Formazione per "reinserirsi"

 

Formazione per "reinserirsi"

 

Il Sole 24 Ore, 10 febbraio 2004

 

Un laboratorio dì "vecchi" mestieri

I corsi di formazione professionale

Gli specialisti: parla Montrone

Negli istituti di pena trovano sempre più spazio corsi e attività professionali. Allo studio un progetto per armonizzare i programmi ai fabbisogni delle imprese. Il ruolo delle Regioni

 

 Il Comune di Firenze ha affidato ai detenuti del carcere di Sollicciano la manutenzione delle sue biciclette. Milano ha assegnato ai detenuti di Opera il rifacimento della facciata del Duomo. L’Unindustria di Padova è alla locale casa circondariale che si è rivolta per reclutare sedici cuochi. Tre esempi diversi, tre percorsi differenti di reinserimento professionale con un elemento in comune: portare il lavoro e la formazione professionale all’interno delle strutture carcerarie. E nonostante i numeri (su un totale di 56.403 detenuti il 6,9% è impegnato in attività formative) indichino una diffusione delle attività formative ancora esigua, a leggere in prospettiva arrivano i segnali di una rivoluzione in atto.

Crescono i corsi, ma soprattutto cresce l’integrazione con il mondo del lavoro, i tentativi cioè di indirizzare la formazione professionale sui fabbisogni del mercato del lavoro. Un obiettivo questo che l’amministrazione penitenziaria punta a realizzare in modo strutturato grazie ai tavolo tecnico con il ministero dell’Istruzione, del quale faranno presto parte anche le regioni. Si punta a una progressiva armonizzazione tra l’istruzione di base, la formazione professionale e l’inserimento al lavoro. Attualmente infatti la scelta dei corsi è subordinata alla discrezionalità degli istituti.

"Le singole direzioni carcerarie - spiega Marzia Fratini del dipartimento per l’amministrazione penitenziaria - scelgono in modo autonomo di avviare un certo corso piuttosto che un altro". Non esiste dunque un coordinamento Nazionale e l’attenzione al mercato è lasciata all’impegno degli operatori. E così l’organizzazione della formazione professionale all’interno del carcere segue le stesse modalità di quella fuori dal carcere. La direzione cioè predispone un progetto che presenta all’amministrazione provinciale o regionale. In questo caso il canale di finanziamento sarà il fondo sociale europeo.

Ma le risorse possono provenire anche dalle stessa amministrazione penitenziaria che ha a disposizione un budget (2milioni e 950mila euro nel 2003. La stessa somma per il 2004) da destinare alla gestione dei corsi e con il quale "paga" una sorta di "premio" agli studenti che completano i percorsi formativi. Maggiori e più articolate invece le risorse del fondo sociale europeo. La formazione dei detenuti rientra infatti nella più vasta categoria delle "misure destinate all’inserimento delle fasce deboli", vale a dire detenuti, ma anche immigrati, ex tossicodipendenti, lavoratori over 50 esclusi dal lavoro. "Per il loro inserimento professionale - dice Aviana Bulgarelli, responsabile dell’ufficio centrale per la formazione professionale del Welfare - le risorse programmate per quest’anno ammontano a 560 milioni di euro, inizialmente ne erano previsti 487. Difficile però dire quanto di questi finanziamenti è specificatamente destinato ai detenuti. Si tratta, considerati i numeri, di una quota minoritaria. Ma il dato importante è che aumenta l’attenzione alla riqualificazione delle fasce deboli e che è prevalente orientamento a investire sempre di più sulla loro inclusione".

L’attenzione al mercato diventa così fondamentale per assicurare il successo della formazione. In quest’ottica fa da apripista il piano permanente per le carceri promosso dal Comune e dalla Provincia di Roma e dalla Regione Lazio. Un progetto pilota il cui avvio è previsto per l’inizio di marzo; il coordinamento sarà affidato alla Consulta cittadina del Comune di Roma per i problemi penitenziari. Il primo passo del piano sarà la firma di un protocollo d’intesa tra gli enti locali, magistrati di sorveglianza, ministero della Giustizia e imprese profit e non profit: la formazione sarà così mirata alle richieste delle imprese. Sulla stessa linea di integrazione tra politiche sociali e politiche del lavoro il protocollo che si apprestano a siglare, a Firenze, il Comune, la Provincia, il provveditorato regionale alle carceri e l’Asl con gli istituti Sollicciano e Mario Gozzini.

Anche in questo caso - spiega Lia Pallone, responsabile provinciale dei progetti in favore dei soggetti svantaggiati - una parte importante del progetto sarà dedicata alla sensibilizzazione delle imprese" .

