Relazione sui risultati della ricerca

 

Reinserimento sociale e rapporto con il volontariato

 

Relazione sui risultati della ricerca

 

La ricerca ha interessato cinque Istituti di Pena del Veneto: Padova Casa di Reclusione, Rovigo, Treviso, Verona e Vicenza, ed è stata realizzata interamente dai detenuti e dal volontariato penitenziario, in tutte le sue fasi, dalla preparazione dei questionari all’elaborazione dei dati raccolti.

 

Lo strumento utilizzato è un questionario anonimo, suddiviso in quattro parti, per un totale di 25 domande:

  1. dati anagrafici e giuridici (6 domande);

  2. scolarità ed esperienze di lavoro (8 domande);

  3. misure alternative e situazione post-penitenziaria (4 domande);

  4. rapporto con il volontariato (6 domande).

 

La somministrazione dei moduli ha riguardato tutti i detenuti presenti nelle sezioni "comuni" degli istituti interessati (non è stato possibile raggiungere le sezioni di "alta sicurezza" e le sezioni dei "protetti"): 1.550 persone in totale, delle quali 516 (33%) hanno restituito il questionario compilato.

Gli stranieri che hanno aderito alla ricerca sono "soltanto" 160 (31%), a fronte di una presenza straniera che supera il 50% dell’intera popolazione detenuta negli Istituti interessati dalla ricerca. Questo è sintomo del permanere di ostacoli linguistici e culturali che richiederebbero interventi di sensibilizzazione propedeutici all’effettuazione della ricerca… peraltro si tratta di iniziative difficili da organizzare, nella rigida scansione degli orari che caratterizza la vita carceraria. A Padova abbiamo cercato di sopperire utilizzando alcuni rilevatori stranieri (un albanese, un marocchino e un tunisino) ed il risultato ottenuto, relativamente positivo, è senz’altro da attribuire a loro.

 

Dati anagrafici e giuridici

 

L’intervistato più giovane è un tunisino di 19 anni, il più anziano un italiano di 74. La fascia di età più rappresentata è quella tra i 30 e i 39 anni (36%), seguita da quella tra i 20 e i 29 anni (28%); gli ultrasessantenni sono il 4%. Tra gli stranieri, nessuno degli intervistati ha più di 59 anni e solo 2 (0,4%) hanno più di 50 anni, mentre il 39% ha meno di 30 anni.

Il 60% dei partecipanti alla ricerca ha una condanna "definitiva" (il 24% ha anche altri procedimenti aperti, quindi è nella doppia condizione di condannato-imputato, che in alcuni casi preclude l’accesso alle misure alternative). I non-definitivi sono 81 (16%), in maggioranza imputati, cioè in attesa della sentenza di primo grado.

Il 17% degli intervistati (quota che sale al 24% tra gli stranieri) termina la pena entro il 2003, quindi ha meno di sei mesi da scontare; il 56% la terminerà entro il 2005 (sono ben il 67%, tra gli stranieri!) e avrebbe i "termini" per l’affidamento in prova ai servizi sociali. Il 30% ha una pena compresa tra i 3 e gli 8 anni (sono il 12% tra gli stranieri), mentre 13 italiani e 1 straniero usciranno dopo il 2020. Gli ergastolani sono 4, tutti italiani.

Sono 142 (28% del totale) le persone entrate per la prima volta in carcere quando avevano meno di 20 anni (124 di loro, il 24%, sono entrati da minorenni), mentre la percentuale maggiore di prime incarcerazioni è nella fascia tra i 20 e i 29 anni (36%). Il 4% è entrato per la prima volta in carcere dopo i 50 anni e l’1% dopo i 60. Tra gli stranieri il 9% è entrato prima dei 20 anni (6% da minorenne), il 49% tra i 20 e i 29 anni, il 34% tra i 30 e i 39 anni.

I recidivi sono 343 (66%), percentuale che cala al 59% per gli stranieri, mentre 54 italiani (9%) e 2 stranieri (1%) hanno subito più di cinque condanne. Per quanto riguarda il tempo totale trascorso in detenzione, 61 intervistati (di cui 42 stranieri) hanno scontato meno di un anno, 181 (48 stranieri) meno di tre anni. La quota maggiore (23%) ha scontato tra i 5 e i 10 anni, il 15% tra i 15 e i 20 anni, il 6% oltre i 20 anni. Per gli stranieri le percentuali sono, rispettivamente, del 14% e dell’1%, mentre nessuno di loro risulta aver passato più di 20 anni in carcere.

I riscontri anagrafici e giuridici individuano alcune differenze tra il gruppo italiano e quello straniero, soprattutto per quanto riguarda la durata delle pene (gli stranieri sono prevalentemente condannati per reati di minore gravità, quindi a pene meno elevate) e il totale del tempo trascorso in carcere (anche in considerazione dell’età mediamente più bassa del gruppo straniero), mentre l’età della prima incarcerazione è più bassa tra gli italiani. I recidivi sono percentualmente più numerosi tra gli italiani.

 

Scolarità ed esperienze di lavoro

 

Il livello d’istruzione degli intervistati è medio - basso. Il 4% dichiara di non avere alcun titolo di studio, il 20% la licenza elementare e il 44% quella di scuola media inferiore, l’8% è in possesso di un attestato di qualifica professionale, un altro 8% ha un diploma di scuola media superiore e i laureati sono 4 (1%). Sono 18 (3%) le persone che non hanno risposto alla domanda e sono classificate come "non rilevati". Il 2% dei titoli di studio è stato conseguito all’estero e ben il 10% in carcere, a riprova di una discreta partecipazione ai corsi scolastici organizzati nei penitenziari.

