La Rondine

 

La Rondine, una voce dal carcere

Periodico dei detenuti della Casa di Reclusione di Fossano

Maggio 2006 - Numero 20

 

Corsi professionali e lavoro: un abbinamento da valorizzare

Editoriale: AAA cercasi lavoro

Lavorare non stanca, purché ci sia!

Le misure alternative al carcere estese agli stranieri irregolari

Il colloquio, tempo prezioso ma breve e senza intimità

"La speranza è l’unico mio sostegno"

"I familiari scontano doppiamente il carcere"

Il modello finlandese

Notizie flash

Lettere

Corsi professionali e lavoro: un abbinamento da valorizzare

 

Conseguire una qualifica professionale spendibile anche all’esterno, eseguire manufatti su commissioni di privati e di enti pubblici, accedere a stage-tirocinio presso aziende esterne per chi può usufruire dei benefici possono essere le tappe di un graduale e costruttivo percorso di reinserimento sociale per le persone recluse.

di Enrico B.

 

Anche quest’anno il Comune di Fossano ha concesso gratuitamente uno stand al carcere. Sono esposti alcuni lavori eseguiti dai detenuti che hanno frequentato i corsi professionali, organizzati dal CFPP-Casa di Carità onlus per conto della Regione Piemonte e dell’Amministrazione Provinciale. I lavori esposti nello stand e le immagine riportate nelle pagine speciali di questo giornale sono una testimonianza della bravura e della creatività di istruttori e corsisti che, in questi anni, hanno saputo ampiamente soddisfare le consegne loro pervenute da enti pubblici e privati.

Chiunque sia interessato per suggerimenti, informazioni, ordinativi può telefonare ai seguenti numeri:

Enrico Borello (CFPP) 338 – 4764681. Ufficio educatori (Ministero della Giustizia) 0172 – 635791

 

Cablatore impianti industriali

Il corso si sviluppa in 1200 ore e prevede dei momenti formativi di carattere tecnico scientifico e tecnico pratico. Le aule che ospitano il corso sono state recentemente ristrutturate e permettono lo svolgersi delle varie discipline in un ambiente pulito ed attrezzato. Gli allievi hanno la possibilità di esercitarsi, durante le ore di laboratorio, in simulazioni di impianti elettrici sia nel campo dei circuiti per civile abitazione, sia nel campo della quadristica industriale e degli impianti di automazione. Alla fine del corso viene rilasciato un Attestato di Qualifica con valenza nazionale.

 

Disegno con ausilio CAD

 

È stato messo a punto e realizzato in questi ultimi anni anche un corso di disegno con l’ausilio informatico del CAD. Tale corso ha la funzione di essere di completamento per gli allievi che hanno frequentato uno degli altri corsi tecnici e vogliono approfondire la loro conoscenza sul disegno familiarizzando con il computer e con il programma Autocad LT. Il corso si svolge in un’aula opportunamente attrezzata ed ogni allievo può lavorare sulla propria macchina. Alla fine del corso viene rilasciato un Attestato di Frequenza.

 

Saldocarpenteria metallica leggera

 

Il corso si sviluppa in 1100 ore suddivise in materie tecnico scientifiche come il Disegno Tecnico e la Tecnologia dei materiali ed in materie tecnico pratiche come il Laboratorio di saldatura e di costruzioni. Il corso ha un carattere molto pratico per porre l’allievo in condizioni di poter sperimentare le dinamiche e le competenze per un lavoro in officina. Al termine del corso viene rilasciato un Attestato di Qualifica con valenza nazionale.

 

Attività connesse

 

Da qualche anno, nel corso di formazione professionale di saldocarpenteria metallica leggera sono state inserite delle "Attività connesse" che hanno la possibilità di poter eseguire, su commessa, dei manufatti

per enti pubblici o per privati cittadini. Abbiamo collaborato con il Comune di Fossano per attrezzare un’area del centro anziani; con l’azienda Multiservizi di Fossano per la realizzazione dei pannelli per le

affissioni pubbliche; con il Comune di Centallo abbiamo collaborato all’esecuzione di un monumento, situato in via Crispi, che ricorda il lavoro coatto nei lager nazisti; per privati cittadini abbiamo eseguito cancellate, portoncini, barbecue, letti, ecc. Queste attività hanno come scopo di fare esercitare gli allievi creando delle situazioni reali di lavoro dove devono essere messe in atto tutte le dinamiche per l’esecuzione di un prodotto finito.

 

Stage tirocinio esterno

 

Il C.F.P.P. si è reso promotore di una significativa esperienza che negli anni ha coinvolto detenuti in semilibertà o in articolo 21. Dopo la qualificazione professionale, lo stage tirocinio è diventato uno strumento davvero efficace per le specifiche caratterizzazioni e implicazioni: ha una durata massima di 6 mesi; consente un’esperienza di formazione- lavoro non simulata; favorisce l’inserimento sociale in un gruppo di lavoro mettendo il detenuto a contatto con altri operai; non richiede dal datore di lavoro l’assolvimento di un obbligo nè retributivo nè contributivo e tale autonomia consente sia al datore di lavoro che al detenuto di superare le reciproche e pregiudizievoli diffidenze. Lo stage-tirocinio si caratterizza, oltre che per la durata, anche per l’erogazione al detenuto di una borsa di formazione-lavoro. Lo stage può essere considerato un periodo di orientamento durante il quale il datore di lavoro valuta le capacità professionali e le attitudini lavorative del detenuto e, se risulta essere conveniente per l’azienda, gli propone il contratto di lavoro come dipendente.

 

Editoriale: AAA cercasi lavoro

a cura della redazione

 

Questo numero del giornale esce in occasione della Fiera di Fossano dal 6 al 14 maggio. La copertina e alcune pagine interne riportano le immagini dei molti lavori che i detenuti hanno realizzato in questi anni nel corso di saldo-carpenteria. Alcuni sono esposti nello stand gentilmente messo a disposizione dal Comune di Fossano. L’attività di formazione professionale all’interno di un carcere, considerando il basso livello generale di scolarizzazione dell’utenza, è sicuramente un elemento fondamentale per favorire il reinserimento del detenuto nella società e rappresenta la prima tappa di un percorso finalizzato a fargli acquisire competenze nel lavoro, spendibili anche all’esterno. Ma attualmente i

corsi professionali possono raggiungere solo una piccola percentuale della popolazione detenuta e sono stati ulteriormente ridotti dai tagli ministeriali. Bisognerebbe, inoltre, ci fosse un miglior raccordo tra il mondo produttivo, l’ente che gestisce i corsi professionali e l’Amministrazione penitenziaria per individuare le qualifiche più richieste dal mercato del lavoro e organizzare conseguentemente corsi mirati per le persone recluse interessate e selezionate dopo un’opportuna opera di orientamento personale.

