Nessun aiuto ai minori...

 

Ragazzi ex detenuti lasciati soli

Rarissimi i programmi di recupero per tenerli lontani da altri errori

 

 

GAZZETTA DEL SUD, 16 marzo 2002

 

Elena Sodano Luigi, nome di pura invenzione, ha scontato la sua pena all’interno dell’Istituto penale minorile. E’ uscito da quella cella ma per lui non ci sarà alcuna libertà. Il suo vivere all’esterno di quelle sbarre sarà affliggente, il suo futuro verrà stroncato appena metterà piede nel suo paese. Là lo attendono, i vecchi amici di sempre, i "compari"che sono pronti ad affidargli qualche "lavoretto" che gli consentirà di guadagnare un po’ di soldi. Il futuro del ragazzo è segnato. Ma si, forse un salto di qualità lo farà. La prossima volta per lui non si apriranno le sbarre del carcere minorile, ma quelle della casa circondariale e in quei posti, si che si "cresce" sul serio. Ma quanti hanno una storia simile a quella di Luigi? Tanti, e sono tutti intrappolati in un circolo vizioso senza uscita. Secondo il direttore del carcere minorile Serenella Pesarin occorre principalmente cambiare una vecchia logica che, partendo da un pulpito istituzionale, non ha nessuna intenzione di investire con fiducia nel recupero di questi ragazzi che invece hanno bisogno sentirsi dire "io credo nella tua volontà di cambiare", vogliono affetto, rinnovamento, regole concrete, progetti educativi che gli consentono di accettare la fatica della vita e di viverla comunque senza facili scappatoie perché principalmente viene riconosciuto il loro valore di uomini. Per il "dopo" di questi ragazzi, secondo la Pesarin, c’è il nulla assoluto perché si pensa solo al "durante".

"Nel nostro territorio - afferma la Pesarin - non esistono logiche integrate, ogni istituzione va per conto proprio, elaborando progetti senza alcun raziocinio di inserimento sociale e lavorativo. Interventi che lasciano il tempo che trovano, che non hanno alcun seguito ma solo una logica clientelare nei confronti di qualche associazione di turno". Secondo il direttore c’è bisogno di percorsi di integrazione e inserimento e non di centri sociali parcheggio, di una rete efficiente e di interventi preventivi.

"I miei ragazzi - continua - hanno ben apprezzato che l’assessore regionale al Lavoro Scopelliti abbia pranzato con noi, ma qual è stato il seguito della sua passerella? Certo, non è la mancanza di lavoro che riporta a delinquere ma il lavoro diventa determinante in soggetti fragili". Secondo la Pesarin manca la volontà politica di fare qualcosa di concreto per questi ragazzi e così lancia una proposta.

"Mettiamoci intorno ad un tavolo di lavoro - afferma - e cominciamo a pensare a interventi consistenti che partano magari proprio dalle famiglie perché è da lì che inizia il marcio. Sono le istituzioni che devono farsi carico di questi ragazzi, sono loro che, per come dicono le numerose leggi sull’argomento, hanno l’obbligo di promuovere il benessere del cittadino". Abbiamo, per dovere di "par condicio", cercato di sapere cosa sul territorio è stato progettato in favore di questi ragazzi. Nonostante il nostro continuo bussare, l’unica porta aperta è stata quella dell’assessorato comunale ai Servizi sociali dal quale comunque è stato puntualizzato che "non esiste nessuna legge secondo la quale il Comune debba farsi carico della tutela di questi ragazzi una volta finito il periodo detentivo, purtroppo non c’è legge che chiude il cerchio intorno al minore ed alla sua famiglia".

"L’attenzione dell’amministrazione Abramo verso i soggetti fragili - afferma l’assessore ai Servizi Sociali Caterina Laria - è massima, compatibilmente con le risorse economiche e le risorse umane a disposizione. Fino ad ora la legge "216" ha dato la possibilità di attivare una progettualità di orientamento lavorativo e di formazione nonché di inserimento lavorativo. Tale normativa è stata abolita ma ritengo che a livello nazionale e regionale si possa rideterminare una normativa ad "hoc" per il sostegno di questa fascia d’utenza . I ragazzi ex detenuti formati da questo settore in maniera seria per essere competitivi nel mondo del lavoro sono circa 40". L’assessore Laria fa riferimento al progetto "La scuola della seconda opportunità" che si è svolto all’Ipm con finalità formative e di orientamento. Un’esperienza così valida che l’assessorato ha ritenuto di ripetere l’iniziativa con fondi propri rifinanziando il progetto per altri ragazzi detenuti o comunque sottoposti ad autorità giudiziaria. "Essendo consapevoli che questi ragazzi una volta dimessi dagli istituti o carceri venivano liberati in una società certamente prevenuta ed ostile e pertanto facilmente fagocitati dalle pieghe della criminalità - continua la Laria - insieme con la Regione Calabria e il Terzo settore si sta avviando l’apertura di una casa alloggio "l’Aliante" per accogliere circa 8 giovani già sottoposti all’autorità giudiziaria, sostenerli orientarli e poi inserirli nell’ambito sociale". Due sono le direttive da intraprendere secondo la Laria: la normativa e una risorsa economica congrua che dev’essere messa a disposizione per gli interventi "consapevole - conclude l’assessore - che la modalità del lavoro deve passare attraverso una rete di concertazione che vede operativi vari attori".

