La Rondine

 

La Rondine , una voce dal carcere

Periodico dei detenuti della Casa di Reclusione di Fossano

Aprile 2005 - Numero 17

 

"Chi è senza peccato scagli la prima pietra"

I benefici, questi sconosciuti

Dati sulla situazione carcerario nel 2004

Omaggio a Giovanni Paolo II

Caro Karol, non dimenticheremo le tue parole

Rendere il carcere un luogo di umanità

Cristo viene in aiuto della nostra debolezza

Ci mancherà l’amico Manfredi, un uomo giusto!

Anche a me il carcere è rimasto dentro

I pregiudizi creano le maggiori difficoltà al mio lavoro

Si ristruttura il carcere

Notizie flash

Cresime al Santa Caterina

Padre Ghi ha celebrato la Pasqua

I Tiromancino al carcere di Fossano

Speciale San Valentino

Se la mia vita ricominciasse

S. Valentino dietro le sbarre: amarezza e speranza

Parliamo d’amore

Pensieri di D. Bonhoeffer dal carcere

Chi sono io?

"Chi è senza peccato scagli la prima pietra", di padre Bruno, cappellano

 

Avendo saputo che in copertina ci sarebbe stata una frase del Vangelo che mi piace molto ho fatto la seguente riflessione. Questa frase, da parte di un detenuto, può essere pensata come rivolta a persone esterne che non hanno trasgredito le leggi della società civile o della morale religiosa e quindi possono ritenersi fidabili, a posto, dalla parte dei giusti.

Può risuonare come un richiamo, da parte di una persona detenuta, allo scopo di far riflettere che nessuno può ritenersi fino in fondo giusto, onesto, fidabile. In un lettore esterno, cioè non detenuto, sapendo che ci cita la frase in questione è un recluso, può sorgere una riflessione quasi in risposta ad una sfida ricevuta: "I trasgressori ufficiali delle regole sociali pensano che anch’io non sono a posto". Siccome la frase è presa dal Vangelo di San Giovanni, andiamo a cercare meglio il suo significato proprio nelle intenzioni di chi l’ha pronunciata per primo, cioè Gesù di Nazaret.

Al capitolo 8 è scritto che gli scribi e i farisei conducono a Gesù una donna sorpresa in adulterio e gli pongono questa domanda: "Maestro, nella legge, Mosè ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici?". Lapidare vuol dire uccidere a colpi di pietra. Gli scribi e i farisei sono persone rispettabili, conoscono bene le leggi di Israele, sono delle autorità morali. Se Gesù risponde di non uccidere la donna, rimane coerente al suo atteggiamento solito di misericordia, di delicatezza, di attenzione anche verso i peccatori; ma in quel modo dimostra di non seguire le antiche leggi della fede ebraica... non può andare contro la legge di Mosè! Se dice di lapidare la donna contraddice il suo abituale atteggiamento di recupero dei peccatori e delude tutta la gente che aveva visto in lui un maestro buono, paziente, che non ti boccia senza appello. È a questo punto che Gesù pronunzia questo giudizio: "Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei". Il racconto prosegue annotando che gli scribi e i farisei se ne vanno ad uno ad uno rinunciando a scagliare pietre.

Gesù rilancia ognuno alla propria coscienza e la coscienza è il luogo dove Dio ci parla prima e oltre le leggi civili o religiose. Gesù ci chiede di guardare dentro di noi e valutare i nostri pensieri e le nostre azioni prima di quelle altrui. Il Maestro ci chiede di assumerci tutti le nostre responsabilità.

Non possiamo usare le parole di Gesù contro qualcuno o come fossero rivolte solo ad altri. Possiamo lasciarle scendere nella nostra coscienza e questo vale sia per le persone detenute sia per coloro che trovano fuori dalle mura di un carcere. A tutti è indirizzata la frase conclusiva del racconto evangelico: "...neanche io ti condanno; và e d’ora in poi non peccare più".

 

I benefici questi sconosciuti, di Renato S.

 

Analisi dell’attuale situazione carceraria a Fossano e in Italia

 

Purtroppo negli ultimi tempi, le scarse applicazioni delle varie misure alternative o benefici carcerari rendono tali provvedimenti merce rara. A Fossano, questo fatto è probabilmente dovuto alla tipologia della popolazione detenuta che ha pene basse - massimo 3 anni - ma la maggioranza ha pochi mesi da espiare. L’equipe d’osservazione, come ha detto l’educatrice Antonella nell’intervista comparsa sul numero scorso del giornale, non fa in tempo a stilare una sintesi per desumere la personalità e l’opera di reinserimento del condannato.