La seconda tappa del percorso di reinserimento sociale del detenuto dovrebbe essere la sua possibilità di accedere al lavoro interno alla struttura carceraria o a quello esterno se può godere delle misure alternative. Al primo provvede quasi unicamente l’Amministrazione penitenziaria che impiega un numero limitato di persone nei lavori di pulizia e cucina. Rari sono i casi di lavoro intramurario portato da ditte esterne e da cooperative perché non hanno la convenienza economica a farlo e sono condizionati dai rallentamenti burocratici. Il Parlamento si è reso conto della gravità del problema ed ha approvato leggi e regolamenti per introdurre agevolazioni e incentivi alle ditte e cooperative che danno lavoro alle fasce più deboli e svantaggiate, compresi detenuti ed ex, ma senza finora aver raggiungere lo scopo di incrementare il lavoro interno.

Non sono certamente di aiuto certe campagne di stampa che, cavalcando da un lato l’onda emotiva provocata nell’opinione pubblica da fatti sicuramente ripugnanti ma per fortuna rari ed occasionali e nascondendo, dall’altro lato, il buon andamento delle migliaia di misure alternative al carcere di cui usufruisce quasi il 50% dei reclusi, alimentano paure e pregiudizi.

La possibilità di un lavoro esterno alle mura è ancora più improbabile se il detenuto non ha il supporto di familiari e parenti. Ci sono degli interventi pubblici che, ogni due tre anni, finanziano progetti di inserimento lavorativo per reclusi ed ex, come il progetto Sp.I.R.I.T. (Sportello, Inserimento lavorativo,

Reinserimento sociale, Iniziativa territoriale) che sta per partire dopo l’approvazione della Regione

Piemonte, su finanziamento dell’Unione Europea o come quelli annuali finanziati dalla Regione

Piemonte con la Legge 45/95 ma interessano comunque un numero molto limitato di persone. Le previsioni per il futuro sono ancor più pessimistiche perché il prossimo allargamento dell’Unione Europea farà dirottare parte dei fondi destinati alle fasce più deboli verso i paesi più poveri dell’Est.

Un capitolo dolente riguarda i detenuti stranieri. La finalità rieducativa della pena vale anche per loro, come ribadito recentemente da una sentenza della Cassazione che estende i benefici di legge anche a chi è privo di permesso di soggiorno, ma poi difficilmente possono essere applicate le misure alternative al carcere per la mancanza di collegamenti familiari e di domicilio da parte di

questi soggetti.

In conclusione, per tutelare il diritto al lavoro dei detenuti è necessario il concorso di tante figure professionali che devono lavorare insieme per non lasciare il percorso a metà. Infatti, il detenuto da solo, se non è dotato di grandi risorse (sociali, familiari, economiche) è molto difficile che riesca a concludere il tragitto di reinserimento. Non è possibile pensare a prassi standardizzate, ogni percorso deve essere creato ad hoc per ogni persona, con il necessario coinvolgimento armonico di tutti gli operatori del privato e del pubblico, dal Ministero di Giustizia agli enti locali.

Ricordiamoci che senza lavoro non c’è neanche reinserimento sociale.

 

Lavorare non stanca, purché ci sia

La desolante situazione lavorativa nel sistema carcerario italiano

 

Nonostante un susseguirsi di leggi ad hoc, il lavoro per detenuti ed ex è ancora una condizione occasionale e privilegiata di pochi e rende fallimentare la gestione del sistema penitenziario, costoso e con molte recidive.

a cura della redazione

 

Lavorare per un detenuto è un diritto oltre che un dovere perché il lavoro è essenziale nel trattamento rieducativo, come sancisce l’art. 15 dello Ordinamento Penitenziario del 1975 (O.P.).

Ma la suddetta legge di riforma ha avuto un effetto deleterio sul lavoro portato in carcere dalle aziende private. La determinazione della mercede (cosÏ si chiama il salario percepito dal detenuto) non inferiore ai due terzi del trattamento economico previsto dai contratti collettivi di lavoro ha fatto aumentare il costo del lavoro facendo sì che le ditte appaltatrici di lavorazioni interne abbandonassero il rapporto con l’Amministrazione. Il fenomeno di riduzione dei posti di lavoro interni è continuato in forma massiccia anche negli anni successivi, sostanzialmente per due motivi: la riduzione degli specifici stanziamenti di bilancio ed il progressivo aumento delle retribuzioni e dei contributi assistenziali e previdenziali.

 

Normativa

 

Il legislatore ha riconosciuto che l’Amministrazione Penitenziaria da sola non è in grado di affrontare il problema del lavoro e per questo nel 1993 (Legge n. 296 del 12/8/93) ha introdotto la possibilità di organizzare e gestire lavorazioni in carcere da parte di imprese private ma gli esiti non sono stati quelli sperati. Può giocare invece un ruolo più incisivo nella realizzazione di politiche attive per l’integrazione degli svantaggiati il terzo settore ed, in particolare, il sistema delle imprese sociali, cosÏ come regolato dalla L. 381/91, che li istituisce, e dalle successive integrazioni, quale la L. 193/00 (cosiddetta "Legge Smuraglia") che formalizza l’inclusione dei detenuti nelle categorie dei soggetti svantaggiati. L’abbattimento degli oneri sociali, previsto inizialmente per le cooperative sociali e successivamente esteso anche a favore dei datori di lavoro pubblici e privati, può costituire un interessante incentivo all’occupazione e può essere applicato anche nel periodo di 6 mesi successivo alla cessazione dello stato di detenzione.

Il D.P.R. 230/00, all’art. 47, specifica espressamente che le lavorazioni penitenziarie, sia interne che esterne all’istituto, possono essere organizzate dalle direzioni penitenziarie, da imprese pubbliche o private e, in particolare, da imprese cooperatrici sociali, in locali concessi in comodato dalle direzioni, le quali ultime possono avere come oggetto anche servizi interni, come la somministrazione del vitto, la

pulizia e la manutenzione dei fabbricati, prima di pertinenza esclusiva dell’Amministrazione

Penitenziaria.

