Progetto Ferrara

 

Monopati * - Esperienza di formazione e avviamento al lavoro di persone a rischio o legalmente sottoposte a misure limitative o privative della libertà a Ferrara

 

 

Premessa

 

La realtà in cui versa il sistema carcerario italiano è nota: sovraffollamento, decadenza delle strutture, carenza di operatori sociali, scarsa capacità d’individuare e riconoscere le opportunità mirate al cambiamento di vita dei detenuti utilizzando le risorse presenti sul territorio.

Il rischio è quello che il condannato, alla dimissione, si ritrovi con gli stessi disagi e gli stessi problemi di prima. Per contenere un tal rischio è stato formulato il progetto "Monopati" con l’obiettivo di sostenere i detenuti nel passaggio dal carcere alla vita "libera". Esso non rappresenta la fine di un percorso, ma un tempo di passaggio dove la persona può ritrovare se stessa ed un nuovo stile di vita.

Con questa esperienza si è cercato di dare concreta attuazione ai contenuti dei Protocolli d’intesa che la Regione Emilia - Romagna ha siglato prima con la Direzione Generale degli Istituti di Prevenzione e Pena (1987), successivamente con il Ministero di Grazia e Giustizia (1998). Questo progetto è servito a collaudare il rapporto con il carcere, instauratosi negli anni (v. Contesto), a volte anche con modalità comunicative conflittuali.

 

Il contesto

 

L’attenzione dell’Amministrazione comunale nei confronti della devianza e, nella fattispecie, delle problematiche del reinserimento sociale delle persone dimesse dal carcere, risale al 1981, allorché con decisione di G.M. fu costituito il Gruppo di appoggio al carcere, diventato poi Comitato carcere nella città con apposita delibera del Consiglio Comunale, ed attualmente Comitato locale per l’esecuzione penale dell’area adulti. L’Amministrazione Comunale di Ferrara, fin dal 1975, ha delegato la gestione delle funzioni socio-assistenziali, ivi comprese quelle successivamente richiamate nell’art. 23 del DPR 616/77, al Consorzio Socio Sanitario, trasformatosi poi in USL 31, in Azienda USL ed attualmente in Centro Servizi alla Persona. In particolare gli operatori del Servizio Sociale dell’ Unità Sanitaria Locale 31, si sono occupati di inserimenti lavorativi fin dal 1986, accogliendo i principi ispiratori della Legge "Gozzini" (L. n. 663/86) appena approvata. I primi inserimenti lavorativi riguardavano persone in esecuzione di pena o liberi, ma a rischio di carcerazione, anche con problemi di dipendenza da sostanze psicotrope.

Lo strumento utilizzato è un protocollo d’intesa individuale fra Servizio Sociale e Azienda, all’interno di un accordo più vasto fra USL e le Associazioni di categoria e la Formazione Professionale. Dal 1986 al 1996 sono stati effettuati n. 18 inserimenti lavorativi attraverso progetti mirati ed interventi individuali in aziende diverse.

Il progetto "Monopati", che nasce all’indomani delle elezioni amministrative del 1995 e si realizza nell’agosto del 1996, riguarda invece un gruppo di soggetti inseriti nella stessa Cooperativa sociale.

Esso si avvale dei seguenti accordi:

Convenzione fra Comune di Ferrara, Azienda Unità Sanitaria Locale - Servizio Sociale, Direzione della Casa Circondariale e Direzione del Centro di Servizio Sociale Adulti, in cui vengono concertate le modalità operative e gli impegni reciproci per il buon fine del progetto.

Protocollo d’intesa fra il Comune di Ferrara, l’Azienda USL e la Cooperativa sociale riguardante la formazione e l’addestramento al lavoro delle persone inserite, sulla base di un accordo con l’A.G.E.A.(Azienda Gas Energia Ambiente) relativo alle attività lavorative previste dal progetto.

Protocollo d’intesa fra Azienda Unità Sanitaria Locale - Servizio Sociale e la Cooperativa sociale, inerente le condizioni dei singoli inserimenti lavorativi e rispettive competenze.

