Commenti progetto riforma

 

L’Associazione giudici per i minori:  
«Si torna indietro di settant’anni»

Il Messaggero, 3 marzo 2002

Pene più aspre per i minori. E ancora: carcere "normale" una volta raggiunta la maggiore età, via i tribunali dei minorenni e spazio alle "sezioni specializzate" all’interno dei Palazzi di giustizia. Dove non ci saranno più collegi misti, con la presenza di esperti, ma solo giudici togati che si potranno avvalere della consulenza esterna di chi potrà aiutare a far luce nell’indagine in corso. Sono le novità principali dei nuovi disegni di legge sui minori, appunto, e sulla delinquenza minorile. Che prevedono anche l’esclusione dell’istituto della messa in prova per i reati più gravi, come l’omicidio e la violenza sessuale.

Ecco come il ministro della Giustizia, Roberto Castelli, giustifica i nuovi ddl approvati ieri dal Consiglio dei ministri: «La delinquenza minorile è cambiata. Non si tratta più di teppistelli, ma ci sono ormai ragazzi di 16 anni che commettono reati gravi, come gli adulti. Era necessaria quindi una restrizione delle previsioni attenuanti». Non è tutto. «L’impianto penalistico in vigore – ha aggiunto Castelli – era stato pensato sulla base di un tipo di delinquenza che non esiste più. Gli esperti ormai sono concordi nel dire che la realtà è un’altra. Non si possono più trattare come adolescenti che sbagliano, ma come veri criminali. Siamo quindi intervenuti su alcuni punti, restringendo la diminuente prevista dal codice da un terzo a un quarto, e prevedendo la possibilità che il minore, compiuti i 18 anni, sconti la pena in istituti carcerari per maggiorenni».

Ci sarà anche una "rivoluzione" nei tribunali per minori. «Sperando non di eliminare gli errori giudiziari – precisa il Guardasigilli – ma che almeno si riducano i drammi familiari». In pratica saranno unificate le competenze civili in materia di famiglia e minori, come ha spiegato lo stesso Castelli «con l’attribuzione delle stesse a sezioni specializzate presso i tribunali ordinari. Le sezioni saranno composte unicamente da giudici togati. E gli esperti saranno solo consulenti del giudice, che torna alla sua funzione giurisdizionale. Cambierà tutto, speriamo che sia efficace». I ddl approvati prevedono inoltre una procedura più snella e tendente alla realizzazione del contraddittorio tra le parti, e il coinvolgimento dei genitori nelle procedure di affidamento dei figli minori, nei casi di separazione e divorzio.

I nuovi disegni di legge non sembrano però essere stati accolti con il sorriso dagli addetti ai lavori. «Vengono cancellati 70 anni di cultura minorile – è la protesta del vicepresidente dell’Associazione giudici minorili, Vittoria Randazzo – Questa è una riforma che rappresenta un’involuzione: privilegia gli adulti e non fa un buon servizio ai bambini». Al centro delle critiche la decisione di «eliminare» la componente onoraria, psicologi, neuropsichiatri infantili, pediatri e criminologi che, come prevede la legge istitutiva del tribunale dei minorenni, affiancano i giudici minorili. «Con il ddl – spiega il giudice – i componenti onorari vengono relegati al ruolo di consulenti esterni. E questo, oltretutto, costerà moltissimo allo Stato». Questi esperti, assicura Vittoria Randazzo, «hanno un ruolo fondamentale, perché occuparsi di bambini non è la stessa cosa che occuparsi di diritto societario». Ed è proprio la componente onoraria, sostiene ancora, «che ha fatto del nostro diritto minorile, fino ad oggi, un fiore all’occhiello del nostro sistema giudiziario».

IN CARCERE A FINE 2000

A fine 2000, erano 440, di cui 54 femmine, i minori ristretti negli Istituti loro riservati. Dei 1.886 in entrata, 1.107 stranieri e 779 italiani.

LE CAUSE

Al primo posto ci sono furti, rapine ed estorsioni. Al secondo lesioni e abusi sessuali. In crescita anche il fenomeno delle baby gang.

PIU’ AL NORD

La criminalità minorile è più diffusa nel Settentrione (40%), meno nel Sud (23%). Primi in classifica Torino (551), Firenze (438) e Venezia (334).

MOLTI NOMADI

Del 42,5% di minori stranieri denunciati, il 22,3 arriva dalla Serbia-Montenegro, il 7% dalla Croazia e 6,1% dalla Bosnia.

