare, il convincere).

Breve storia del progetto interistituzionale

 

La storia del progetto dell’intervento di educazione tra pari per le tematiche legate alla prevenzione dell’AIDS nella Provincia di Bologna è iniziata durante l’anno scolastico ‘94- ’95. Per sua stessa natura, il progetto ha previsto fin dall’inizio un importante numero di attori, ed anche in questo sta la ricchezza di tale tipo di intervento preventivo, Due grandi Istituzioni, la Scuola (Provveditorato agli Studi di Bologna) e la Sanità (le quattro Aziende USL della Provincia di Bologna), hanno concordato una progettualità interistituzionale per la prevenzione dell’AIDS.

Il progetto si fonda su un processo di formazione-intervento che coinvolge studenti, insegnanti, operatori USL e prevede le seguenti fasi:

- presentazione del progetto agli Istituti Superiori;

- adesione delle scuole;

- individuazione dei peer educators;

- formazione dei peer educators;

- effettuazione degli interventi nelle classi;

- valutazione.

Dopo questa esperienza, l’ Azienda USL della Città di Bologna ha sentito l’ esigenza di mettere a punto una proposta formativa più articolata e completa sulla formazione dei peer educators,

Che cos’è l’educazione tra i pari

 

L’educazione tra i pari è stata, dagli anni ‘70 ad oggi, utilizzata per la prevenzione in molti campi dell’educazione alla salute (uso ed abuso di sostanze stupefacenti, alcolismo, tabagismo, trasmissione dell’H.I.V." sessualità, igiene ambientale, sicurezza stradale, controllo delle nascite, trasmissione delle malattie veneree, ecc.) e se non è mai giunta alla definizione di un corpo teorico rigoroso, può comunque riferirsi ad una serie di interessanti esperienze sul campo.

L’educazione tra pari è una metodologia che, con il supporto di adulti competenti, utilizza e potenzia l’apprendimento tra pari in gruppo.

AI gruppo che fa richiesta dell’intervento, viene chiesto di scegliere tra i membri due dei compagni che sono più ascoltati e più adatti a parlare agli altri dell’argomento scelto.

La naturale tendenza ad avere influenza sugli altri (leadership) viene sviluppata ed organizzata in funzione dell’ obiettivo preventivo attraverso moduli formativi tenuti da adulti esperti (quello proposto ne è un esempio).

Successivamente i peer educators così formati progettano , organizzano ed attuano l’intervento nel proprio gruppo.

Sono possibili varianti in cui leaders di gruppi di età maggiore fanno interventi in altri gruppi.

Ad esempio: ragazzi delle quarte superiori possono fare interventi nelle 2° classi etc. etc. (in questo modo gli stessi ragazzi formati possono attivare diversi interventi nel corso degli anni. Si tratta quindi di un processo "a cascata" che consente una maggiore diffusione e capillarità dell’informazione, una valorizzazione delle risorse dei gruppi e dei giovani protagonisti del processo formativo, una maggiore efficacia preventiva con una notevole riduzione dei costi.

Questa metodologia è indicata soprattutto per i giovani per l’importanza della vita in gruppo e dei fenomeni gruppali in questa età. Il riferimento è all’appartenenza al gruppo (membership) alla rappresentazione del proprio gruppo (groupship) e all’esercizio del potere di influenzare gli altri (leadership). Nell’adolescenza il gruppo diviene il contesto privilegiato di riferimento per gli apprendimenti, l’assunzione di atteggiamenti e di stili comportamentali. Il ruolo dell’adulto non viene meno ma si configura come facilitatore dei processi educativi facendo emergere e supportando le risorse e l’iniziativa dei giovani.

 

Perché l’educazione tra pari

 

Ricerche nel campo della valutazione dei programmi di prevenzione hanno sottolineato come questa metodologia produca effetti positivi sia negli educatori alla pari, sia nei ragazzi destinatari dei loro interventi, in termini di apprendimento delle informazioni, ma anche di crescita personale attraverso la modificazione dei comportamenti e degli atteggiamenti.

L’efficacia di questa metodologia rispetto ad interventi di tipo "tradizionale" consiste nell’utilizzo e nel potenziamento di due risorse naturali centrali nel processo di socializzazione dei giovani: il gruppo e l’influenza dei leaders.