Solo il 20% degli intervistati aveva un’occupazione stabile al momento dell’arresto, mentre l’11% svolgeva lavori saltuari e il 7% lavorava in nero. La disoccupazione riguardava 171 persone (34%), alle quali se ne aggiungono altre 65 (12%) che erano in cerca del primo lavoro. Gli studenti erano 12 (2%). In 75 (14%) non hanno risposto alla domanda e sono classificati come "non rilevati".

Il quadro che emerge è quello di una provenienza prevalente dall’area della marginalità e della precarietà sociale.

A 52 intervistati (10%) è riconosciuta una forma di invalidità, che è totale per 2 persone; in 20 percepiscono una pensione, 16 hanno in corso le pratiche per ottenerla e altri 27 chiedono un aiuto per poterle avviare.

Gli intervistati con un posto di lavoro fisso, nell’istituto dove sono ristretti, sono 54 (11%), mentre 174 (35%) vi hanno svolto dei lavori a turno. Nella gran parte dei casi i posti fissi sono assegnati a detenuti con pene medio - lunghe e che ne hanno già scontata una quota consistente. Gli italiani sono percentualmente più numerosi tra i "lavoranti" fissi, gli stranieri tra quelli assegnati ai lavori a turno.

Il 25% del campione oggetto dell’indagine ha frequentato in carcere (o sta frequentando) un corso di formazione professionale e sono 66 (13%), gli intervistati che in carcere hanno conseguito un attestato professionale. Tra questi, 16 (24%) ritengono che il corso portato a termine abbia dato loro delle competenze "molto" spendibili sul mercato del lavoro, 21 (32%) "abbastanza" spendibili, 14 (21%) "poco" spendibili e 15 (23%) "per niente" spendibili.

 

Misure alternative e situazione post - penitenziaria

 

Quasi la metà degli intervistati (48%) ha usufruito, in passato, di una misura alternativa alla detenzione o del lavoro esterno. Nel dettaglio, il 12% è stato in semilibertà, un altro 12% ha avuto l’affidamento per tossicodipendenti o alcooldipendenti, il 15% l’affidamento in prova ai servizi sociali, l’11% la detenzione domiciliare e il 2% il lavoro esterno. Tra gli stranieri, solo 2 sono stati in "articolo 21" (lavoro esterno) e 1 in detenzione domiciliare.

Per quanto riguarda le condizioni "oggettive" per l’ammissione alle misure alternative, il 9% è nei termini per avere la detenzione domiciliare, il 20% per l’affidamento ai servizi sociali, l’11% per l’affidamento in "casi particolari" (pena inferiore ai 4 anni e condizione di tossicodipendenza), il 15% per la semilibertà e il 23% per il lavoro esterno. Il 22% non ha le condizioni "oggettive" per l’ammissione ad alcuna misura alternativa.

Il 53% degli intervistati ritiene che, all’uscita dal carcere, riceverà un aiuto dai propri genitori; il 45% dal volontariato; il 36% dal partner; il 32% dagli amici e il 30% dai parenti. Ci sono, infine, 121 intervistati (13%) che non credono di trovare qualcuno disposto a sostenerli al momento della scarcerazione. Uno straniero scrive: "Posso contare solo su Dio".

(La somma delle percentuali è superiore al 100% perché la disponibilità all’aiuto da parte di un soggetto non esclude quella di altri).

Passando ad esaminare la forma di sostegno più necessaria nel momento della scarcerazione, vediamo che il 75% degli intervistati vorrebbero essere aiutati a trovare un lavoro, il 64% chiede un aiuto economico, il 62% aiuto nella ricerca dell’alloggio, il 52% vorrebbero assistenza sanitaria, il 36% assistenza psicologica e il 5% assistenza legale. (Anche in questo caso era possibile indicare più di una forma d’aiuto e quindi la somma delle percentuali è superiore al 100%).

Nessuno degli stranieri ha manifestato il bisogno di assistenza psicologica e questo dato è forse indice di un’ancor insufficiente consapevolezza, riguardo alle conseguenze della detenzione sulla psiche.

 

Rapporto con il volontariato

 

Quasi la metà degli intervistati (47%) effettua colloqui con i volontari che entrano in istituto e il 40% ha anche rapporti di altra natura con delle Associazioni di volontariato. I colloqui con i volontari sono ritenuti "molto utili" da 219 detenuti (55%), "poco utili" da 116 (29%) e "per niente utili" da 62 (16%). I rapporti con le Associazioni "molto utili" da 244 detenuti (59%), "poco utili" da 97 (24%) e "per niente utili" da 71 (17%).

I giudizi sull’utilità del volontariato sono espressi anche da quanti non effettuano colloqui con i volontari, né hanno rapporti con le Associazioni, e le valutazioni più positive arrivano proprio da questi intervistati. I giudizi più negativi vengono, invece, da quanti effettuano colloqui con i volontari senza avere altri tipi di rapporto con le Associazioni di volontariato e, in particolare, dagli intervistati stranieri.

Con l’ultima domanda abbiamo voluto raccogliere indicazioni precise sul tipo di "servizi" che i detenuti si aspettano dal volontariato. Il numero maggiore di richieste è per il sostegno morale (129, pari al 21%), seguito dal sostegno economico (120, pari al 19%) e dall’attività di sensibilizzazione all’esterno del carcere (90, pari al 14%), segno che l’importanza degli interventi sul territorio (per creare una cultura di accoglienza, superare i pregiudizi, etc.) è avvertita da buona parte dei detenuti. Poi viene il sostegno alle famiglie (77, pari al 12%), quindi l’accoglienza per i permessi (60, pari al 9%), con la stessa percentuale dell’accompagnamento durante i permessi, infine l’organizzazione di attività sportive in carcere (50, pari all’8%) e l’organizzazione di attività culturali in carcere (49, pari all’8%).

 

 

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