L’ordinamento penitenziario permette di applicare la semplice comportamentale, un meccanismo che accerta la mancanza di rapporti disciplinari senza la necessità delle osservazioni prodotte da un’equipe composta da educatore, assistente sociale e psicologo, soltanto per la liberazione anticipata - uno sconto di 45 giorni per ogni semestre di pena. Se si volesse seriamente applicare la legge dei benefici a chi ne ha le caratteristiche, bisognerebbe estendere la suddetta modalità anche a chi ha pene brevi. Sarebbe più semplice e senza rischi di rottura del provvedimento per mancati rientri o revoche. Invece, procedendo con l’iter delle normali osservazioni anche per il detenuto che è in prossimità del fine pena, tutto finisce nella mancata applicazione della legge, dando la colpa ai tempi lunghi che non si sa mai chi li provoca.

Purtroppo neanche i benefici che la legge prevede se si hanno i requisiti vengono applicati in modo uniforme sul territorio italiano. In alcune regioni sono concessi con facilità, mentre in Piemonte tutto è complicato da mancati ravvedimenti, si vanno a riesumare condanne antiche per negare i benefici, spesso si citano presunti gravi reati. Ma se uno è in carcere, avrà pure fatto un reato, grave o lieve che sia; la legge non esclude i benefici per i gravi reati, ne allunga solo i tempi per poterne usufruire.

Inoltre ci sono le note dolenti dell’indultino. Infatti, come si prevedeva è stata una legge infelice per tanti motivi, non ultimo l’eccessiva discrezionalità concessa ai Magistrati di Sorveglianza. Tale scelta ha fatto sì che, appena uscita la legge, la Sorveglianza di Cuneo la applicasse con apprezzabile tempismo e senza cervellotiche motivazioni per negarla. Oggi, invece, con la citata discrezionalità hanno affilato le forbici tagliando ogni velleità di libertà. Infatti, ultimamente, l’indultino viene rifiutato a chi ha avuto la revoca di una misura alternativa, cosa assolutamente non menzionata nella legge. Lo stesso dicasi del rigetto motivato dal fatto che il soggetto richiedente non era definitivo al momento dell’emanazione della legge, cosa che la legge non prevede come preclusione. L’articolo in questione dice testualmente: "Il beneficio si applica a chi è definitivo oppure in corso di definizione del definitivo". Come mai i Magistrati di Sorveglianza di Cuneo hanno cambiato così radicalmente la loro impostazione, ispirandosi a sentenze della Corte di Cassazione che non sono vincolanti? Respingendone le richieste, obbligano il detenuto a fare ricorso e, allungando così i tempi, negano di fatto il godimento del beneficio perché, nel frattempo, la pena è finita.

Questo è, in sintesi, una parte di quello che non va nel carcere di Fossano, un posto che ospitando per lo più condannati a pene lievi si può equiparare alle abolite carceri mandamentali che erano sotto la competenza pretorile e che una legge miope ha spazzato via. In questi istituti di pena, per poter beneficiare di qualche misura alternativa non si dovevano attendere le varie osservazioni dell’equipe trattamentale come avviene ora. Il risultato è che Fossano è un posto dove un detenuto, per ottenere qualcosa, deve andare via. Sarebbe un’isola felice nel contrastato panorama carcerario attuale perché il clima sereno e tranquillo permette di scontare dignitosamente la pena; ma proprio queste caratteristiche positive, rese possibili in primo luogo dall’atteggiamento responsabili di chi vi è recluso, non dovrebbe indurre operatori e Magistrati ad una applicazione più permissiva dell’ordinamento carcerario, come suffragato anche dai dati statistici ministeriali che confermano la scarsissima percentuale di infrazioni fatte da detenuti durante i benefici e che ci pongono tra i più virtuosi d’Europa?

Bisogna anche notare il clima esistente ultimamente in tema di leggi a favore dei detenuti: è pessimo! In Parlamento è in discussione la legge che prevede per la recidiva l’aumento obbligatorio di almeno un terzo della pena base - si tenga presente che in carcere quasi tutti sono recidivi; inoltre vengono ridotti i già scarsi benefici carcerari per alcuni reati, e, dulcis in fundo, chi commette tre reati viene escluso a vita dai benefici stessi. In questo stiamo cercando di emulare gli Stati Uniti d’America dove, al terzo reato di qualsiasi indole è previsto l’ergastolo e dove le carceri contengono circa 2 milioni di detenuti in un paese che conta 300 milioni di abitanti - in proporzione è come se in Italia ci fossero circa 400 000 detenuti. Ecco il paese che il nostro ministro della Giustizia ha come modello; ciascuno tragga le proprie conclusioni!