Il lavoro penitenziario si prefigge di far sì che il detenuto possa acquisire una professionalità tale da consentirgli un proficuo inserimento, in special modo lavorativo, al momento del ritorno nella società esterna. Per raggiungere questa finalità occorre adeguare non solo l’organizzazione del lavoro sviluppando i settori più ricercati dal mercato ma anche dotarsi di una strumentazione tecnologicamente al passo con i tempi. A questo proposito già la L. 10/10/1986 n. 686 (la cosiddetta "Legge Gozzini") permette alle direzioni degli istituti di procedere alla commercializzazione dei prodotti a prezzi uguali o anche inferiori al costo effettivo sul mercato all’ingrosso della zona in cui è attuata la produzione. Ovviamente al lavoratore detenuto sono applicati il riposo festivo, l’orario giornaliero e le ferie.

Infine, con il D.L. n° 274/00, il legislatore ha introdotto, con riferimento ai reati di competenza del giudice di pace, il lavoro di pubblica utilità quale vera e propria pena principale, oltre che come sanzione sostitutiva in caso di mancato insolvibilità delle pene pecuniarie. Questo istituto può essere applicato solo su richiesta dell’interessato.

 

Lavoro interno

 

Il lavoro interno è regolato dagli articoli 20 e 20bis della legge n° 354/75 (c.d. Ordinamento Penitenziario) e dagli articoli 47, 49, 50, 51, 52, 53 del correlato regolamento attuativo (D.P.R. n° 230/00, c.d. R.O.P.). Dall’esame delle citate norme è possibile dedurre i seguenti principi-guida del lavoro intramurario:

- remunerazione e non afflittività perché il lavoro non deve costituire un’aggravante della pena da espiare ma un’opportunità di crescita professionale e di preparazione alla riammissione nella società libera;

- volontarietà;

- finalizzazione rieducativi ottenibile se le modalità organizzative, tecniche e metodologiche riflettono il più possibile le condizioni di lavoro della realtà esterna (puntualità, conoscenza, utilizzo e manuntezione delle attrezzature usate, tenuta dei ritmi di lavoro, continuità durante la giornata e la settimana, ordine e pulizia personale, capacità di organizzare fasi lavorative di piccola e media difficoltà, capacità di relazionarsi con compagni, operatori e responsabile);

- oggettività nell’assegnazione da osservarsi mediante un sistema di graduatorie su parametri prefissati dalla legge (anzianità di disoccupazione, carichi familiari…) e stilato da una commissione interna che non sempre è operante; tuttavia il direttore deve assicurare imparzialità e trasparenza avvalendosi anche del gruppo di osservazione e trattamento.

Il lavoro intramurario ha natura "atipica" e di conseguenza solo una parte delle normative nazionali sul lavoro sono assicurate, come il riposo festivo, i limiti degli orari giornalieri, gli obblighi contributivi e assicurativi. La "mercede" corrisposta al detenuto non è inferiore ai due terzi dei minimi contrattuali e da questa viene sottratta alle persone condannate una quota per le spese di mantenimento in carcere, processuali e di risarcimento del danno, non superiore ai due quinti. L’insieme delle risorse finanziarie del detenuto sono gestite dalla direzione dell’istituto e producono interessi legali. Di queste una parte viene messa a disposizione del detenuto per spese private, mentre il rimanente viene posto a "fondo vincolato" e restituito alla scarcerazione.

L’Amministrazione penitenziaria, attraverso convenzioni con imprese pubbliche o private promuove la sperimentazione di nuove lavorazioni, compreso il lavoro a domicilio, la vendita di prodotti del lavoro penitenziario, il tirocinio e la formazione professionale dei detenuti, attività artistiche, intellettuali o artigianali. Nel caso di lavorazioni eseguite da ditte private all’interno del carcere, coloro che vi sono collocati rimangono alle dipendenze della Amministrazione Penitenziaria, tranne che per le cooperative sociali, che possono assumere direttamente i detenuti.

Il lavoro interno deve comprendere anche i c.d. servizi, cioè le attività dirette ad assicurare la funzionalità e l’igiene delle sezioni, quali pulizia, mensa, manutenzione ordinaria.

 

Lavoro esterno

 

Il detenuto, scontata parte della pena, può richiedere di essere ammesso a lavori esterni, come dipendente o lavoratore autonomo, nonché frequentare corsi di formazione professionali attraverso le

seguenti misure alternative:

- lavoro all’esterno ex art. 21 O.P. avviene sotto il diretto controllo della Direzione dell’istituto di pena che stabilisce l’orario di uscita, il tragitto per recarsi sul luogo di lavoro, i mezzi di trasporto usati per i

trasferimenti, la sede del lavoro, la pausa per il pranzo e l’esatta individuazione del luogo dove deve avvenire la consumazione del pasto, l’orario di rientro nel carcere; il programma di ammissione è redatto dal Direttore ed approvato dal Magistrato di Sorveglianza;

- semilibertà che consiste nella concessione al detenuto di trascorrere parte del giorno fuori dall’istituto di pena per partecipare alle attività lavorative, istruttive o comunque utili al reinserimento sociale; questo regime dà più libertà del precedente perché considera unicamente il rispetto degli orari di uscita e di rientro lasciando una più autonoma organizzazione della giornata; possono accedervi chi è stato condannato a meno di sei mesi o a non più di tre anni e chi ha scontato metà della pena;

- affidamento in prova all’U.E.P.E. (ex Servizi sociali) consente al condannato di usufruire di una maggiore libertà ancora con l’unico vincolo di rientrare al domicilio entro un orario predeterminato.

 

Cooperative sociali

 

Particolarmente favorito è lo strumento delle cooperative sociali: il detenuto è assunto quale socio-lavoratore e può mantenere il lavoro anche successivamente al fine pena, termine che spesso coincide con la perdita del lavoro, compromettendo spesso irreparabilmente le prospettive di reinserimento degli ex detenuti. La L. n° 381/91 regola la costituzione ed il funzionamento delle cooperative sociali, che possono essere di due tipi: - gestire servizi socio-sanitari ed educativi (tipo A); - svolgere attività agricole, industriali, commerciali o di servizi, finalizzato all’inserimento di persone svantaggiate, compresi i detenuti ed ex detenuti (tipo B).

Ogni cooperativa deve essere costituita da almeno il 30% di lavoratori svantaggiati, oltre che da soci ordinari e da soci volontari. Per tutti i soci lavoratori svantaggiati la cooperativa fruisce di uno sgravio totale dei contributi previdenziali e assistenziali. Le cooperative possono ottenere l’affidamento, in convenzione, di commesse di lavoro da parte di enti pubblici (es: manutenzione del verde, pulizie…) senza partecipare a gare d’appalto, purché finalizzate a creare opportunità di lavoro per le persone svantaggiate ed entro i limiti di importo della commessa stabiliti dalle norme comunitarie.

