Prostituzione e diritti

  

Prostituzione e diritti

di Pia Covre (Comitato per i Diritti Civili delle Prostitute)

 

 

Fuoriluogo, 25 gennaio 2002

 

 

Nel nostro paese l’applicazione della Legge Merlin, interpretata in maniera restrittiva, penalizza molto le persone che si prostituiscono. Attualmente la repressione è divenuta insostenibile e colpisce sia le donne in strada, in maggioranza straniere, sia quelle che lavorano in casa, e di queste molte sono italiane.

Le attività di polizia e giudiziarie vanno sovente ben oltre l’applicazione della Merlin: verso le immigrate c’è un’attitudine persecutoria, tanto che a numerose donne, che in passato si erano regolarizzate, sono stati revocati i permessi di soggiorno perché si prostituivano e quindi sono state espulse.

Mettendo al bando l’ipocrisia moralista che alimenta la stigmatizzazione sociale di chi la pratica o la usa, si dovrebbe avere il coraggio di legittimare la prostituzione per garantire a chi lo desidera la possibilità di praticarla. Ciò non significa che si debba per forza regolamentarla in qualche forma più o meno moderna, basterebbe un intervento minimo sulla legge, depenalizzando del tutto alcuni reati, come l’adescamento e il favoreggiamento, ed eliminando il divieto di lavorare in casa. Ciò modificherebbe di molto l’aspetto del fenomeno e certamente consentirebbe alle donne di essere meno esposte a violenze e rappresaglie.

Ma la difficoltà vera viene quando le prostitute sono immigrate, esse non hanno diritti perché clandestine nel nostro paese. Se sono vittime della tratta possono chiedere di entrare in un programma di protezione/integrazione sociale, ma devono abbandonare la prostituzione.

Il prerequisito per l’inclusione sociale delle prostitute immigrate è il riconoscimento e l’applicazione dei loro diritti: come donne, come migranti e come prostitute.

Non possiamo accettare che la legge sulla prostituzione abbia due misure e discrimini le donne straniere. Se affermiamo un diritto a prostituirsi, esso deve valere per tutte le persone adulte che decidono volontariamente di farlo.

I sistemi proibizionisti non danno esiti positivi, perché creano un mercato clandestino e sotterraneo con tutte le immaginabili conseguenze di sfruttamento e vulnerabilità delle donne. D’altra parte anche i sistemi che scelgono di regolare possono produrre lo stesso effetto, quando escludono dal diritto le immigrate.

L’Olanda ne è un esempio: il riconoscimento del diritto di lavoratrice a chi si prostituisce è per ora precluso alle persone che non sono della Comunità europea. Nonostante una recente sentenza della corte europea favorevole alle sex workers di paesi come la Polonia e la Repubblica Ceca, ci vorranno ancora molte battaglie legali per affermarlo.

Inoltre a distanza di un anno dall’entrata in vigore della nuova legge che riconosce il lavoro sessuale, questa stenta a partire: sono pochissime le lavoratrici autonome che si registrano presso l’ufficio delle tasse (unica registrazione prevista), e le norme che lo inquadrano come lavoro dipendente non sono applicate, perché non convenienti per i gestori. La sorte della prostituzione legalizzata in Olanda è perciò molto incerta.

 

 

 

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