Un percorso quest’ultimo ancora pieno di ostacoli come conferma Giancarlo Parissi, responsabile dei progetti inclusione sociale e carcere dell’Arci Toscana: "per realizzare - dice - la nostra rete di aziende su 1500 telefonate, 200 sono stati i contatti e solo 40 le disponibilità vere e proprie".

 

Un laboratorio dì "vecchi" mestieri

 

Dagli apicoltori ai saldatori: le iniziative puntano su settori dove c’è carenza di personale

 

In Calabria una proposta di Confagricoltura

 

Saldatori, apicoltori, fornai: la formazione all’interno degli istituti di pena è soprattutto l’occasione di creare figure professionali meno amate o sempre più rare nel mercato del lavoro.

Quasi tutti gli istituti italiani negli ultimi anni hanno avviato corsi di formazione, con il coordinamento del ministero della Giustizia o con accordi con associazioni professionali e di volontariato. In rapporto alla popolazione carceraria italiana il numero dei detenuti coinvolti resta comunque molto basso e le varie iniziative in corso somigliano spesso a progetti-pilota che dovranno essere potenziati.

Tra i più recenti quello della casa circondariale di Padova per sedici extracomunitari che studiano da chef; tra quelli di più lunga durata "Api in carcere", finanziato da ministero delle Politiche agricole e Ue e coordinato dalla Federazione Apicoltori italiani (Fai). L’iniziativa della Fai coinvolge 300 detenuti in dodici istituti, da Pianosa, a Macerata Feltre. La produzione, circa 400 chili di miele all’anno, è venduta al personale dipendente dell’Amministrazione, "anche se in futuro spiega Raffaele Cirone, presidente della Fai - con il coinvolgimento di nuovi istituti e altri detenuti potrebbe avere anche una destinazione esterna". Come già avviene per il pane preparato dai detenuti del carcere milanese di Opera: ogni giorno 300 chili di pane escono dall’istituto diretti alle mense scolastiche gestite da Milano Ristorazione. Nella stessa struttura di Opera, nei prossimi mesi alcuni detenuti studieranno da tornitori o saldatori, mestieri ormai quasi in via di estinzione.

La Provincia di Milano è tra le più attive nei progetti di formazione professionale per i detenuti. Qui l’Agenzia di solidarietà per il lavoro ha appena inaugurato la seconda edizione di "Orfeo", un progetto di informazione ed orientamento all’inserimento lavorativo che nel 2003 è stato accessibile a circa mille tra detenuti, ex detenuti e persone soggette a vincoli di libertà. E presto, dopo quello inaugurato a San Vittore, un altro call-center di Telecom Italia sarà attivato nella casa di reclusione di Bollate: "Stiamo lavorando, potremmo essere pronti dopo l’estate" dice la direttrice dell’istituto, Lucia Castellano.

Nella casa circondariale di Torino, con la collaborazione del Consorzio Abele Lavoro, ai detenuti è stato affidato un servizio di trattamento di rifiuti sanitari, mentre a Firenze l’istituto di Sollicciano e la casa circondariale Gozzini attendono una delibera comunale con cui potranno essere appaltati all’interno del carcere alcuni servizi di manutenzione. Già da alcuni anni invece a Sollicciano si riparano e rivendono le biciclette abbandonate nel deposito comunale o per strada.

Nella geografia della formazione e del lavoro in carcere, scendendo verso il Sud ci si imbatte nell’esperienza di Sulmona, in Abruzzo, dove circa 50 detenuti su 400 imparano a fare scarpe e camicie.Tra breve l’attività, secondo quanto annunciato al ministero di Giustizia, non sarà più soltanto intra-muros. Grazie a uno stanziamento di 1,2 milioni di euro e alla collaborazione con Italia Lavoro, i prodotti realizzati saranno commercializzati all’esterno; l’istituto di Sulmona metterà a disposizione locali e attrezzature e i detenuti lavoreranno direttamente alle dipendenze delle aziende partner, che verseranno loro una paga non inferiore ai due terzi della retribuzione prevista dal contratto di categoria.

Infine, l’esempio della Calabria. E’ della settimana scorsa la presentazione da parte di Confagricoltura del progetto "Filiera della legalità" per la formazione e la riqualificazione, al di fuori degli istituti, di ex detenuti disoccupati in condizione di poter usufruire dei benefici di legge e di coniugi e figli di detenuti o persone uscite dal carcere. L’obiettivo, molto ambizioso, è la piena occupazione con il collocamento in aziende agricole della regione.

