Giornalismo dal carcere

 

Uomini Liberi, numero di luglio 2005

(Mensile dalla Casa Circondariale di Lodi)

 

Lettera aperta: una speranza che sembra non vedere mai la luce

Quale recupero? Qui dietro le sbarre è così difficile sentirsi uomini

Progetti e impegni per le carceri, l’augurio è che sia la volta buona

In fondo la vita appare come una partita a scacchi

"Organizzazione" e "partecipazione": bisogna partire di qui

Arrivato in cella direttamente da una casa di riposo

Qui sento più forte la grande responsabilità verso i miei cari

La festa aperta ai bambini, un’occasione da ripetere

La detenzione interrompe la convivenza, non il rapporto affettivo

È come una stazione delle Fs: gente che va e gente che viene

L’importanza che assume l’incontro settimanale

Quanto vorrei risentire i discorsi di mio figlio

I miei errori e questo sistema hanno distrutto i legami esistenti

Quella volta che a Lodi una derubata me le diede di santa ragione

Lettera aperta: una speranza che sembra non vedere mai la luce

 

Gente mia, chi vi scrive è un giovane di 27 anni, un essere umano come voi, con un cuore che batte e trasmette emozioni, belle o brutte che siano. Anche se triste, batte per una speranza che sembra non vedere mai la luce. Al nostro risveglio, con i primi raggi del sole, nasce in noi la speranza che un evento, qualcosa di nuovo cambi la vita, ma, al calar della sera, dopo un nulla di fatto, ogni speranza muore, come la fiamma di una candela che, consumata la cera, va lentamente spegnendosi. Ma un nuovo giorno porterà una nuova speranza, e così via!È come un circolo vizioso che, gente mia, ci aiuta, fin che regge, a far sì che questo cuore batta, batta ancora, in attesa di quel famoso giorno che, finalmente, ti permetterà di raggiungere la fine di quel corridoio: la libertà.Rieducare alla vita significa far comprendere il corretto uso della libertà, risvegliare le qualità e i sentimenti buoni latenti in ogni persona, cercare di eliminare gli aspetti negativi, orientare e spronare verso un nuovo ed equilibrato indirizzo di vita sociale, morale e familiare, per evitare di ricadere verso i contenuti dei sottogruppi e delle sottocolture, di cui l’aggressione e la violenza rappresentano i requisiti peculiari.La posizione più rispondente a queste prerogative è quella di chi vede nell’approccio, nel colloquio, nel dialogo, nel contesto umano il mezzo più sicuro per far uscire il detenuto dal suo pauroso isolamento, per distoglierlo dalle sue idee fisse, per ben disporlo sul rispetto delle norme.Va perseguito il rapporto umano, non solo per pietà o per carità; da esso si può ottenere la possibilità di far nascere in soggetti prevenuti e coartati il dubbio che la loro visione della vita sia distorta, che certi principi, ai quali sembrano avvinti, non reggono ad un confronto serio.L’istituzione penitenziaria deve essere in grado di compiere interventi psicoterapeutici, di formazione sociale e professionale e soprattutto di far compiere al detenuto quel salto di qualità nel rapporto con la realtà che gli può consentire di abbandonare il resto, quell’agire antisociale, visto da lui come unica possibilità adatta a dargli successo nella vita.In definitiva, si può dire che i detenuti sentono forte la necessità di dare un senso a questo loro tempo fuori dal tempo. Questa è la speranza che nasce sempre insieme al nuovo giorno, chissà mai che presto non muoia più al calar della sera.Grazie per l’attenzione, gente mia! Giuseppe Sciacca

 

Quale recupero? Qui dietro le sbarre è così difficile sentirsi uomini

 

In una classifica degli eventi negativi esistenziali più drammatici secondo un campione di popolazione americana, la carcerazione viene al terzo posto dopo la morte di un figlio o la morte del coniuge.Nella miseria e nell’incubo in cui viviamo la detenzione è usata come una clava dalla nostra giustizia, la stessa senza nessuna remora continua a rinchiudere un’infinità di persone senza prevedere per loro qualcosa di concreto che possa portare a dei risultati di recupero e reintegro nella società. I numeri sono impressionanti, siamo arrivati ad un tetto di 60.000 detenuti circa, e la capienza nelle carceri è di 40.000 circa, persone d’ogni genere e razza, facendoci vivere in condizioni molto difficili, continuando in tagli economici che alla fine si vanno a ripercuotere sempre su di noi, lasciando la sanità a un livello molto precario, dove neppure i medici possono qualcosa perché spesso con medicinali insufficienti.Noi detenuti siamo dei residui dell’umanità che viviamo al di fuori dei cicli della natura, il carcere ci condiziona, ci peggiora sia fisicamente che moralmente, non abbiamo più il numero di matricola sul berretto o sul camiciotto a strisce, ma restiamo un numero, o meglio un fascicolo fastidioso. Entrando in questo mondo si riesce ad afferrare un’atmosfera senza vita e gioia dove ci si muove sempre con gli stessi ritmi, dove i confini esistenziali sono alterati, tutto è modificato da una realtà lontana anni luce, il tuo essere, il tuo sorriso i tuoi pensieri, anche il modo di amare è diverso perché niente può rimanere immutato in una persona privata della libertà, della dignità, della famiglia e di tutto quanto è di più normale nella quotidianità della vita.Questa è la realtà! Realtà piena di desolazione che ci abbruttisce: la solitudine in carcere è la radice del deterioramento della persona, dell’invecchiamento delle emozioni; dietro le sbarre è difficile sentirsi degli uomini, dietro le sbarre si tende a diventare più rigidi.Il carcere è un controsenso, concepito come un luogo d’insegnamento e recupero delle persone ma in realtà luogo di sofferenza, tutto è negato e spesso senza motivo, dove tanti o troppi pensano di volerti governare. È vero, abbiamo commesso degli errori che in ogni caso stiamo pagando ma non per questo tutto quanto esiste intorno a noi al di fuori di qui è errato, ci sono persone che ci amano e credono in noi e che insieme a noi stanno soffrendo senza avere nessuna colpa di tutto questo. C.B.

