Giornalismo dal carcere

 

Uomini Liberi - numero di gennaio 2005

 

Gli affetti in cella: l’esperienza più difficile è la lontananza dalla famiglia

L’addio di Luigi Morsello: "È il momento di andare in pensione"

Detenuti e società: la sofferenza di non poter sentire i propri cari

"Non abbandonatevi alla disperazione e allo sconforto"

Un altro Natale dietro le sbarre tra gli auguri e la nostalgia di casa

Sotto l’albero con "Radio Cagnola"

"Ma mi manca la voce di mia madre"

"Arrestate quel libro"... Vittoria della solidarietà

La salvaguardia dei rapporti affettivi nel sistema penitenziario italiano

Reinserimento, nuovi progetti dal comune di Milano

Sto perdendo colpi, è un brutto segno

Sgomento per la tragedia delle vittime dello tsunami

Gli studenti riflettono sul carcere: quante sorprese per noi adulti!

Tra i detenuti una raccolta per la Caritas

La solidarietà non sia soffocata dalla burocrazia

Pensando ogni giorno al frutto proibito

Dalla Romania per vedere Daniel: un viaggio tra dolore e speranza

Un fratello in prigione: "Non provo vergogna, tutti possono sbagliare"

Ai fornelli tra ragù, sogliole e tacchino

Gli affetti in cella: l’esperienza più difficile è la lontananza dalla famiglia

 

Parlare di affetti e più ancora di affettività in carcere diventa un discorso molto serio e profondo, ognuno di noi ha un suo percorso di vita che lo differenzia da tutto e da tutti, non esistono comportamenti che si possono estendere genericamente. La carcerazione in tutte le sue componenti e quindi anche la separazione dalle proprie famiglie, dai propri affetti è forse l’esperienza più dura che un essere umano può affrontare nella vita. Più volte ci è stato chiesto di parlare di affettività in carcere ma pochi di noi sono disponibili a entrare nel merito di questioni tanto personali. Per chiarezza vogliamo ricordare quanto oggi l’ordinamento penitenziario prevede per un detenuto: quattro telefonate al mese di dieci minuti cadauna ascoltate e registrate ai numeri consentiti, quindi la famiglia o l’avvocato; sei colloqui al mese con le persone autorizzate di un’ora cadauno, in un locale-colloqui che ci vede separati dai nostri famigliari da un muro divisorio che ci impedisce anche un semplice abbraccio; quasi sempre la sala colloqui è colma all’inverosimile e lo spazio disponibile spesso è insufficiente e quindi tutti veniamo compressi, il rumore sovrasta ogni parola e diventa quasi un’impresa potere sostenere una conversazione con i propri famigliari.In una situazione come questa, con edifici carcerari che spesso sono fatiscenti, come si può seriamente parlare di affettività in carcere? Personalmente credo che sia follia pura pensare di fare entrare in un carcere la propria moglie, compagna o professionista di turno per un’ora dedicata al sesso. A prescindere da tutte le problematiche morali che personalmente non provo nemmeno ad accennare per quanto trovo assurda nello status attuale una qualsiasi iniziativa in questo senso per come oggi è strutturato il sistema, voglio precisare che noi detenuti non siamo animali a cui si concede un accoppiamento a tempo predefinito in un contesto che troverei profondamente offensivo per una moglie o una compagna con la quale abbiamo un serio legame affettivo. Se ci confrontiamo con ordinamenti penitenziari di altri paesi membri della Comunità europea per i detenuti che stanno scontando una pena si prevede una forma di automatismo con la concessione di permessi premio da trascorrere in famiglia che sono fondamentali per mantenere e consolidare i rapporti e costituiscono il primo passo significativo verso un percorso di pieno recupero sociale.Noi abbiamo sulla carta delle leggi che troppo spesso non vengono applicate per la discrezionalità nella loro concessione da parte della magistratura di sorveglianza. Le nostre condanne sono in assoluto le più alte della Comunità europea, i benefici sono applicati in percentuali molto ridotte e sicuramente tutto questo stato di cose è la concausa del grande sovraffollamento delle carceri italiane, un paese dove il sistema giustizia è prossimo allo sfascio. Fa testo la recente apertura dell’anno giudiziario con la relazione del procuratore generale Favara. Tornando alle nostre condizioni di reclusione, credo che umanamente potremmo chiedere di avere delle carceri più moderne con uno spazio vivibile riservato a ogni detenuto, celle moderne con quel minimo di confort-igiene che una vita estrema come questa richiederebbe, ampi spazi per i colloqui senza barriere divisorie. Inoltre i colloqui dovrebbero essere aumentati nella loro durata e frequenza, dovremmo avere la possibilità di telefonare con maggiore frequenza come avviene in molti stati europei dove sono installate nelle sezioni le cabine telefoniche con i detenuti che utilizzano delle normalissime schede telefoniche. Questa non sarebbe una rivoluzione, ma avrebbe il significato di portare l’Italia nel terzo millennio. Non dimentichiamoci che le carceri rappresentano il livello di civiltà di una nazione e personalmente credo che lo stato attuale del nostro sistema ci debba fare riflettere seriamente. Troppo spesso la dignità dell’uomo viene calpestata, con situazioni che sono al limite di ogni tolleranza. L’indice di sovraffollamento delle carceri italiane è il più alto in assoluto in Europa, lo stato generale di molte strutture detentive è veramente indecoroso. Mai come in questi anni credo che ci sia la tendenza a volere dimenticare, nascondere una realtà che esiste anche se nessuno ne vuole parlare. Non aggiungo altro, penso di avere semplicemente testimoniato una situazione vera, reale, che nessuno può disconoscere, ma che a quasi nessuno interessa. Per chi ha fede, non ci resta che pregare, che Dio ci aiuti!

 

Livio Celotti

 

L’addio di Luigi Morsello: "È il momento di andare in pensione"

 

Confesso che ci avevo creduto! Quando ormai mi stavo programmando per andare in pensione, al compimento del 67° anno di età, che ho compiuto il 3 di questo mese, veniva adottata una modifica della normativa, che aggiungeva alla opzione già vigente, di restare ancora un biennio (opzione da me esercitata), la facoltà di chiedere di restare per ancora tre anni, fino a 70 anni.La legge è del 29 luglio dell’anno scorso, anche se io non credevo sarebbe mai accaduto. Mi ero prodigato, infatti, nel mio piccolo, a suggerire questa modifica, sembrandomi allora uno spreco (e lo penso ancora oggi) non consentire a funzionari con una esperienza consolidata e riconosciuta di decidere di prestare ancora la propria attività fino al 70° anno, non essendo questa nemmeno poi una novità, visto che è già in atto per altri pubblici dipendenti (magistrati, professori universitari). Naturalmente, mi affrettavo a presentare domanda per esercitare questa facoltà, ottenevo una lusinghiera relazione del provveditore Pagano, l’ufficio del personale adottava anche un provvedimento di concessione datato 16.11.2004, che però si arenava prima nelle secche del controllo di legittimità della ragioneria centrale presso il ministero della Giustizia, poi nella circolare attuativa del dipartimento della Funzione pubblica.Il 3 gennaio di quest’anno (il giorno del mio compleanno!) mi perveniva la risposta negativa. Non mi ci voleva molto per capire che il diniego era superabile in punto di diritto, ma che occorreva far intervenire il giudice del lavoro. Allora mi sono detto che no, non lo avrei fatto, per una sola ottima ragione, e cioè che dalla mia permanenza in servizio traeva vantaggio solo l’amministrazione penitenziaria, non io, in quanto la nuova legge non consente di riconoscere questi tre anni in aumento alla pensione, che si fermava pertanto alla data del 3.1.2005. Ne ho tratto le conseguenze e ho comunicato il ritiro della mia istanza.Dunque, si va in pensione! Dovrei essere contento, ma lo sono solo in parte. Dovrei essere sereno, e lo sono certamente. Dovrei mettermi da parte, siccome ormai in pensione, ma non credo che lo farò. Non mi farò da parte, nel senso che continuerò a mettermi in giuoco, a spendermi come ormai facevo da molti anni, forse da sempre, ma con molto maggiore esperienza ed efficacia di quanto non abbia fatto fino ad oggi. La sede non è propizia, è prematuro ed intempestivo dire come. Posso solo dire che lo farò e che alcuni preliminari sono confortanti. Ma non sarebbe saggio accennare quali e come. Posso solo dire che se e quando accadrà, sarà chiaro a tutti il "cosa farò da grande".Ora posso solo dire che di tutto ciò che ho fatto in questi trentanove anni di servizio effettivo mi pento solo degli errori, che non vorrei ripetere più, ma che mentre li commettevo non mi apparivano come tali. Sono rincresciuto di avere fatto del male ad alcuni, anche se chi mi conosce sa che ero in buona fede, quando ciò accadeva non mi rendevo conto che stavo facendo del male, quando me ne rendevo conto e potevo rimediare ho sempre rimediato. Io non sono fra quelli che non tornano mai indietro, non sanno o non vogliono mai chiedere scusa o perdono. Io ho chiesto tante volte scusa e a volte anche perdono.Adesso vi devo chiedere perdono di essere sfociato nel patetico, ma, come dire, si nasce, si muore e si va in pensione una sola volta. O no?

