Paolo Vercellone

 

Adulti per legge

di Paolo Vercellone (Presidente Ass. dei giudici per i minorenni e per la famiglia)

 

Narcomafie, giugno 2003

 

La riforma della giustizia minorile - e in particolare la parziale abolizione del tribunale dei minori - rischia di cancellare competenze maturate in decenni di esperienza. Con gravi danni sociali ed educativi. I due paralleli disegni di legge del 1 marzo 2002 che proponevano una riforma (e una parziale abolizione) dei tribunali per i minorenni avevano suscitato vigorose proteste sia da parte dei magistrati che in quei tribunali lavorano o hanno lavorato, sia da giuristi estranei alla magistratura, sia anche - fortunatamente - da parte di molti altri cittadini e associazioni che si occupano di minorenni.

L’impressione iniziale era che alcune scelte fossero fatte solo per la volontà di disfare l’esistente, ma leggendo adesso il testo unificato A.C. 2517 - approvato dalla Commissione giustizia della Camera a seguito di alcuni emendamenti presentati dal Governo - pare proprio che ci sia stata una rimeditazione, ed essendo in corso il lavoro della Commissione la situazione appare ancora fluida. Ciononostante, vale la pena fare alcune osservazioni sugli aspetti più importanti (per quelli minori si rimanda in altra sede) delle soluzioni per ora accolte e dei problemi ancora da risolvere.

 

Spazio ai giuristi

 

Alle prospettate sezioni specializzate per la famiglia e per i minori è attribuita, tra l’altro, la competenza che finora spetta ai Tribunali per i minorenni in materia civile, penale e amministrativa. Si eviterebbe, quindi, almeno uno degli inconvenienti più gravi a suo tempo segnalati, vale a dire il venir meno di un’unica giurisdizione relativa a tutti i minorenni, siano essi vittime di condotte pregiudizievoli da parte dei genitori o autori di reati o ragazzi la cui condotta pare necessitare di interventi rieducativi.

In queste sezioni operano giudici onorari che partecipano alla camera di consiglio in materia penale, uno su tre magistrati nel collegio giudicante, uno su due all’udienza preliminare. Secondo il testo unificato, il giudice onorario partecipa alla decisione anche nell’udienza preliminare, fa capolino anche in materia civile e - secondo l’art. 6 bis n° 2, non proprio un capolavoro di chiarezza – "ha il compito di delineare il profilo psicologico del minore e svolgere le audizioni nelle procedure di adozione". Curiosa attribuzione di funzioni, ma pare che finalmente il tabù relativo ai giudici non giuristi sia stato scalfito.

L’art. 4 attribuisce competenze alla sezione specializzata in composizione monocratica in tutte le materie riservate al giudice tutelare che, come si ricorda, è assorbito nella sezione nonché in altre competenze sparse di scarso rilievo, soprattutto in materia di nomina di curatori speciali. In questo ambito va comunque segnalata una certa ridondanza, in quanto alcune di queste competenze erano già affidate ad un giudice monocratico, o già comunque spettavano al giudice tutelare. Parrebbe invece opportuno aumentare le competenze del giudice monocratico (ad esempio l’autorizzazione dei minorenni al matrimonio, gli interventi del giudice in materia di fondo patrimoniale in presenza di figli minorenni, l’attribuzione del cognome).

 

Distinguo incomprensibili

 

Con l’art. 8 si rinuncia alla pretesa di affidare i compiti tipici dei servizi sociali prioritariamente ai servizi del Ministero di Giustizia o, in mancanza, a quelli dipendenti dai Comuni: le due categorie sono affiancate dalla congiunzione "e", non c’è una categoria da privilegiare, il giudice potrà chiedere l’aiuto degli uni o degli altri indifferentemente. Si tratta di un apprezzabile riconoscimento dell’importanza degli enti locali nella rete di servizi di assistenza alle famiglie e soprattutto ai ragazzi che, come si è spesso ripetuto, non sono figli del Ministero di Giustizia, ma della città, della comunità in cui vivono.

Fatti questi dovuti riconoscimenti, rimane spazio per alcune critiche, sia su aspetti particolari sia sull’opportunità delle due più rilevanti innovazioni, cioè l’abolizione del Tribunale per i minorenni e la riduzione della presenza dei giudici onorari soprattutto relativamente alla competenza civile.