 

Progetti e impegni per le carceri, l’augurio è che sia la volta buona

 

La volontà della politica e del governo italiano è quella di occuparsi in questi ultimi tempi della condizione delle carceri.Da tanto tempo si sente discutere per migliorare la situazione, iniziando dalle riforme della giustizia unitamente all’entrata in vigore del nuovo codice penale.In questi ultimi giorni i giornali più importanti hanno riportato le parole del ministro Castelli, che ha affermato l’importanza di un intervento urgente e serio da parte dello Stato, in quanto lo stesso ministro è preoccupato per il grave problema delle carceri italiane.Tante volte sono state presentate in Parlamento proposte per un provvedimento di clemenza richiesto anche da Giovanni Paolo II nel 2002, proprio nel discorso rivolto ai governanti: tutti i parlamentari lo hanno applaudito, con la promessa di rivedere e intervenire in tempi brevi per esaudire la sua richiesta. In seguito poi hanno approvato un sistema di clemenza detto "indultino" che secondo le opinioni di tanti esperti non è servito né a migliorare né a cambiare di molto la situazione di prima.Noi detenuti, quando sentiamo dalla televisione e dai giornali parlare del peggioramento delle condizioni nelle carceri italiane, cerchiamo di tenerci in contatto e di sentirci sulle informazioni di cui siamo venuti a conoscenza, sperando che migliorino le condizioni interne delle carceri attraverso un provvedimento di clemenza e vari benefici di competenza del magistrato del Tribunale di sorveglianza.Credo che tutti noi detenuti abbiamo tempo di riflettere per tornare ad essere delle persone valide per la nostra società un domani, quando usciremo. Quello della carcerazione deve essere proprio un tempo di rieducazione morale per riacquistare la forza di ricominciare a vivere e non per essere pessimisti perché abbandonati dal sistema.Nella vita si può commettere un errore e per questo noi stiamo pagando le conseguenze, ma abbiamo bisogno anche delle circostanze favorevoli come le condizioni interne e i provvedimenti di clemenza, per dimostrare anche noi il nostro cambiamento e per essere, una volta riacquistata la libertà, in prima fila per difendere e rispettare la legge e le regole dello Stato. Speriamo che questa sia la volta buona e che le richieste per le persone che sono dietro le sbarre vengano valutate in modo serio e approvate in tempi brevi. Ciò consentirebbe a coloro che hanno ottenuto la libertà o almeno qualche beneficio previsto dalla legge di dimostrare a se stessi prima e alla società poi di avere meritato quanto loro concesso, attraverso un comportamento responsabile e degno di un onesto cittadino. Y.XH

 

In fondo la vita appare come una partita a scacchi

 

Scacchi. La vita è una partita a scacchi. Si gioca, si sbaglia, si vince, si perde. Si sbaglia perché si prende alla leggera qualche mossa o forse non si è abbastanza allenati o forse non vogliamo pensare abbastanza. Abbiamo contro tante cose nel corso di una partita. Dovremmo avere una base buona, ma non sempre l’abbiamo; ma una cosa buona c’è: che di partite ne abbiamo tante. Io sto giocando un’altra partita e so di aver fatto mosse azzardate e forse perderò, ma non mi sentirò sconfitto. Quando fui arrestato pensavo che la mia vita fosse rovinata, ma non era così perché stavo solo giocando male una partita.Con questa lettera vorrei ringraziare tutti i miei amici (e non sono pochi) per l’aiuto immediato che mi hanno dato e continuano ancora a darmi. State superando ogni aspettativa, coccolandomi da tutte le parti, sia con i colloqui e le lettere, mi state aiutando psicologicamente senza mai chiedermi nessun "perché" e nessun "come mai" o altro. Ma invece tutti voi mi avete chiesto: "come stai?" "di che cosa hai bisogno?" E da parte mia il più sentito "grazie di tutto". Inoltre un ringraziamento a molti detenuti per la solidarietà dimostratami. Peccato dare il meglio di noi solo quando siamo con il sedere per terra. La solidarietà è molto importante, teniamola in primo piano anche fuori di qua ed andiamo a testa alta. Grazie Lodi Vecchio, grazie amici, grazie di essere tanti e di esserci sempre. Grazie all’amicizia e grazie all’amore. Grazie alla vita. Io... sono pronto per un’altra partita... vincente. Scacchiamo insieme. Marino

 

"Organizzazione" e "partecipazione": bisogna partire di qui

 

Chi decide di aderire alle iniziative proposte in carcere ha già compiuto un primo e decisivo passo verso la salvezza. Parole indispensabili per chi è dentro. Sono trascorsi alcuni mesi da quando ho conosciuto la cruda vita carceraria perché dall’esterno non avrei mai pensato fosse così. Sono stato educato in modo tale che arrivassi alla conclusione che chi sbaglia paga. Hai rubato, hai fatto del male? È giusto che vieni rinchiuso... ed inoltre ero convinto, e con me tante persone, che in carcere si dovesse fare una vita tranquilla: non lavori, mangi, leggi, guardi la televisione... perché lamentarsi?In carcere occorre dare un senso alle tue giornate, occupare gli spazi vuoti riempiendoli con i più svariati interessi, sforzandosi di migliorare la propria condizione seguendo quella che viene ora chiamata "giustizia dell’aratro" perché come l’aratro rivolta la terra sotterrando le sterpaglie e prepara il terreno per la semina a successiva vita, così si incomincia a comprendere che anche in carcere è necessario arare e seminare.

Aiutare il detenuto a prepararsi alla sua rinascita sociale e ritornare ex-novo a nuova vita nella società. Facendo sua questa teoria, la nostra direzione coordina e mette in pratica con le istituzioni preposte, con l’ausilio di persone qualificate e di volontari, una serie di corsi professionali ed attività sociali, culturali e sportive, alle quali, senza esitazione, devono partecipare e seguire con interesse e costanza.Insomma mi sono reso conto che bisogna "organizzarsi", perché penso che una persona costretta a vivere rinchiusa, nel momento in cui decide di partecipare attivamente e con impegno a qualsiasi attività, ha già compiuto il primo passo verso la salvezza, verso la consapevolezza di volerne uscire incolume. Perché così riesce a non abbattersi, riesce a reagire ad una vita obbligata dalla "giustizia della spada": quella giustizia che colpisce ma non cura l’individuo, quella giustizia deleteria, quella giustizia che abbandona, che non ti permette di ritornare alla vita, ma che ti rende depresso e cattivo.