 

Il ruolo del gruppo

 

Questo progetto è stato messo a punto per interventi nei gruppi-classe, ma è ovviamente estensibile ad altri tipi di gruppo compresi i gruppi naturali. Nel momento in cui viene attivato l’intervento il gruppo diviene un gruppo di lavoro (delle cui caratteristiche parleremo in seguito).

Quello che qui interessa è l’uso del gruppo per la sua maggior efficacia rispetto al lavoro individuale anche nel campo formativo e in particolare nella modificazione di atteggiamenti e comportamenti.

Questa questione, apparentemente ovvia, è stata ed è tuttora oggetto di studi e controversie a partire dalle esperienze dello studioso più autorevole nel campo: K. Lewin.

La prestazione collettiva (cioè di individui che costituiscono un gruppo) è in linea di massima superiore a quella potenziale degli stessi individui non in gruppo.

Le condizioni perché ciò si verifichi sono: che si tratti di un gruppo reale (non un aggregato o uno pseudo gruppo) e di un piccolo gruppo (delle cui caratteristiche parleremo in seguito).

Così una discussione in gruppo è potenzialmente più efficace nell’abbandonare o nell’assumere un’opinione, un atteggiamento o un comportamento. In effetti gli studi, o partire soprattutto dagli anni ‘60 hanno contraddetto lo tesi che le discussioni di gruppo tendono al massimo di mediazione e di compromesso delle opinioni espresse, dimostrando invece che il gruppo favorisce l’assunzione di posizioni e decisioni più consapevoli e innovative di quelle prese individualmente dalle stesse persone sui medesimi argomenti.

È facile dedurre quanto questo sia importante in un lavoro di prevenzione in campo sanitario dove è determinante l’abbandono di comportamenti dannosi e l’adozione di atteggiamenti e stili di vita a tutela della salute.

 

Il ruolo del leader

 

In un gruppo ciascun membro viene od occupare uno "posizione" determinata dall’apporto ai bisogni del gruppo e dai rapporti con gli altri membri. Rispetto all’influenza nel gruppo (leadership), ogni membro si colloco in una posizione diversa sull’asse marginalità - centralità. Lo leadership in un gruppo è funzionale o diversi compiti (esistono più leadership per più membri) secondo due direttrici: quelle centrate sul compito, sul raggiungimento dell’obiettivo (leadership socio-operativa) e quelle centrate sulle relazioni, sui bisogni soggettivi e collettivi nel gruppo (leadership socio affettiva).

Nel nostro caso, lavoro formativo in piccolo gruppo, le necessità legate all’obiettivo e il coinvolgimento ed il benessere degli individui nel gruppo sono strettamente connessi. La scelta di due peer educators (leaders) che lavorano in coppia si impone quindi non solo per le necessitò legate alla progettazione e organizzazione dell’intervento, ma anche per creare la possibilità di una conduzione che rispondo al meglio alle esigenze operative e relazionali del gruppo.

La nostra proposta formativa

 

Questo progetto nasce dal lavoro di differenti figure professionali, provenienti da vari settori impegnati nel campo della prevenzione, che hanno contribuito sia alla fase di progettazione, che alla sua attuazione concreta. L’impostazione che sta alla base di questa proposta formativa si fonda sull’esigenza di fornire non solo contenuti informativi specifici sulle tematiche legate all’AIDS, ma di promuovere conoscenze, capacità e attitudini a formare altri.

 

Occorre allora intervenire su tre piani fondamentali:

i contenuti specifici, cioè le informazioni di base sul problema;

la riflessione personale e il confronto di gruppo su norme, valori, atteggiamenti legati al fenomeno;

le competenze comunicative e relazionali necessarie per essere efficaci nella formazione dei pari.

Non è casuale la scelta di valorizzare il lavoro di gruppo, in quanto offre lo spazio ideale per l’apprendimento, in particolare di abilità sociali e comunicative, poiché consente un’esperienza diretta e personale dei processi relazionali.

Attraverso proposte-stimolo, giochi di ruolo, simulate, discussioni di gruppo è possibile coinvolgere i partecipanti a partire dai loro vissuti, dalle loro conoscenze e idee, facendo loro sperimentare direttamente ciò di cui si parla.