 

Luigi Morsello, direttore della Casa circondariale di Lodi

 

Detenuti e società: la sofferenza di non poter sentire i propri cari

 

Sono passati nove mesi dal momento in cui sono stato arrestato e oltre alla mancanza di libertà, che è fondamentale per ogni essere umano, quello che più mi fa soffrire è la lontananza dalla famiglia, condizione comune a ogni detenuto. Non poter sentire i propri cari ogni volta che ne sentiamo il bisogno, è per noi una sofferenza costante. È giusto che una persona nel momento dell’arresto venga allontanata dalla propria famiglia, ma poi si dovrebbe prevedere un sistema che consenta di tenere saldi i rapporti con i propri cari, condizione che agevolerebbe fortemente il recupero delle persone. Nella mia breve esperienza da detenuto ho avuto modo di parlare con altri compagni di sventura che in conseguenza delle lunghe carcerazioni, e quindi del lungo distacco dalle famiglie, sono stati abbandonati.Queste persone avranno molte difficoltà a ritrovare un loro spazio nella società, per questo penso che una maggiore tutela del rapporto tra detenuto e famiglia sarebbe fondamentale per conservare gli affetti che tanto ci mancano. Sono fondamentali per superare quei momenti di sconforto che inevitabilmente fanno vacillare quell’equilibrio che ci deve sostenere per evitare di entrare in quella spirale di disperazione che può arrivare alle più tragiche conseguenze. Ogni settimana nel poco tempo che ho a disposizione per il colloquio mi rendo conto di quanto è forte la sofferenza della mia compagna che mi è vicina in questo tragica esperienza, facendo sempre in modo di non farmi pesare quanto è successo e soprattutto riuscendo a tenere sereni i bambini che sono i primi a pagare per gli sbagli che ho commesso. Non potrò mai dimenticare quanto lei è stata in grado di fare per me, la mia riconoscenza e gratitudine saranno indelebili insieme a quell’immenso amore che mi accompagnerà per tutta la vita al suo fianco. In molti stati della Comunità europea sono in vigore ordinamenti penitenziari molto più garantisti del nostro, che permettono ad esempio di telefonare a casa più volte alla settimana e prevedono colloqui più frequenti e con maggiore riservatezza. Non dimentichiamo poi che per la lentezza della nostra giustizia molte persone per reati più o meno gravi vengono giudicate molti anni dopo la consumazione del reato, quando magari in situazioni totalmente diverse hanno trovato una dimensione lavorativa nel pieno rispetto delle regole e mai più avrebbero commesso reati. Anche in questi casi le misure alternative dovrebbero trovare più facilmente accoglimento così si eviterebbe di spingere nuovamente le persone nella morsa del crimine; tutti possono capire che una persona che manca per uno o più anni da una attività lavorativa è al suo rientro nella società penalizzata sul piano economico e sociale.

 

C. Brugnolo

 

"Non abbandonatevi alla disperazione e allo sconforto"

 

Mi chiamo Gloria Angelini e sono di Lodi, l’anno scorso ho lavorato in carcere come infermiera, è stato molto coinvolgente; la vita del carcere è molto dura e mi rattrista molto la notizia della morte di un detenuto, il suicidio è un gesto molto violento sulla propria persona, tanta disperazione nel cuore di quest’uomo; solo lui ed altri carcerati possono sentire nel profondo del loro cuore l’isolamento, la solitudine, la lontananza dalla propria famiglia. Non lasciatevi andare alla disperazione, non lasciatevi trasportare dallo sconforto. Questo è il terzo anno che trascorro qualche settimana in India vicino a Mumbai, sono volontaria in un villaggio di lebbrosi e orfanelli, siamo tutti di religioni diverse ma c’è una grande fratellanza, vita comune, anche di preghiera. Si prega per tutti, non importa quale sia la religione, nella sofferenza siamo tutti uniti. Swarga Dwar è immersa nel verde, sembra un angolo di paradiso; vi auguro in un prossimo futuro di poter visitare questo posto, lavorare con loro, sorretti dal loro sorriso. I miei amici lebbrosi trasmettono serenità e a me ne danno molta, ne voglio trasmettere anche a voi che ne avete più bisogno di me.

 

Gloria

 

Un altro Natale dietro le sbarre tra gli auguri e la nostalgia di casa

 

Durante il processo avevo calcolato che questo Natale lo avrei trascorso con la mia famiglia. Più passava il tempo e più me ne convincevo; ora il mio desiderio è diventato delusione e quello che più mi rattrista di questa vicenda è che oltre a me è tutta la mia famiglia ad essere rimasta tremendamente delusa.Pur di far stare tranquilla mia madre ogni volta che telefonavo a casa o quando venivano al colloquio le ripetevo sempre la stessa cosa, di non preoccuparsi e di stare tranquilla perché male che andava per Natale con un permesso premio o con una misura alternativa sarei andato a casa. Il Natale è arrivato e quanto avevo sperato non si è avverato; questa è una delusione che mi porterò per sempre nell’animo. Mi ricorderò con piacere anche la sera della vigilia quando il comandante del carcere Raffaele Ciaramella, accompagnato da tanti volontari uomini e donne vestiti da Babbo Natale, hanno distribuito panettoni a volontà per tutti e sacchetti pieni di generi alimentari, cioccolatini e caramelle. Finalmente dopo 2 anni i miei occhi si sono colorati di rosa perché dentro i sacchetti donati dai volontari c’era anche il salmone affumicato.

È stato un momento bellissimo perché ci hanno fatto sentire importanti, non immaginavo che venissero delle persone a farci gli auguri di Natale alla vigilia, sacrificando ore del loro tempo che avrebbero potuto passare con i propri cari. Si sono impegnati a portare un po’ di affetto a delle persone che in questo momento hanno bisogno di sentirsi normali come loro e non extraterrestri per come ci considera la maggior parte della gente fuori.Non so quanti di noi avrebbero fatto un gesto del genere: ci ha fatto molto piacere passare qualche ora insieme a loro facendoci sentire il loro calore umano. Resta il rammarico per non aver potuto trascorrere il Natale a casa. Ho provato più delusione per questa mancata risposta di quando la mia ex ragazza mi ha lasciato appena ho messo piede in carcere.Sono un grande sognatore. A volte faccio dei sogni che si avverano. Questa volta il sogno di andare a casa per Natale e brindare al nuovo anno con tutti i miei famigliari mi ha tradito. La notte di Natale avevo solo un pensiero rivolto a loro: anche questo anno è passato senza festeggiare tutti insieme come abbiamo sempre fatto. Ho ricevuto tanti biglietti di auguri e messaggi di arrivederci a presto, la lettera che mi ha toccato di più il cuore e che mi ha fatto piangere per una notte intera è stata quella di mia madre.

Speravo che questa lettera il postino la smarrisse per le parole che conteneva: "adorato figlio mio fra due giorni è Natale e anche quest’anno il tuo posto a tavola rimane vuoto, per noi non sarà un giorno di festa ma un giorno normale, brinderemo quando tu sarai a casa assieme a noi, solo Dio sa quanto sarei stata contenta di vederti, abbracciarti, baciarti e portarti qualcosa di speciale da mangiare per Natale. Mi dispiace tantissimo che non abbiamo avuto la possibilità di venire a fare il colloquio come hanno fatto tutte le mamme dei tuoi compagni, ma come sai non potevamo permetterci il viaggio perché i prezzi dei biglietti erano "alle stelle" ed è per questo che a volte non riesco neanche a parlare al telefono con te ma ti assicuro che al più presto cercheremo di venire. Un bacio, la tua mamma che ti pensa sempre".Chi o cosa può fare felice una mamma che ha un figlio in prigione e che non può neanche venirlo a trovare? Penso che non ci sia niente e nessuno che possa fare felice una mamma in questa situazione.