Inoltre si deve cercare il contatto con l’esterno e sperare che qualcuno possa essere vicino almeno con il pensiero per non sentirti solo e con la tua colpa. E qui non solo sono obbligato a ringraziare, ma è doveroso inviare un plauso a tutte le persone volontarie e non che accomunate da una forte motivazione a dedicarsi a persone emarginate dalla società, vogliono conoscere più da vicino la nostra realtà, troppo spesso oscurata dai pregiudizi. Queste persone che con il loro impegno sollecitano un cambiamento nell’abitudine consolidata di guardare il carcere in maniera superficiale e negativa. Queste persone che vogliono far conoscere alla società, chiusa verso chi sta scontando una pena, o di indifferenza per chi soffre nella privazione degli affetti più cari, oltre che della libertà. Queste persone che cercano di creare solidarietà e comunicazione fra "dentro" e "fuori", in risposta anche a chi fuori chiede sicurezza e garanzie. A queste persone grazie, con l’augurio che possano sempre aumentare e continuare ad aiutarci. Sorriso

 

Arrivato in cella direttamente da una casa di riposo

 

La storia di un uomo anziano e bisognoso di assistenza che è stato trasferito alla casa circondariale per un furto di 4 anni fa.

Buon giorno miei cari lettori, ma soprattutto amanti di "Uomini Liberi", sono sempre io, Jamaica il pazzerello, e questa volta ho una storia davvero sconvolgente da raccontarvi, scusate il termine "sconvolgente", ma è ciò che stiamo vivendo io e i miei compagni e soprattutto questo povero signore che si ritrova a vivere in uno spazio davvero piccolo, nonostante arrivasse da una casa di riposo.Tutto ha inizio quattro giorni fa, quando ci fu portato in cella un signore anziano, sessantacinquenne che arrivava da una casa di riposo lodigiana, noi lo abbiamo accettato con tutto il cuore pur non conoscendo le sue vere condizioni; come regola di noi detenuti, ad ogni arrivo gli si prepara il letto, gli si chiede se ha fame, se fuma e se necessario gli si regala pure un pacchetto di sigarette.Vedevamo che c’era qualcosa di strano, allora gli chiedemmo che cosa c’era che non andava; lui esclamò: "Eh!… Ghò da cambià el panulon!". Noi sorpresi da questa novità, ci guardammo in faccia e ci chiedemmo: "E ades se fem?". Non ci era mai capitata una persona in quelle condizioni finora e non sapevamo cosa fare, ma soprattutto non avevamo gli strumenti adatti per poterlo pulire e cambiare. Allora mi attaccai al campanello per avvertire l’assistente in quali condizioni ci trovavamo e anche lui rimase di stucco per qualche secondo, nel frattempo si chiese com’era possibile che una persona con questi problemi, ma soprattutto con quale rispetto e con quale coraggio hanno avuto modo di portarlo in questo inferno. Ci disse di aspettare un attimo che sarebbe andato ad informarsi; dopo una decina di minuti arrivò l’infermiere con due pannoloni, un paio di guanti e un sacchetto di plastica. Non pensavamo che dovevamo farlo noi quel lavoro, ma purtroppo era così, allora mi sono offerto come volontario, chiesi all’assistente se potevo andare a prendere un secchio d’acqua calda per poterlo lavare e certamente non me lo negò.Sicuramente questo signore aveva un assoluto bisogno di trovarsi vicino una persona che lo potesse aiutare, accudire e sostenere in qualunque occasione, allora mi misero come il suo "piantone", cioè in ogni momento che ce ne fosse stato bisogno, mi dovevo prendere cura di lui. Posso assicurarvi che questo signore è in gamba in relazione alla sua età, anche se è colpito da un inizio di Alzheimer. Non capisco come qualcuno possa averlo portato qui, non rendendosi conto di tutte le problematiche di questa persona. Onestamente in carcere non riesce ad ottenere tutte le cure a lui necessarie che sicuramente aveva quando si trovava nella casa di riposo di Sant’Angelo. Per un piccolo furto in un supermercato lo hanno condannato a otto mesi, ma stiamo parlando di un reato che è avvenuto quattro anni fa; e fu commesso perché questa persona "aveva fame" e non aveva i soldi per poter pagare. Onestamente non aveva nemmeno una casa, un lavoro, una famiglia, era solo, vagava per le strade dormendo sotto i ponti, ed ogni giorno, ed ogni notte, doveva combattere per sopravvivere, finché un giorno si accorsero di lui e capirono che stava veramente male, che aveva bisogno di aiuto umanitario e lo portarono in una casa di riposo dove ricevette ogni tipo di cura.Anche lui dimostrò questa gratitudine impegnandosi a contribuire dandosi da fare, praticamente tutto il giorno stava all’entrata di questa casa di riposo ed aiutava persone disabili come lui, accompagnandole all’ascensore e tutto il giorno faceva avanti e indietro. Secondo me, per lui questa casa di riposo, questo piccolo lavoro, erano il massimo, erano tutto ciò che gli era rimasto nella vita, ma purtroppo un bel giorno fu costretto a far le valigie per essere portato in carcere. Posso assicurarvi che una cura che non gli è mai stata negata dietro queste sbarre è l’amore e l’affettività che gli stiamo dando ogni giorno di più e spero che esca il più presto possibile per ritornare da dove è arrivato. Jamaica no problem

 

Qui sento più forte la grande responsabilità verso i miei cari

 

È estate, iniziano le vacanze e la maggior parte della gente, ciascuno con i propri programmi, insieme con la sua famiglia o in compagnia di amici, inizia il viaggio verso le vacanze per trascorrere alcune giornate di ferie dopo un lungo tempo di lavoro.Guardo la tv e mi vengono in mente gli anni precedenti e le vacanze con la mia famiglia, sempre in posti nuovi e pronto a fare nuove amicizie. Quest’anno, purtroppo sono in un periodo nel quale sto pagando dietro le sbarre un debito contratto davanti alle leggi dello Stato. I nostri famigliari si sentono anche loro fuori da queste vacanze, per sentirsi più vicini a noi con la loro presenza proprio durante l’estate e rifiutano questa possibilità per dare più importanza all’ affetto, nel segno dell’unita della nostra famiglia. Il mio desiderio è che vadano in vacanza e continuino la loro vita di sempre, ma non c’e niente da fare, non vogliono darmi retta. Non avevo mai pensato di passare in questi luoghi, e dentro di me sento maggiormente la responsabilità nei confronti della mia famiglia, mi sento ancor più determinato a cambiare per gli errori fatti e diventare così pulito, e da domani il punto di riferimento sarà la mia famiglia. Provo emozioni, disperazione e insieme anche orgoglio per la famiglia che ho creato e per il rispetto che mi danno in questo periodo, con i loro gesti di affetto. La vita è una lotta che noi dobbiamo combattere in ogni momento con il nostro comportamento sul lavoro, nella gestione di nostri pensieri e dei nostri programmi, per la nostra salute, con la prudenza davanti ai vari problemi che incontriamo e con cui ci confrontiamo ogni giorno, dovunque siamo. Noi dobbiamo garantire sempre ai nostri cari famigliari la sicurezza morale ed economica, con la certezza di un nostro cammino ancora insieme e per ritornare a ricuperare di nuovo i nostri tempi e momenti felici all’interno nella nostra famiglia. Credo inoltre che noi qui abbiamo tutto il tempo per riflettere e per programmare con la voglia e la forza che ci viene proprio da queste certezze della nostra famiglia e ritrovare così la fiducia nel nostro futuro.Dentro di me ci sono tante promesse, tanti desideri, tanti sogni e una sola grande voglia che diventino realtà.Questo è il pensiero che mi assilla di continuo la mente: giudice sarà il tempo! Y.XH

