Azienda agricola per detenuti

 

Il buon raccolto dei detenuti

C’è un’azienda agricola modello, alle porte di Roma...

 

Panorama, 14 novembre 2003

 

C’è un’azienda agricola modello alle porte di Roma. A mandarla avanti sono ladri, truffatori, piccoli spacciatori. Che hanno scoperto la possibilità di una vita diversa.

Quando, nel gennaio 2002, entrò nel carcere di Velletri per scontare una condanna a quattro anni per reati amministrativi e fiscali, Marcello Bizzoni, imprenditore enologo distrutto dai debiti, era convinto di non avere più un futuro. Nonostante le sue tre figlie continuassero a volergli bene e la sua ancora giovane età, 53 anni. Aveva paura. Ma non era tanto la vita da detenuto a spaventarlo. No, era piuttosto il pensiero che, presto, sarebbe tornato libero. Già, paura della libertà: del marchio di pregiudicato che avrebbe condizionato ogni attimo della sua esistenza, impedendogli di ritrovare la fiducia in se stesso. Un anno dopo, però, Marcello Bizzoni sembra un’altra persona: ha riscoperto il futuro come necessaria dimensione della vita, fa progetti e non vede l’ora di uscire.

A cambiarlo, dice, è stato il lavoro: dieci ore al giorno, per circa 500 euro al mese, nell’azienda agricola del carcere in cui sta scontando la sua pena. Un’azienda vera e propria, dove si coltiva la terra e i prodotti (frutta, verdura, miele, olio e vino) vengono venduti. Per ora solo sul mercato interno, tra i carcerati e le guardie. Ma presto anche fuori.

La differenza, rispetto a un’azienda normale, è che a mandare avanti questa di Velletri sono 14 detenuti: Cesare Caucci, Agostino Caristo, Thabouti Naceur, Ayari Faouzi, Giulio Persico, Domenico Mele e altri. Come Bizzoni, ogni mattina escono dalla cella intorno alle 8 e un sorvegliante li accompagna giù, tra i campi all’interno della cinta muraria, dove restano, guardati a vista, fino alle 17. Quando rientrano in cella, alle 17.30, hanno la sensazione di avere fatto qualcosa di utile per sé e per le loro famiglie, cui mandano tutti i loro guadagni.

"Imparano un mestiere, formiamo operai specializzati di cui nell’agricoltura c’è un gran bisogno. E così li prepariamo a reinserirsi nel contesto sociale, una volta liberi" dice Rodolfo Craia, l’agronomo che sovrintende a tutte le attività dell’azienda. In realtà, Craia è molto di più di un semplice sovrintendente: è il padre e l’anima del progetto.

Craia lavorava come tecnico agrario nell’azienda del carcere di Pianosa, forse la prima del genere perché attiva già dai tempi del Granducato di Toscana. Chiuso quel carcere nel 1998, venne trasferito a Velletri. Forte dell’esperienza con i detenuti dell’isola, l’agronomo cominciò a farsi venire qualche idea. Quando gli dissero che lo Stato spendeva 20 milioni l’anno soltanto per togliere l’erbaccia che cresceva intorno all’edificio, pensò che con quella stessa cifra si poteva piantare un frutteto. Il direttore approvò e l’esperimento partì. Lo aiutarono, in quella fase iniziale, Nico e Cornelio, due ragazzi rumeni che stavano scontando una piccola pena per furto. Funzionò.

E ben presto, al frutteto, si aggiunse un alveare con 35 arnie. Poi una serra (in cui si coltivano ortaggi e fragole) di 3.500 metri quadrati, con sofisticati impianti computerizzati in grado di nutrire le piante anche in assenza di terreno. E poi si aggiunsero 400 piante di ulivo. Vicino c’erano anche alcuni vigneti abbandonati, tre ettari: vennero recuperati grazie all’intervento del Rotary club di Velletri e vennero annessi all’azienda.

Pagato il loro debito con la giustizia, Nico e Cornelio uscirono dal carcere e vennero rimpatriati. Nico ora fa l’operaio carpentiere. Cornelio si è sposato e ha deciso di aiutare il padre a rivitalizzare la sua azienda agricola. A Velletri, nel frattempo, il loro posto è stato preso da altri detenuti.

Ma la vera svolta c’è stata dopo l’arrivo di Marcello Bizzoni. Un enologo proprio quando c’era bisogno di qualcuno che si prendesse cura di quei tre ettari di vigneti. A Velletri, dov’era conosciuto e riverito prima delle disavventure giudiziarie, Bizzoni aveva gestito una cooperativa vinicola capace di fatturare fino a 12 miliardi di lire l’anno. A Craia sembrò naturale chiedere a lui di occuparsi della cantina. E lui ci si mise subito d’impegno, anche se non molti scommettevano sui risultati.