 

Gaetano Crivello

 

Sotto l’albero con "Radio Cagnola"

 

"La vigilia di Natale Radio Lodi devi ascoltare, per te c’è un regalo davvero speciale... fra poco te ne voglio parlare...". Con questa mia breve frase ho introdotto, con due settimane di anticipo, l’insolito appuntamento radiofonico con la Casa circondariale di Lodi. Venerdì 24 dicembre Radio Lodi si è chiamata Radio Cagnola, in quanto è diventata "un ponte umano" tra le frequenze locali e i parenti e gli amici degli ospiti della Casa. Ritengo che sia stata una bella esperienza, anche se molto impegnativa. Due ore di diretta sono intense e fonte di notevole dispendio energetico! Quando ricevetti la telefonata di Giacinto Bosoni, durante un martedì mattina "qualunque", la giornata cambiò subito direzione. Innanzitutto, provai una forte soddisfazione in quanto scelsero proprio me. Avete presente quando restate increduli davanti a un risultato che non avreste mai sognato di raggiungere? Ecco, io l’ho provato proprio in quell’occasione. Ovviamente accettai su due piedi. Ora lo posso dire: il piacere lasciò il posto a una lacrimuccia di ringraziamento. L’appuntamento mi avrebbe dovuto impegnare dalle 14 alle 16 della vigilia. Mi sarei dovuta occupare di gestire, in diretta, le telefonate che sarebbero arrivate da tutta Italia e dal Lodigiano, indirizzate agli abitanti di via Cagnola. Mi risultava poco chiaro cosa avrei dovuto fare. La domenica sera durante il mio programma in diretta sono abituata a interagire con il pubblico attraverso i messaggini, il cui contenuto è quasi sempre di carattere musicale e generico. Pertanto avevo davanti l’ignoto; infatti, erano pronte diverse registrazioni di altrettanti interventi da parte di voci più o meno autorevoli del settore. Una sorta di "piano B", nel caso in cui le telefonate non fossero arrivate. Mi sentivo un pochino più sicura.

Invece, colpo di scena! Il telefono di Radio Lodi, ehm, Radio Cagnola non finì mai di squillare. Della parte tecnica si occupò fortunatamente il bravissimo Bob, che si improvvisò anche abile centralinista. Infatti fra i suoi compiti c’è stato anche quello di smistare le innumerevoli chiamate e di metterle addirittura per più volte in attesa. Mentre parlavo al microfono con amici e parenti ho provato diverse e forti emozioni. Dalla simpatia alla comprensione, passando attraverso il silenzio interiore. Fu difficile per me tenere in mano la situazione.

Forse, per la prima volta in vita mia, capii l’importanza della voce che vuole comunicare in modo semplice il più nobile dei sentimenti: l’Amore. Un Amore inteso come desiderio di rivedersi, di abbracciarsi, di stare insieme durante il giorno più bello dell’anno: il Natale di Nostro Signore. A ricordarci il valore cristiano del messaggio natalizio in questa occasione fu il cappellano della Casa circondariale, monsignor Mario Ferrari. Le sue parole al microfono risuonarono, e risuonano, come campanelli nelle mie orecchie. In tutta sincerità conosco poco l’universo della reclusione e di tutto ciò che le ruota attorno, come il volontariato che opera nel settore. Con un volontario sono stata, per la prima volta in vita mia, in visita alla Casa circondariale, il giorno dell’Epifania. Ho avuto il piacere e l’occasione di conoscere di persona il comandante, Ciaramella e il direttore, Luigi Morsello. Posso dire in questo modo di aver inaugurato il mio S. Natale con voi, amici di via Cagnola, e di averlo chiuso entrando nella vostra temporanea dimora. Mi sento di ringraziarvi perché avete accolto la mia voce e la mia presenza fra di voi. Vi auguro un anno denso di serenità e che i vostri desideri diventino veri. A presto. Un sorriso.

 

Bernadette

 

"Ma mi manca la voce di mia madre"

 

Buon giorno… Mi chiamo Massimo e sono di Lodi. Quando passavo lungo questa via, la via Cagnola, mi chiedevo sempre come fosse la vita oltre queste mura oscure. Al solo pensiero rabbrividivo… mi chiedevo sempre che cosa stessero facendo i detenuti nelle loro celle, mi chiedevo come fosse il funzionamento del carcere e che cosa offriva ai detenuti… Ma un bel giorno finii di pormi queste domande perché quel giorno arrivò anche per me. Ed ora non ho più paura di quelle mura oscure. Qui dentro ho capito che è tutto un altro mondo: esistono regole che vanno rispettate, ma soprattutto tendi a conoscere persone di altre città, di altri paesi e soprattutto la cosa che mi ha colpito di più è che ho ritrovato vecchi amici di compagnia che non vedevo da tempo. Dovevo finire in "galera" per ritrovarli, nonostante fossimo tutti di Lodi. Un gesto che mi ha colpito molto è stato il giorno di Natale: hanno aperto tutte le celle ed avevamo tutto il corridoio. Alcuni camminavano lungo il corridoio, si formavano gruppi dove ci si raccontava gli avvenimenti successi durante la notte… durante il giorno… e storie veramente allucinanti. Non ho mai riso così tanto in tutta la mia vita, c’era chi giocava a carte nelle proprie celle. Con l’approssimarsi del mezzogiorno, il corridoio cominciava a svuotarsi, gli invitati cominciavano a entrare nelle celle dove sono stati invitati.

È stato uno dei pochi giorni più belli della mia vita… E c’è chi dice che in galera si sta male; io finora non mi posso lamentare perché ho sbagliato ed è giusto che paghi in qualche modo, ma cerco di comportarmi nel modo migliore possibile. In verità quello che mi manca oltre all’aria è… la voce di mia madre… gli occhi di mia sorella… le lamentele di mio padre e tutte le persone che, anche se sanno che nella vita ne ho combinate di tutti i colori, credono in me. Sanno come sono fatto dentro. Ci sono persone che hanno famiglia e non vedono l’ora di poterle riabbracciare… Questa è la mia prima volta che mi trovo cosi a lungo nel carcere di Lodi e ho capito molte cose: al di fuori di queste mura ci sono persone che conoscendo i nostri disagi si impegnano a organizzarci delle sorprese, ma soprattutto dei regali come il tipico Natale. Alle 22.30 del 24 dicembre si sono presentate nelle nostre celle diverse persone di cui 4 babbi natali e 3 donne con dei pacchettini in mano pronti alla consegna per ogni detenuto: non potete immaginarvi quante cose da mangiare… vorrei ringraziare di cuore per quello che hanno sia fatto che donato. L’unica cosa che posso veramente dire è che fuori "avevo tanti amici" ed ora che sono qui nessuno si ricorda di me… ma gli unici amici che non hanno mai smesso di amarmi sono proprio i miei cari genitori, è per questo che non li deluderò mai più. Qui dentro si ha molto tempo a disposizione per capire veramente quello che si sta cercando ed io onestamente non vedo l’ora di poter ricominciare una nuova vita… perché ho voglia di crescere, ho voglia di vivere e prima o poi finirà tutta questa oscurità. Grazie per avermi ascoltato.Insegnate ai vostri figli che esistono milioni di cose per essere felici… perché oltre queste mura regna l’oscurità.