 

La festa aperta ai bambini, un’occasione da ripetere

 

Bella ed emozionante, sabato si è tenuta la festa dei bambini ed è stato molto bello, quando siamo entrati nella sala tutta piena di festoni, abbiamo visto tutti i nostri bambini che giocavano, ognuno di noi ha cercato i propri e anch’io con lo sguardo i miei, la bimba era lì che si pastrugnava le mani con i colori, mentre il piccolo era incantato con una delle volontarie che lo faceva giocare con i palloncini, bello, bellissimo poter riabbracciare i miei figli e giocare con loro in una sala che permettesse questo. Lo sognavo da molto tempo e credo che questa iniziativa vada valorizzata nel giusto modo, perché per quanto mi riguarda in 15 mesi di detenzione è la prima volta che mi viene data la possibilità di condividere con la mia famiglia tre ore, senza un muro che ci divide e con la facoltà di alzarmi ed abbracciare i bambini e mia moglie. Inizialmente ero quasi disorientato, tutto mi era strano, poi con il passare dei minuti mi sembrava di essere ritornato a quando ero a casa, tutto pian piano mi ritornava normale, le emozioni mi davano una gioia incontenibile, continuavo a guardare i miei figli e mi accorgevo che anche per loro in un attimo tutto era tornato come prima, giocavano, disegnavano e ridevano che era un incanto guardarli. Il loro sorriso era sereno. Anche mia moglie era emozionata e osservandola mi rendevo conto delle sensazioni che provava, anche per lei dopo 15 mesi era arrivato un pomeriggio diverso, senza quel bancone che ci divide in quella ora che ci viene concessa al colloquio guardati a vista, mentre oggi anche e soprattutto grazie agli agenti, che sono stati molto discreti e per nulla invasivi, tutto sembrava normale. Tutto è scivolato via nel migliore dei modi fino alla fine, quando i saluti ci hanno riportato alla realtà e il dolore del nuovo distacco iniziava a riprendere il posto della gioia che ci aveva accompagnato fino a quel momento, e lentamente ma inesorabilmente tutto iniziava ad essere un dolcissimo ricordo. Ma una riflessione bisogna farla su quanto è stato importante ritrovarsi tutte le settimane tra noi detenuti, persone che quasi non ci si salutava ma insieme con buona volontà spinti dal desiderio di fare qualcosa che ci portasse a riunirci se pur per poche ore con i nostri cari ci ha aiutati a lavorare insieme e a riuscire a fare tutti i preparativi, dalla sala all’organizzazione del piccolo rinfresco, aiutati dalla volontaria che all’esterno metteva in pratica le nostre idee. Bella ma spero non unica, bisognerebbe dar seguito a queste iniziative che a nostro avviso sono il modo più semplice ma più efficace per riportare la nostra esistenza al di fuori del carcere. C.B.

 

La detenzione interrompe la convivenza, non il rapporto affettivo

 

"Dal dì che nozze, tribunali ed are - diero alle umane belve esser pietose - di se stesse e d’altrui…". Così ne "I Sepolcri", il Foscolo definisce l’inizio della civiltà umana, ponendo a base della società civile il Matrimonio (nozze), la Giustizia (tribunali) e la Religione (are). Non a caso al primo posto viene la famiglia, come elemento necessario, come la più piccola cellula della società civile, piccola sì, ma efficace, essenziale, perché basata sul diritto naturale dell’unione fra un uomo e una donna, con lo scopo di procreare ordinatamente dei figli ed assicurare così la continuazione della specie. Pur con tante evoluzioni, la famiglia, ancor oggi, resta la componente essenziale della società, nonostante si siano create nel tempo nuove culture che vorrebbero in qualche modo ridimensionare il valore della famiglia.

Ma non vuole essere questo il taglio della mia riflessione sulla famiglia; io vorrei fare delle considerazioni più semplici, meno sociologiche, forse banali se non fosse che toccano da vicino un aspetto essenziale della vita del detenuto nella gestione dei suoi sentimenti, della sua emotività, dei suoi affetti, della sua forza interiore. Queste peculiarità dell’animo umano trovano il luogo ideale per esprimersi nella famiglia, dove, partendo da un legame affettivo profondo, si costruisce un rapporto che se è importante per la vita di ogni individuo diventa essenziale per quella del detenuto. Così nella famiglia i rapporti fra coniugi, tra genitori e figli non si possono ridurre a semplice convivenza; essi sono l’essenza stessa della famiglia, essi sono l’espressione concreta di una spiritualità profonda che costituisce la connotazione più precisa della famiglia stessa. La detenzione interrompe il rapporto di convivenza, ma non può rompere l’incantesimo del rapporto affettivo, perché è un valore dello spirito, il quale è così forte che non solo non può essere cancellato dalla carcerazione, ma si rafforza, perché si carica di grande nostalgia. Eppure il sistema carcerario sembra volerci provare ad allontanare il detenuto dalla famiglia! Il carcere infatti non fa molto per agevolare i rapporti con la famiglia e con il mondo esterno in genere.

