Rassegna Stampa Smuraglia

 

Il decreto del ministero della giustizia n° 87/2002,
sugli sgravi fiscali alle imprese che assumono detenuti


Italia Oggi, 11 maggio 2002

 

Assumere un detenuto conviene alle aziende. Per ogni contratto di lavoro subordinato di durata non inferiore al mese, infatti, spetterà all’impresa un credito d’imposta mensile pari a 516,46 euro. Lo stesso bonus sarà concesso anche a chi svolgerà attività formative nei confronti di detenuti o internati, a condizione che la formazione porti poi all’assunzione del lavoratore o al suo impiego in attività lavorative gestite in proprio dall’amministrazione penitenziaria. A quasi due anni dalla sua introduzione, trova attuazione, con il dm 87/2002 pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n° 107 del 9 maggio, l’incentivo previsto dalla legge n° 193/2000.

 

 

Pronto il regolamento della legge 193/2000. 

Arrivano 12 miliardi per il lavoro nelle carceri

 

Italia Oggi, 27 settembre 2001

 

Dodicimila milioni in tre anni a favore delle imprese che assumono detenuti. È oramai prossimo alla definitiva entrata in vigore il regolamento recante sgravi fiscali per le imprese che assumono lavoratori detenuti. A più di un anno dal varo della legge Smuraglia (n° 193/2000), la riforma del sistema del lavoro in carcere si sta completando.

Il decreto del Ministro della Giustizia, di concerto con il Ministro del Lavoro e il Ministro dell’Economia, attende solo il parere, che dovrebbe essere pronto la prossima settimana, delle Commissioni Lavoro di Camera e Senato.

Il ritardo è stato causato dall’assenza di una relazione tecnica che desse informazioni dettagliate circa la congruità delle risorse impiegate. La legge Smuraglia, all’articolo 3, prevedeva la concessione di sgravi fiscali alle imprese che assumessero lavoratori detenuti o che svolgessero nei loro confronti attività formativa. La legge, però, richiedeva un decreto che specificasse, nel dettaglio, quali e quanti fossero tali incentivi. In mancanza di tale decreto interministeriale la legge è stata ritenuta inattuabile da una parte consistente della magistratura.

Il regolamento, che pone fine a tale vuoto normativo, prevede un credito di imposta pari a 1 milione mensile per ogni lavoratore detenuto o ammesso al lavoro all’esterno che sia assunto o adeguatamente formato.

Il provvedimento ha efficacia retroattiva al 28 luglio 2000 ed è sottoposto a una duplice condizione: che il contratto di lavoro subordinato non sia inferiore a 30 giorni e che il trattamento economico non sia inferiore a quello previsto dai contratti collettivi di lavoro. Allo scopo di evitare automatici e beffardi licenziamenti proprio al momento cruciale dell’uscita del detenuto dal carcere, il regolamento infine prevede che le agevolazioni si estendano sino a sei mesi oltre la fine della pena detentiva. In piena campagna giubilare pro-amnistia, il legislatore, pur non mettendo mano alle misure di clemenza, volle ugualmente occuparsi di lavoro in carcere, consapevole dell’alto numero di detenuti disoccupati.

Nel giro degli ultimi dieci anni la percentuale dei detenuti lavoranti si è drasticamente ridotta: dal 43,54% del 1990 all’odierno 24,15%.

E i detenuti che prestano attività non alle dipendenze dell’amministrazione penitenziaria costituiscono un esiguo 3,18%. Il dato è ancora più allarmante se si considera che vengono conteggiati nelle statistiche ufficiali anche coloro i quali lavorano a turno, per poche ore settimanali, o anche per una sola ora al giorno.

Inoltre oggi in carcere, oltre a lavorare poco, si svolgono lavori dequalificati. Una buona parte dei lavoranti sono impiegati in attività di amministrazione domestica, la cui stessa denominazione ne spiega lo scarso appeal professionale: scopino, spesino, portavitto, scrivano.

Sembrano lavori di altri tempi, e invece sono i lavori del carcere. Non vi sono più lavorazioni industriali. Molti laboratori in carcere sono stati chiusi perché non in regola rispetto alla normativa anti-incendio o sulla sicurezza sul lavoro.

Ora si spera che la legge Smuraglia, finalmente dotata di un regolamento che la rende operativa, dia nuovi stimoli alle imprese perché investano in carcere.