 

Jamaica

 

"Arrestate quel libro"... vittoria della solidarietà

 

Arresti come mai se ne erano visti, la notte di Natale, presso il carcere di Lodi. Arresti di libri, per fortuna. Solo di libri. Libri diversi, nuovi, incensurati, desiderati, impacchettati.Si tratta dell’esito finale di "Arrestate quel libro", iniziativa che per il secondo anno ha coinvolto i detenuti del carcere di Lodi, le librerie della città, la biblioteca Laudense e numerosissimi lettori. L’idea è molto semplice: chi acquista un libro nelle librerie aderenti può omaggiare di un libro un detenuto del carcere scegliendo all’interno di un elenco nel quale sono riportati i titoli dei volumi che i detenuti stessi hanno indicato come "desiderati". I libri vengono confezionati, chi vuole li può dedicare, con una frase di augurio o semplicemente di saluto, e vengono recapitati in carcere la notte di Natale. Non tutti i detenuti avevano espresso una preferenza – ci sono difficoltà legate al reperimento di libri "in lingua" e dunque i detenuti stranieri risultano penalizzati – altri, purtroppo, non sono stati accontentati – avevano richiesto libri non più editi o introvabili – altri ancora, semplicemente, non avevano espresso nessun desiderio perché non amano leggere, ma nella maggior parte dei casi si è riusciti a corrispondere alla richiesta. Anzi, si è fatto molto di più: esauriti i titoli del libri richiesti ma non esauriti i lettori lodigiani che erano disposti a parteciparvi, abbiamo raccolto donazioni per integrare il patrimonio della biblioteca carceraria. Qui sì, "l’arresto" è davvero definitivo: non abbiamo la speranza che i volumi escano dal carcere, presto o tardi, insieme al loro proprietario: rimarranno in via Cagnola, reclusi e ristretti, a far compagnia – speriamo – a chi, a sua volta, si ritrova recluso e ristretto. I lodigiani si sono rivelati sensibili e disponibili, incuriositi e all’inizio, forse, anche un po’ timorosi, poi molto partecipi e desiderosi di creare un "ponte" che, in qualche modo, colleghi almeno idealmente il "dentro" e il "fuori". Le numerose dediche sui volumi ne sono la dimostrazione. Per concludere, solo un accenno al fatto che da qualche settimana è in corso di riorganizzazione la biblioteca carceraria, trasferita in uno spazio nuovo e accogliente, e che, a breve termine, dovrebbero attivarsi, grazie anche alla disponibilità dell’amministrazione carceraria e alla collaborazione della biblioteca Laudense, dei gruppi di lettura che coinvolgeranno i detenuti. È un’iniziativa nuova per il carcere di Lodi e anche per le persone che stanno sostenendo questo progetto, ma crediamo soprattutto si tratti di una possibilità in più, per chi come noi crede alla lettura come momento di svago, ma anche come occasione di crescita, di divertimento, di conoscenza, di approfondimento, di "viaggio" e di "sogno", per rendere la detenzione più umana e, se possibile, un po’ più ricca. Il patrimonio della biblioteca aspetta di essere integrato: se volete potete continuare ad aiutarci ad "arrestare libri", per "scarcerare", almeno idealmente, chi dietro le sbarre vive la pesantezza delle sue giornate (per info: uominiliberi@virgilio.it).

"…l’uomo vive in gruppo perché è gregario, ma legge perché si sa solo. La lettura è per lui una compagnia che non prende il posto di nessun altra, ma che nessun altra potrebbe sostituire. Non gli offre alcuna spiegazione definitiva sul suo destino, ma intreccia una fitta rete di connivenze tra lui e la vita…cosicché le nostre ragioni di leggere sono strane quanto le nostre ragioni di vivere. E nessuno è autorizzato a chiederci conto di questa intimità" dice Daniel Pennac. E noi sottoscriviamo.

 

La salvaguardia dei rapporti affettivi nel sistema penitenziario italiano

 

Quanti gli indirizzi di studio che un uomo può scegliere per approfondire la sua conoscenza, quante le esperienze che si possono fare, quanti settori che la società ci offre diversificando scelte per sviluppare ideali, progetti. Quanti stati, culture, religioni, ideologie diverse, insomma la parola opportunità è sovente nel mio vocabolario, quindi appassionarsi ad un unico indirizzo, sarebbe troppo limitante.

Ciò che comunque mi attrae maggiormente coinvolgendomi sin nel profondo del mio Io, è il binomio cervello-mente, approfondire la mia conoscenza sull’organo più importante del nostro corpo, non tanto il profilo strutturale, ma piuttosto le modalità di funzionamento della mente. Nell’antica Grecia, quando ancora l’argomento sembrava esclusiva dei filosofi, Platone sosteneva che il pensiero non è di natura fisica, quanto un’entità super sensibile indipendente dalla corporeità che lo contiene. Prima e dopo di lui svariate ipotesi più o meno plausibili furono pronunciate e assorbite come verità assolute, anche perché la mancanza di tecnologia limitava ogni altra via scientifica all’indagine.

Da alcuni decenni, grazie allo sviluppo tecnologico, siamo riusciti a capire per esempio che il cervello ospita circa un centinaio di miliardi di cellule nervose interconnesse le une alle altre tramite un sistema neurale, abbiamo dato nome a neuroni, molecole e persino a ciò che collega fra di loro "sinapsi", gli stimoli che attraverso i sensi dall’esterno riceviamo, e in quale parte del cervello si concentrano per essere rielaborati e produrre risposta. Sono stati fatti passi da gigante nel campo scientifico ed altri se ne faranno.Ma ciò che non si vede? Ciò che non si tocca? Tutta la sfera che comprende sentimenti, emozioni, questa è ancora un argomento tabù, basato quasi esclusivamente sull’empirismo e cioè sull’esperienza stessa dell’individuo.

Proverò oggi a spendere due parole sull’affettività, quel complesso di sentimenti propri che comprende appunto le emozioni, l’amore, il temperamento e la sensibilità, più che l’intelligenza dell’individuo, anche se parlare di ciò che mi è stato strappato con una violenza inaudita, penso sia controproducente per me, ma può far prendere coscienza. Ricordo bene il desiderio di trasmettere l’affetto che provavo, e provo tuttora per le persone care, l’emozione racchiusa in un abbraccio ha sempre sprigionato calore a chi lo riceve e gioia a chi lo dona, vittime preferite della mia appassionata energia, i miei nipoti, Marta, i miei cuginetti, famigliari tutti e per abbreviare la cerchia, un gruppo di anziani che hanno sempre visto in me la grande sensibilità che mi caratterizza, l’amore per la donna è un sentimento che custodisco gelosamente, quindi… Ora come parlare di questa linfa vitale indispensabile per dare sapore e significato alla vita, nutrimento nei momenti di difficoltà, come ripensare a quegli attimi di scambio cosi intensi senza provare dolore? Cosa, cosa proporre per aiutare un sistema che sembra insensibile a non farci dimenticare?

Voglio sia chiaro il desiderio che quotidianamente ci accompagna e che dobbiamo reprimere con l’atrocità dell’impotenza. Detto questo, non so di preciso quale sia la strada da percorrere per migliorare le nostre condizioni, ma la storia insegna. A questo proposito, mi viene spontaneo fare un paragone riferendomi all’evoluzione nel campo psichiatrico, avuta negli ultimi cinquanta anni, quando ancora il manicomio sembrava l’unico luogo per curare una molteplicità di patologie incredibili. Poi con la legge Basaglia, questi luoghi di tortura sono stati chiusi, i "pazzerelli" collocati in miniappartamenti, seguiti poi degli assistenti sociali. Grazie alla scienza, all’impegno incrociato di biologi, psichiatri, psicologi, la farmacologia ha sostituito la camicia di forza e i lacci, rendendo più dignitosa e accettabile la vita del malato. Se in un campo cosi complesso si sono fatti tanti passi in avanti, perché non credere che anche per le carceri italiane si possa fare altrettanto?

 

Carlo Bernardi Pirini

 

Reinserimento, nuovi progetti dal comune di Milano

 

È notizia di questi giorni che il comune di Milano riserva in bilancio 390mila euro per finanziare nuovi progetti per le carceri milanesi. A beneficiarne saranno i penitenziari di Bollate e Opera, la Casa circondariale di San Vittore, l’istituto per i minorenni Cesare Beccaria e 19 associazioni che operano nel campo della detenzione. In totale, 31 attività (continuative, occasionali o a progetto) che vanno dalla mediazione culturale per carcerati stranieri alla formazione professionale, alla realizzazione di un sito Internet per la tutela dei diritti dei reclusi.Viste le difficoltà di bilancio spiega infatti Stefano Carugo, presidente della commissione carceri di Palazzo Marino, "l’approvazione di questo stanziamento è da considerarsi un grande successo, frutto di un lavoro tenace". Tutto comincia un anno e mezzo fa "quando - spiega Carugo - abbiamo iniziato a visitare le carceri per capire ciò di cui c’era davvero bisogno". E a saltare all’occhio è che è urgente "investire nella professionalità, e spenderla nel mercato del lavoro". Oltre la detenzione, un ruolo da recuperare nella collettività.