Quanta burocrazia, quante regole importanti e meno importanti, quanti procedimenti per un colloquio con i propri cari: richieste, segnalazioni, perquisizioni, orari rigidissimi, un rigore che a volte rasenta la pignoleria. Poi finalmente si accede al luogo dove si materializza il colloquio: è detta "sala colloqui", ma penso che mai definizione sia stata così infelice e impropria: un lungo locale senza finestre, largo meno di quattro metri, diviso per tutta la lunghezza da un muro sormontato da una fredda lastra di granito serizzo ghiandone, lucido e di colore grigiastro che potrebbe sicuramente fare più bella mostra in una camera mortuaria o come arredo di una buona macelleria del centro.

L’altezza del muro e la larghezza della lastra che lo copre impediscono, volutamente o senza volerlo, di stare seduti durante il colloquio, a meno di usare un tono di voce che, arrecando vicendevole disturbo, rende impossibile di fatto qualsiasi decente conversazione. E così si continua imperterriti a definire "colloquio" una situazione da bolgia dantesca, che si consuma con una ritualità sconvolgente, sotto lo sguardo vigile di uno o più agenti preposti alla vigilanza. Questo dovrebbe essere il momento più bello, più atteso, più importante nella vita del detenuto: il colloquio con i propri famigliari, uno scambio di notizie, di informazioni, di confidenze, di sentimenti e di emozioni. Quanta ipocrisia in chi è ancora convinto che il carcere possa dare l’opportunità di un recupero sociale al detenuto che, scontando la sua pena, dovrebbe prepararsi al suo reinserimento nella società! Ma come si può pensare ad un reinserimento quando anche il rapporto con i propri famigliari è reso difficile e quello con le cosiddette "terze persone" è addirittura negato? Invece di agevolare il mantenimento di legami personali, pur nel rispetto della norma, con il mondo esterno che gioverebbero al detenuto per favorire il suo rientro nel contesto sociale al termine della pena, questi rapporti sono resi difficili, quasi scoraggiati, quando non vengano negati, specialmente quelli con persone diverse dai famigliari. Un’amicizia, pur lunga nel tempo, non è un valore contemplato. A volte il detenuto è collocato in un carcere lontano dal proprio luogo di residenza e un familiare deve fare chilometri e chilometri per un abboccamento di un’ora e nelle condizioni che ho descritto. Va bene tutto; si continui pure a sostenere che i diritti ci sono e sono ben chiaramente enunciati nei regolamenti, ma finiamola con le enunciazioni di principio!

Sarebbe anche ora di organizzare le cose secondo lo spirito della legge e dei regolamenti e non guasterebbe di certo se si condisse il tutto con un poco di umanità ed un pizzico in più di buon senso. Chi vive sulla propria pelle questa esperienza prova sconcerto e sgomento. Al di là di non riuscire ad essere quel luogo di recupero previsto dalla legge, spesso e volentieri il carcere diventa al contrario luogo di una sofferenza interiore inenarrabile, dove il detenuto è portato, quando non costretto dagli eventi, ad esprimere il peggio di se stesso, in una tensione continua, esasperata spesso dal non trovare quella umanità e quella comprensione che si traducono in risposte positive a richieste pur contemplate dai regolamenti. A volte, in situazioni del genere, basta poco per varcare la soglia della disperazione e giungere a gesti estremi. Le cronache non mancano di riportarne spesso notizia.È mia ferma convinzione che un forte antidoto a tutto questo potrebbe essere rappresentato anche e soprattutto dalla possibilità di mantenere un rapporto affettivo con i propri famigliari ed amici per poter sperare un giorno di essere riaccolti fra loro con gli stessi sentimenti e con la stessa amorevolezza di un tempo. Ermanno Capatti

 

È come una stazione delle Fs: gente che va e gente che viene

 

n Ci è stato chiesto di scrivere un articolo sulle affettività familiari, ma purtroppo è un argomento che mi costa troppa sofferenza, quella sofferenza quotidiana che ti assale, o meglio ancora ti assedia, soprattutto la sera prima di addormentarti, quando il tuo pensiero, inesorabile come il tempo, nonostante gli sforzi, patapam… ti attanaglia il cervello. Non che non vuoi pensarci, non vuoi soffrire, il che è ben diverso: quando pensi ai tuoi cari lo vorresti fare con felicità, quella felicità che durante il tuo percorso di vita inconsciamente hai fatto del tutto per rovinare, e nel mio caso purtroppo sono stato un artista da Oscar. Perciò vi lascio immaginare quando impotente penso alle enormi cavolate fatte, ma nonostante tutto loro mi sono sempre vicini, amandomi, così mi reputo un fortunato. I miei affetti, ora moltiplicati, li tengo custoditi in una cassaforte inaccessibile. Che sarà aperta al momento opportuno, con tutti i suoi valori, a queste persone da me sempre amate, seppur trascurate. Penso che sia il minimo che possa fare. Fatta questa premessa, vi voglio parlare di un altro tipo di affetti, non così forti, ma intensi. Nel mio primo articolo scritto da non redattore, facevo presente che questo carcere è come una stazione ferroviaria, non passa settimana dove non ci siano 7/8 partenze, 7/8 arrivi, quindi lascio a voi immaginare quali siano i rapporti: oggi ti fai nuove conoscenze, domani non ci sono, perciò arrivati ad un certo punto si fa fatica ad avvicinarsi, comunicare, aprirti; ti affezioni poi partono.

Ma il brutto, almeno per me, è quando riesci a farti la cella, portati in quella angustia momentanea abitazione (che parola grossa, abitazione), è lo spirito di sopravvivenza che me lo fa dire, delle persone in cui credi, o almeno credi di credere, sperando di non esserti sbagliato nel periodo in cui ti rapportavi all’aria, in qualche socialità, con loro se sei fortunato dividi 7/8 mesi. Signori cari, anche se con tutta la vostra buona volontà voleste immaginare, anche tuffandovi con il pensiero nelle oceaniche profondità della mente, non potreste capire cosa significa dividere gioie, dolori, speranze e delusioni, ristretti in uno sgabuzzino che in pochi momenti è la suite più bella del mondo, perché ci siamo solo noi, sì solo noi che con la nostra illimitata fantasia e spirito di sopravvivenza riusciamo a dire, "nel senso buono per chi ci sorveglia e osserva", che bello per un attimo sono evaso. Patapa! mi vien da piangere! Ero riuscito ha crearmi questa cupola dorata, ma inesorabile la galera con tutti i suoi aspetti umani e disumani, mi riporta alla realtà, Gaetano è uscito 15 giorni fa, Carlo giovedì 15 luglio. Non posso non essere felice per loro che hanno raggiunto questa agognata libertà, immaginarmeli fuori, felici, ma soprattutto che abbiano un black out momentaneo al cervello che gli tolga il ricordo della galera, ma egoisticamente parlando ecco un’altra sofferenza per me, come dimenticare tutti i momenti passati? Così di colpo? Caro Carlo, il primo giorno che arrivai a Lodi e ti vidi ti chiamai da subito Jesus Cristo Superstars, non per presa in giro, ma per la forte somiglianza; non voglio dilungarmi, in quanto gli articoli li vuoi sempre corti così ti accontento, solo noi sappiamo cosa abbiamo condiviso e non parlo di beni materiali, altri beni che solo il proprio modo di essere può far condividere; sappi solo che resterai nel mio cuore, ricordandoti che l’amicizia la puoi trovare ovunque. Mi era stato chiesto dell’affettività familiare? Però ci sono anche altre affettività!Ma soprattutto quello che non si dice. Ciao, caro amico mio. C.E.