Inoltre, per risolvere il problema del sovraffollamento delle carceri si progettano nuovi istituti, dimenticando che in Italia per costruire un carcere in media occorrono10 anni, sempre che tutto vada per il verso giusto.

La tendenza ad accentuare la concezione puramente affittiva e punitiva della reclusione, in contrasto con la Costituzione e con l’Ordinamento Penitenziario è ulteriormente verificabile con la discussione alla Camera della legge Meduri che trasforma le funzioni del servizio sociale solo in compiti amministrativi e di controllo snaturando la loro competenza nel sostenere percorsi di reinserimento sociale del recluso.

Quindi, per tutte queste ragioni e per moltissime altre ancora, corrono brutti tempi per la popolazione carceraria in generale. C’è, a tale proposito, un antico proverbio siciliano che dice: "Calati giunco che passa la piena". La nostra speranza sta in un cambiamento della politica carceraria ed in questi giorni, in seguito alla morte del Papa ed alle proteste di Pannella si è tornato a parlare di amnistia ed indulto. A tal proposito, un disegno di legge è stato presentato al Senato in data 5 aprile 2005 ma il timore è che si dicano fiumi di parole senza che si pervenga ad un fatto concreto, come già tante volte successo in passato, chiunque ci sia ad abitare il Palazzo.

 

Dati sulla situazione carceraria nel 2004

 

È gia finito l’effetto "indultino". Se nel 2003 c’era stato un calo delle presenze in carcere proprio in conseguenza del provvedimento, nell’anno appena trascorso il numero dei reclusi è tornato ad aumentare progressivamente sino a superare nuovamente quota 56 mila: nel dicembre scorso ha raggiunto la cifra di 56.406, a fronte di una capienza regolamentare di 43.523 posti. Il che significa che dietro le sbarre ci sono 15 mila detenuti in più rispetto a quello che consentirebbero le strutture penitenziarie. Ma non è finita: nello scorso anno per effetto di lavori di ristrutturazione e per carenza di personale negli istituti penitenziari c’è stata un’ulteriore riduzione di 3.301 posti letto. Tradotto in cifre, significa che complessivamente sono 18 mila i detenuti oltre la capienza. Il quadro emerge dalla relazione sull’amministrazione della giustizia del Ministero di Giustizia preparata per l’inaugurazione dell’anno giudiziario 2005 e pubblicata sul sito Internet. In particolare sono stati 5.900 a lasciare il carcere per effetto dell’indultino, mentre 881 i detenuti stranieri espulsi per effetto della legge Bossi-Fini.

Il 61% della popolazione carceraria è rappresentato da condannati con sentenza definitiva, mentre il 37% è imputato e il 2% internato. La maggior parte di loro deve rispondere di reati contro il patrimonio (circa il 30% del totale), di violazione della legge sulle armi (18%) e sulla droga (16%), di reati contro la persone (14%).

Nel 65% dei casi i detenuti presenti hanno un’età compresa tra i 18 e i 39 anni. Il 43% è analfabeta, o privo di titolo di studio o solo in possesso di licenza elementare. E nell’89% dei casi il grado di istruzione non supera la scuola media inferiore.

Il lavoro per i detenuti resta un’eccezione: i fortunati sono 14.227 (il 25% del totale), dei quali ben l’80% presta la propria attività alle dipendenze dell’Amministrazione; si tratta per lo più di lavori domestici e di manutenzione ordinaria dei fabbricati.

Gli stranieri rappresentano il 31% e di loro ben il 20% proviene da Paesi del nord Africa (Marocco, Tunisia, Algeria) e da paesi della penisola balcanica (Albania. Romania e ex Jugoslavia). Per 1.439 di nazionalità albanese, giudicati in via definitiva, è probabile il trasferimento in Albania per effetto di un accordo siglato con l’Italia e che è appena entrato in vigore.

 

Omaggio a Giovanni Paolo II, a cura della redazione

 

L’enorme commozione che ha destato in tutti la morte di papa Wojtyla ha coinvolto in modo speciale anche la popolazione dei detenuti delle carceri italiane che ben ricordano la sua appassionata ed insistente richiesta al mondo politico di emanare provvedimenti di clemenza in occasione del grande Giubileo cristiano del 2000, ancora ripetuta in occasione della visita al Parlamento italiano nel 2003.