Tutti gli accordi nel tempo hanno subito variazioni per adeguarsi alla normativa (L. 626/94, 165/98, 193/00 e relativo reg. decreto n. 25 del febbraio 2002, DPR 230/00, ecc.) e alle diverse esigenze burocratiche ed amministrative evidenziate dalle strutture locali dell’Amministrazione penitenziaria.

 

Il progetto

 

Lo sviluppo di esperienze di formazione-lavoro tendenti a favorire il reinserimento sociale delle persone legalmente sottoposte a misure limitative o privative della libertà, ed a facilitare l’attivazione delle forme di esecuzione penale alternative alla detenzione in carcere, ha costituito un obiettivo condiviso dagli Enti sottoscrittori il progetto. Nel programma uno degli scopi prioritari è stato il riconoscimento della presenza dell’Istituto di pena nella realtà sociale locale ed il tentativo di un’apertura nel territorio di un canale di avviamento al lavoro, per facilitare il reinserimento sociale dei detenuti, di ex-detenuti e di persone a rischio di carcerazione.

L’attuazione del progetto in funzione di quest’ultima finalità si è articolata nelle seguenti fasi:

formazione professionale: qualora possibile, è stata garantita sia come formazione iniziale, attraverso corsi realizzati all’interno della Casa Circondariale, che come aggiornamento sul lavoro durante gli stages;

stages di formazione pratica e avviamento al lavoro: la durata di norma è stata di sei mesi rinnovabili, durante i quali i partecipanti hanno ricevuto una borsa di formazione erogata dal Servizio Sociale dell’Azienda USL di Ferrara;

Lavoro: entrata, a diverso titolo, in una cooperativa sociale di produzione e lavoro del territorio provinciale e non, di quanti hanno completato l’intero periodo dello stage con buoni risultati; attivazione di percorsi di apprendimento per la ricerca attiva del lavoro.

Gli interventi sono stati mirati a soggetti con situazioni personali di forte rischio di emarginazione, assicurando i presupposti per progressive ed equilibrate integrazioni, attraverso un graduale percorso socio-riabilitativo.

 

I principali obiettivi sono stati:

favorire il reinserimento nei luoghi di provenienza in misura alternativa, come continuum di un percorso trattamentale già avviato con i permessi premio;

estendere, per quanto possibile, l’opportunità ai cittadini, prioritariamente quelli ferraresi, in esecuzione pena o che possono richiedere le misure alternative dalla libertà utilizzando il dispositivo, già previsto dalla legge "Gozzini" n. 663/86 ed ampliato dalla "Simeoni-Saraceni" n. 165/98;

favorire un’utile esecuzione della pena, fornendo al detenuto opportunità e modelli di vita diversi da quelli seguiti in precedenza, tentando di inserirlo nel contesto sociale con maggiore consapevolezza e nella necessità del rispetto delle regole sociali;

tentare di ridurre la soglia dell’allarme sociale, cercando di restituire alla società soggetti impegnati almeno nel tentativo di cambiamento.

 

Obiettivi specifici: attività di ogni singolo attore

 

Casa Circondariale di Ferrara:

ha individuato i detenuti che avevano i requisiti per accedere alle misure alternative della Semilibertà e dell’Affidamento in prova al servizio sociale, quindi al progetto;

ha contribuito alla definizione di una graduatoria per garantire le sostituzioni in itinere di quei soggetti che perdono i requisiti per la partecipazione al progetto;

ha favorito lo scambio di informazioni necessarie agli operatori per la realizzazione del progetto individualizzato.

 

Il Centro di Servizio Sociale Adulti:

ha assicurato attraverso i propri operatori, gli interventi previsti dalla legge per il buon esito delle misure alternative della semilibertà e dell’affidamento in prova al Servizio Sociale;

ha sostenuto gli inserimenti lavorativi, nella gestione individualizzata delle persone ammesse al progetto.