Per costituire una cooperativa sociale i soci devono essere almeno nove, di cui il 30% appartenenti alle tipologie dello svantaggio e presentare l’atto costitutivo di fronte ad un notaio.

 

Disoccupazione

 

Il recluso deve provvedere ad iscriversi ai Centri per l’Impiego per essere riconosciuto, dopo un anno, come disoccupato di lunga durata e così facilitare l’eventuale azienda che intenda assumere con i relativi sgravi fiscali previsti per questa categoria.

Il detenuto che interrompe il rapporto di lavoro svolto in carcere o ha lavorato solo per una parte dell’anno o lavorava prima dell’arresto può richiedere l’indennità di disoccupazione.

 

Giustizia: importante sentenza della Cassazione

Le misure alternative al carcere estese agli stranieri irregolari

di Marco Z.

 

Anche i cittadini stranieri senza permesso di soggiorno detenuti nelle carceri italiane possono godere delle misure alternative al carcere, come ad esempio l’affidamento ai servizi sociali.

Lo hanno stabilito il 29 marzo le Sezioni Unite penali della Cassazione, confermando un’ordinanza del Tribunale di Sorveglianza di Sassari. Nel febbraio 2005, il tribunale aveva infatti accolto la richiesta avanzata da un detenuto marocchino privo di permesso di soggiorno, Alloussi Rabie, per essere affidato a una cooperativa sociale. Il Procuratore generale della Corte di Appello di Sassari aveva presentato ricorso contro quella decisione, sostenendo che "le misure alternative alla detenzione sono inapplicabili allo straniero extracomunitario che si trovi in condizioni di clandestinità, data la radicale incompatibilità delle modalità di dette misure con le norme che regolano l’ingresso, il soggiorno e l’allontanamento dal territorio dello Stato delle persone appartenenti a paesi estranei all’Unione Europea".

Di opinione diversa le Sezioni Unite della Cassazione, secondo le quali è legittimo accogliere la richiesta di Alloussi Rabie. Le motivazioni della sentenza saranno disponibili solo fra qualche settimana, ma probabilmente la decisione dei giudici è in linea con pronunciamenti precedenti della prima sezione penale, che avevano dato il via libera alla concessione dei benefici carcerari agli immigrati irregolari. In questo caso i giudici avevano notato che le misure alternative consentono, comunque, il controllo del ridotto spazio di libertà concesso. Queste misure sono inoltre giustificate dal principio del valore rieducativi della pena, che "non può essere a priori escluso nei confronti degli

stranieri privi del permesso di soggiorno".

 

Caritas: "sentenza modello"

 

La decisione della Cassazione è stata accolta con favore dalle organizzazioni umanitarie, anche perché potrebbe sbloccare una serie di progetti di rieducazione per i clandestini detenuti. "Questa sentenza può diventare un modello per la giurisprudenza" commenta don Giancarlo Perego, responsabile immigrazione della Caritas, "il ricorso a pene alternative per gli immigrati permette di costruire percorsi di recupero significativi". Il 30% dei detenuti è rappresentato dagli immigrati, che nella maggior parte dei casi non hanno residenza, familiari o risorse in Italia. Per questo motivo è molto difficile che accedano a misure alternative come la semilibertà o la detenzione domiciliare.

"Le organizzazioni di volontariato e le comunità sono quindi le uniche realtà alternative a cui possono fare riferimento" sottolinea il responsabile immigrazione della Caritas, "fin’ora tutti i progetti presentati in tal senso agli istituti di detenzione sono stati negati. La sentenza sblocca questa situazione".

 

Vita "dentro": l’affettività "ristretta" di detenuti e familiari

Il colloquio, tempo prezioso ma breve e senza intimità

 

di Marco Z. e Maurizio F.

 

Negli istituti penitenziari, nonostante le tante regole e numerosi divieti, esiste un diritto sacrosanto: i contatti con la famiglia. Questi contatti possono avvenire in genere in tre modi: colloquio personale con contatto visivo, colloquio telefonico (il detenuto può telefonare ad un telefono fisso, per dieci minuti di conversazione alla settimana) e tramite corrispondenza che viene aperta di fronte ad un agente ma non letta. Il più importante e coinvolgente è sicuramente il colloquio personale con i propri familiari che viene autorizzato tramite il Giudice istruttore se si è imputato (prima del processo di primo grado), dalla Corte di appello (prima del processo di secondo grado), o dalla direzione del carcere dove uno è ristretto, se la pena è definitiva. I colloqui sono sei al mese della durata di un’ora ciascuno, inoltre si ha la possibilità di richiedere i colloqui con una terza persona, non parente, che vengono autorizzati dal Magistrato di Sorveglianza, dopo i controlli richiesti dalla Direzione dell’istituto.

Qui, a Fossano, i colloqui con i familiari si possono effettuare nei giorni di venerdì e sabato, alla mattina dalle 9.30 alle 11.30, mentre al pomeriggio si effettuano dalle 13.00 alle 15.00. I familiari, quando arrivano, presentano un documento d’identità, consegnano il pacco (che può contenere indumenti e generi alimentari, quelli consentiti da una tabella) per il controllo prima di essere consegnato al congiunto detenuto. Successivamente vengono perquisiti i familiari, secondo le norme di rispetto alla persona; dopodiché vengono fatti entrare nella sala colloqui, dove, qualche minuto dopo, si incontrano con il loro parente. La sala colloqui è composta da tavoli rotondi con quattro o cinque sedie

dove le persone possono avere la possibilità di parlare, i figli, specie quelli più piccoli, possono stare in braccio al loro papà. Il detenuto può portare qualche dolcetto per i bambini (merendine, ovetti kinder, cioccolatini), bibite o acqua e caffè o the in un termos di plastica. Se anche non ci sono più da tempo i divisori di vetro e l’ambiente è meno traumatico, tuttavia bisognerebbe dotare tutti i carceri di locali e spazi verdi dove ogni nucleo familiare possa godere di maggiore tranquillità e privacy e per un tempo più lungo. Si tratta di avere più riguardo e attenzione alle esigenze affettive e di crescita dei figli che hanno bisogno della vicinanza del genitore. Alla fine del tempo consentito suona una

campanella che annuncia la fine del colloquio e dopo gli abbracci e i saluti, i parenti escono passando dalla portineria, i detenuti passando dal magazzino per il ritiro del pacco che hanno lasciato i familiari.