  

 

MA UN MINORENNE NON É UN CRIMINALE
di Vittorio Cristalli

 

ALTO ADIGE, 17 marzo 2002

 

"I bambini e gli adolescenti per crescere hanno bisogno di silenzio". La frase, pronunciata da una donna, presidente di tribunale dei minorenni ad un convegno del "redattore sociale" a Capodarco, riguardava il delicato tema dei rapporti tra informazione e minori: ma mi è tornata in mente a proposito dei due disegni di legge che il guardasigilli Castelli ha presentato al Consiglio dei ministri, per riscrivere le regole della giustizia minorile, sia in sede penale che in quella civile.
In sede civile, il disegno di legge Castelli prevede una delega al governo per la costituzione di sezioni specializzate SEGUE A PAGINA 53 per la famiglia e i minori presso i tribunali e le Corti d’Appello. Il giudizio sarà formulato da quattro giudici togati con l’esclusione quindi dei giudici onorari (psicologi, criminologi, psichiatri e assistenti sociali) che finora hanno affiancato i magistrati nelle decisioni riguardanti i minori. I "tecnici" saranno eventualmente interpellati, a guisa di consulenti esterni, qualora i giudici lo ritengano necessario.

Al Tribunale dei minorenni rimarrà solo la materia penale e sarà composto da un magistrato della Corte d’Appello e da uno del tribunale ordinario, più un giudice onorario (finora erano due). Ma quello che fa già discutere è l’evidente inasprimento delle sanzioni. Lo sconto di pena, finora previsto per tutti i minorenni, viene abbassato da un terzo a un quarto per i minori dai 16 ai 18 anni. Maggior rigore è previsto anche nelle misure collaterali. La presenza dei genitori al procedimento penale non sarà più obbligatoria, ma solo consentita. Più ampie anche le possibilità di misure cautelari e la custodia cautelare, è prevista anche per i disordini nell’ambito di manifestazioni pubbliche. Infine, al compimento del diciottesimo anno, i minori potranno essere trasferiti negli istituti carcerari per adulti.

È evidente il giro di vite e la tendenza a "normalizzare" l’intervento giudiziario nei confronti dei minori, sottraendolo a quella specificità che finora ha caratterizzato le procedure nei loro confronti. Al riguardo il ministro Castelli è stato anche troppo esplicito quando ha dichiarato che si tratta di "veri e propri criminali e non di adolescenti che sbagliano".
Evidentemente la grancassa mediatica su singoli casi, basti ricordare quello di Omar e Erika, sta producendo i suoi frutti e il "silenzio per crescere" si è tramutato in urlo. Basti dire che il noto psichiatra Vittorino Andreoli, intervistato dal settimanale "Vita", a commento di questo disegno di legge, è uscito con questa stroncatura: "Se dopo quarant’anni di studi sull’educazione e sul comportamento dei minori devo ancora avere a che fare con gente che crede di farli venire su dritti, bastonandoli, me ne vado; mi trasferisco a lavorare in Svizzera o in Francia".

E di fronte alla possibilità di trasferire i diciottenni in trattamento alle carceri per adulti, si è chisto "se chi ha scritto questa disposizione abbia idea di che cosa sia il carcere e se abbia immaginato il proprio figlio a Regina Coeli".
E’ stato detto, anche in quello che è stato definito "terzo ramo del Parlamento" e cioè a "Porta a porta" di Bruno Vespa, che in fondo si tratta di un adeguamento ai sistemi che vigono in Germania e in Inghilterra. Lo sappiamo. Personalmente ho potuto confrontare anni fa le modalità differenti nel trattamento dei minori tossicodipendenti in Italia e in Germania. Lì sono più sbrigativi e quando viene documentata la dipendenza, scatta un assegno molto simile alla pensione, viatico alla morte per overdose. Cosa che in modo mascherato si è introdotta anche da noi con la somministrazione del metadone come "riduzione del danno". Ma perché andiamo a copiare gli aspetti deteriori e non, come nel caso del conflitto di interessi, quelli più degni di essere esemplari?

L’Italia, nel trattamento dei minori con il suo sistema, che intreccia competenze psicologiche, pedagogiche e giuridiche, è all’avanguardia nel mondo. E di questo c’è bisogno in modo particolare nelle cause civili nelle quali sono coinvolti minori, come il divorzio, l’affido, l’adozione, perché i traumi psicologici sono sempre dietro l’angolo e la serenità della crescita è un diritto che deve far premio sugli interessi, sulle ripicche degli adulti e perfino sulla patria podestà. Sono noti anche da recenti fatti di cronaca i drammi di bambini contesi già cresciutelli o in tenera età. Il Diritto, specie in questi casi, va interpretato e non applicato dogmaticamente. Ora questo sistema si vuole smantellarlo.
In nome di che cosa? Della inesorabilità della pena?

Della semplificazione delle procedure? Si dirà che i delinquenti dovranno pur essere isolati e puniti: trattandosi però di adolescenti, il discorso si complica fino a configurare il boomerang. E qui torno a Vittorio Andreoli. Nella citata intervista, lo psichiatra dice che se accettiamo di parlare di giovani delinquenti, allora dobbiamo parlare anche di società delinquente: "Una società cattiva maestra che invece di rafforzare i bisogni affettivi dei giovani, promuove la criminalità". E una un’immagine, paragonando i giovani a vetri di Murano: "Sono bombardati di informazioni, ma dal punto di vista affettivo sono drammaticamente immaturi. E appena li metti alla prova si spaccano e non tutti sono in grado di avere il pieno controllo sui loro comportamenti".

Qui non si tratta di buonismo, bensì di assunzione di responsabilità. Tenendo presente che una civiltà non si misura sul Pil, né sul rigore delle sue carceri, bensì sul modo con cui tratta i suoi bambini e i suoi adolescenti.

 

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