 

Il Servizio Sociale dell’Azienda USL - Distretto di Ferrara:

ha coordinato il progetto, valutato e deciso la scelta finale delle persone da inserire, svolgendo un’azione di aiuto e di sostegno durante il percorso;

ha garantito la gestione operativa ed amministrativa tramite i relativi protocolli;

ha effettuato il versamento dell’importo delle borse lavoro alla Direzione della Casa Circondariale per i semiliberi ed emesso relativo mandato per gli affidati.

 

Il Comune di Ferrara:

quale ente promotore e finanziatore del progetto, attraverso il "Comitato locale per l’esecuzione dell’area penale adulti" ha avuto il compito di verificare periodicamente il progetto e di rendicontare le spese alla Regione Emilia-Romagna, favorendo la valutazione delle condizioni di prosecuzione dello stesso.

 

Centro di formazione professionale:

qualora possibile, ha attivato i corsi finalizzati ad aggiornare e mantenere le conoscenze e le abilità acquisite, con possibilità di combinare più moduli in cicli ricorrenti. In tal modo si è inteso assicurare la continuità fra la formazione e l’attività lavorativa e rafforzare il collegamento fra le Istituzioni e la realtà imprenditoriale locale.

 

La Cooperativa sociale:

ha definito un’apposita organizzazione del lavoro dei detenuti ammessi allo stage;

ha individuato i tutors responsabili dell’organizzazione delle attività;

ha fornito il trasporto, l’attrezzatura, l’abbigliamento di lavoro e il materiale antinfortunistico.

 

L’utenza:

si è cercato di offrire alla persona in difficoltà quegli strumenti che le consentissero un cambiamento dello stile di vita, di maturare un’adeguata capacità di socializzazione e di acquisire una sufficiente capacità lavorativa.

in questo caso il fulcro del percorso riabilitativo è costituito dal lavoro come opportunità di crescita, di relazione e di autonomia.

 

La metodologia, gli strumenti, i risultati

 

Nelle varie fasi dell’intervento sono state utilizzate le seguenti metodologie:

la ricerca: raccolta dati socio-demografici (dati anagrafici, realtà di appartenenza…); analisi dei percorsi trattamentali, delle relative posizioni giuridiche; individuazione e analisi dei bisogni socio-riabilitativi; ricognizione delle risorse esistenti utilizzabili. In questa fase si sono utilizzati gli strumenti del colloquio individuale con l’utenza, incontri di gruppo, e successive elaborazioni statistiche.

il lavoro di rete: è stato utilizzato per favorire l’ampliamento ed il consolidamento delle relazioni inter-istituzionali (Amm.ne penitenziaria, Enti locali, Mondo del lavoro e agenzie di formazione, ecc.) attraverso il riconoscimento reciproco e la legittimazione, l’informazione, la collaborazione e l’integrazione.

il lavoro per progetti: fa riferimento alla politica dei piccoli passi, che considera più efficace tradurre la progettualità a lungo termine in tanti progetti, caratterizzati da obiettivi concreti, con risultati verificabili, raggiungibili a breve termine, modificabili durante il percorso (v. scheda degli obiettivi).

il lavoro di équipe: è un’altra modalità trasversale a tutte le fasi del progetto e si riferisce al gruppo tecnico formato da diverse professionalità che riflette, elabora, coordina, gestisce tutto il percorso dell’intervento. In questo contesto l’équipe era formata dagli operatori interni all’Istituto penitenziario e da quelli del servizio sociale territoriale, i quali hanno elaborato e definito gran parte degli strumenti utilizzati. Importante è stata la collaborazione della Magistratura di Sorveglianza rispetto alla definizione, in tempi brevi, delle udienze per l’esame delle misure alternative e nella comprensione delle situazioni personali.

 

Strumenti di lavoro

 

Nel corso dell’esperienza sono stati considerati i seguenti fattori:

valutazione positiva del percorso intramurario;

avere i requisiti giuridici per poter usufruire della semilibertà (concetto di gradualità);

aver usufruito possibilmente e positivamente dei permessi premio;

avere un residuo pena tale da consentire una eventuale fruizione dell’affidamento in prova al servizio sociale;

aver partecipato ad attività formative (alfabetizzazione alla lingua italiana per gli stranieri, di scolarizzazione, di formazione professionale, di orientamento al lavoro).