Ritornano alle loro celle con nel cuore la gioia di aver rivisto le persone a loro care ma con le lacrime nascoste per il doloroso distacco.

F

Vita "fuori": incontro con la moglie di un detenuto

"La speranza è l’unico mio sostegno"

Franca R.

 

"L’emozione che più mi prende quando mi avvicino al colloquio è l’ansia, un’ansia che ti attanaglia lo stomaco specialmente le prime volte dopo l’arresto quando il distacco è ancora molto vivo. E comunque non diventa mai un’abitudine, tutte le volte l’emozione è molto forte. Anche per i figli sono momenti molto brutti: "Uffa di nuovo qui, non volevo più venire" e giù il pianto". È la moglie di un detenuto che parla all’uscita da un colloquio e che gentilmente accetta di rispondere ad alcune domande. Sui controlli a cui sono sottoposti tutti i familiari in ingresso afferma che qui le cose vanno molto meglio che alle Vallette "dove ti tolgono anche calze e scarpe. Se anche è una donna a perquisirti è comunque umiliante e ti rendi conto di entrare in un ambiente molto brutto. A Torino, per un’ora di colloquio, dovevo entrare alle 9 per poi uscire alle 15 ed ero obbligata ad aspettare in una stanza che è come una cella, chiusi a chiave e in estate soffocante. Mio figlio una volta si era sentito male e voleva farsi aprire ma non c’è stato modo di uscire. Qui è diverso, si passa subito; le agenti sono gentili, c’è più rispetto e fiducia perché l’ambiente più piccolo permette di conoscere meglio le persone e i loro famigliari".

Continua la signora: "Dopo il controllo vengo scortata nella saletta dei colloqui. Qui lo spazio è poco e c’è sempre un gran rumore di voci. Il discorso è soprattutto sui figli, quello che è successo durante la settimana a noi e a lui. Sono momenti difficili perché spesso vedi persone piangere, bambini irrequieti. Per me sono molto dolorosi i primi colloqui che ho con mio marito quando torna in carcere: se ascoltassi la rabbia non verrei più a trovarlo ma poi lo vedo tanto sofferente e abbattuto, mi fa una

gran pena. Poi le cose migliorano con il tempo e te ne accorgi quando si presenta ben curato, con il

termos e i pasticcini".

Il ritorno com’è? "Sempre molto brutto. Continuo a star molto male anche alla domenica quando penso in continuazione al colloquio. Poi al lunedì vado al lavoro, il solito tran tran della vita di tutti i giorni ti

prende e questo mi aiuta a sollevarmi un pò. A volte, quando la lontananza è lunga si ha la sensazione di non averlo mai visto girare per la casa".

Prima accennava alla reazione dei figli, in che rapporti sono con il padre? "Il loro papà comunque

rimane sempre un idolo e guai a chiamarlo delinquente; se ne risentono subito e lo difendono. Certo la mancanza si fa sentire, non passa giorno che non si parli di lui, di quello che faceva quando era in casa, tanti ricordi da condividere e questo mantiene vivo il rapporto. Quando torna a casa l’atmosfera cambia totalmente; c’è grande rilassamento, serenità, allegria non solo per la gioia di averlo di nuovo in casa ma anche per una maggiore sicurezza che ci deriva dalla sua presenza nel prendere decisioni. Per mio marito è sempre un pò un trauma il ritorno in famiglia perché in carcere si abitua a non gestire e a non decidere nulla, mentre in casa si devono affrontare le difficoltà dell’educazione dei figli e della gestione della casa a cui non è abituato. Arriva così a capire quale carico di responsabilità ho quando lui è

dentro. Quindi averlo a casa è un grande sollievo per tutti. Penso che una moglie non può sostituire il padre e la sofferenza che i figli provano per la sua lontananza ha su di loro delle ripercussioni psicologiche difficili da valutare. Per esempio uno dei figli ha avuto problemi con la scuola, non ci voleva più andare e così ha perso un anno".

Infatti si dice che i familiari fanno il carcere due volte… "Sicuramente la nostra è una vita piena di sacrifici per il lavoro con cui devi provvedere alla gestione della casa, per le maggiori responsabilità richieste a me nell’educare i figli e richieste anche ai figli che devono ben presto abituarsi ad essere più

autonomi e autosufficienti".

Che cosa ha mantenuto vivo il suo rapporto con lui? "L’amore che continuo a provare per lui perché è una persona splendida che si fa voler bene anche quando succedono le cose peggiori. L’arresto è sicuramente il momento più brutto, è come se il tempo si fermasse; il mondo ti crolla addosso ed esiste solo più il vuoto, il niente. Io non me la sono mai sentita di lasciarlo, di abbandonarlo proprio quando lui passava i momenti più delicati. La mia presenza è un sostegno fondamentale per lui. Ma non c’è da augurare a nessuno quello che ho vissuto, i vuoti non si colmano più".

Che cosa la fa andare avanti? "La speranza. Mi ha sempre dato la speranza che la carcerazione che stava vivendo fosse l’ultima. La speranza è l’unico mio sostegno".

 

Vita "fuori": suor Rachele racconta l’accoglienza dei parenti lontani

"I familiari scontano doppiamente il carcere"

La redazione

 

Quando i familiari escono dal S. Caterina, una stazione quasi obbligata della loro via crucis è il numero 36 di via Bava. Qui trovano ad accoglierli il sorriso aperto e cordiale di suor Rachele: "Vengono qui per sfogarsi un pò raccontando le loro pene perché uscire dal colloquio è penoso per loro come per chi

rimane dentro. Io cerco di consolarli, di incoraggiarli, di dare un pò di fiducia e di speranza. Mamme e mogli mi raccomandano figli e mariti, chiedono il mio aiuto per le tante e diverse necessità, anche materiali, che si possono presentare, ma soprattutto di stare vicino al loro caro, di dare una mano a fargli mettere la testa a posto. È doloroso vedere queste donne che soffrono e devono affrontare mille difficoltà, sono loro che scontano doppiamente il carcere perché soffrono la lontananza come il loro marito o figlio e in più devono fronteggiare i tanti problemi della vita quotidiana".