CRIMINALITÀ MINORILE: STORIE DI ESTORSIONI, SPACCIO, 
RAPINE RACCONTATE DAI PROTAGONISTI A UN MAGISTRATO DI NAPOLI

LA STAMPA,

Ciro ruba per la prima volta a tredici anni. A sedici è già detenuto per estorsione e spaccio di droga. Una carriera niente male, deve pensare qualche amico suo. Ma questo è Ciro delinquente. Quali sono i passaggi di Ciro bambino che nasce nel disagio, finisce nella devianza e rotola nel crimine? Eccoli. Padre ignoto e madre malata di mente, messo fuori dalla scuola senza tanti scrupoli, finito in istituto, accolto da una nonna amorevole quanto incapace, che lo vizia con la misera pensione. Ciro vuole il motorino? Ecco il motorino. Peccato che glielo rubano e, per farglielo riavere, chiedono un «cavallo di ritorno», un pizzo di trecentomila lire. Basta prenderli di nascosto all´adorata nonna. Glielo rubano un´altra volta, alzano il prezzo del «cavallo», ma gli pongono un´alternativa: «Se ti unisci a noi le cinquecentomila le puoi guadagnare ogni giorno». Ciro è arruolato, pronto a essere coinvolto anche in un´accusa di omicidio. Oltreché arruolato, adesso Ciro - ex bambino del quartiere Scampia - è un «fascicolo» del Tribunale per i minorenni, destinato a passare alle Procure ordinarie. A questi «fascicoli» dà vita - storie e pensieri, ostinazioni e ripensamenti - Melita Cavallo, per trent´anni magistrato minorile, con il saggio Ragazzi senza (Bruno Mondadori editore). Tecnico e meticoloso, concentrato di procedura penale, psicologia e sociologia, Ragazzi senza è scritto con un linguaggio semplice e alla portata di tutti, per far capire origini del crimine, sbarre, perdoni e rieducazioni. Ne vien fuori il ritratto del disagio, poi quello della devianza, un mare mosso e cangiante, che non è ancora crimine, mentre il crimine è sempre figlio della devianza. E vengono fuori le risposte del diritto e della società, quelle che talora appaiono facile buonismo e sono invece la via più rapida, e faticosa per chi la deve percorrere, verso il recupero. I ragazzi si raccontano ai giudici. Pietro, 16 anni, famiglia regolare, studente alle superiori, scarso profitto, va con amici maggiorenni a tirar sassi da un cavalcavia. Ci scappa una vittima. Perché l´ha fatto? «Non so», risponde. Il magistrato insiste, e lui va oltre la noia, il vuoto: «Volevo vedere che cosa si prova, se avevo paura oppure no. I miei amici dicevano che avrei avuto paura e non ce l´avrei fatta». Imitazione, emozioni forti e paura di essere escluso. Ma se quello frequentava la scuola, altri sono veramente gli orfani di una delle strutture fondamentali per la loro vita, dopo la famiglia. Il ritratto che ne fa la Cavallo è dolente: emarginazione al posto dell´aiuto, rifiuto al posto dell´accoglienza. E allora il ragazzo «zavorra» - mortificato, sospeso, respinto, umiliato - può sorridere grato e dire: «Signor giudice, meglio a Nisida che a scuola». Perché Nisida è il carcere minorile napoletano, dove non ti etichettano e, piuttosto, ti spingono avanti. Era l´anno scolastico 1977-78. Due alunni di una media bruciarono alcune suppellettili: furono sospesi per tutto l´anno. Il che andava contro un diritto stabilito dalla Costituzione, ma ne faceva due buone prede per chiunque offrisse loro un´alternativa. Nessuno si era soffermato a chiedersi perché. Forse avevano esagerato perché, di fronte a certe richieste d´aiuto inascoltate, è davvero meglio Nisida? Si raccontano, i ragazzi. Lo fanno anche scrivendosi fra loro, da un quadrato di sbarre all´altro, prima del processo. E proprio quel carteggio diventa elemento di fondo in un processo per l´assassinio di un commerciante durante una rapina. Sono in quattro, vivono in un quartiere a rischio e lo rivivono nella corrispondenza: l´unica coesione è lo sballo, non c´è traccia di sentimenti, nostalgia della famiglia, accenno a una ragazza. C'è l´esaltazione di spinelli e impennate con la moto. E c´è bisogno di qualche soldo e questi soldi può averli un negoziante. Il leader procura la pistola, ma è doveroso esserci tutti, con i passamontagna, a sentirsi forti. La vittima reagisce e chi impugna l´arma, impreparato, sorpreso, spaventato, preme il grilletto. Il gruppo e lo sballo. Il gruppo e l´eccitazione che li lega non per affetti ma per comunanza di disagio. Come gli altri quattro che vanno a veder un film porno, escono, trovano una ragazzina debole mentale e traslocano le molestie verbali in uno stupro di gruppo, dove il più timido e introverso, se non vuol esser messo fuori dal branco, deve almeno partecipare tappandole la bocca. Orrore, certo. Ma è altrettanto orrore il muro che gli inquirenti trovano nel quartiere. Il silenzio, l´omertà, l´essere altro rispetto alla stato, alla convivenza, alla comunità. Omertà da parte di chi domani potrà essere la vittima di ciò che ha coperto. Nessuno giustifica determinati gesti, ma se ne cerca spiegazione. La Cavallo ricorda che quando un giovane «pentito» (esistono già anche fra i minori) lascia il clan, dice testualmente: «Io non appartengo più». E´ cessata un´identificazione di ruolo, ma con chi? Con lo stesso mondo che aveva incontrato Ciro. In un test su 300 bambini (160 maschi e 140 femmine), il camorrista viene raffigurato come un leone, una volpe, un giaguaro, un lupo, un orso. Altri minori, di quartieri residenziali, più che eroismo, regalità o astuzia, vedono la pericolosità: ecco allora falchi, pipistrelli, vipere. Il libro di Melita Cavallo non è l´atteggiamento comprensivo generalizzato di un giudice verso le persone che ha dovuto giudicare. E´ lo sguardo più ampio sui mondi che li hanno generati, accolti, spinti, utilizzati e anche cristallizzati nel crimine. Ma non tutti. C´è la vera storia di Rita Atria, che tutta la sua fiducia regala a Paolo Borsellino e si butta dal settimo piano quando viene a sapere che quel faro glielo hanno fatto saltare in aria. E ci sono quelli che - fra carcere, perdoni, affidi in prova, lavori a favore della vittima - ce l´hanno fatta: «Quella vita non faceva per me. Io voglio una casa e una famiglia, non un carcere come casa e i poliziotti come famiglia».