Dopo la selezione iniziale dei detenuti da inserire nel progetto, effettuata dagli operatori del trattamento intramurario, gli operatori del servizio sociale dell’USL hanno iniziato i colloqui con i detenuti individuati, valutando il percorso trattamentale compiuto e la partecipazione ad esso.

I colloqui con i detenuti proposti sono stati finalizzati alla raccolta di elementi utili per ipotizzare un progetto individualizzato, elaborato con l’interessato e gestito insieme con gli operatori sociali delle varie Istituzioni, secondo le competenze di ciascuno. La sottoscrizione di un "contratto", da parte dell’utente, è stato elemento indispensabile per l’ammissione al progetto.

Il percorso di formazione e avviamento al lavoro si è realizzato attraverso una simulazione del rapporto di lavoro "stage", che ha consentito all’utente il contatto con il mondo del lavoro e le sue regole, di conoscere e cominciare ad esercitare i propri diritti e doveri:

l’orario è stato frutto di accordi fra i diversi enti quale carcere, cooperativa sociale, AGEA;

l’attività di formazione e lavorativa è stata rivolta alla manutenzione del verde pubblico e seguita dai tutors della cooperativa;

la retribuzione è rappresentata dalla borsa di formazione di L. 800.000 (413.18 Euro) mensili, dalla quale sono state detratte le spese per il mantenimento intramurario e la quota di "fondo vincolato", a beneficio del titolare.

Tutti i partecipanti al progetto sono stati assicurati contro gli infortuni e coperti da una assicurazione di responsabilità civile verso terzi, in caso di danni arrecati ad altri nello svolgimento dei compiti assegnati. Gli stessi sono stati sottoposti a profilassi antitetanica, previa certificazione di idoneità al lavoro rilasciata dal sanitario dell’Istituto, alla quale, negli ultimi anni, si è aggiunta quella del medico della ditta, come previsto dalla Legge 626/94.

Per ogni utente è stata utilizzata una cartella anamnestica, compilata dall’Educatore della Casa Circondariale ed inviata al Servizio Sociale territoriale, quale richiesta d’intervento individuale.

Tale cartella è stata poi riassunta nella scheda "situazione individuale", integrata dalla parte riguardante la condotta lavorativa. Gli elementi relativi ai dati personali (I° parte), quelli sociali e formativo-lavorativi (II° parte), quelli trattamentali (III° parte), sono stati riportati in prospetti riassuntivi per facilitare una valutazione comparativa dei dati emersi.

L’esperienza lavorativa è stata "misurata" in base ad una scheda di valutazione ricavata da quella proposta da Luc Ciompi, divulgata dal Centro di Medicina Comportamentale di Milano.

Tale scheda comprende per una parte la variabile "rendimento al lavoro", per l’altra parte la variabile "relazione interpersonale".

Fin dal primo progetto si è avvertita la necessità di registrare i comportamenti acquisiti, formalizzandoli in "regole e compiti" (che ogni attore istituzionale del progetto è tenuto a rispettare e ad adempiere), con lo scopo di socializzare ed uniformare le risposte.

L’assistente sociale territoriale e l’educatore professionale, appositamente assunto, periodicamente hanno tenuto degli incontri con i tutors e/o lo staff della cooperativa per verificare il "clima" del progetto e le eventuali difficoltà, fornendo spiegazioni e suggerendo modalità operative per affrontare adeguatamente le emergenze. Tali incontri rivestivano carattere formativo e di supervisione, necessaria per chi opera in tali situazioni. Si sono svolti poi incontri di verifica con l’educatrice del carcere e frequenti contatti sulle singole situazioni.

Periodicamente si sono attuate le seguenti verifiche:

una valutazione con "schede" della condotta lavorativa, solitamente ogni tre mesi;

una valutazione con "schede" della situazione individuale a fine progetto;

colloqui di verifica bisettimanali per ciascun caso individuale;

integrazione della valutazione attuale del coordinatore del progetto con gli operatori coinvolti;

integrazione con gli elementi di osservazione acquisiti dagli operatori del carcere;

definizione dell’eventuale programma individuale di reinserimento.