Così nascono i laboratori artigianali, quelli di teatro, di musica e di scultura, le falegnamerie e i diversi corsi di formazione. Gli interventi vengono decisi in accordo diretto con gli istituti penitenziari. Questi progetti sono importanti opportunità per i detenuti: assistenza prima, poi formazione, recupero e infine reinserimento, dal carcere alla società per un percorso che consenta a un detenuto di essere un cittadino e non un ex detenuto. Questa iniziativa del comune di Milano è altamente meritoria e credo che molte altre amministrazioni comunali dovrebbero seguire questo esempio. La realtà del carcere di Lodi per dimensioni è molto modesta paragonata alle carceri milanesi e quindi dovrebbe essere abbastanza semplice per chi amministra questa città pianificare una serie di iniziative che possano diventare strumento per un percorso di pieno recupero sociale di quella parte della popolazione detenuta che cerca con l’espiazione della pena quella redenzione che consenta loro di recuperare un ruolo positivo e attivo nella società. Noi detenuti di questo carcere lanciamo un appello a tutti quegli enti, persone che per ruolo e competenze sono in grado di proporre iniziative concrete che possano costituire la base di partenza per un percorso di piena integrazione sociale tra chi ha sbagliato e sta pagando i suoi errori e la società esterna. Siamo certi che da parte del direttore di questa struttura ci sia piena disponibilità nel valutare e cooperare in tutte quelle iniziative che potrebbero essere proposte e risultare importanti per migliorare la situazione di tante persone detenute che aspettano solamente che venga loro tesa una mano.

 

Livio Celotti

 

Sto perdendo colpi, è un brutto segno

 

Sono sul "14", un tram che mi porta dal centro di Milano fino alla periferia ovest, di fronte al cimitero Maggiore. Sono venuto in città perché qui ci sono i tram. Una parte della mia attività, fin dall’inizio, è impostata sullo spostamento di capitali dalle borsette delle signore che viaggiano alle mie tasche…Prediligo questa linea perché mi ha sempre portato fortuna. I colpi migliori sono riuscito a farli su questi mezzi. E poi qui non mi hanno mai beccato… Non avete idea della trepidazione che si prova quando, dopo il colpo in un angolo appartato, si apre lentamente il portafoglio come le carte ad una mano di poker. Si entra nel mondo di qualcun’altro che adesso ti appartiene. In un primo momento vai al sodo: conti tutto il contante e le carte di credito. Poi, se hai tempo, curiosi tra le carte e qualche fotografia che la tua vittima celava. Le foto del marito, dei figli, dei nipotini, qualche ricevuta della tintoria e qualche bigliettino di appunti. Ancora numeri di telefono provvisori, appena scritti e non ancora trasferiti nell’agendina oppure, chissà, il numero di telefono dell’amante camuffato sotto il nome di un’amica…Sono salito in "Cordusio".

C’era molta gente. L’orario di punta è logicamente quello da preferire. Gli uffici chiudono ed una marea d’impiegati non vede l’ora di arrivare a casa e sono disposti a stare pigiati come sardine dentro una sferragliante scatola di metallo. Che cosa posso pretendere di più! Chi vuoi che faccia caso a qualche spintone in più o in meno o a una mano sapiente che apre una borsa e si muove con la delicatezza di un gatto. Sembra facile a dirsi ma, oltre alla lunga pratica, ci si deve anche essere nati. Oggi però c’è qualcosa nell’aria, la gente sembra piuttosto nervosa. Come mi sposto verso questo o quella, si girano subito dalla mia parte, si mettono sulla difensiva e mi guardano come se avessi scritto in faccia la professione che faccio.

Gli anni passano e la gente diventa sempre più smaliziata. Peccato…Abbiamo già passato il "Monumentale" e non ho combinato niente. Il tram ora non è più così pieno. Con fare indifferente cerco quella che potrebbe essere la mia preda: una vecchia signora. Cerco di impostare un piano d’avvicinamento, ma il tram frena, le porte si aprono e la signora lesta, lesta scende. Devo ricominciare daccapo. Piazza Firenze, poi viale Certosa. Mancano poche fermate al capolinea: devo decidermi.Ora siamo rimasti in pochi: due giovani che si raccontano le loro cose, un vecchietto e una signora con due bambini piccoli oltre al sottoscritto. Non ho scelta. Devo per forza puntare sulla signora. Sono in piedi vicino alla porta di mezzo e lei sta seduta quasi di fronte. Ad un tratto, quando mancano due fermate alla fine della corsa, si alza e prende per mano i figli. Mi scosto per farla passare e aspetto l’attimo propizio.

Le porte si aprono e lei, con una certa fatica, cerca di scendere intralciata dei piccoli. È l’attimo che aspettavo.Allungo una mano premurosa per aiutarla e con l’altra, in una frazione di secondo, apro la borsa quel tanto che basta, con due dita tolgo il portafoglio e lo infilo in tasca. Le porte si richiudono con il sibilo dell’aria compressa e rimaniamo soli io, la signora e i due bimbi. In giro non c’è nessuno. Lei di colpo capisce cosa è successo, ma non grida, non si muove. Mi guarda e basta. Anch’io la fisso e solo ora riesco a vederla bene in faccia. È abbastanza giovane, forse più giovane di quello che sembra. Una faccia scarna, l’espressione tirata e due cerchi scuri sotto gli occhi raccontano la sua storia, fatta di lavoro, fatica, sacrifici e due bimbi piccoli da crescere. Il cappotto che porta non è certo griffato come non lo sono quelli dei suoi figli. Forse le sono stati donati dalla parrocchia. I due bimbi dai faccini smunti si tengono aggrappati al tessuto, muti come la mamma.

E lei continua a guardarmi. Non c’è odio nei suoi occhi, non c’è disperazione. Forse quelli li ha già persi da tempo. C’è solo rassegnazione. La rassegnazione di chi sa di essere nato sfigato: sempre. Senza rendermene conto, mi chino di scatto e nella mia mano appare il portafoglio: "Signora, scendendo le è caduto il portafoglio…" dico porgendoglielo.Lei lo prende e con la testa fa un cenno che vuole essere il ringraziamento per averla risparmiata. Indietreggia due passi, si gira e se ne va sempre con i figli aggrappati al cappotto.

La osservo allontanarsi poi di colpo la raggiungo: "Signora, mi scusi ancora, ma forse non si è accorta che dal portafoglio le sono caduti questi" dico allungandole una banconota da cinquanta euro: tutto quello che avevo in tasca. Mi guarda un attimo: il suo sguardo cambia. Prende la banconota e accenna un timido sorriso. Non ringrazia, ha capito, ma le rimane ancora la dignità di non accettare l’elemosina e di cogliere il fato che oggi è stato favorevole. Si allontana in silenzio come se non fosse mai esistita ed io sto lì fermo a guardarla finché non gira l’angolo dell’isolato. Poi ragiono: no, così non va. È un brutto segno. Forse è l’età, ma non è serio comportarsi così in questo lavoro. Non ci deve essere spazio per la pietà. Ma che ladro sarei se tutte le volte devo interessarmi dei fatti che non sono i miei?… Sono davvero arrabbiato.

 

Gigi

 

Sgomento per la tragedia delle vittime dello tsunami

 

L’onda del destino. Detto così sembra il titolo di un film degli anni Cinquanta. Eppure è la verità. Solo il destino, un infame destino, poteva accanirsi con tale spaventosa crudeltà contro tante vittime innocenti. Non siamo cronisti e quello che scriviamo arriverà in ritardo, dopo che tutti i mezzi d’informazione hanno riempito ogni spazio, come era giusto, fino ad ora. Questo ci ha permesso, senza toglierci dagli occhi l’orrore a cui abbiamo assistito, qualche piccola e modesta riflessione. Tra le oltre centomila vittime delle zone colpite, figuravano anche alcune migliaia di turisti arrivati da ogni parte del mondo. Attirati dallo splendore delle spiagge, dal mare, dalle palme, si sono presentati, puntualissimi, all’attimo finale. Perché questo era scritto: in quel giorno, in quel luogo, in quel minuto, la tua vita deve finire. La signora vestita di nero non ha fatto distinzione tra etnie diverse, colore della pelle, religioni, sesso o età. Mi viene alla mente un romanzo che avevo letto da giovane: "Il ponte di St. Louis Rey", di Thorton Wilder.