Per quanto riguarda i giudici onorari, rimangono altri seri dubbi. In particolare ci si pone ancora l’interrogativo sul perché in materia civile si sia voluto così drasticamente ridurne le funzioni. La presenza del giudice onorario è rimasta, ovviamente, nella giurisdizione penale perché si è ritenuta utile la presenza di un non giurista per rendere più accurate le valutazioni della personalità del minorenne fatta da uno specialista. Davvero non si comprende perché la stessa utilità viene invece negata quando si tratta del delicatissimo accertamento dell’esistenza dello stato di abbandono o per stabilire se la condotta del genitore configuri o no violazione dei doveri o abuso dei diritti inerenti alla potestà con pregiudizio del figlio o, ancora, quando si decide dell’affidamento dei figli minorenni in occasione di separazione o divorzio "con esclusivo riferimento all’interesse materiale e morale" di essi.

È comprensibile, anche se non condivisibile, la diffidenza degli avvocati di fronte ad un giudice onorario che svolga funzioni istruttorie: lo psicologo non interroga ma colloquia e indaga a volte con modalità che sembrano incompatibili con gli strumenti processuali tipici, il non giurista meno facilmente si preoccupa del rispetto del contraddittorio. Meno comprensibile, invece, è la non accettazione dell’onorario come membro del collegio quando, come si è accennato, la decisione va fatta valutando l’interesse del figlio minorenne, non di un figlio in astratto, ma di quel bambino o adolescente con una propria sensibilità e personalità.

 

Esclusione e pregiudizio

 

Si è detto che i giudici potranno sempre, in caso di dubbio, valersi di una consulenza esterna (CTU) ma, intanto, è poco ragionevole addossare spese non indifferenti alle parti quando il dubbio dei giudici può essere sciolto da un componente del collegio. Inoltre, non è raro che i dubbi dei giudici togati aumentino di fronte a relazioni poco chiare di consulenti, specialmente se si debbono valutare anche le relazioni dei consulenti di parte: in casi del genere è prezioso il contributo di un giudice non giurista che possa meglio capire e comparare le valutazioni dei consulenti tecnici, proprio perché usa il loro stesso linguaggio. D’altronde coloro che propongono queste riforme indicano tra i loro scopi una migliore specializzazione dei componenti le sezioni di diritto di famiglia, specializzazione che era dei giudici minorili anche proprio per lo scambio di conoscenze tra le diverse professionalità. Insomma sembra che alla base vi sia un pregiudizio - condiviso solo da una parte degli avvocati - e non una serena valutazione. Per sedare le preoccupazioni degli avvocati sembrerebbe comunque sufficiente una presenza minoritaria del giudice onorario: uno su tre, come nella materia penale.

 

Vade retro magistrato

 

Vale la pena, inoltre, di manifestare qualche preoccupazione circa i motivi veri e i probabili effetti della soppressione dei tribunali per i minorenni. Credo che su questo punto non ci sia da attendere ripensamenti. Salvo miracoli - come tali imprevedibili - il Tribunale per i minorenni come autorità giudiziaria autonoma è ormai destinato all’estinzione; in questo senso l’attuale maggioranza, parlamentare e di governo, è ben decisa ad andare avanti.

D’altronde la scelta delle sezioni specializzate presso i Tribunale ordinari al posto di un Tribunale per i minorenni non è una novità. Essa veniva proposta, a varie scadenze, da ampi settori di giuristi e di parlamentari. Il motivo allora indicato era quello di eliminare una vera o supposta "separatezza" della categoria dei giudici minorili dall’insieme della magistratura, separatezza che, in realtà, sembrava accentuata dalla presenza di un’apposita associazione di quei giudici, che organizza propri congressi annuali e cui fa capo anche una rivista rivolta specificatamente ai tempi "minorili". Personalmente sono dell’opinione che non fosse un gran male, anzi mi pare che si trattasse e si tratti di un aspetto importante dell’autentica specializzazione ottenuta in un campo di attività dove davvero è essenziale che ci siano persone che non sappiano soltanto di diritto, ma conoscano anche da vicino la speciale realtà nella quale operano.

Ma questa volta sembra che gli scopi della riforma, almeno per quanto riguarda il settore civile, siano diversi e vadano più in là della volontà di eliminare la cosiddetta separatezza. Mi pare che si sia voluto tagliare un po’ le unghie ai magistrati che debbono applicare le norme "contro" i genitori (adottabilità, decadenza dalla potestà). Non vi sarebbe da stupirsi né da indignarsi eccessivamente. Può darsi che in tutti questi anni vi sia stato qualche eccesso di interventismo e che una rigorosa interpretazione delle norme abbia ridestato nell’animo di una parte degli italiani quel mai cancellato desiderio di "essere proprietari" dei propri figli, proprietà che non ammette interferenze da parte di terzi e soprattutto di "odiosi" magistrati. Ogni maggioranza legislativa fonda o dovrebbe fondare le sue norme su proprie ideologie. Quella attuale ha il suo slogan nella richiesta di "meno Stato", dunque meno Stato anche nelle famiglie.