Per noi è importante che i ragazzi non intendano l’esperienza di formazione come un apprendimento automatico di contenuti e di tecniche da "riprodurre", ma un’occasione per ricevere informazioni e stimoli da elaborare in modo personale e autonomo, adattandoli ai loro contesti di intervento. La scelta dei contenuti dei singoli moduli proposti nelle giornate di formazione discende direttamente dagli obiettivi sopra descritti.

In particolare gli argomenti di formazione trattati sono cinque:

il processo comunicativo;

la comunicazione nel gruppo;

informazioni su HIV e AIDS;

atteggiamenti nei confronti del rischio;

laboratorio di progettazione.

Il processo comunicativo

 

La comunicazione interpersonale è un processo in cui due o più individui inviano e contemporaneamente ricevono messaggi. Esistono due tipi di interazione comunicativa: la comunicazione ad una via e a due vie. La prima prevede che il messaggio venga inviato dall’emittente e ricevuto dal ricevente senza possibilità di feedback (ad esempio un messaggio preventivo per l’AIDS tramite spot od opuscolo), Il contesto dell’educazione fra pari prevede invece una comunicazione a due vie: fra emittente e ricevente occorre una circolarità di messaggi.

Ogni sequenza comunicativa è composta da un soggetto emittente (E) che con proprie motivazioni ed aspettative invia un messaggio ad un soggetto ricevente (R) attraverso uno specifico canale ed in un determinato contesto.

Chi comunica (emittente) deve rispettare alcune condizioni affinché la sua espressione sia compresa: deve stare attento a "cosa" esprimere e a "come" formulare il messaggio e al feedback che riceve dall’ascoltatore. Il ricevente è un soggetto che ha, come il emittente, proprie motivazioni ed aspettative. Può altresì possedere dei pregiudizi e questi possono inficiare la comprensione efficace del messaggio.

Può, per problemi personali, non essere disponibile a concentrare l’attenzione sull’altro e quindi può non ascoltarlo o ascoltarlo senza comprenderlo. Il messaggio viene inviato attraverso due moduli comunicativi: verbale e non verbale. Questi due moduli sono complementari e presenti simultaneamente in ogni atto comunicativo.

I canali di comunicazione sono i più svariati. Vanno dalla comunicazione viso a viso a quella telefonica, epistolare fino a quella tramite mass media. La progressiva distanza tra emittente e ricevente penalizza in genere la ricezione dell’aspetto non verbale del messaggio.

Le modalità viso a viso possono prevedere l’uso di strumenti di supporto (es. lezione con ausili audiovisivi, discussioni di gruppo, simulate...) che attivano e mantengono viva l’attenzione.

Il contesto è un aspetto dei processi comunicativi di fondamentale importanza in quanto è matrice di significati.

Consideriamo a questo proposito il contesto della comunicazione fra pari: dei giovani assumono il ruolo di facilitatori di un processo comunicativo e di trasmettitori di informazioni nei confronti di coetanei. Questa metodologia utilizzata nel contesto scolastico, da una parte ha il vantaggio di inserirsi in gruppi già formati, quindi facilmente raggiungibili,dall’altra può venire vissuta come una copia del modello insegnante/studente, con le resistenze che questo può comportare (rifiuto, disattenzione, svalorizzazione da parte dei compagni o di altre componenti dell’istituzione scolastica).

La grossa scommessa consisterà allora nella capacità dei ragazzi di proporsi in modo diverso dal tradizionale approccio insegnamento/apprendimento, facendo leva sulla condivisione di problemi, linguaggi, modi di comunicare, mantenendo la propria spontaneità, pur nella consapevolezza di ciò che accade in quel contesto.

Abilità comunicative

 

Per comunicare in modo efficace occorre che l’emittente possieda una doppia competenza: saper inviare e saper ricevere i messaggi in modo efficace.

 

Come inviare messaggi efficaci

 

Mettersi in gioco in prima persona. È importante non parlare in modo generico e impersonale, ma riconoscere come propri i messaggi usando frasi "io penso", "mi sembra". Questo vale in particolare quando si parla di valori/opinioni, che vanno presentati come soggettivi e non come assoluti o generali.

Usare un linguaggio chiaro e diretto. Occorre farsi comprendere; alcuni suggerimenti possono essere: usare frasi brevi, evitare termini poco comprensibili, avere ben chiari i concetti che si vogliono trasmettere. Rendere congruenti tra loro messaggi verbali e non verbali.