L’autore cerca di dare un senso logico al fatto che alcune persone, che non si conoscevano, si trovassero contemporaneamente sul ponte mentre questi precipita nell’abisso. Siamo ancora una volta impotenti testimoni della forza smisurata della natura che l’uomo da sempre cerca di contrastare e di domare e ancora una volta ci rendiamo conto di quanto siamo piccoli e indifesi. Altro che armi di sterminio di massa! È bastato uno starnuto e tutto il castello di carte costruito lungo le coste se n’è volato via come polvere al vento. Ci viene raccontato da sempre del diluvio, che in tempi remoti spazzò dalla terra l’umanità intera per volere di Dio.

Non ci ho mai creduto. Non che il diluvio fosse mai esistito, ma che esistesse in Dio così crudele e vendicativo. Anche adesso si potrebbe dire la stessa cosa. I peccati dell’uomo non sono minori, ma che peccati avevano commesso le migliaia di bambini morti se non quelli di sorridere, giocare e gridare di gioia? Forse siamo diventati, o lo siamo sempre stati, troppo presuntuosi. Crediamo di essere così intelligenti e di conoscere tutto. Le nostre roboanti "tecnologie avanzate" devono sapere, devono prevenire, devono evitare… Sarebbe meglio rimanere con i piedi per terra e tornare a rispettare e a temere la natura e tutti quegli eventi naturali che si ripetono da milioni di anni.Come diceva uno sciamano Lakota, stiamo correndo troppo e non rimane il tempo per pensare. Forse bisognerebbe insegnare questo nelle scuole, perché il pensiero è l’eredità più ricca che l’uomo può lasciare ai posteri.

 

Franco

 

Gli studenti riflettono sul carcere: quante sorprese per noi adulti!

 

"Mio papà che fa il carabiniere a Milano mi ha sempre parlato male del carcere, ma dopo questa lettera mi sono convinto a cambiare idea" (Fabio, 2ª media). Basterebbe questa riflessione per cambiare idea anche noi adulti sul carcere e sui ragazzi di oggi.Insegnando religione alle medie del San Francesco ho proposto la lettera di Mohamed Boneschi apparsa sul numero di novembre di "Uomini Liberi" e pensavo che avrebbero fatto solo domande curiose e invece...

E invece noi "grandi" apriamo la bocca con tanti giri di parole ma chiudiamo il cuore e la mente pronti a cambiare idea di fronte a certi titoli di giornali, del tipo "Ha ucciso una suora, farà la baby-sitter". La realtà è molto complessa, però mi sembra di capire che i nostri ragazzi abbiano come colto il cuore dei problemi che circondano il mondo del carcere.Solo alcuni spunti. La pena deve essere sempre medicinale e non punitiva o fine a se stessa, sembra dire Federica (1ª media). La persona ha dei diritti inalienabili ovunque essa si trovi (Camilla. 2ª media).

Tutti possiamo sbagliare e se in carcere ci andassero tutti quelli che rubano... sembra pensare Alice (3ª media), che si spinge fino a dire che il perdono richiede la riparazione, senza confondersi con il buonismo. Infine Edoardo e Guido (3ª media) si dicono certi della "bontà" del carcere e che massima cura (pene alternative?) richiede l’esodo quando un giorno si uscirà di lì."Ti auguro di uscire presto e di ricominciare a vivere come una persona normale, di dimenticare il passato e di pensare al futuro. Spero che tu venga accettato per quello che sei e non per quello che hai fatto" (Federica). "Signor Mohamed, mi ha colpito molto la sua lettera e ho capito che oltre all’opinione dei mass-media che fanno vedere gli arresti esiste anche la vita dei carcerati che hanno un pensiero e dei sentimenti" (Camilla). "Molta gente pensa che i carcerati siano delle persone pericolose, da isolare. La verità è che hanno commesso degli errori, magari un po’ più gravi, ma... chi non li commette??? Io non so cos’ha fatto Mohamed, comunque sono sicura che si è pentito... Mi piacerebbe visitare un carcere e ascoltare le storie dei detenuti... Leggendo la lettera di Mohamed ho provato come un brivido perché ha scritto cose che arrivano dritte al cuore delle persone" (Alice)."Don Gatti ci ha portato la tua lettera in classe e mi ha colpito in particolare quanto in carcere sono importanti le cose semplici che io non riesco ad apprezzare perché per me sono all’ordine del giorno. Mi ha anche colpito quando parli degli occhi della tua sposa Zora... Non credevo che in carcere ci fossero delle persone così... Vedrai che un giorno ritroverai la felicità" (Edoardo). E Giulia (1ª media) aggiunge: P.S. sei fortunato perché hai capito cos’è la libertà, noi non ce ne accorgiamo.

"Spero un giorno di incontrarti Mohamed e di fare amicizia" (Guido).Ancora una volta mi convinco sempre di più che noi adulti dovremmo maggiormente metterci in ascolto dei nostri ragazzi, spesso sorprendenti se solo togliessimo la coltre televisiva che li avvolge e smettessimo di pensare a loro se il mondo va male ripetendo alla noia che non ci sono più i valori di una volta. Chiediamoci ogni tanto se questo non è un alibi e soprattutto chi ne ha interrotta la trasmissione.Vale anche per me, sacerdote.

 

Don Luigi Gatti

 

Tra i detenuti una raccolta per la Caritas

 

Quello che accade nel mondo lo sentiamo vivo e presente anche se lo viviamo solamente per quanto ci viene presentato dai mezzi di informazione televisivi o giornali, quotidiani. La recente tragedia del sud est asiatico ha colpito molti di noi: le immagini di morte, distruzione, dolore, sofferenza sono state sconvolgenti.Nel nostro piccolo noi detenuti con le nostre modeste possibilità ci siamo fatti promotori di una piccola sottoscrizione - raccolta fondi il cui ricavato abbiamo pensato di fare pervenire alla Caritas di Lodi, organizzazione conosciuta a livello mondiale per la sua integrità morale e che come sempre sarà in prima fila nella sua opera di aiuto e soccorso alle popolazioni colpite da un così grande cataclisma.Nessuno di noi vuole ergersi a maestro di moralità, ma forse tante persone dovrebbero ricredersi sulla moralità e i principi di persone che potranno sicuramente avere commesso degli errori ma che una volta che hanno intrapreso il loro cammino detentivo, pagando così il loro debito con la società, hanno il diritto di avere ancora una possibilità, di pretendere il rispetto da chi troppo spesso si erge a giudice di regole e di vita. Qualcuno prima di noi disse… "chi non ha mai sbagliato scagli la prima pietra…", vorrei vedere quanti avrebbero il coraggio di farlo. Troppo facile è giudicare il prossimo, spesso bisognerebbe avere l’onestà mentale di analizzare le proprie coscienze, i propri comportamenti e poi forse potremo giudicare con occhi diversi gli altri.Le tragedie umanitarie come quella recentemente accaduta dovrebbero unire le genti e le nazioni. Per una volta dovremo tutti dimenticare interessi personali, invidie e aprire le nostre coscienze e i nostri cuori alla solidarietà, e coscienza cristiana.

 

Livio Celotti

 

La solidarietà non sia soffocata dalla burocrazia

 

Finalmente sono passati anche questi 366 giorni. In parole povere è passato un altro anno. Speriamo tanto che l’anno che stiamo iniziando sia molto più vivibile del precedente, visto e considerato che per molti il 2004 è stato molto funesto, soprattutto per tutte quelle migliaia di persone che non sono riuscite nemmeno a vederne la fine.

Purtroppo tanti come me hanno il vizio di guardare solo il loro mondo, e sempre sbagliamo, perché c’è chi soffre molto più di noi anche quando non capitano solo fatti eccezionali come l’abbattimento delle Torri gemelle, o l’onda anomala che ha colpito le isole nell’oceano Indiano.La solidarietà dev’essere estesa a tutto il globo e dev’essere condivisa da tutti i paesi civilizzati, in modo che tutti possano ottenere un’esistenza dignitosa, perché vivendo dignitosamente si evita il malcontento tra i singoli e i vari popoli.

Automaticamente si eviterebbero le varie faide tra le genti e soprattutto si potrebbe evitare la delinquenza di qualsiasi genere, o almeno contenerla in modo che non dilaghi ulteriormente. Speriamo che tutto quello che è stato raccolto per la solidarietà ai popoli colpiti dallo tsunami non si perda nell’iter burocratico delle varie associazioni umanitarie, perché quei popoli hanno bisogno di un aiuto immediato per poter sopravvivere a questo "olocausto", che è riuscito a sensibilizzare tutto il mondo. Ringrazio, tutti coloro che hanno collaborato anche minimamente alla solidarietà… grazie da parte dei popoli cui sarà dato il vostro sostegno, grazie. Speriamo tanto che questo nuovo anno possa dare un po’ di pace e di serenità a tutte quelle persone che hanno avuto un grosso dispiacere, come la scomparsa di un loro caro, o solamente di un conoscente.