Anche noi del Santa Caterina abbiamo voluto comunicare la nostra partecipazione inviando un telegramma al cardinale Ruini e scrivendo una lettera pubblicata dai settimanali cittadini che riportiamo qui di seguito. Proponiamo inoltre alcune riflessioni che riteniamo importanti, rivolte da questo grande papa agli operatori carcerari e a noi detenuti.

 

Caro Karol, non dimenticheremo le tue parole

 

Karol, ti chiamiamo così perché tu eri uno di noi; ancora ricordiamo la tua espressione di sofferenza, ancora la portiamo viva nelle nostre menti e nessuno la vuole dimenticare, perché quella sofferenza era la nostra sofferenza.

Ci siamo uniti a te come tu hai fatto con noi; nessuno ci ha finora ascoltato come nessuno ha voluto ascoltare te, il Papa dei più deboli, il Papa delle persone semplici quando invocavi per noi un gesto di clemenza. Nel giorno dei tuoi funerali anche noi ci uniamo alla preghiera, quella che ti accompagna alla casa del nostro Padre. Purtroppo non possiamo essere presenti, però anche da queste mura le nostre parole e le nostre preghiere possono arrivare a te. In tanti oggi pomeriggio abbiamo partecipato alla messa, celebrata da padre Bruno e insieme agli agenti, agli operatori e ai volontari abbiamo espresso il nostro affetto e la nostra gratitudine per tutto quello che nei tuoi anni di pontificato hai saputo trasmetterci e testimoniarci: grande serenità, umiltà, coraggio, forza nell’accettare e affrontare la vita sempre, anche quando la sofferenza è più dura. Hai sempre voluto incontrare e amare l’uomo restituendogli la sua dignità di persona al di sopra dei suoi errori e delle sue povertà, senza distinzioni di razza e religione.

Karol, noi da queste mura del carcere di Fossano ti chiediamo di aprire il cuore degli uomini, i nostri cuori ad accogliere i valori che tu hai insegnato, in nome di Gesù, durante la tua missione. Non dimenticheremo le tue parole quando indicavi che il vero valore della vita è il rispetto della dignità della persona, qualunque sia la sua condizione. Non dimenticheremo le tue parole "Vi stringo a me in un abbraccio come fratelli e sorelle": ti sei proclamato nostro fratello e questo è quello che conta di più per noi. Ora ti salutiamo ma non con un addio perché sarai sempre vivo nei nostri cuori; ti vogliamo bene come tu ci hai voluto bene, ciao Karol

 

I tuoi fratelli detenuti del carcere S. Caterina di Fossano

 

"Rendere il carcere un luogo di umanità"

 

Dal discorso del Papa ai partecipanti alla conferenza internazionale delle amministrazioni penitenziarie d’Europa, tenuto a Roma il 26 novembre 2004

...Misure semplicemente repressive o punitive, alle quali normalmente oggi si fa ricorso, risultano inadeguate al raggiungimento di obiettivi di autentico recupero dei detenuti. È necessario, pertanto, ripensare, come voi state facendo, la situazione carceraria nei suoi stessi fondamenti e nelle sue finalità. Se scopo delle strutture carcerarie non è solo la custodia, ma anche il recupero dei detenuti, occorre abolire quei trattamenti fisici e morali che risultano lesivi della dignità umana ed impegnarsi a meglio qualificare professionalmente il ruolo di chi opera all’interno degli istituti di pena... In questa luce, va incoraggiata la ricerca di pene alternative al carcere, sostenendo le iniziative di autentica risocializzazione dei detenuti con programmi di formazione umana, professionale, spirituale... la doverosa applicazione della giustizia per difendere i cittadini e l’ordine pubblico non contrasta con la debita attenzione ai diritti dei carcerati e al recupero delle loro persone; al contrario, si tratta di due aspetti che si integrano. Prevenzione e repressione, detenzione e risocializzazione sono interventi tra loro complementari. Iddio sostenga i vostri sforzi per rendere il carcere un luogo di umanità, di redenzione e di speranza.

 

"Cristo viene in aiuto della nostra debolezza"

 

Brani tratti dall’omelia del Papa in occasione del Giubileo nelle carceri celebrato domenica 9 luglio 2000 presso il carcere Regina Coeli di Roma.

Nel testo di Isaia un’altra serie di immagini apre la prospettiva della vita, della gioia, della libertà: il Messia futuro verrà ad aprire gli occhi ai ciechi, a far uscire dal carcere i prigionieri (Is 42,7).

