Criminali per sempre

 

Criminali per sempre

 

Fuoriluogo, 26 luglio 2002

 

Era nell’ aria: prima o poi la giustizia minorile avrebbe attirato l’ attenzione del nuovo governo. L’anno scorso il caso di Erika ed Ornar aveva dato il via all’emergenza giovani: giornalisti, sociologi, psicologi, Bruno Vespa e Maurizio Costanzo, avevano lanciato l’allarme. Il sistema giudiziario minorile non funziona, è troppo lassista, di conseguenza i minori delinquono con maggiore facilità, fiduciosi del fatto che una sentenza di tre anni di messa alla prova sia il massimo che gli possa capitare. Accanto alle litanie sulle crisi dei valori, l’adolescenza prolungata, l’incapacità di ascoltarli, si erano fatti strada nelle pagine di cronaca nera resoconti di vicende criminali che riferivano di minori intenti a spacciare, rubare, stuprare, aggredire, uccidere. L’eco dell’opinione pubblica non poteva non essere intercettata da questo governo, che fa del rigore in materia penale uno dei suoi cavalli di battaglia. Se poi si tratta di mettere mano alla riforma di una branca della giustizia, il governo Berlusconi non si tira certo indietro.

In primo luogo il disegno di legge si presenta come un pacchetto di "misure urgenti" (come recita il titolo), dando per scontato che la criminalità minorile sia in aumento. Le statistiche del ministero della Giustizia mettono in discussione questo assunto, dimostrando che la presunta crescita è contenuta ed è dovuta soprattutto all’ aumento delle denunce e dell’ azione repressiva e preventiva delle forze dell’ ordine, magari in seguito agli allarmismi creati a livello mediatico negli ultimi tempi.

In secondo luogo, le misure proposte da Castelli denotano una completa ignoranza dell’universo giudiziario minorile da parte del ministro. Per quale ragione l’abolizione della messa alla prova per i reati più gravi dovrebbe ridurre il problema della criminalità minorile? E la riduzione dello sconto di pena? Perché un minorenne condannato a una pena detentiva lunga dovrebbe trarre beneficio dal suo trasferimento nelle prigioni adulte al compimento del diciottesimo anno di età ? n sistema giudiziario minorile italiano è apprezzato da anni a livello internazionale per l’attenzione che pone verso le esigenze di crescita dei minori. La dottoressa Livia pomodoro, presidente del Tribunale dei Minori di Milano, sottolineava l’anno scorso il pericolo che i giovani precocemente introdotti e mantenuti nel circuito penale potessero scivolare con più facilità verso una carriera deviante.

I problemi che affliggono la giustizia minorile italiana sono altri, e hanno a che fare coi tagli della spesa pubblica, che riducono la possibilità di incrementare il numero di assistenti sociali o di creare sul territorio quelle strutture educative, aggregative o di inserimento professionale che facilitano il recupero dei minori a rischio. La risoluzione di queste carenze agevolerebbe anche gli interventi nei confronti dei minori stranieri e nomadi, che non sempre possono godere del sostegno dei familiari o della scuola.

In verità stanno scrivendo un nuovo capitolo della tolleranza zero. Risolto a colpi di Bossi-Fini e di retate delle prostitute il problema della sicurezza urbana, delegata a San Patrignano la questione delle droghe, e alla CIA quella del terrorismo islamico, il nuovo pericolo per l’integrità collettiva sono i minori, un gruppo sociale tanto poco rappresentato in un paese che soffre endemicamente di crescita zero, quanto dotato di scarso peso politico elettorale, oltre che capace di colpire l’immaginario collettivo quando si rende responsabile di fatti che disvelano la precarietà e i guasti di istituzioni-cardine dell’Italietta, come la famiglia.

La risposta penale a problemi sociali di vasta portata, oltre ad essere criticabile sotto il profilo delle garanzie penali, è anche banale dal punto di vista dell’efficacia. Ma che il male fosse banale ce lo aveva già detto Hannah Arendt...

 

 

 

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