L’azienda ora produce 17 mila bottiglie (ma il potenziale è di 50 mila) di bianchi e rossi da tavola: un ottimo (così giudicato da esperti toscani) novello, due doc Velletri e persino un doc rosso affinato in barrique. Vinta la scommessa, così come ora avviene per l’uva, Craia sta progettando la filiera completa anche per le altre produzioni: dalla terra all’industria alimentare. E così da quest’anno la frutta sarà trasformata in marmellate e succhi, le olive diventeranno olio.

Si producono circa 400 chili di miele che, come il vino e gli ortaggi, vengono consumati o venduti solo all’interno del carcere. A occuparsi degli impianti del frantoio nuovo di zecca è Cesare Caucci, 47 anni, di Marino, un meccanico soccorritore stradale condannato a 7 anni per estorsione e usura. Commise quei reati nel 1991 e, divenuta definitiva la sentenza, 17 mesi fa si è presentato spontaneamente nel carcere di Velletri. Fuori ha lasciato la moglie e tre figli. Il fratello Romolo, che gestiva l’officina, è morto per un ictus nel novembre scorso. In carcere aiuta anche l’enologo e si occupa della manutenzione delle macchine agricole. Anche lui è cambiato, assicura. Ora spera di ottenere l’autorizzazione al lavoro esterno. Vorrebbe riaprire la sua officina, riprendere la sua attività di soccorritore stradale. Tornare in carcere la sera non gli peserebbe. Il magistrato quell’autorizzazione finora gliel’ha negata. Ma lui spera che ci ripensi: "Sono davvero un altro" giura. "Il lavoro, qui, mi ha fatto capire tante cose. Vorrei essere messo alla prova. Se sbaglio di nuovo, discorso chiuso. Ma vorrei un’altra possibilità".

Anche l’enologo, Bizzoni, vuole essere messo alla prova: "In carcere ho capito che quello che mi dicevano le mie figlie non era solo per una dimostrazione d’affetto. "Papà" mi dicevano "non dimenticare mai che tu sei un bravo tecnico enologo, quando sarai fuori potrai ancora dimostrarlo e rifarti una vita"... È vero, sono ancora capace di fare del buon vino".

Spera nell’indulto. E una volta fuori sa già che cosa fare: costituirà una cooperativa con detenuti ed ex detenuti per gestire in comodato d’uso l’azienda agricola del carcere di Velletri. "Di nuovo una cooperativa, sì, ma mica come prima..." sorride l’enologo, al quale quest’esperienza sembra avere restituito persino il senso dell’ironia, il gusto per la battuta. Il carcere di Velletri ospita 350 detenuti. Tutti della zona, o extracomunitari che hanno commesso reati nel circondario. Reati non gravissimi, che prevedono condanne fino ad un massimo di 7-8 anni.

"Se tra queste persone riusciamo a salvarne anche soltanto una" dice Craia "per noi è già una vittoria, un incentivo ad andare avanti". Ma non tutto è semplice come potrebbe sembrare. Il personale di sorveglianza scarseggia. E a volte s’incontrano difficoltà persino quando si tratta di accompagnare un detenuto dalle camerate fino all’azienda, perché manca la guardia addetta all’apertura della cella. Succede sempre più spesso. Una favola a lieto fine, dunque? Craia è un tipo che ha molta fiducia nel prossimo ed è sicuro di sì. Cita l’esempio di Jan, il giovane ceco venuto in Italia anni fa clandestinamente e finito in carcere per spaccio di droga. Non aveva mai lavorato prima di arrivare a Velletri. Scontata la pena e tornato in patria, ora aiuta la madre a gestire un pub vicino Praga.

Il suo avvocato, che aveva accettato di difenderlo senza farsi pagare, fidandosi della sua parola, qualche settimana fa si è visto recapitare una lettera di Jan. Dentro c’erano 600 euro: la cifra esatta della sua parcella.

 

Prodotti dietro le sbarre, che cosa nasce all’interno delle mura di cinta

 

Frutta - mele, fichi, susine e albicocche: 450 quintali.

Produzioni in serra - fragole e ortaggi: 200 quintali.

Olive - 300 quintali.

Vino - 17 mila bottiglie (ma il potenziale è di 50 mila).

Miele - 3,5 quintali.

 

Le altre carceri dove si coltiva la terra

 

Is Arenas - (Comune di Arbus, Cagliari): allevamento di pecore e bovini, caseificio.

Roma - Carcere femminile di Rebibbia: allevamenti di polli e conigli, produzione di ortaggi.

Civitavecchia (Roma) - Fiori in serra.

Castelfranco Emilia (Modena) - Allevamenti di bovini e suini.

Porto Azzurro (Livorno) - Ortaggi e frutta.

Gorgona (Livorno) - Allevamenti, caseificio, prodotti ittici.

Carinola (Caserta) - Ortaggi e frutta

 

 

Precedente Home Su Successiva