Immagino che soprattutto quest’ultima parola del profeta, cari Fratelli e Sorelle, trovi nei vostri cuori un’eco immediata, carica di speranza. Ognuno di voi, infatti, vive guardando al giorno in cui, espiata la pena, potrà riacquistare la libertà. E quale prospettiva è più gioiosa, quale traguardo più desiderabile? Consapevole di ciò, nel messaggio che ho inviato al mondo intero per questa giornata giubilare, sulle orme dei miei Predecessori, ho invocato per voi un segno di clemenza, attraverso una "riduzione della pena". L’ho chiesto nella profonda convinzione che una tale scelta costituisca un segno di sensibilità verso la vostra condizione, capace di incoraggiare l’impegno del pentimento e di sollecitare il personale ravvedimento.

È doveroso, infatti, accogliere il messaggio della Parola di Dio nel suo significato integrale. Il "carcere" da cui il Signore viene a liberarci è, in primo luogo, quello in cui si trova incatenato lo spirito. Prigione dello spirito è il peccato. Come non ricordare, in proposito, quella profonda parola

di Gesù: "In verità, in verità vi dico: chiunque commette il peccato è schiavo del peccato" (Gv8,32)? È questa la schiavitù da cui Egli è venuto in primo luogo a liberarci.

Le parole di liberazione del profeta Isaia vanno dunque comprese alla luce dell’intera storia della salvezza, che ha il suo culmine in Cristo, il Redentore che ha preso su di sé il peccato del mondo (Gv1,29). Dio ha a cuore la liberazione integrale dell’uomo. Una liberazione che non riguarda soltanto le condizioni fisiche ed esteriori, ma è innanzitutto liberazione del cuore.

La speranza di questa liberazione attraversa l’intera creazione. Il nostro peccato ha turbato il disegno di Dio, e non solo la vita umana, ma il creato stesso ne risente. Questa dimensione cosmica degli effetti del peccato si tocca quasi con mano nei disastri ecologici. Non meno preoccupanti sono i danni provocati dal peccato nella psiche umana, nella biologia stessa dell’uomo. Il peccato è devastante. Esso toglie pace al cuore e produce sofferenze a catena nei rapporti umani. Immagino quante volte, riandando alle vostre storie personali o ascoltando quelle dei vostri compagni di cella, vi capita di constatare questa verità.

È da questa schiavitù che lo Spirito di Dio viene a liberarci. Egli, che è il Dono per eccellenza ottenutoci da Cristo, "viene in aiuto della nostra debolezza... intercedendo con insistenza per noi con gemiti inesprimibili" (Rm 8,26). Se seguiamo le sue ispirazioni, egli produce la nostra salvezza integrale, "l’adozione a figli, la redenzione del nostro corpo" (Rm 8,23).

Occorre dunque che sia Lui, lo Spirito di Gesù Cristo, ad operare nei vostri cuori, cari Fratelli e Sorelle detenuti. Occorre che lo Spirito Santo pervada questo carcere in cui ci incontriamo e tutte le prigioni del mondo. Cristo, il Figlio di Dio, si fece detenuto, lasciò che gli legassero le mani e poi

le inchiodassero alla croce proprio perché il suo Spirito potesse raggiungere il cuore di ogni uomo. Anche dove gli uomini sono chiusi con i catenacci delle carceri, secondo la logica di una pur necessaria giustizia umana, bisogna che soffi lo Spirito di Cristo Redentore del mondo. Lasciate, dunque, che io vi chieda di tendere con tutte le vostre forze ad una vita nuova, nell’incontro con Cristo. Di questo vostro cammino non potrà che gioire l’intera società. Auguro a ciascuno di voi di fare esperienza dell’amore liberante di Dio. Scenda tra voi e tra i detenuti di tutto il mondo lo Spirito di Gesù Cristo, che fa nuove tutte le cose e infonda nei vostri cuori fiducia e speranza. Vi accompagni lo sguardo di Maria "Regina Coeli", la Regina del Cielo, alla cui tenerezza materna affido voi e le vostre famiglie.

 

"Ci mancherà l’amico Manfredi, un uomo giusto!"