 

L’importanza che assume l’incontro settimanale

 

Lo sradicamento dalla famiglia, la solitudine, la lontananza dagli affetti, la perdita del proprio ruolo genitoriale, l’impossibilità di amare, rappresentano per la maggioranza dei reclusi gli elementi più dolorosi della detenzione. Ma ritengo che un sano mantenimento dei rapporti familiari (figli, mogli, mariti, madri, padri, sorelle e fratelli) è talvolta l’unico motivo che spinge molti di noi a non rinunciare a vivere. Capita però di frequente che i rapporti affettivi si sgretolano o si deteriorano, colpevoli anche le strutture che di certo non aiutano a salvare il salvabile rendendo invece, a volte, difficile l’incontro con le proprie famiglie e non agevolando quei familiari che intendono mantenere vivo e costante il rapporto con i propri congiunti. Soltanto chi ha vissuto questa esperienza può comprendere l’importanza che assume l’incontro settimanale: lo si aspetta per sette giorni e l’attesa ricomincia non appena termina quella brevissima ora.

Un incontro visivo che rende così poco riservato il colloquio a causa di un’invasione ingiustificata capace di limitare uno spazio già fin troppo ristretto. In questi ultimi anni sono stati apportati dei cambiamenti nelle sale addette ai colloqui, anche se migliorie in tal senso sono ancora auspicabili, consentendoci di avvicinarci maggiormente ai nostri cari, provando quel calore che si cerca di avere e di dare per essere considerati ancora vivi e capaci di dare affetto e amore alle nostre famiglie. Nel corso degli ultimi tempi si è parlato molto della situazione nelle carceri e del loro mondo, ma in poche e rare occasioni è emersa in maniera chiara l’innegabile difficoltà con la quale il detenuto è costretto a "non vivere" l’affettività.

La detenzione dovrebbe consistere nella privazione della libertà, ovvero la società isola coloro che si sarebbero macchiati di reati, impedendo loro di vivere nel contesto sociale. Durante la detenzione, le dinamiche familiari ed affettive sono fondamentali per un reinserimento sociale, perché il loro supporto, riducendo il senso dell’abbandono, aiuta a tenere vive le aspettative di una vita futura. È auspicabile quindi da parte di tutti, anche degli attori non protagonisti, e a qualsiasi livello, che vengano proposte nuove iniziative per aiutare e sollevare quelle difficoltà, a volte insormontabili, concedendo al detenuto un miglioramento dei legami familiari e consentendogli di vivere l’affettività in carcere sulla via della civiltà e della speranza. Sorriso

 

Quanto vorrei risentire i discorsi di mio figlio

 

Mi hanno sempre detto che il mestiere del genitore è quello più difficile e non ho mai dato ascolto a questo detto, almeno fino a quando a mia volta sono diventato papà e ho ricoperto anch’io questo ruolo dalle mille sfaccettature. Ogni volta che dovevo prendere decisioni più o meno importanti nei confronti dei miei figli, ho sempre paragonato il mio essere genitore con quello di mio padre.Mio padre è sempre stato severo, non ricordo che sia mai venuto da me per farmi una carezza o per parlarmi con il cuore in mano, ogni cosa che facevo male era motivo per sfogare il suo carattere dittatoriale, mentre se facevo qualcosa di buono non c’era mai una buona parola, in compenso non c’erano richiami.

Mentre con i miei figli ho deciso sin dall’inizio di dialogare con loro e non usare violenza, usando più il tono di voce alto per riprenderli, ma sempre con il dialogo e devo dire che godo di un gran rispetto da parte dei miei figli per la stima che hanno nei miei confronti, lo stesso rispetto che io portavo a mio padre quando ero piccolo, ma quello era più un timore di lui e non stima. Ricordo che nella mia infanzia facevo domande banali come tutti i bambini a mio padre e quasi mai ottenevo risposte che delucidavano i miei dubbi, perché erano domande stupide. Qualche tempo fa ero in macchina con mio figlio Matteo e stavamo andando in banca a prelevare dei soldi e lui mi domandò perché i soldi erano nelle banche e subito dopo mi domandò: ma non si potrebbe vivere tutti senza soldi? Se avessi fatto io quella domanda a mio padre, lui come sempre non avrebbe avuto tempo, mentre con Matteo ho sempre cercato di risolvere tutti i suoi dubbi.

Adesso il mio piccolino non lo vedo da sette mesi perché non voglio che veda il posto dove soggiorno, io per lui sono sempre stato il migliore e non mi basterebbe un’ora per spiegargli l’errore che ho commesso, ma Dio solo sa quanto vorrei sentire i suoi discorsi innocenti. Io vivo solo il martedì quando la mia meravigliosa moglie viene a trovarmi e, come per magia, non mi trovo più in una sala colloqui, ma entriamo in un mondo tutto nostro, che né la lontananza, né queste mura ci potranno mai portare via, perché l’unione familiare e l’Amore più grande che ci sia, e con esso si possono superare tutti gli ostacoli di questo mondo. La mia famiglia la paragono ad un camino acceso, dove al di fuori delle mura ci sono le difficoltà e le insidie, mentre all’interno c’è il calore dell’amore, che se alimentato non finirà mai. Giuseppe Romano

 

I miei errori e questo sistema hanno distrutto i legami esistenti

 

Per poter pensare al futuro e affrontarlo preparati, "facendo tesoro dell’esperienza", bisogna scendere a patti col passato: questa è una frase che in questo lungo periodo ho ripetuto e mi sono ripetuto innumerevoli volte.Se questa volta Dio mi è benevolo, forse è arrivato il momento di mettere in pratica questo insegnamento e ciò che in 24 mesi di restrizione mi sono ripromesso, sì ripromesso, a senso unico, perché oramai di una vita fatta di lavoro, sacrifici e amore, non è restato che una manciata di miseria e di ricordi strazianti. Ciò che di positivo feci in 32 anni di vita, sembra essere svanito, scomparso, sotto la minaccia dell’ultima azione commessa prima del mio arresto. Poi scendere a patti col passato non è facile come a dirlo, provate voi ad andare in banca e dire: sapete ho avuto un problema e per quanto riguarda i due mutui che voi mi avete concesso nel lontano 2003, troviamo un accordo! una soluzione dovrà pur esserci, non ho nemmeno più le lacrime per piangere.