L’utenza del carcere di Fossano è formata da persone che vivono a Torino o in altre regioni d’Italia, anche del Sud. "Negli anni ho visto venire per i colloqui parenti lontani, mamme anziane che facevano viaggi lunghi, faticosi e costosi per le loro risorse perché dovevano anche pagarsi l’albergo per la notte. Noi - continua suor Rachele - avevamo una parte del nostro edificio da ristrutturare e, parlando anche con la Madre Generale siamo state d’accordo di destinarla proprio ai familiari lontani dei nostri detenuti. Abbiamo ricavato al piano terra una fornita cucina dove si possono cucinare i pasti e un salotto; al piano superiore alcune camere da letto con i servizi. I letti in ferro battuto sono stati fabbricati dai detenuti dei corsi professionali. Funziona dal 1999 e da allora hanno soggiornato gratuitamente, per il tempo strettamente necessario, famiglie in visita per colloquio o per stare un pò con il loro congiunto in permesso- premio per poche ore. Infatti una necessità che si è presentata nel tempo è stata anche quella di ospitare i detenuti che, all’inizio, vengono aperti solo con permessi

brevi. Ma questo uso è piuttosto un’eccezione perché la finalità della struttura è per i parenti lontani". Le suore domenicane e suor Rachele in particolare hanno dimostrato ancora una volta, con questa iniziativa, la sensibilità e la disponibilità verso i problemi dei detenuti e dei loro familiari.

 

 

"L’amore e il dolore sono nati insieme in un giorno di pioggia

mentre fra le nuvole spuntava il sole."

Romano Battaglia

All’estero

 

Si dice che l’erba del vicino è sempre la più verde... per un confronto che dia spunti di riflessione e concreti suggerimenti, alla luce delle esperienze maturate e dei risultati ottenuti, inizia con questo numero una serie di articoli sul sistema carcerario degli altri paesi, europei e non.

 

Il modello finlandese

 

Una lungimirante riforma penitenziaria ha trasformato la Finlandia nel paese con la più bassa percentuale di detenuti in Europa ed ha permesso la sperimentazione di un sistema unico al mondo di detenzione aperta.

 

a cura di Marco Z.

 

I prigionieri chiamati clienti o ancora allievi; gli agenti di sorveglianza con abiti civili e uniformi prive di emblemi; le carceri più simili a dormitori e la minore percentuale di carcerati di ogni altro Paese Europeo. Non siamo nella sublimazione materiale del "contratto sociale" di Rousseau o della "Repubblica" di Platone, ma in Finlandia, terra nordica, sommersa sotto una fitta coltre di neve e ghiaccio. Ai margini, solo territoriali, del Vecchio Continente, la Finlandia ne è l’espressione più moderna e civile, sensibile ai diritti dei cittadini in ogni loro forma. Ecco perché, proprio in questo paese, è stato sperimentato un sistema unico al mondo di detenzione aperta, basato su studi sociologici che hanno portato a un radicale ripensamento della politica penale. La liberalissima organizzazione sociale del paese si è così riflessa anche nel mondo delle carceri e nella gestione dei detenuti. Secondo queste teorie la restrizione della libertà personale è una punizione già abbastanza dura senza la necessità di aggiungere ulteriore costrizione e repressione.

L’obiettivo della pena diviene, quindi, esclusivamente il reinserimento dell’individuo nella società. Anche per questo molte delle prigioni finlandesi non hanno muri o sbarre, cancelli di ferro o fili spinati, celle sinistre o spazi angusti. Le guardie non portano armi e si rivolgono ai detenuti chiamandoli per nome. I direttori delle carceri non hanno titoli militari, ma vengono definiti "manager" o "governatori". Le licenze per recarsi a casa sono concesse con facilità, soprattutto per chi sta scontando gli ultimi anni di pena, mentre per gli altri vengono riservate delle stanze, all’interno degli istituti, dove la privacy è assicurata e si possono passare fino a quattro giorni di fila in compagnia del proprio partner o dei propri

figli.Questo sistema è figlio di una riforma lungimirante avviata circa 20 anni fa e che ha trasformato la Finlandia nel Paese con la più bassa percentuale di detenuti in Europa, 52 su 100.000 abitanti.

Parallelamente è diminuita anche la percentuale dei crimini commessi, così come le spese di gestione del sistema penitenziario da parte dello Stato che ha potuto risparmiare fino a 20 milioni di euro. Fiore all’occhiello della riforma è sicuramente la presenza, ormai più che decennale, delle carceri aperte: 19 prigioni in cui circa 700 detenuti scontano i loro ultimi anni di pena. Molti di loro sono prigionieri che provengono da carceri chiusi, condannati per reati gravi, ma che vivono l’ultima fase del loro reintegro sociale. Godono, infatti, di privilegi impensabili per la normale popolazione carceraria: possono uscire da soli o in gruppo; assistere a funzioni religiose come a spettacoli; una volta al mese possono recarsi in visita a casa o ricevere parenti in prigione, in appartamenti indipendenti. Lavorano, guadagnano e si pagano vitto e alloggio, ma se infrangono le regole vengono immediatamente rispediti nelle carceri più rigide. Gli unici confini con il mondo esterno sono delimitati da paletti di legno rossi e gialli e la libertà a pochi metri, lì dove lo sguardo arriva. La presenza di istituti aperti, in Finlandia, è propedeutica e determinante per il corretto funzionamento del sistema carcerario che si muove proprio in equilibrio tra il valore punitivo della pena e la sua accezione sociale e riabilitativa.

In questo modo, ai 19 istituti aperti, si aggiungono 16 prigioni chiuse e due ospedali. Le carceri aperte sono amministrativamente soggette a quelle chiuse. La popolazione carceraria totale raggiunge le 3.463 unità, di cui 2.268 sono le persone rinchiuse nelle prigioni più rigide. Un vero e proprio esperimento che ha già mostrato i primi e incoraggianti risultati: nel 2004 la popolazione carceraria non è aumentata, anche se le persone condannate sono state 135 in più rispetto all’anno precedente. In parte, anche la Finlandia ha risentito della diffusione di reati legati alla violenza e allo spaccio di stupefacenti

e, nonostante il livello della popolazione penitenziaria rimanga sostanzialmente sotto controllo, questo è comunque cresciuto dal 1999 del 30%. D’altro canto, le carceri sono diventate sempre più sicure e il numero di evasioni è sceso sostanzialmente, passando dalle 29 del 2003 alle 19 del 2004. Un capitolo particolare è quello riservato all’attività dei prigionieri nelle carceri, fondamentale per garantire il corretto funzionamento di un sistema che fonda la sua forza nella capacità di recupero dell’ individuo, non solo sociale, ma anche umana e personale. Nel 2004, 1.450 carcerati hanno partecipato alle attività lavorative degli istituti, in numero pari al 41% del totale della popolazione penitenziaria. Sono stati, invece, 1.665 i detenuti che hanno seguito i corsi organizzati in carcere per continuare il loro cammino formativo. Formazione e recupero sociale; sensibilizzazione e specializzazione formativa non possono prescindere dall’ appoggio prezioso di una forza lavoro che segue costantemente la crescita dei detenuti e assicura una gestione oculata e funzionale dell’ intero sistema. Il personale carcerario