 

Non solo nel Terzo mondo

 

Ora è evidente che nel prospettato nuovo sistema i giudici, non più esclusivamente "minorili", saranno assai meno impegnati a difesa dei diritti dei bambini. Intanto avranno molte altre cose da fare e forse saranno più impegnati a risolvere le spesso durissime controversie tra coniugi; poi saranno meno interventisti, più "tranquilli", come di solito sono i giudici togati che operano nel civile. Inoltre, poiché i loro interventi potranno farsi essenzialmente su iniziativa del PM - anch’egli assai meno motivato e specializzato degli attuali procuratori della Repubblica presso i Tribunali per i minorenni - si può essere sicuri che rapidamente si giungerà al risultato voluto: meno interferenze giudiziarie, più "libertà" dei genitori nella scelta dei metodi educativi, anche quando dovesse concretarsi in un pregiudizio effettivo degli interessi dei loro figli.

Come ho già detto, questo non deve indignare eccessivamente, ma almeno è lecito preoccuparsi. In realtà, salvo pochissimi casi inopportunamente enfatizzati dai media, i giudici per i minorenni si sono finora occupati di situazioni di gravi inadempienze a quell’obbligo di protezione dei bambini e dei ragazzi che è pur sancito da convenzioni internazionali. Si tratta di realtà conosciute soltanto dagli operatori sociali e, appunto, dai giudici per i minorenni che le hanno scoperte a poco a poco tramite la loro esperienza giornaliera.

In fondo è proprio la maggioranza degli italiani ad essere persuasa che l’abbandono, il maltrattamento, lo sfruttamento, anche sessuale, dei più giovani, cittadini o no, sia un fenomeno ormai diffuso solo nel Terzo mondo. Il rischio, grave, è che a conoscere questa realtà rimangano solo gli operatori sociali; e si rammenti che anche i servizi a favore dei minorenni sono destinati a ridursi di quantità e di qualità se continua il taglio dei mezzi economici degli enti locali e la pressione negativa nei confronti di una politica di "benessere sociale" poco accettata dagli attuali gruppi dirigenti.

 

Sensibilità ed esperienza

 

Un pericolo altrettanto grave sta nell’assegnazione a giudici ordinari, seppure di sezioni specializzate, dei procedimenti penali ed amministrativi, assegnazione della quale pure si è prima sottolineata la positiva rilevanza per conservare l’unitarietà della giurisdizione. Rischia di andare perduta una cultura, ormai pluridecennale, nella valutazione oltre che del fatto - reato anche e soprattutto della specifica personalità di un ragazzo in piena età evolutiva.

È essenziale non dimenticare che esistono le "regole minime per l’amministrazione della giustizia minorile" (c.d. "regole di Pechino", del novembre 1985) che prevedono tra l’altro un potere discrezionale della giustizia minorile "in considerazione delle speciali esigenze del minore", potere discrezionale il cui esercizio è affidato a persone "particolarmente qualificate e specializzate per esercitarlo responsabilmente"; la Convenzione di New York, del novembre del 1989, che impone una cautela massima nell’applicazione della custodia preventiva e nell’incarceramento, che debbono essere usati come ultimo mezzo; la raccomandazione 20/1987 del Consiglio d’Europa, la quale, premesso che tutte le misure prese a riguardo dei minori dovrebbero avere un carattere educativo, raccomanda tra l’altro di evitare il rinvio dei minori alla giurisdizione degli adulti là dove esiste un sistema di giustizia minorile e di ridurre al massimo la carcerazione dei minorenni.

In sostanza, fare un processo penale a un ragazzo è cosa ben diversa dal farlo a un adulto: bisogna avere conoscenza, per esperienza o cultura, non solo delle leggi ma anche e soprattutto della realtà giovanile in un certo contesto ed in un certo momento.