 

Risultati

 

I fruitori dei vari progetti (o moduli del progetto) hanno costituito un campione di 41 persone, la cui età media è di 36,65 anni e si è riscontrato, nei vari anni di attuazione, un aumento dell’età dei detenuti partecipanti. Nel campione si sono rilevate le caratteristiche anagrafiche, giuridiche, lavorative e di problematicità di seguito riportate.

Il campione è costituito da 41 persone

L’età media è di 36,65 anni, nel corso del progetto si è notato un aumento dell’età dei detenuti.

Stato civile: 13 coniugati e 28 di stato libero

Convivenza: 29 in famiglia d’origine e 12 soli

Scolarità: 34 hanno assolto l’obbligo scolastico, 5 sono in possesso della licenza di scuola media superiore e 2 laureati

Cittadinanza: 25 italiani e 16 stranieri.

Precedenti esperienze lavorative. La maggior parte di queste persone provenivano da esperienze di lavoro occasionale, non continuative; infatti solo a 10 utenti si sono riscontrate esperienze lavorative superiori ai sei mesi e considerate come consistenti, registrate nel libretto di lavoro e verificabili presso l’ufficio circoscrizionale per l’impiego. Gli intervalli fra un lavoro e l’altro sono brevi, pur considerando i periodi di detenzione. A 6 utenti non si sono riscontrate esperienze di lavoro per mancanza d’informazioni, quindi non riscontrabili. A 25 si sono rilevate esperienze di lavoro inferiori a sei mesi; infatti il maggior numero di queste non risultava sul libretto di lavoro e non era controllabile all’ufficio circoscrizionale per l’impiego, inoltre, vi erano lunghi intervalli fra un lavoro e l’altro nonostante i periodi di detenzione, quindi sono state considerate non consistenti.

 

Problematicità

 

In relazione alle storie personali degli utenti, si è fatto riferimento alle seguenti definizioni di "marginalità" e "disadattamento":

marginalità: lo sviluppo della personalità è stato condizionato dal contesto di deprivazione sociale, economica e psicoaffettiva. Queste persone nel tempo non sono riuscite ad instaurare relazioni interpersonali valide, a volte anche a causa delle loro scarse risorse personali. In tale fascia rientrano anche quegli utenti che per la loro particolare condizione (vedi esempio migrazioni interne/esterne) sono più soggetti di altri a processi di esclusione.

disadattamento: connota quei soggetti che, dotati di buone capacità personali, sembrano ben inseriti nel contesto socio-familiare d’origine, ma si riscontra in essi una accentuata difficoltà ad adeguarsi alle richieste sociali (pur avendo interiorizzato le norme di condotta), a relazionarsi positivamente e a contestualizzare gli eventuali conflitti. Caratteristica è la capacità di "giocare" sulle relazioni con interventi di tipo manipolatorio o seduttivo.

 

Caratteristiche giuridiche

 

37 provenivano dal carcere;

2 hanno ottenuto l’affidamento utilizzando la L. 165/98 (legge Simeone-Saraceni);

2 erano agli arresti domiciliari.

 

Tipologie di reato

 

violazione D.L. 309/90 compiuto da 25 soggetti sopra 41, cioè pari al 60,98%.

contro la persona 10 soggetti, il 24,37%,;

contro il patrimonio 6 soggetti, il 14,27%.

 

Di essi

 

Primari n. 17, di questi 10 sono stranieri;

Recidivi n. 24, di questi 5 sono stranieri.

 

Formazione professionale in carcere

 

Soltanto 14 utenti hanno partecipato a corsi di formazione all’interno del carcere, prima dell’inserimento nel progetto "Monopati", ottenendo le seguenti qualifiche:

qualifica di "operatore di azienda ortofrutticola" n. 8 persone;

qualifica di "Addetto alla manutenzione del verde pubblico" n. 6 persone.