Ë cosÏ costituito da 3.220 individui, di cui 2.007 (62,3%) uomini e 1.213 donne (37,7%). Parte di questi è formata da assistenti sociali, mentre sono 330 i supervisori privati provenienti dall’esterno e 2.700 gli agenti di custodia. La loro formazione è un elemento centrale per il corretto funzionamento di un sistema ambizioso e innovativo e quindi curata nei minimi particolari. Per sostenere l’esame propedeutico all’ingresso nel corpo delle guardie carcerarie è necessaria la partecipazione

a 53 settimane di corsi, 22 delle quali di training praticato proprio all’ interno degli istituti. Dal 2002 sono stati avviati nuovi programmi indirizzati alla conoscenza delle sanzioni criminali e del codice in generale, necessari per padroneggiare la materia del suo complesso e fondamentali per assicurare un approccio umano e, in alcuni casi psicologico, nel difficile rapporto con il detenuto. Educare le persone e riorganizzare le risorse; sensibilizzare la coscienza della società come quella dei detenuti sono tutte attività che hanno dimostrato un potenziale dirompente rispetto ai vecchi metodi di gestione del sistema

penitenziario, anche in senso economico e amministrativo. Nel 2004 la Finlandia ha speso 180,4

milioni di euro per il suo sistema penitenziario. Ogni detenuto costa allo Stato 44.600 euro all’anno,

122 al giorno. L’ Amministrazione statale, d’altro canto, ha guadagnato nel 2004, 17,2 milioni di euro, la maggior parte dei quali provenienti dai prodotti venduti grazie al lavoro dei detenuti. Il risultato è un sistema sano ed economicamente virtuoso, che ha saputo trovare nelle forme alternative di detenzione una via percorribile nella direzione del recupero sociale dell’individuo, conseguito con l’apporto attivo e partecipato della collettività.

tratto da "Le Due Città"

 

Ricordo

 

Molto sgomento ha destato tra di noi la notizia della morte di un nostro compagno, G. A., poco dopo essere uscito in libertà. Era un ragazzo che non passava inosservato, un po’ casinista ma anche una persona di cuore, collezionista di orologi e appassionato della lettura delle carte. Era rimasto solo e, uscito, era stato accolto in una comunità da cui però si era ben presto allontanato per tornare nel suo paese d’origine, andando incontro ad un tragico destino. Speriamo che almeno ora abbia trovato un po’ di pace.

 

Notizie flash

a cura di Maurizio F.

Il nuovo vescovo tra noi

 

Domenica 19 febbraio, qui al carcere del S. Caterina di Fossano abbiamo avuto il piacere di incontrare il Vescovo Giuseppe Cavallotto, che ha voluto celebrare la S. Messa nella nostra cappella.

Nonostante i suoi numerosi impegni come docente universitario a Roma ed i suoi impegni delle due diocesi di Fossano e Cuneo, ha fortemente voluto un incontro con noi, sapendo che nella nostra condizione, abbiamo ancor più bisogno del conforto e della forza della fede, della serenità e della luce della parola di Dio, e di calorosa amicizia. Alla conclusione della messa, c’è stato un piccolo rinfresco con pasticcini e bibite (gentilmente offerti dal nostro cappellano Padre Bruno e dal gruppo dei volontari), dove con uno scambio di opinioni e riflessioni, anche con battute divertenti, si è creato un momento di conoscenza reciproca e di dialogo. Vogliamo ringraziare di cuore il nostro Vescovo che ha

voluto incoraggiarci verso un volenteroso proseguimento nel nostro cammino di fede, con la promessa di una sua prossima venuta (impegni permettendo!), comunicandoci così la sua volontà e il suo desiderio di esserci sempre vicino.

 

Grazie amici di Bene Vagienna!

 

Domenica 26 febbraio, per la preparazione alla quaresima, i nostri amici e amiche di Bene Vagienna, hanno desiderato partecipare con noi alla mensa eucaristica domenicale. Dopo la divertente e positiva esperienza della rappresentazione teatrale natalizia "Canto di Natale", in cui loro con alcuni di noi, hanno recitato e cantato, ora hanno voluto iniziare un’altra esperienza, quella di un cammino di fede tutti insieme. Infatti prima della messa c’è stato un momento importante di preghiera (riflessioni sulle letture e salmo odierno), canti di adorazione al Santissimo, e momenti di condivisione di esperienze personali di fede. Questo ha permesso a tanti di noi un approccio nuovo alla preghiera, stimolando una riflessione interiore profonda per la preparazione di questo importante periodo religioso (la quaresima).

Ringraziamo questi ragazzi meravigliosi, che con la loro fede, la loro amicizia, la loro umanità, la loro semplicità, vogliono condividere con noi, non solo momenti allegri e divertenti, ma anche momenti di seria riflessione sul nostro essere persone umane, e sul essere cristiani in continuo cammino verso la fede, la pace, l’amore che solo Dio può donare al nostro cuore. Grazie e arrivederci amici di Bene Vagienna… al prossimo incontro!

 

Testimonianza di speranza

Un ragazzo del gruppo ha parlato della sua esperienza di vita

 

Sono un ragazzo "risorto" alla morte della droga. Ad un certo punto della mia vita mi sono ritrovato scontento di me, della mia famiglia, della società. Incapace di portare avanti gli studi, un lavoro, una relazione con una ragazza, arrabbiato con Dio e soprattutto con me stesso. Quando ho conosciuto la droga, per mia volontà, mi sono illuso che potesse essere la giusta cura ai miei problemi. Niente di più falso! Solo tanta solitudine e tantissima tristezza. Avrei continuato così fino alla morte ma l’amore della mia famiglia mi ha indirizzato verso una comunità speciale. Ho riscoperto, lentamente, l’onestà, il lavoro, l’amicizia, sempre accompagnato dalla mano di Dio che non ho voluto accogliere da subito ma che non ho potuto rifiutare quando ho ritrovato l’amore ed il perdono. Ora vivo nuovamente nel mondo con i cuore la forte speranza di una bellissima famiglia… cristiana.