Tutto questo non si raggiunge facilmente attraverso qualche lettura o corso di aggiornamento; i giudici delle sezioni distaccate avranno seri problemi a fare bene i giudici penali dei ragazzi, e problemi ben più gravi avranno quei ragazzi che dovranno essere giudicati. Naturalmente non tutti gli attuali giudici nei tribunali per i minorenni sono bravi giudici per ragazzi e, soprattutto, si ricordi che anch’essi hanno dovuto imparare con l’esperienza. Non credo quindi che si venga a creare una situazione impossibile da gestire, soprattutto se i giudici onorari sapranno collaborare coi togati e questi avranno la giusta dose di modestia per comprendere che tutto si deve imparare.

 

Gli effetti sull’adozione

 

Nella grande maggioranza dei casi, i più seri problemi della giustizia penale minorile si hanno nelle grandi città, che più agevolmente disporranno di magistrati penali più specializzati perché provenienti dai disciolti tribunali per i minorenni.

È però un fatto che le difficoltà saranno tante, anche sotto l’aspetto logistico: le sezioni speciali di custodia e gli uffici di servizio sociale del Ministero di Giustizia dovranno forse rimanere uniche nella sede distrettuale e ciò provocherà situazioni non agevoli; forse si dovranno moltiplicare i centri di prima accoglienza. Non è infine da dimenticare il complesso tema dell’eventuale decentramento delle funzioni in materia di adozioni ora spettanti ad un accentrato ed unico Tribunale per i minorenni; problema ancor più grave nell’ambito delle adozioni internazionali.

Già sorgono perplessità per quanto riguarda il procedimento per le dichiarazioni di adottabilità ma, soprattutto, sembra quasi insormontabile la difficoltà di decentrare i momenti del cosiddetto abbinamento, cioè della scelta della coppia ritenuta idonea ad adottare uno specifico bambino già dichiarato adottabile, e della decisione di dichiarare l’idoneità all’adozione internazionale. Intanto sembra essenziale un’uniformità di valutazione delle coppie che chiedono l’adozione internazionale, almeno nell’ambito di una regione - o meglio: distretto di corte d’appello - per non creare, tra i cittadini di diverse province e, peggio, circondari di tribunale, poco accettabili diversità nei criteri per una valutazione così delicata e importante. Inoltre e soprattutto, la scelta non può essere fatta decidendo di abbinare alle coppie residenti in una determinata provincia solo i bambini dichiarati adottabili nella stessa provincia. L’ambito dei candidati deve essere sufficientemente ampio per consentire scelte adeguate, soprattutto quando si tratta, com’è ormai quasi la regola, di bambini non piccolissimi o con problemi.

 

Meno sedi, più competenze

 

Insomma, continuo a credere che la scelta di fondo - del decentramento delle funzioni - non sia cosa opportuna: i vantaggi mi sembrano inferiori agli svantaggi. Se comunque quella scelta sarà confermata, come pare, molto dipenderà dalla quantità di sedi di istituzioni specializzate: meno saranno, meno gravi saranno i problemi anche per quanto riguarda la necessaria esclusività delle funzioni.

La prospettata soluzione di una sezione per ogni capoluogo di provincia pare il minore dei mali (anche se le province sono ormai troppo numerose); ma c’è il timore di una pressione della categoria degli avvocati che vedranno mal volentieri lo spostamento della competenza per separazioni e divorzi fuori del "loro" tribunale.

Di certo, però, per ridurre il più possibile gli inconvenienti, sarebbe necessario attribuire soltanto alle sezioni specializzate presso i Tribunali ove ha sede anche la Corte d’appello sia le competenze penali ed amministrative, sia quelle relative alle procedure di adozione nazionale ed internazionale (magari escludendo le procedure per la dichiarazione dello stato di adottabilità). Queste sezioni, d’altronde, già sarebbero le più impegnate in quanto il lavoro, sia in civile sia in penale, è soprattutto concentrato nelle grandi città, sedi di Corte d’appello, dove opera il maggior numero di avvocati specializzati in materia minorile, sia adottiva che penale. Una buona soluzione sarebbe insomma quella di una sezione specializzata nelle grandi città con organici rinforzati, con competenza territoriale allargata (distretto di appello) e competenza esclusiva in materia penale e di adozione di minorenni, sia nazionale, sia internazionale, e funzioni di magistratura di sorveglianza per i minorenni, lasciando alle altre sezioni specializzate il resto delle competenze.

Vedano i legislatori - perché è questo il loro compito - di giungere a una buona legge senza badare troppo a forzature "ideologiche" o, peggio, "corporative", ma a criteri di vera efficienza a favore di bambini e adolescenti ai quali, e solo ad essi, summa reverentia debetur.

 

 

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