 

M. Pm

 

Pensando ogni giorno al frutto proibito

 

Passano i giorni… Passano i mesi… Passano gli anni… racchiusi in queste quattro mura… Due ore di aria… E ventidue ore rinchiusi sempre in queste quattro mura… A volte mi affaccio alla finestra per ricordarmi come è fatta una donna… Mi manca il suo profumo, la sua gentilezza, le sue coccole, le sue espressioni… C’è chi ruba, chi uccide, chi spaccia e per questo veniamo puniti per il reato che abbiamo commesso, è giusto trovarsi in una cella e guardare la libertà attraverso le sbarre. L’unica donna che ci viene concessa dentro queste mura sta nella nostra mente… la donna immaginaria… Quando succede a volte non c’è più nemmeno il coraggio di guardarci attraverso lo specchio… perché abbiamo schifo di noi stessi... io mi chiedo perché in certi stati la donna è permessa almeno una volta al mese… invece qui in Italia la donna viene definita "il frutto proibito".

 

Jamaica

 

Dalla Romania per vedere Daniel: un viaggio tra dolore e speranza

 

Craiova – Lodi. Mille e ottocento chilometri. Due giorni e una notte di viaggio per riabbracciare Daniel. Ghiorghita Joru, 45 anni, tre figli e una vita trascorsa nella campagna della Romania, non avrebbe mai immaginato di venire in Italia per vedere suo figlio dietro le sbarre di un carcere. Aveva pensato per lui un futuro diverso. Dopo le scuole medie e un diploma in meccanica, Daniel ha svolto il servizio militare. Poi, il viaggio nel Bel Paese. Alla ricerca di lavoro. Come hanno fatto tanti altri giovani di Craiova.

"Vivere lì è molto difficile. Impossibile. Non si trova nulla da fare. Chi ha un’occupazione riesce a guadagnare al massimo 100 euro al mese. Le persone mangiano una sola volta al giorno". A casa di Ghiorghita non c’è neanche il telefono: "Mio marito è molto malato, ma in questi giorni non può neanche mettersi in contatto con me perché non abbiamo i soldi per telefonare". Per rivedere gli occhi di Daniel, per piangere e sperare con lui, Ghiorghita ha fatto tutto il possibile. Ha investito 300 euro per farsi accompagnare da un amico.

Così chiama l’autista che l’ha portata fin qui passando per l’Austria, l’Ungheria cercando ogni "soluzione" alla dogana. Durante il viaggio non ha fatto altro che pensare al suo Daniel. "Ho saputo che si trovava in carcere due settimane dopo l’arresto. Nessuno aveva il coraggio di dirmelo. A Craiova in molti già erano venuti a saperlo dai connazionali che si trovano in Italia". Ghiorghita scuote la testa. Il suo sguardo timido guarda a terra. Vorrebbe scomparire. Vorrebbe non trovarsi in quella situazione. Si vede che prova vergogna. "Il giorno che mia figlia Liliana, che si trova in Italia, mi ha telefonato per avvisarmi di ciò che era successo – spiega la donna alla traduttrice che da sette anni vive a Lodi – mi ha avvisato anche mia sorella che aveva saputo dell’arresto. In quel momento mi son sentita malissimo. Sembrava che tutti i miei vicini mi guardassero in maniera diversa. Nessuno mi ha aiutato. Nessuno mi ha chiesto se avessi bisogno di qualcosa. Solo mia figlia Liliana ha fatto il possibile". Ad aiutare Ghiorghita a venire in Italia è stata una lodigiana che ha preso a cuore Daniel trovandogli lavoro. Da subito ha preso contatti con l’avvocato d’ufficio. Ha affidato la pratica a un altro legale. Ha recuperato l’ultimo stipendio e una caparra che il giovane aveva. Un angelo per Daniel e Ghiorghita. Un angelo che in questi 38 giorni in Italia ha accompagnato Ghiorghita ai colloqui, dall’avvocato.

Il 24 dicembre l’incontro con Daniel. "È stata la prima volta che entravo in un carcere". Dieci parole dette quasi sussurrandole. La traduttrice capisce che non ce la fa. Cala il silenzio. Ghiorghiota rivede Daniel in quel momento, risente la voce di suo figlio. Scoppia in lacrime. Sono lacrime dolci e amare allo stesso tempo. "Gli ho chiesto perché l’avesse fatto. Mi ha risposto che aveva sbagliato, ha cercato di spiegarmi. Mi ha raccontato che sta in una cella con altre cinque persone, che scrive alle sue sorelle, a mio marito, che guarda la tv". Prima di tornare in Romania lo rivedrà. Non sa quale sarà il futuro di Daniel. Vorrebbe che fosse lui a deciderlo. Lei deve tornare. "Appena arrivata dovrò andare in ospedale. Ho pianto tanto e mi son sentita molto male". Ghiorgita non riesce a sorridere. Non serve neanche distrarla, farla parlare d’altro. Prima di partire era curiosa dell’Italia. Non sapeva nulla del nostro Paese. Forse neanche sapeva dove si trovasse Lodi nel mondo. Sapeva di Al Bano e di Berlusconi. La vita ha voluto che conoscesse un’altra Italia. Quella più triste. Quella che non si vede in tv.

 

La redazione di "Uomini Liberi"

 

Un fratello in prigione: "Non provo vergogna, tutti possono sbagliare"

 

Enrica è oramai un’amica della redazione di "Uomini Liberi". Segue con passione e tenacia le vicissitudini del fratello Carlo, detenuto a Lodi (e redattore di "Uomini Liberi"). Qui racconta l’altro aspetto della detenzione: come vivono e cosa provano i famigliari di un "ristretto". Cosa hai provato la prima volta che hai incontrato tuo fratello dietro le sbarre?"

Erano i primi giorni di agosto. L’ho incontrato al carcere di San Vittore a Milano. In quel momento avrei voluto dare la mia vita pur di non trovarmi in quella situazione. Era la prima volta che entravo in carcere. L’ho guardato in faccia, l’ho visto privo di dignità, di voglia di vivere. Mi sono sentita morire "dentro", ma allo stesso tempo è nata in me una voglia di reagire. Mi sono detta "non è possibile lasciarlo qui. Qui dentro è morto". Abbiamo trovato subito il modo per aiutarlo grazie a nostro zio che è prete. Siamo riusciti a far trasferire mio fratello al carcere di Cremona, consentendoci di stargli più vicino poiché il viaggio per il carcere di Milano era massacrante e molto lungo".Come è cambiata la tua vita?"

La mia vita da quel 28 luglio 2003, un anno e mezzo fa, è cambiata. Nel quotidiano non mi sono accorta di questa rivoluzione. Ogni settimana andiamo a trovarlo, i contatti con gli avvocati, con i volontari. È cambiata a livello interiore: molte volte mi sento fragile, altre mi verrebbe voglia di spaccare la faccia a molti. Sono stata avvolta da un grande senso di impotenza. Ho sbattuto la testa contro strutture che prima non conoscevo, mi sono sentita proiettare in un mondo che non mi apparteneva, quello dei servizi sociali, degli avvocati. Il rapporto umano con queste persone, molte volte, non esiste. Spesso con gli avvocati è anche difficile parlare.

In alcuni casi la professionalità li rende distaccati nei confronti dei loro assistiti. In questo anno, nei diversi incontri con i diversi operatori, mi sono accorta che manca una umanità". Come funziona il colloquio? "Al di la del lungo viaggio che devo affrontare, lo svantaggio è che devo recarmi sul posto quaranta minuti prima per essere puntuale al colloquio. Nella sala d’attesa, ci sono solo 5-6 posti a sedere; spesso sono costretta ad aspettare fuori al freddo. Mancano anche i servizi igienici per i parenti. Lodi è una struttura carceraria vecchia con qualche difficoltà organizzativa. La sala colloqui è angusta, d’estate è caldissimo, si rischia di collassare, è una cosa assurda.