 

I corsi di formazione professionale

 

914 partecipanti in Lombardia

 

La Lombardia è la regione che ha il maggior numero di partecipanti, ma anche il numero maggiore di corsi (82). Seguono la Campania (562 iscritti per 47 corsi) e il Piemonte 293 su 23).

 

762 gli stranieri

È Il numero di detenuti stranieri che partecipano ai corsi di formazione (590 uomini e 172 donne). Di questi 435 ottengono la promozione (326 uomini e 109 donne).

 

3.879 gli ascritti ai corsi

È il numero di detenuti che nel 2003 ha partecipato ai corsi di formazione professionali attivati dagli istituti penitenziari. E’ pari al 6,9% della popolazione carceraria.

 

1.706 i promossi

Sul totale degli iscritti ai corsi di formazione, ottiene la promozione la metà circa (56,3%). Una percentuale che non tiene conto degli abbandoni per trasferimento o per scarcerazione.

 

"Piani ancora poco mirati"

 

Gli specialisti: parla Montrone (Galdus)

 

Chi l’avrebbe mai detto che le pietre per il rifacimento della facciata del Duomo di Milano uscissero dal carcere di Opera? Nel corso di fondazione per scalpellini organizzato quattro anni fa dalla Galdus nel carcere milanese si sono formati professionisti così altamente specializzati che oggi anche la Veneranda fabbrica del Duomo commissiona lavori alla cooperativa Arti e mestieri nata sulla scia del corso. "Trasmettere competenze tecniche finalizzate allo svolgimento di un lavoro non è che una delle funzioni della formazione in carcere e forse quella più semplice da realizzare racconta Diego Montrone, presidente della società Galdus che organizza anche corsi per i detenuti del carcere di Opera a Milano -. L’impresa più complessa è fare entrare nella mente del detenuto l’idea del lavoro e pensare un percorso che porti al recupero della persona".

 

Montrone, lei si occupa di formazione da molti anni. Quali sono i problemi legati al suo lavoro dentro gli istituti penitenziari?

Ancora oggi purtroppo in carcere si investe poco in formazione e quando lo si fa non sempre si pensa agli sbocchi dei corsi nel mondo del lavoro e a un percorso a lungo termine. Le carceri sono piene di laboratori finanziati dal fondo sociale europeo; molti sono in disuso, altri sono stati smantellati, quasi sempre perché i finanziamenti vengono programmati per periodi brevi. Ma quando si parla di formazione, sopratutto se rivolta a persone svantaggiate, non si può ragionare sul breve termine. In Lombardia, per esempio, siamo riusciti ad avviare un progetto a sistema finanziato dalla Regione e finalizzato alla creazione di un modello di formazione rivolta ai detenuti.

 

In che cosa consiste?

Il progetto prevede la stipula di un contratto di lavoro che inquadri il lavoratore detenuto e intende la formazione come strumento funzionale al mantenimento del lavoro e al recupero della persona. I detenuti spesso non hanno contratti o sono soci di cooperative. Senza identificarli come lavoratori e offrire alle aziende uno strumento di contrattazione è difficile attrarre investimenti in carcere.

 

C’è un modello al quale vi aspirate?

Più che un modello, c’è un’esperienza molto significativa che rappresenta il nostro punto di partenza. Quattro anni fa nel carcere di Opera abbiamo pensato di organizzare un corso per scalpellini. Abbiamo organizzato una piccola squadra di tecnici provenienti da imprese o reclutati sul mercato per insegnare ai partecipanti alcune nozioni teoriche e pratiche riguardanti la professione. A questi abbiamo affiancato tutor, educatori e psicologi. Sulle orme di questo corso, che è stata un’esperienza di grande successo, è nata una cooperativa che si chiama Arti e mestieri. Oggi gestisce un laboratorio nel carcere di Opera, dà lavoro a una decina di detenuti e il principale committente della cooperativa è la Veneranda fabbrica del Duomo di Milano.

 

Come vengono selezionati i detenuti che partecipano ai corsi?

Prima di fare iniziare al detenuto un percorso è fondamentale verificare la presenza di alcune condizioni come per esempio le attitudini personali, la capacità di lavorare in gruppo, alcune garanzie che riguardano la sicurezza, e poi naturalmente la presenza dei requisiti per lavorare all’esterno. Se il detenuto non gode dei benefici dell’art. 21 (possibilità di uscire dal carcere per lavorare o studiare) difficilmente verrà selezionato per un lavoro che può richiedere di uscire dall’istituto. Poi naturalmente c’è il giudizio del direttore del penitenziario al quale spetta valutare la possibilità di partecipazione del detenuto a corsi teorici e ad attività pratiche, in base a ben precise norme di sicurezza.

 

 

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