Si tratta però di far conoscere l’esistenza di tale strumento normativo alle imprese. Una delle vie possibili è quella degli sportelli di orientamento al lavoro in carcere, oramai numerosi in tutta Italia. L’ultimo dei quali, il CILO del comune di Roma, è stato presentato a Rebibbia lunedì scorso alla presenza del direttore dell’ufficio centrale detenuti del DAP, Francesco Gianfrotta, e dell’assessore al lavoro capitolino, Luigi Nieri.

 

Bonus a chi assume i detenuti. Credito d’imposta

di un milione al mese per le imprese.

Sì del Consiglio di Stato al regolamento

d’attuazione della legge n° 193/2000.

 

Italia Oggi, 4 agosto 2001

 

In arrivo per le imprese un credito d’imposta pari a un milione al mese, per ogni lavoratore detenuto assunto. Stessa agevolazione anche alle imprese che fanno formazione finalizzata a far acquisire al detenuto una professionalità utilizzabile in attività lavorative all’interno del penitenziario. È quanto prevede lo schema di regolamento, messo a punto dal ministero della giustizia, per dare attuazione alla legge 193/2000 (Norme per favorire l’attività lavorativa dei detenuti).

Il provvedimento si aggancia in particolare all’articolo 4 della legge, il quale dispone che le modalità ed entità degli sgravi fiscali e delle agevolazioni concesse alle imprese siano determinate annualmente con apposito Decreto ministeriale della giustizia, in concerto con i ministri del lavoro e dell’economia. Dopo l’acquisizione dei concerti da parte delle amministrazioni interessate e il disco verde del Consiglio di Stato (avvenuto nel corso dell’adunanza del 18 giugno scorso), il regolamento, composto di cinque articoli, è ora pronto per il varo definitivo.

Il ministero della giustizia ha individuato come misura concreta di attribuzione dello sgravio fiscale la concessione alle imprese di un credito d’imposta pari al milione di lire al mese per ogni detenuto (o internato) assunto o ammesso al lavoro esterno, con regolare retribuzione, per un periodo di tempo non inferiore a 30 giorni. Così come richiesto dalla legge, il provvedimento prevede che la misura agevolativa si applichi anche nei sei mesi successivi alla cessazione dello stato di detenzione della persona assunta.

Il credito d’imposta, sempre per un importo pari ad un milione per ogni lavoratore, sarà concesso anche alle imprese che svolgono attività di formazione propedeutica all’assunzione o, comunque, preordinata al conseguimento di professionalità che possano essere “spese” in attività lavorative espletate all’interno degli istituti di pena.

Per quanto riguarda le osservazioni proposte dal Consiglio di Stato, nonostante il parere favorevole, la sezione consultiva per gli atti normativi di Palazzo Spada ha evidenziato alcuni punti sui quali il ministero della giustizia dovrebbe intervenire in sede di stesura definitiva del regolamento.

A parte i rilievi di carattere formale, il Consiglio di Stato ha posto in evidenza l’assenza di una specifica attenzione nei confronti delle imprese che svolgono attività formative in favore dei giovani detenuti, un punto, questo, al quale la legge 193/2000 dedica diverse disposizioni e che risulta invece trascurato nel provvedimento attuativo.

Stesso discorso relativamente al richiamo alla necessità di favorire l’organizzazione di lavorazioni all’interno dei penitenziari: la normativa applicativa, secondo i giudici, andrebbe integrata “dalle più generali finalità di reinserimento dei detenuti nel mondo del lavoro, anche tramite adeguati percorsi di formazione professionale.

Un altro aspetto da specificare è poi quello del trattamento economico da riservare al detenuto -lavoratore. L’articolo 2, comma 2 del regolamento, fa riferimento al trattamento economico di cui all’articolo 20 della legge 354 del 1975. Un riferimento insufficiente, secondo il parere del supremo organo di giustizia amministrativa, “atteso che la predetta disposizione non reca particolari previsioni al riguardo, se non il generalissimo obbligo di remunerazione del lavoro penitenziario”. C’è poi la questione, tutta da delineare, del ruolo delle amministrazioni locali.

Il Consiglio di Stato, in proposito, chiede al ministero della giustizia di valutare “l’opportunità di escludere pregiudizialmente ogni agevolazione (alle imprese, n.d.r.) in caso di stipulazione d’apposite convenzioni con enti locali ai fini dell’attività formativa, prescindendo dal contenuto (e quindi dall’eventuale sussistenza d’altre forme agevolative) delle convenzioni medesime”.