 

Il ricordo del sindaco dal carcere Santa Caterina

 

È giunta anche qui la notizia che lunedì 28 febbraio è morto l’ex sindaco di Fossano, il prof. Beppe Manfredi. A noi detenuti, quest’uomo ci ricorda una persona che non mancava mai di partecipare alle nostre manifestazioni: potevano essere una partita di calcio, una recita in teatro, dei giochi, oppure momenti più profondi e particolari quali le funzioni religiose di Natale e Pasqua o matrimoni civili di detenuti o ancora articoli per il nostro giornale. In queste occasioni abbiamo avuto la fortuna di conoscere il grande cuore di una persona eccezionale. Il suo avvicinamento al mondo carcerario non era un fatto dell’ultimo momento ma frequentava l’istituto dagli anni 50, come dimostra una lettera che pubblichiamo. Nonostante l’onere di amministrare una città come Fossano, lui trovava sempre del tempo da dedicarci e ci salutava con parole dove era evidente che il suo era un vero attaccamento al mondo ed ai problemi del Santa Caterina. I suoi discorsi molto appassionati non erano vuota oratoria come è di tanti politici, ma si tramutavano in progetti per inserire dei detenuti nel mondo del lavoro (vedi in proposito la concessione della pulizia delle aree verdi di Fossano), oppure in un tacito invio di denaro a persone che ne facevano richiesta, ed erano tante. Questo probabilmente è un fatto poco conosciuto della personalità di Manfredi, ma siamo stati testimoni anche di questo. A noi del Santa Caterina mancherà molto questo politico che ha lasciato un vuoto in tutto il Piemonte, come abbiamo constatato dai media; mancherà la persona che ci veniva a trovare in tante occasioni e poi si fermava ad ascoltare i problemi di alcuni di noi e quando gli era possibile li risolveva. Ci mancherà l’amico Manfredi, un uomo giusto!

I detenuti del Santa Caterina

 

"Anche a me il carcere è rimasto dentro"

 

Pubblichiamo una lettera che nel 2000 il sindaco Manfredi inviò al comandante Maglione a testimonianza della sua vicinanza alla nostra realtà.

Tu vuoi, o comandante Maglione che io ti parli del carcere. Sei tu che mi parli del carcere, e ne parli con passione, come colui che al carcere ha dedicato la sua vita. Io passo per il carcere tutte le volte che mi chiamano e si tratta molte volte di celebrazioni o di feste; ma non per questo anche a me il carcere è rimasto dentro. Quando si amministra una città di 24.000 abitanti, nel cui cuore si possiede un carcere, un sindaco non può non pensare spesso agli uomini che, comunque sia, conducono una vita a volte disperata e difficile: un sindaco democratico è sempre presente ovunque, nell’ora della festa e nell’ora della meditazione quando, raccolto nei suoi pensieri pensa anche a Santa Catlina come un luogo della città, come una realtà incarnata, come una croce puntata sulla vita comune e quotidiana di tutti gli altri.

Certo, molte volte, gli altri se ne fregano del carcere, lo allontanano come un cattivo pensiero, lo rimuovono come un luogo necessario non alla giustizia, ma alla vendetta degli uomini.

Un sindaco, come un comandante di Polizia Penitenziaria, pensa al carcere come ad un luogo dove i peccati possono espiarsi e dove gli uomini possono ridiventare buoni, qualunque azione cattiva abbiano compiuto. Chi mi ha fatto capire tante cose sul carcere e mi ha invitato a frequentarlo e ad amarlo è stato don Felice, prete generoso, prete sensibile, un prete uomo come ognuno di noi: quante volte a Natale o a Pasqua don Felice mi ha aperto il carcere della città dei reclusi perché io potessi parlare di quell’altro carcere, quello degli uomini liberi. Quante volte siamo incarcerati dentro le nostre ambizioni, dalle nostre debolezze, dalle nostre viltà, dalla nostra mancanza di carità, da un eccessivo amore per la vita. Certe volte bisogna entrare in carcere per ritrovare la libertà; è la lezione che ho imparato nei lunghi anni della mia lunga attività sindacale, quando un direttore come Di Luise apriva negli anni 50 la porta del carcere perché i fossanesi potessero seguire attraverso le opere teatrali di Leonardo Balestra quale era l’angoscia di chi si sente innocente, e forse lo è in una turba forse rassegnata di colpevoli, che in quel luogo ricercano soprattutto umanità, comprensione, solidarietà.

Per continuare a sentirsi uomini. E in quei lontani anni 50 il libero poeta "alpino" Piero Callisto rispondeva per le rime al poeta carcerato e tutta la città partecipava a questa "tenzone" poetica che il maestro Brizio pubblicava sul Popolo Fossanese.