Abbiamo già evidenziato l’importanza che la comunicazione non verbale sia coerente e confermi quella verbale. Prestare attenzione ai messaggi di feedback. Chi invia il messaggio deve essere attento alle risposte degli interlocutori. Chiedere conferma che il messaggio sia stato compreso. Se non c’è un feedback chiaro è opportuno chiedere com’è stato interpretato il messaggio. Adeguare il messaggio alle caratteristiche di chi ascolta. L’emittente deve usare un linguaggio ed una terminologia comprensibile e adatta al ricevente.

 

Come ricevere i messaggi

 

Analizziamo in modo più approfondito le modalità dell’ascolto attivo, che proponiamo quale tecnica per potenziare la competenza comunicativa.

 

Ascolto attivo

 

L’ascolto attivo è un metodo per aiutare la persona che ha un problema e favorire la comunicazione; non è da utilizzare se l’ altro chiede informazioni o contenuti tecnici di cui non è a conoscenza.

L’ascolto attivo aiuta l’altro a comprendere ed esprimere il proprio stato emozionale ed i propri comportamenti, offre la possibilità di cambiamento, in quanto crea un clima favorevole in cui la persona non ha bisogno di difendersi, ma può esplorare i propri sentimenti, accettarli e trovare nuove soluzioni; è l’espressione dell’interesse e della partecipazione di tutta la persona, sia a livello verbale che non verbale. Per comprendere meglio in che cosa consiste questo tipo di risposta, possiamo dividerla in quattro aspetti:

 

Ascolto in silenzio

 

Offre all’altro la possibilità, lo spazio ed il tempo per esprimere il problema (emozioni, idee, pensieri). L’ascolto silenzioso comunica rispetto ed interesse, ma non permette all’altro di capire se il facilitatore comprende; non è sufficiente a comunicare empatia e calore.

 

Risposte di comprensione non verbali

 

Consistono nel linguaggio non verbale (cenni del capo, posture, sguardo diretto, segnali vocali non verbali: "mm..."). Dimostrano che il facilitatore sta prestando attenzione e comunicano, seppure solo parzialmente, accettazione ed empatia: tuttavia non consentono a chi parla di verificare quanto il suo messaggio sia stato davvero compreso.

 

Espressioni per sbloccare la comunicazione

 

Sono efficaci per dimostrare il desiderio del facilitatore di comprendere ed ascoltare. Sono utili per facilitare il proseguimento della comunicazione o per approfondire un aspetto del problema (es.: chiedere chiarimenti o invitare ad andare avanti). Non è opportuno insistere troppo: tali espressioni facilitanti possono essere inutili o ripetitive se usate troppo o in modo insistente.

 

Risposta empatica

 

È la forma di comunicazione che dà a coloro che affrontano un problema la chiara percezione di essere stati rispettati, capiti ed accettati sia sul piano dei sentimenti che su quello delle idee.

La risposta empatica consiste nella verbalizzazione da parte del facilitatore dei contenuti emotivi -esperienziali di chi porta un problema, senza giudizi, consigli, moralizzazioni, banalizzazioni. L’importante è sentire e non solo capire quello che viene comunicato. Significa in definitiva riflettere alla persona in modo chiaro e conciso le idee, i sentimenti ed i pensieri che ha voluto esprimere. La risposta empatica comunica comprensione, ma lascia all’altro la responsabilità di risolvere il problema.

 

Se prendiamo in esame lo schema che rappresenta un processo comunicativo, alla luce dell’ascolto attivo, osserviamo che una persona (emittente) per comunicare ad un’altra persona (ricevente) una sua esperienza interiore, deve effettuare una codifica.

Deve cioè selezionare le parole ed i comportamenti non verbali adeguati a rappresentare la sua esperienza, deve cioè inviare un messaggio codificato.

La persona che ascolta a sua volta decodifica il messaggio e per far capire all’altro che ha veramente compreso in modo esatto invia come feedback la risposta empatica (o ascolto attivo): ripropone cioè la sua personale comprensione dei contenuti e sentimenti che ha percepito nella comunicazione dell’altro. Se la risposta è accurata l’emittente si sentirà riconosciuto e confermato ed approfondirà la comunicazione, in caso contrario può smentire e tentare di chiarire il messaggio.