A questi utenti è stato regolarizzato il libretto di lavoro presso il Centro per l’Impiego di Ferrara e, nello specifico, registrando la relativa qualifica.

 

Risultato finale

 

Delle 41 persone transitate 35 hanno completato il programma, 5 sono evase e avevano subito precedenti carcerazioni, 1 ha violato le prescrizioni del programma di trattamento. Di queste:

15 hanno trovato inserimento all’esterno in quanto regolarmente assunte, in parte da cooperative sociali o da altre aziende situate nella città di residenza;

4 persone sono state inserite in borsa lavoro;

2 in borsa di formazione;

9 sono in attesa di occupazione;

2 sono in carico al servizio sociale;

2 sono state rimpatriate;

di 1 al termine del programma non si è avuta nessuna notizia.

A conclusione dell’esperienza di stage si sono prospettate alla persona le seguenti possibilità:

sperimentare sul campo l’apprendimento teorico/pratico acquisito durante l’esperienza (ricerca attiva del lavoro, formulazione del curriculum vitae, etc.);

se ritenuto opportuno, rinnovo del periodo di stage, per consolidare i risultati raggiunti;

eventuale assunzione da parte della cooperativa o di altre aziende.

Compito degli operatori è stato coordinare le diverse attività e sostenere gli utenti nel percorso riabilitativo, soprattutto nei momenti di "passaggio", valutando di volta in volta i progressi fatti.

 

Presenza degli stranieri in carcere

 

La percentuale dei cittadini stranieri in carcere va sempre più aumentando ed anche nel progetto essa è andata via via crescendo, facendo rilevare la presenza di numerose cittadinanze - su 16 condannati si registrano dieci diverse nazionalità - , che rispecchiano il quadro migratorio nazionale. Degli stranieri inseriti nel progetto, soltanto 5 sono recidivi e 13 sono stati considerati nella fascia della marginalità.

Questi dati inducono a considerare che una più idonea accoglienza potrebbe essere un elemento di diminuzione della micro-criminalità straniera. La legge italiana consente ai cittadini stranieri detenuti di usufruire, al pari dei cittadini italiani, delle misure alternative, durante le quali possono svolgere un’attività lavorativa regolare, anche se non in possesso del permesso di soggiorno. Tale possibilità può costituire un momento di recupero socio-riabilitativo importante, offrendo loro l’opportunità di "sperimentare" modelli di vita alternativi e di acquisire abilità lavorative spendibili anche nel paese di origine.

 

Positività

 

Effetto "moltiplicatore positivo"

 

Si è realizzato nei confronti delle altre realtà locali, sia amministrazioni comunali che aziende commerciali, con cui si è entrati in contatto, per dare continuità al percorso di reinserimento dei condannati, nelle città di residenza, consolidando i rapporti familiari. Ciò è stato possibile in 7 situazioni (Regioni 1 E-R, 2 Piemonte; 4 Lombardia) dando attuazione alla territorializzazione della pena prevista dal Protocollo d’intesa fra la Regione Emilia - Romagna e il Ministero della Giustizia.

 

Cambiamento dello stile di vita

 

Si è cercato di far maturare nell’individuo un atteggiamento di collaborazione e di rispetto delle regole del "vivere civile", con una ricaduta positiva nei rapporti interpersonali, ma anche di attivare quelle attenzioni che rendono dignitosa la vita quotidiana (cura della propria persona, dell’ambiente in cui si vive, utilizzo più consapevole del denaro, etc.).

 

Socializzazione

 

Il cambiamento dello stile di vita si è rafforzato non solo attraverso le attività occupazionali, anche con quelle formative, ricreative e comunitarie. Il programma riabilitativo ha infatti considerato importanti quegli elementi che hanno contribuito alla formazione di un’identità di cittadino/lavoratore:

attività formativo/lavorativa (lavoro, borsa di formazione, pausa pranzo presso una mensa per lavoratori, aggiornamento professionale, momenti di verifica in comune, ferie/licenze premio programmate, ecc.);

tempo libero, (mostre, palestra, gite, frequenza stadio, cene collettive, etc);

arricchimento dei rapporti interpersonali (consolidamento legami affettivi attraverso licenze premio presso la famiglia, alla cui assenza si è ovviato ricorrendo alle associazioni di volontariato o a privati particolarmente sensibili).