L’ultimo rilievo è invece riservato alla parte delle verifiche, con i giudici di Palazzo Spada che ritengono “auspicabile” l’indicazione, da parte del ministero della giustizia, del tipo di atto con il quale saranno fissate le procedure di controllo sui crediti d’imposta erogati alle imprese beneficiarie delle agevolazioni.

 

“Il lavoro oltre le sbarre? Portatecelo”. 

 

Avvenire, 26 luglio 2001

 

La Giustizia che ha in mente il Guardasigilli fa discutere. Se convince quasi tutti l’affermazione del ministro Castelli di voler incentivare il lavoro per i carcerati, l’Associazione nazionale magistrati (A.N.M.) si dice invece preoccupata ma “pronta a un leale confronto” su temi quali la riforma del processo civile, mentre i direttori penitenziari - SIDIPE - hanno già pronto un documento sulle “maggiori problematiche e disfunzioni del sistema carcerario”.

Castelli convince solo in parte l’avvocatura - ha dichiarato l’avvocato Emilio Nicola Buccico, presidente del Consiglio Nazionale Forense-. Le linee esposte alla Commissione Giustizia della Camera appaiono ispirate a cautela nella previsione dei ruoli distinti per giudici e PM - ha aggiunto - è opportuno ribadire che il processo accusatorio postula - concettualmente e nella prassi - la separazione delle carriere. Perplessità suscitano anche gli annunci generici alla velocizzazione del processo civile e ai rimedi possibili.

Il sindacato autonomo della polizia penitenziaria (OSAPP), intanto, scende in piazza e chiede cinquemila agenti. Ma quello che ha colpito di più chi lavora in carcere è l’intenzione di Castelli di creare opportunità di lavoro.

“Il problema è che cosa fargli fare? si domanda don Giorgio Caniato, a capo dei cappellani delle carceri -. Se per legge il direttore del penitenziario è anche manager e deve provvedere a trovare i potenziali clienti, cioè chi compera il lavoro dei detenuti. La possibilità di riabilitarsi passa proprio dall’occupazione e anche la semilibertà ha questo significato: preparare i detenuti all’uscita, al dopo.

Per Caniato occorre inoltre sfrondare la burocrazia: “Il paradosso è che se una ditta richiede un detenuto ma non sono pronte le carte, quello perde la sua unica opportunità”. Ma trovare i “clienti”, vale a dire le ditte disposte ad assumere un detenuto, non è facile, soprattutto se gli imprenditori non hanno il minimo tornaconto.

“Per questo solo pochissimi detenuti lavorano all’esterno - spiega Luigi Pagano, direttore di San Vittore -, mentre la maggior parte è impegnato in attività interne come scopino, cuoco e in altre mansioni retribuite però dall’amministrazione. Pagano chiede subito l’approvazione del Regolamento attuativo della legge Smuraglia, che prevede appunto la detrazione degli oneri sociali per le ditte che entrano in carcere. San Vittore soffre per il sovraffollamento - spiega Pagano -, con il doppio dei detenuti che dovrebbero esserci, ma nel carcere di Bollate capannoni e spazi adeguati potrebbero ospitare qualsiasi tipo di produzione e a qualsiasi ora, anche di notte. Siamo disposti a rivoluzionare il ritmo della vita detentiva, pur di dare a tanti la possibilità di tenersi occupati”.

Mauro Imperiale, educatore da 22 anni, impegnato con gli extracomunitari del carcere di Como (un quarto della popolazione presente) si è convinto che solo collegando il penitenziario all’attività esterna è possibile la riabilitazione. “Abbiamo inserito in un’attività esterna una ragazza colombiana - racconta dispiaciuto- grazie a una borsa lavoro del Comune di Como, tutto andava per il meglio, ma appena ha scontato la pena è stata espulsa dall’Italia. Per questo occorrono chiare scelte politiche per gli stranieri”.

Contrario a “incentivare interventi” oltre le sbarre il presidente della Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia, Livio Ferrari: “Gli interventi nel carcere sono fallimentari -spiega-, si deve investire fuori, dove si deve ritornare, e il momento della pena deve essere il meno lungo possibile”. “I percorsi lavorativi vanno a buon fine, ma sono talmente pochi da essere riservati a una minoranza”, si rammarica Stefania Tallei, volontaria della comunità di Sant’Egidio nelle carceri romane di Rebibbia e Regina Coeli.

 

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