 

Le barriere alla comunicazione

 

Identifichiamo come barriere, per una comunicazione efficace, alcuni atteggiamenti o tipi di messaggi verbali che non facilitano l’altro nell’espressione o nell’approfondimento di ciò che pensa esente. Relativamente al tipo di intervento del leader nell’educazione fra pari le barriere più significative possono venire così delineate:

  1. Consolare - rassicurare.

  2. Dare consigli.

  3. Moralizzare.

  4. Dare giudizi.

  5. Interpretare.

 

Consolare – rassicurare

 

Questo genere di risposta vorrebbe apportare un incoraggiamento, una consolazione, una comprensione. Perché allora un atteggiamento con tali scopi può diventare controproducente? Sostanzialmente il risultato di un tale tipo di intervento può essere quello di sminuire il problema dell’altro; la persona non è aiutata ad esplorare a fondo il suo disagio, ma ne vengono elusi gli aspetti difficili e contraddittori. Vi può essere una momentanea diminuzione dell’ansia ed una rassicurazione, ma la persona non è aiutata a sviluppare un processo di riflessione e di ricerca autonoma di soluzione. Ciò può comportare una dipendenza dall’altro oppure una reazione di rifiuto nell’essere trattato in modo paternalistico.

 

Dare consigli

 

È forse la modalità più utilizzata: si dà per scontato che aiutare l’altro significhi dare suggerimenti, consigli, soluzioni. "Io al tuo posto farei","Sarebbe bene che tu...": c’è l’urgenza di trovare una risposta, di far uscire l’altro (e noi stessi) da un momento di ansia, difficoltà, impasse: a volte è difficile stare vicino all’altro nei suoi sentimenti di delusione/impotenza/rabbia/dolore; ma riteniamo che solo vivendo ed esplorando a fondo queste emozioni si possa aiutare l’altro a comprendersi e a trovare in modo autonomo la propria strada. La soluzione proposta in questo caso non è dovuta ad una iniziativa responsabile del soggetto, ma è imposta dall’esterno; in genere non soddisfa l’altro e gli può creare una sorta di obbligo ad adottarla. Può creare dipendenza ed un atteggiamento di delega dei propri problemi. Se invece la soluzione offerta coincide con ciò che pensa la persona, perché non aiutarla a formularla da se, accrescendo responsabilità ed autostima?

 

Moralizzare

 

Intendiamo con questo tipo di definizione il tentativo di imporre il proprio punto di vista, facendo riferimento a dei valori che vengono proposti come giusti e risolutori. Il "fare la predica, la morale" è percepito in modo fastidioso, giudicante,non rispettoso delle idee e delle opinioni di chi parla.

In particolare trattando tematiche così complesse e personali come le scelte ed i comportamenti in campo sessuale, occorre porre attenzione e rispetto per le diverse posizioni, evitando di fare ricorso a regole morali esterne che possono creare senso di colpa o portare a radicarsi ancora di più in modo difensivo sulle proprie posizioni, invece di facilitare un confronto aperto su opinioni diverse.

 

Dare giudizi

 

La persona che ha il compito di ascoltare ed aiutare si pone in questo caso come il centro di valutazione dell’esperienza dell’altro. Il messaggio implicito è quello di una propria superiorità e di una sfiducia che l’altro sia in grado di valutare e di dare un senso alle proprie esperienze. Un giudizio può suscitare blocco, sensi di colpa o d’inferiorità, ribellione o ansia. Occorre sottolineare che anche valutazioni di tipo positivo possono produrre effetti analoghi, in quanto comunque il criterio di valutazione non è interno, ma esterno.

 

Interpretare

 

È la persona che aiuta, che tenta di dare un senso ed un significato all’esperienza dell’altro, esplicitando il proprio punto di visto: l’interpretazione, che può essere corretta o scorretta, sottolinea comunque che l’esperto è l’altro. Se l’interpretazione è sbagliata fa sentire la persona che porla fraintesa, non capita, bloccata; se è corretta potrebbe venire data non nel momento opportuno, per cui rischia di suscitare maggiori difese. Tale comunicazione segnala comunque che l’altro non è in grado di fare un percorso di chiarimento e di riflessione che lo porti a trovare egli stesso le proprie risposte. Ad es. un leader che tentasse di interpretare atteggiamenti o comportamenti potrebbe venire vissuto come inopportuno ed invasivo.

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