Non va dimenticata una socializzazione spontanea, di "strada", scaturita dal tipo di compiti svolti, che ha favorito il rapporto quotidiano dei partecipanti con i cittadini e negozianti, con un riscontro immediato dell’utilità del loro lavoro.

 

Criticità

 

Misura alternativa della semilibertà

 

L’istituto della semilibertà, pur rappresentando una tappa importante dell’obiettivo d’inserimento graduale, è comunque una misura difficile da "vivere", specie se prolungata. La difficoltà risiede nella contemporaneità di una libertà parziale, limitata da rigide prescrizioni trattamentali, e un ritorno quotidiano alla vita detentiva e ai suoi vincoli. Il programma di trattamento, per la fruizione della misura indicata, stilato dalla Direzione del carcere ed approvato dal Magistrato di Sorveglianza, non sempre ha consentito il rispetto ed il conseguimento degli obiettivi progettuali. Ne è conseguita la conflittualità da parte dell’utente tra il perseguire le finalità di emancipazione sociale e lavorativa, proprie del progetto, e il rispettare le prescrizioni impostegli. Tale condizione si è ripercossa inevitabilmente nei rapporti tra operatori delle diverse Amministrazioni rispetto ai loro mandati istituzionali.

 

"Tempi Moderni"

 

La gradualità del percorso richiede il rispetto dei tempi di attuazione, un’eccessiva dilatazione comporta una perdita del loro significato. È risaputo che i tempi del Mondo del Lavoro non coincidono con quelli della Pubblica Amministrazione, in particolare con quelli dell’Istituzione Penitenziaria, che contempla oltre ai passaggi amministrativi anche quelli dell’Autorità Giudiziaria.

L’avviamento al lavoro (iscrizione, partecipazione alle aste, preselezione, colloquio di assunzione, etc.) richiede una tempestività che non corrisponde ai tempi di autorizzazione e di verifica dell’offerta di lavoro da parte dell’Istituzione Penitenziaria (visita e colloquio in loco da parte degli Assistenti Sociali del Centro di Servizio Sociale Adulti del Ministero della Giustizia, valutazione del "caso" in équipe, variazione delle prescrizioni del programma di trattamento e relativa autorizzazione da parte del Magistrato di Sorveglianza). Questa inevitabile dilatazione dei tempi, in alcuni casi ha prodotto la perdita dell’opportunità lavorativa.

 

Pochi…ma buoni?

 

Il progetto nel corso degli anni si è svolto in assenza di una puntuale informazione alla cittadinanza. Se ciò da un lato ha permesso una tranquilla attuazione dello stesso, dall’altro è venuta meno, da parte del territorio, una necessaria sensibilizzazione a sostegno del progetto. In particolare non è stato favorito l’aggancio con il mondo imprenditoriale, esito naturale del progetto Monopati, che in parte è imputabile alla riforma del collocamento, con il passaggio delle competenze dal Ministero del Lavoro all’Amministrazione Provinciale.

La realtà locale delle Cooperative Sociali, più sensibili a tali problematiche, raccoglie soprattutto soggetti multiproblematici, il cui inserimento in ambito produttivo risulta assai difficoltoso. La lenta rotazione degli utenti rende il contesto poco idoneo all’ultimo tratto del percorso riabilitativo, in quanto spesso si verifica una cristallizzazione degli interventi che non favorisce il processo di ulteriore attivazione delle risorse personali dell’utente nel tentativo di "mettere in campo" le abilità acquisite.

* Monopati = dal greco: sentiero obbligato, stretto, dove passa una sola persona

 

A.S. Maria Baglioni

Coord. settore devianza migrazioni nomadi del Servizio Sociale

Centro Servizi alla Persona di Ferrara

 

Dott. Annamaria Romano

Educatore C2 - Casa Circondariale di Ferrara

 

Dott. Pierangelo Piras

Psicologo libero professionista

 

 

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