Questo solo per dire che questa città, in tante sue componenti crede nel carcere come strumento di riabilitazione e sa che il carcere diventa poesia, com’è accaduto nelle liriche del comandante Piccirillo che lo ha preceduto e nel carcere operano tanti volontari, a cominciare dalle nostre suore Domenicane che hanno fatto del carcere una scelta di vita cristiana: lo sa soprattutto Suor Benilde che, allontanata da Fossano, tutti i giorni manda da Norcia i suoi pensieri ai reclusi di Santa Catlina, che cambiano spesso, ma che sono sempre gli stessi. Comandante, quello che mi ha dato non è stato un compito, ma un esame di coscienza e un esercizio di memoria, ma si guarda sempre al futuro. Ed il futuro ci dice che non ci faranno un carcere nuovo, ma che con venti miliardi ristruttureranno l’attuale. È giusto forse che sia così perché un carcere, nel cuore di una città, ricorda a tutti le dimensioni della vita.

Beppe Manfredi

 

"I pregiudizi creano le maggiori difficoltà al mio lavoro"

 

Intervista all’assistente sociale del C.S.S.A. di Cuneo, Laura Bottero, di Adalberto C. e Marco Z.

 

Continua la presentazione delle figure professionali che lavorano in questo istituto. Nelle pubblicazioni precedenti abbiamo trattato il settore della sicurezza con la Polizia Penitenziaria e quello dell’area pedagogica con l’Ufficio educatori.

Per questo numero abbiamo incontrato Laura Bottero, assistente sociale del C.S.S.A (Centro Servizi Sociali per Adulti) di Cuneo, da cui dipende la Casa di Reclusione di Fossano che gentilmente ha accettato di rispondere ad alcune nostre domande.

 

Com’è strutturato il suo orario di lavoro?

Normalmente è di 36 ore lavorative settimanali; solitamente dedico una giornata per i colloqui con i detenuti ed il resto del tempo al lavoro di ufficio.

 

In cosa consiste il lavoro d’ufficio?

Per lavoro d’ufficio intendo la stesura di una relazione, la cosiddetta sintesi, sul comportamento di un detenuto. È un documento redatto da un’equipe d’osservazione comprendente, oltre che l’assistente sociale, anche un educatore, uno psicologo, il comandante della Polizia Penitenziaria, sotto la supervisione del direttore dell’istituto e che serve al Magistrato di Sorveglianza per decidere su richieste di permesso e di altri benefici.

 

La vostra funzione è quindi simile a quella dell’educatore o avete un ruolo specifico diverso?

Le due mansioni sono nettamente diverse anche se svolte in stretta collaborazione. Il nostro lavoro si svolge su due fronti: uno riguardante l’individuo e l’altro il territorio. Nel primo si tratta di fornire dati, su richiesta del magistrato di sorveglianza o della direzione dell’istituto penitenziario, sull’ambiente socio-familiare del ristretto, al fine di elaborare o un programma di trattamento intramurario o di fruizione di benefici di legge, in particolare l’affidamento in prova ai servizi sociali; inoltre di sostenere e controllare le persone ammesse alle misure alternative alla detenzione, verificando il rispetto delle prescrizioni stabilite dal Tribunale di Sorveglianza. Sull’altro fronte si tratta di attivare i contatti con la famiglia, le strutture del territorio quali comuni, A.S.L., in particolare il Servizio di Tossicodipendenza, aziende e così via per verificare le possibilità di reinserimento nella vita sociale e lavorativa del detenuto. Quindi il nostro lavoro si svolge per lo più fuori del carcere.

 

Di fatto, i contatti con il magistrato di sorveglianza sono frequenti o no?

Se si tratta di una persona ristretta, il rapporto si basa solo sulle carte mentre se si segue una persona in misura alternativa allora ci possono essere più colloqui con la sorveglianza.

 

Quali soddisfazioni e quali difficoltà ha incontrato nella sua esperienza lavorativa?

Ovviamente sono soddisfatta quando il mio lavoro va a buon fine e cioè quando i detenuti che ho seguito si sono reinseriti nella società sia a livello lavorativo che affettivo. Questo mi rende orgogliosa perché penso che questo loro traguardo così importante è stato reso possibile anche grazie al mio appoggio e aiuto. Ma non sempre è così! Nel caso di un assistente sociale le maggiori difficoltà sono quando si deve trovare un lavoro o una casa al detenuto perché i pregiudizi sono ancora tanti.

 

Come è arrivata ad essere assistente sociale ministeriale del carcere di Fossano?

Il venire a lavorare qui è stata una casualità. Mentre svolgevo la mia attività per l’A.S.L. vinsi il concorso per passare al CSSA operando prima nel carcere di Alba e poi, dal 1994, in quello di Fossano. Ora, dopo dieci anni di questo lavoro mi sento soddisfatta sebbene ci sia stata la possibilità di cambiare attività.