Vedrete che capiranno e invece che rifarsi su chi a quel tempo si fidava di voi tanto da firmare delle garanzie, vi stringeranno la mano e vi diranno di non preoccuparvi, ci pensiamo noi!Vorrà dire che mentre rifletto sulla strategia migliore da adottare, ritornerò a casa e coccolato dalla donna che amo al di sopra di tutto e di tutti, penserò a come gestire e risolvere nel tempo questo dramma economico, sapete lavorando onestamente alle dipendenze, non è facile pagare 1.300,00 euro al mese, però, forse facendo non due ma tre lavori potrei farcela… l’attività che avevo avviato con tanto entusiasmo e che mi permetteva senza fatica questo onere, è nelle mani di chi sin dall’inizio la voleva, perciò scordala. Non contiamo per ora i quasi 20.000,00 euro spesi per avvocati e altro "inutilmente esco in scadenza termini", perché tutto assieme non lo reggo emotivamente, passiamo oltre.Poi dove vuoi andare? A casa, quale casa? Hai perso anche quella e per quanto riguarda le coccole… Caro Carlo, la donna che ami ha paura, perché il fallimento che hai avuto, non tanto economico, ma interiore, è stato per lei drammatico e se è vero che il tempo aggiusta tutto curando anche le ferite più profonde, è anche vero che gli anni passano e rimettersi in gioco è sempre più difficile.Insomma questa carcerazione ha avuto il potere di distruggere tutto, quel tutto che in filosofia non da spazio all’interpretazione perché comprende ogni cosa, materiale, sentimentale, affettiva. Poco mi importa del conto in banca, delle auto che possedevo, delle moto che coccolavo con cura e poco importa di una casa che mi ha visto nascere, certo, si fa per dire, vero!

Il vero dramma, il rammarico più forte, i sensi di colpa più laceranti, sono per la donna che da più di dieci anni amo e di sua figlia che temo d’aver perso per sempre, ecco cosa più di tutto mi fa criticare un sistema giuridico che anche se si sta muovendo per migliorare, è anche vero che per il sottoscritto non è riuscito a fare nulla di concreto per mantenere il legame attivo. Nei miei articoli ho spesso rimarcato le problematiche che noi ristretti siamo costretti a vivere, ma è anche vero che ho sempre elogiato tutte quelle persone che ancora credono in certi valori nobili e concretamente hanno lavorato assieme a noi per ottenere risultati. Personalmente ho combattuto battaglie che a volte mi hanno messo in cattiva luce agli occhi dell’amministrazione e forse anche di qualche detenuto, ma sono comunque soddisfatto di alcuni risultati che grazie anche al mio contributo abbiamo raggiunto e sono grato della considerazione e del rispetto di chi ha sempre creduto nelle mie potenzialità tanto da responsabilizzarmi con ruoli "importanti".

Ora non so quale segno resterà del mio lavoro svolto in biblioteca come responsabile e al giornale con la mansione di coordinatore, a dire il vero non ho più la testa per pensarci, dico solo che ho svolto con interesse e impegno il ruolo affidatomi, cercando di apportare migliorie al fine di agevolare un percorso di crescita che coinvolga tutti a beneficio soprattutto di noi ristretti.La mia unica preoccupazione adesso è il futuro e il ritrovarmi a 35 anni con un pugno di cenere fra le mani; certo la fenice rinasce appunto dalla cenere, ma la mia è cenere bagnata dalle lacrime, dunque sarà un duro e lungo lavoro ricostruire il mio futuro. A volte poi penso al perché la gente che mi attornia ha sempre preteso parecchio da me e come risposta sovente ho sentito: sei una persona con un potenziale enorme quindi è giusto che tu dia sempre il massimo, ora però sono io che chiedo di essere aiutato perché stanco e veramente provato da un’esperienza che non auguro a nessuno di provare mai. Carlo Bernardi Pirini

 

Quella volta che a Lodi una derubata me le diede di santa ragione

 

Da qualche tempo il Biondo si trova in "vacanza" ad Opera. Si è fatto pizzicare come un cretino con della merce che non gli apparteneva e non era nemmeno stato lui a commettere il reato. Ammissione della colpa, rito abbreviato, ecc. e se l’è cavata con pochi mesi. La prossima volta starà più attento: tutta esperienza.Devo confessare che mio nipote mi manca. L’ho cresciuto io il ragazzo, gli ho dato un mestiere e gli ho insegnato tutti i miei segreti. Giro per casa e m’annoio. Sto diventando vecchio e non mi va di andare sempre al bar con gli amici. La televisione non riesce neanche più a farmi dormire: più in basso di così non poteva cadere. Devo fare qualcosa.

Devo rimettermi in pista e scrollarmi di dosso quel torpore pericoloso. Scendo in un pomeriggio afoso. Vado verso il centro senza una meta precisa e senza sapere cosa farò. Sono nervoso, ho fretta di combinare qualcosa e questa è una cattiva consigliera.Entro in un negozio, ma le telecamere sono puntate nella mia direzione. Esco. Di nuovo sul Corso e nessuna idea. Si avvicinano le ferie estive e qualche negozio è già chiuso, gli altri cercano di liquidare gli ultimi saldi. Non c’è molta gente in giro, la calura invita a starsene in casa tranquilli con l’aria condizionata. Osservo le auto parcheggiate, ma nessuna è degna di essere prelevata. No. Così non si può lavorare!