Mauro

 

Solidarietà alla famiglia del piccolo Tommaso

 

Le persone detenute nel carcere di Fossano, vogliono esprimere la loro vicinanza al dolore della famiglia Onofri e ribadiscono un concetto chiaro e preciso. È vero, siamo persone che abbiamo sbagliato nei confronti della società, commettendo diversi reati, ma è vero che anche noi siamo stati bambini e quindi figli, tanti di noi sono padri, chi di figli adulti e chi di figli ancora in tenera età ed è soprattutto per questo che il nostro sdegno e la nostra rabbia sono enormi nei confronti di chi si è macchiato di questo orrendo, assurdo ed indescrivibile misfatto. Un essere umano in quanto tale può commettere degli errori e di conseguenza azioni non condivise dalla società (e qui intendiamo reati comuni), ma un atto così crudele ed agghiacciante come è stato commesso nei confronti del piccolo Tommy è un’azione talmente infamante che supera l’umana comprensione e secondo noi anche il perdono cristiano. Nella Messa di domenica 9 aprile abbiamo ricordato il piccolo Tommy con questo pensiero: "Carissimo Tommy, i tuoi occhioni azzurri e dolci, il tuo gioioso sorriso rimarranno sempre nei nostri cuori, perché questa tua immagine di pura innocenza e di immensa voglia di vivere sia per noi motivo di seria riflessione su valori importanti quali la vita e la famiglia. Ora sei un angioletto nelle tenere braccia di Dio Padre e con Lui non piangerai più, ma avrai sempre il tuo meraviglioso sorriso! Ciao Tommy, ti ricorderemo e ti porteremo sempre nel nostro cuore!"

 

Tutte le persone detenute nel carcere di Fossano

 

Lettere

 

Cari Amici del carcere S. Caterina, siamo un gruppo di ragazzini della terza media della parrocchia del Duomo. Quest’anno la nostra catechista ha deciso di invitare al catechismo suor Rachele per parlarci del carcere, di come si vive e dei crimini principali. A fine lezione ci sentivamo quasi sconvolti nel sapere che, anche se la prigione è un luogo dove il minimo indispensabile c’è, il fatto di essere soli al mondo, essere inoltre emarginati dai paretiche non vi considerano più in famiglia e poter chiamare a casa solo pochissime volte ci ha fatto capire che la solitudine è la pena maggiore. Vi abbiamo scritto perché sappiamo che tra di voi molti dopo la prigione vorranno diventare persone oneste e cambiare vita. Inoltre volevamo ricordarvi che non siete soli al mondo, ma c’è sempre una persona che vi aiuta, come suor Rachele, che ha fatto molto per voi. Concludendo, vi auguriamo di non arrendervi perché come sapete la vita non è finita ma continua!

 

Carlo e i ragazzi della parrocchia del duomo classe terza media.

 

La risposta dei detenuti ai piccoli amici della Parrocchia del Duomo.

 

Cari amici della terza media che fate parte della Parrocchia del Duomo, ci ha fatto molto piacere ricevere la vostra lettera, e siamo veramente molto contenti di poter avere, come amici, dei ragazzini che nonostante la giovane età sanno ascoltare e riflettere su qualcosa a loro sconosciuto. Il mondo del carcere, fino a pochi anni fa, era una condizione da tenere all’oscuro dalla società perché il carcere era considerato una struttura dove relegare solo "lo scarto della società", senza considerare che, pur sbagliando, i detenuti sono persone con sentimenti ed emozioni. Da quando nelle carceri hanno incominciato ad entrare le associazioni di volontariato molte condizioni di tante persone detenute sono cambiate. Prendiamo proprio suor Rachele (che noi abbiamo soprannominato "suor Sorriso"), con la sua grande fede, la sua grande gioia e il suo immenso affetto e amicizia nei nostri confronti, ha aiutato, confortato, incoraggiato, spronato, tantissimi di noi. Con alcuni ha fatto opera di mediazione con le loro famiglie che li avevano abbandonati, con altri li ha aiutati a trovare una sistemazione, essendo soli al mondo, con altri ancora aiutandoli a ritrovare sè stessi, stimolandoli nelle loro qualità nascoste. Il suo sorriso cosÏ aperto, cosÏ gioioso è sempre stato contagioso e terapeutico, perché se sei depresso o triste ed incontri suor Rachele, ti senti pervadere da una serenità positiva.

Voi, amici, avete capito un punto importante della situazione carceraria: il senso di solitudine profonda. Già è una sofferenza enorme essere lontani dalle nostre famiglie, poi se non c’è la possibilità di colloqui frequenti, o di telefonare a casa, allora si sente un gran vuoto dentro che spezza il cuore! Ma è vero quello che voi ci augurate…noi non ci arrenderemo perché la vita continua e soprattutto lottiamo per le persone che ci vogliono bene e che sono sempre nei nostri cuori e ci aspettano … i nostri famigliari, per chi ha ancora la fortuna di averli accanto. Vogliamo ringraziarvi, per le vostre parole e per l’amicizia che ci offrite e vogliamo solo dirvi ancora una cosa: prima di lasciarvi andare al pensiero di commettere qualcosa che poi pagherete duramente, pensate prima di tutto alle vostre famiglie, a voi stessi, alle parole di suor Rachele, a quello che vi abbiamo appena scritto, comincerete allora ad essere consapevoli che la vita vi può sorridere! Ciao a tutti voi!

 

Maurizio e tutti gli amici del carcere di Fossano

 

 

La Rondine, una voce dal carcere

Periodico dei detenuti della Casa di Reclusione di Fossano

Gennaio 2006 - Numero 19

Supplemento gratuito a "La Fedeltà" n.3 del 18/01/2006, anno 109

Autorizzazione Tribunale di Cuneo 17/7/1950

 

Direttore responsabile: Corrado Avagnina

Redazione: Franca R., Marco Z., Maurizio F., Renato S.

Hanno collaborato a questo numero: Cosimo T., Silvia M.

La redazione ringrazia: Luigina Ambrogio, Antonella Aragno, Livio Berardo, Carlo Barolo, Laura Bottero, Rosanna Cavallero, Davide Dutto, Valter Lamberti, Pasquale Maglione, Francesca Nicolosi, Tiziana Pelazza, Maria Saponaro, Edoardo Torchio, i ragazzi di Bene Vagienna

Videoimpaginazione: Cooperativa "Nuove idee"- c/o Editrice Esperienze - Via S.Michele, 81-Fossano

 

Invitiamo i lettori a farsi i fatti nostri. Scriveteci!

"La Rondine-una voce dal carcere" c/o Istituto Suore Domenicane - Via Bava, 36 -

 

La comunità del S. Caterina ringrazia la Fondazione della C.R.F., il Comune di Fossano, il settimanale diocesano "La Fedeltà"

 

 

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