Ma negli istituti minorili non si parla italiano:  
straniera la maggioranza dei giovani detenuti

IL GIORNO,

Si dice carcere minorile e subito si pensa ai fidanzatini killer Erika e Omar, o ai boss mafiosi in erba che emulano le gesta dei grandi, o ancora alle baby-gang che imperversano nelle città taglieggiando e ricattando, spesso con violenza inaudita, i coetanei.

In realtà quelli che una volta si chiamavano riformatori sono pieni soprattutto di ragazzi stranieri, giovani pusher mandati allo sbaraglio o ladruncoli zingari assoldati dalle famiglie, che contano proprio sulla loro sostanziale impunità.

I dati del 2000

Alla fine del 2000 erano 440 — di cui 54 femmine — i minori presenti negli istituti penali per Minorenni. E nello stesso anno sono stati 1.886 gli ingressi, (una stessa persona può essere conteggiata più volte), di cui 1.107 stranieri e 779 italiani.

È quanto risulta dai dati del 2000, gli ultimi disponibili, del dipartimento per la Giustizia Minorile sui flussi negli istituti minorili.

Oltre agli istituti penali per minorenni, IPM, le strutture riservate a chi ha una età tra i 14 e i 21 anni, sono i centri di prima accoglienza (CPA), gli uffici di servizio sociale per minorenni (USSM) e le comunità.

Negli istituti penali per minorenni si sconta la pena prevista fino al compimento del ventunesimo anno di età. Oggi il disegno di legge di riforma approvato dal governo prevede al compimento del diciottesimo anno il passaggio agli istituti penitenziari per maggiorenni.
Gli IPM sono 17, dislocati in quasi tutte le regioni: solo quattro (Milano, Torino, Roma e Nisida) hanno una sezione femminile.

Sempre meno gli italiani quindi, e sempre più gli stranieri minorenni che sono «ospiti» delle strutture della giustizia minorile, anche se il numero complessivo rimane costante. Per la maggior parte dei minori detenuti il reato contestato è contro il patrimonio, ma non mancano gli omicidi volontari e l' associazione mafiosa.

Netta prevalenza di maschi

La prevalenza maschile è netta, almeno per gli italiani, mentre per gli stranieri la differenza con le femmine è molto minore.

Nei CPA, che ospitano i minori arrestati o fermati e accompagnati fino all' udienza di convalida, nel 2000 sono stati registrati in 3.994, il 6 per cento in meno rispetto all'anno precedente.
Gli stranieri sono stati il 56,3 per cento, mentre nel '91 gli italiani erano stati 2.170 contro 1.902 stranieri.

 

 

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