Entro in un bar e mi prendo un caffè. Cerco di sorseggiare lentamente il liquido scuro e forte, ed inalare assorto l’aroma penetrante. A qualcosa è servito. Ora sto meglio. Noto che è aumentato il numero delle persone che passeggiano. La maggior parte sono donne, qualcuna con figli piccoli che si fanno trascinare malvolentieri dentro e fuori dai negozi.In fondo, quando il Corso sfocia nella piazza principale, sulla sinistra, vedo parecchia gente che si accalca alle vetrine di uno dei negozi più vecchi e più conosciuti: un negozio di scarpe. Le signore si spintonano accalorate e un addetto sbarra la porta per limitare il flusso all’interno. Ecco l’idea! È il campo ideale. Mi accodo, si fa per dire, giacché sul vocabolario italiano la coda è solo quella degli animali.

Lentamente, una pressione di qua ed una di là, con le occhiatacce delle signore più vecchie, m’inserisco nel branco (gregge, mandria, orda, torma) e mi trovo nel centro. Sudo come mai. Sotto il sole, la vicinanza di tutti quei corpi è insopportabile… anche per le narici.Tolgo dalla tasca un grosso sacchetto di plastica, quello dei mega-store, così grandi da farti sentire un verme se compri solo poche cose, e cerco quale sarà la mia vittima. Trovata! Una mora procace, sulla quarantina, ben vestita, bei gioielli e che se la tira. È in compagnia di altre due amiche, meno belle. Lei lo sa e tiene banco. È talmente presa a raccontare le sue ultime avventure che non si accorge che mi sono avvicinato da dietro.

Le volto le spalle, ma il sacchetto l’ho posizionato sotto la sua capiente borsa che porta a tracolla. Gli altri in giro non fanno caso a quello che faccio, sono solo preoccupati a farsi vento con un giornale o solamente con le mani. Con la delicatezza dell’ala di un colibrì, con un bisturi, taglio con un colpo solo il fondo della borsa.Il contenuto adesso passa poco per volta dalla sua alla mia borsa, senza scosse e senza che nessuno se ne sia accorto. La mora procace non da segni di sorta. Tiene sempre la borsa sulla spalla senza accorgersi che è diventata più leggera: continua a raccontare le sue storie tenendo d’occhio lo sguardo invidioso delle amiche. Mi sposto lentamente ed esco dal branco così come ero entrato. Camminando nel modo più normale possibile cerco di allontanarmi. Faccio una trentina di metri e sento un urlo". La borsaaa… Mi hanno tagliato la borsaaa. Aiuto…aiuto!". Non avrei mai immaginato che la mora potesse avere delle tonsille così potenti. L’urlo riecheggia contro le pareti delle case e mi arrivava addosso come un treno in piena corsa.Tutti si girano da quella parte. Un attimo di silenzio poi di nuovo un urlo: "È stato lui…è stato lui". Tuona ancora.Mi giro e vedo la donna che indica me, l’unico che non si era girato. Mi sento di ghiaccio. Tutto il Corso mi osserva minaccioso. È un attimo. Dietrofront e fuga precipitosa (non è la prima volta). Se riesco ad arrivare all’angolo, giro a destra e mi infilo nel primo portone. Da li raggiungo le cantine, m’infilo in una breccia del muro e mi trovo nella strada laterale. Ma ho fatto i conti senza l’oste. L’orda delle donne, innervosite ed accaldate, non cercava di meglio per sfogarsi. Urlando come una calata di barbari si mettono ad inseguirmi.La confusione è al massimo. I clienti escono dai negozi. Qualcuno allunga la mano e cerca di afferrarmi, ma riesco a schivarli con un colpo di reni. Tutti gridano. Altri già digitano il 113 sul telefonino.

Ed io corro.Corro quanto più posso cercando di concentrarmi solo su quello. Butto la borsa all’indietro, alle volte funziona.Arrivo in fondo, ma quando già sto girando a destra, sbuca un giovane aitante che a gambe larghe mi sbarra la strada. Questo non riesco a schivarlo. Piano B, giro a sinistra.Non era un piano alternativo studiato. La svolta a sinistra porta in un vicolo cieco, senza via d’uscita:un cul se sac come dicono i francesi. Sono fottuto. Mi trovo con la schiena appoggiata al muro di mattoni in fondo al vicolo. Le braccia allargate quasi a voler spiccare un balzo impossibile e sono terrorizzato. All’inizio del vicolo le donne ed i loro sostenitori si sono di fermate di colpo ostruendo tutto lo spazio. Ansanti, scarmigliate ed assetate di sangue, stanno gia pregustando le loro vittoria. Nel silenzio irreale si sentono solo i respiri affannati ed i miei battiti. Poi, con una lentezza esasperante, passo dopo passo, con le gambe ben appoggiate a terra ed i pugni stretti lungo i fianchi, le nuove valchirie passano all’attacco. In testa, la mora che se la tirava e che ora si sente oltraggiata, beffata. Quello che di lei riesco a vedere è lo sguardo e difficilmente me lo dimenticherò. Dire che il desiderio di uccidermi sia il suo unico pensiero è solo un eufemismo: di più, molto di più!Arrivata a tre metri si ferma, calcola bene la distanza e poi carica urlando.

Mi aspettavo un cazzotto o qualcosa del genere, ma non mi ricordavo che le donne sono imparentate con i felini. Parte a due mani e mi pianta dieci unghie in faccia. Subito, come un segnale convenuto, partono tutte le altre. Pugni (pochi) calci (tanti da tutte le parti, soprattutto lì), schiaffi, borsettate (le borse oggi pesano sempre qualche chilo). Il viso mi sanguina, ho un occhio pesto che si sta chiudendo del tutto, le costole mi fanno un male terribile e non sento più gli attributi. Sono a terra raggomitolato su me stesso e cerco solo di sopravvivere.Poi d’improvviso più niente. Non sento più i colpi. Sono convinto di star perdendo i sensi. Sento due mani grosse che mi prendono da sotto le ascelle e mi sollevano cercando di rimettermi in piedi. Apro l’unico occhio che mi rimane e vedo il maresciallo Gallettoni che cerca di capire quanto ancora ci sia di vivo in me.Abbracciato a lui e protetto da altri due carabinieri vengo faticosamente fatto salire sulla macchina di pattuglia."Gigi, ma alla tua età non hai ancora capito che certe cose non le puoi più fare?", mi dice. Vorrei rispondere, almeno un ringraziamento, ma le labbra gonfie e tumefatte non si muovono.Io so che esiste un comandamento che dice di non rubare, anche se non me li ricordo tutti, ma sono quasi sicuro che ne esiste un’altro che dice di non menare. Gigi

 

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