Un muro "vergognoso" divide i famigliari dai detenuti. Posso avere un contatto fisico solo con le mani, non posso abbracciare mio fratello. Gli agenti sono persone gentili, fanno il loro mestiere e cercano di essere sempre disponibili". Trovi vergogna ad avere un fratello in carcere?" No! Assolutamente! Sono sempre andata a testa alta fin dal primo giorno. Tutti possono sbagliare. Lui ha sbagliato, ma le persone che compiono errori vanno aiutate: non sono i sani che hanno bisogno del medico. Non provavo vergogna nemmeno quando mio fratello si trovava in altri momenti difficili. Parlo di lui sempre, con molto amore" .Cosa ti aspetteresti dalle istituzioni, dalla società?" Mi aspetterei più umanità, più disponibilità all’ascolto. Mi rendo conto che chi lavora con il mondo del carcere deve rispondere a centinaia di domande, di telefonate; le istituzioni sono sature di problemi, ma più umanità servirebbe a noi famigliari perché essere gentili, disponibili e sinceri è un grande aiuto per una sorella o un padre o una madre di un detenuto.

Noi parenti, dal momento in cui uno dei nostri entra in carcere, dobbiamo continuare a sperare ed avere pazienza. Spesso in questa battaglia mi sono trovata sola, senza alcuna persona che mi indicasse cosa fare. Troppo spesso ho sentito persone farsi negare o frasi del tipo "lei faccia il suo lavoro che io faccio il mio" Come è mutato il vostro rapporto?

"È cambiato molto il rapporto di mio fratello nei miei confronti. Si è molto più avvicinato a me. Da quando è stato arrestato mi vede come la mamma. Ci siamo sempre voluti bene, ma ora si sta appoggiando su di me e io sento il "peso" delle sue aspettative. All’interno della nostra famigli ci siamo uniti ancora di più. Siamo quattro fratelli, tre maschi e una femmina, nostra madre è morta da sette anni. Nostro padre è rimasto solo e per lui è un dolore molto grande la carcerazione di mio fratello. Così spesso lo sentiamo per essergli più vicini e più uniti a lui". Hai dei figli? Hai tenuto nascosto la vicenda dello zio o gliene hai parlato in quale modo?"Ho una bambina di nove anni e mezzo. Purtroppo all’inizio non è stato facile parlarle di questa situazione. Non sapeva cosa fosse un carcere. Le ho raccontato che lo zio era in una clinica, che era ammalato. Mio fratello era lo zio preferito, ogni mercoledì veniva a cena da noi e lei lo aspettava con ansia. Poi un giorno ho capito che c’era qualcosa che non andava. Scoprii da una sua amica che all’oratorio la prendevano in giro. Ho dovuto spiegarle che lo zio era in carcere perché aveva fatto una cosa brutta, senza più dirle bugie. Mi sono vista costretta a raccontarle la verità e lei ha capito. Ha vissuto serenamente questa vicenda. Spesso mio chiede come sta lo zio, gli manda una letterina. Traumi non ne ha avuti tranne la "innocente cattiveria" dei bambini". Cosa farai quando uscirà?" Nei nostri colloqui emerge la voglia di stare fuori a contatto con l’aria, con la gente, di respirare un’aria diversa da quella che c’è tra quelle quattro mura. Spesso parliamo di una bella mangiata di pesce, una corsa in moto".

 

Ai fornelli tra ragù, sogliole e tacchino

 

Rotolini di sogliole e gamberetti

 

Ingredienti: 20 filetti di sogliole, 300 gr. di gamberetti sgusciati, 3 porri, 50 gr. di burro, 1 bicchiere di vino bianco, 1 panino, ½ bicchiere di latte, 20 cl. di panna da cucina, 250 gr. per la decorazione, sale, prezzemolo, pepe, 3 limoni.Procedimento: tagliate a fettine la parte bianca dei porri. Sciogliete il burro in una padella, aggiungete il vino bianco e i porri affettati e cuocete a fuoco basso per 10 minuti mescolando spesso. Frullate i gamberetti nel mixer insieme alla mollica del pane bagnata nel latte, al prezzemolo e al pepe nero. Spalmate la crema sui filetti di sogliola che poi arrotolate e fermate con uno stuzzicadenti. Cuocete i rotolini di sogliola con i gamberetti a vapore per 10 minuti, versate la panna nella padella dei porri, insaporite con sale e pepe e fate scaldare. Distribuite la salsa di porri sui rotolini di sogliola e servite guarnendo con fettine di limone e i gamberetti cotti a vapore.

 

Cannelloni salsiccia e ricotta

 

Preparazione per 8 persone. Ingredienti per il ripieno: 700 gr. di cannelloni all’uovo, 250 gr.di spinaci surgelati, 300 gr. di ricotta, 2 uova, 50 gr. di parmigiano, 1 pizzico di noce moscata, 80 gr.di prosciutto crudo, sale, pepe.Ingredienti per la besciamella: 100 gr. di farina, 100 gr. di burro, 1 litro di latte, 100 gr. di parmigiano, 2 uova, sale, noce moscata. Ingredienti per il condimento: 200 gr.di carne trita di vitello, 350 gr. di salsiccia di maiale, 500 grammi di polpa di pomodoro, 1 cipolla, 2 carote, 1 gambo di sedano, 80 grammi di burro, 1 cucchiaio di concentrato di pomodoro, 1 chiodo di garofano. Procedimento: preparate il ripieno in anticipo. Lessate gli spinaci in poca acqua non salata, scolateli, strizzateli bene e metteteli in una terrina, unite la ricotta setacciata, il prosciutto crudo tagliato a fette. Mescolate e tritate il tutto, aggiungete il parmigiano, le uova, e un pizzico di noce moscata. Mescolate e amalgamate ottenendo un impasto omogeneo.Procedimento per preparazione besciamella: fate sciogliere in un pentolino il burro, aggiungete la farina mescolando bene e lasciate cuocere a fuoco lento per dieci minuti continuando a mescolare. Versate a poco poco il latte già bollente e continuate a mescolare con il cucchiaio di legno così da evitare la formazione di grumoli di farina. Aggiungete un pizzico di sale e di noce moscata. Fate cuocere per circa 10 minuti a fuoco lento badando che non raggiunga l’ebollizione.Appena tolta dal fuoco aggiungete una alla volta le uova e il formaggio mescolando energicamente per sciogliere lo stesso Preparate il ragù: eliminate il budello alla salsiccia, mettete in una casseruola la carne trita, la salsiccia, il trito di verdure e fate rosolare il tutto in 80 gr. di burro aggiungendo anche il chiodo di garofano. Mettete la casseruola sul fuoco facendo rosolare la carne con gli aromi, se serve potete aggiungere un po’ di olio di oliva. Quando tutto sarà rosolato aggiungete la polpa di pomodoro e il concentrato dello stesso sciolto in un bicchiere di acqua. "Aggiustate" di sale e pepe, fate cuocere per circa 45 minuti affinché il ragù si sarà ben ristretto. Aggiungete al ragù un mestolo di besciamella e amalgamate il tutto. Passate al forno già caldo per circa 30 minuti a 180 gradi affinché i cannelloni possano gratinarsi. Controllate spesso la cottura. Un mio segreto: preparare i cannelloni un giorno prima conservandoli in frigorifero per renderli più gustosi.

 

Fesa di tacchino panna e carote

 

Ingredienti: 1 kg di fesa di tacchino, 5 scalogni, rhum ½ bicchiere 50 gr, farina q.b. (quanto basta), sale, pepe, panna da cucina 1 confezione piccola, burro 50 gr., 1 bustina di zafferano.Ingredienti per le carote: 700 gr di carote, 40 gr di burro, 1 spicchio d’aglio, 40 gr. di prezzemolo, sale, pepe, curry 1 cucchiaio. Procedimento: tagliate la carne a listarelle e insaporitela con un pizzico di pepe nero macinato, stemperate una bustina di zafferano e mezzo cucchiaino di curry nel mezzo bicchiere di rhum, versatelo sul tacchino e lasciate marinare per 1 ora. Poi sgocciolatelo bene, passatelo in un velo di farina e fatelo rosolare in 50 grammi di burro. Togliete la carne e tenetela da parte, mettete nella padella gli scalogni affettati e lasciateli appassire spruzzandoli con il vino e unite la panna. Frullate il tutto, rimettete la salsa nella padella con il tacchino e fate cuocere unendo la marinata filtrata con un colino regolate di sale e pepe cuocendo fino a che il sugo si addensi un po’. Nel frattempo lavate le carote, raschiatele e tagliatele a julienne n