 

Che cosa cambierebbe delle carceri italiane se ne avesse la possibilità?

Sulla carta non cambierei nulla perché le leggi sono buone, ma concretamente il discorso è molto diverso e purtroppo un assistente sociale non può nulla per modificare il sistema burocratico.

Ringraziamo Laura Bottero per aver cortesemente risposto alle nostre domande e le auguriamo buon lavoro tra e per noi.

 

Si ristruttura il carcere: il direttore spiega le fasi dei lavori, a cura della redazione

 

Iniziano i lavori! Dopo mesi di attesa durante i quali voci di corridoio sembravano indicare come imminente tale notizia, finalmente abbiamo visto innalzarsi la gru che testimonia l’allestimento del cantiere. Negli anni scorsi furono ipotizzate varie possibilità per il Santa Caterina, un carcere situato nel centro storico della città e ospitato in un edificio che nella parte adibita a reclusione risale al 1800. Dapprima, nonostante i molti lavori di ristrutturazione, l’ultimo dei quali avvenuto nel 1996, l’allora Provveditore del Dap di Torino ipotizzò la chiusura dell’istituto per ragioni di sicurezza, poi, grazie alle pressioni dei politici locali, in particolare del sindaco Manfredi, venne considerata l’idea della costruzione di un nuovo carcere alla periferia della città ma alla fine i costi eccessivi dell’opera fecero prevalere l’orientamento verso una nuova ristrutturazione. Per adeguare le sezioni alle norme di legge e rimodernare tutti i settori dell’ex-convento, il ministero di Giustizia approvò lo stanziamento di circa venti miliardi delle vecchie lire.

Abbiamo incontrato il direttore, dott. Torchio per avere dei chiarimenti sull’opera che sta per iniziare. "L’appalto è stato vinto dall’impresa Rosso di Torino; il contratto prevede la durata dei lavori per 910 giorni consecutivi, festivi compresi, quindi due anni e mezzo circa ed un costo di otto milioni e mezzo di euro. Il cantiere, ci spiega il dott. Torchio, si svilupperà in tre fasi successive. La prima riguarderà la caserma con il cortile di rappresentanza che corrisponde all’ex convento, il nucleo più antico dell’edificio. In questa ala alloggiavano, ultimamente, una decina di agenti che hanno dovuto trovare una sistemazione abitativa all’esterno, a proprie spese. La legge infatti lascia facoltà, non l’obbligo, alla direzione di predisporre alloggi demaniali per il personale in servizio. Anche il corso di falegnameria, ubicato in questo settore, è stato sospeso.

La seconda fase interesserà - prosegue il direttore - gli uffici amministrativi e degli operatori, il secondo cortile e l’infermeria. In particolare, sopra l’attuale salone per i colloqui detenuti-familiari verranno costruiti nuovi locali ad uso ufficio. Infine i lavori proseguiranno nell’ala riservata ai detenuti e riguarderanno ogni singola cella che verrà dotata di bagni con doccia". Questo significa che la capienza complessiva risulterà diminuita? "No, risponde il direttore, rimane uguale all’attuale perché la cubatura della cella non cambia potendo continuare ad ospitare gli attuali 4-5 letti. C’è da aggiungere che in questa terza fase saranno ristrutturati anche gli attuali locali seminterrati destinati al corso di saldo-carpenteria. Ma il lavoro più grande e generale che interessa tutti i settori della struttura - continua il dott. Torchio - è il rifacimento di tutti gli impianti, dalla ventilazione a quello elettrico, dall’antincendio al riscaldamento per adeguarli alle norme di legge. Inoltre verranno rifatti gli intonaci dentro e fuori". Quali conseguenze si avranno per la popolazione detenuta? " Per ora nessuna. Quando il cantiere si sposterà nelle sezioni, i detenuti verranno in parte trasferiti anche se le modalità d’esecuzione dei lavori non è ancora chiara. Non sappiamo se i lavori interesseranno un piano alla volta o tutti e tre i piani in verticale. In quest’ultimo caso la presenza dei detenuti sarebbe incompatibile". Saranno coinvolti anche alcuni detenuti in questi lavori? "Non possono essere utilizzati perché il ministero non ha i soldi per pagarli, risponde il direttore, come non ha i soldi per pagare luce, gas, riscaldamento con un arretrato spaventoso". Su queste note dolenti concludiamo il nostro incontro con il dott. Torchio che ringraziamo per la disponibilità. Certo c’è da domandarsi se la scelta della ristrutturazione rappresenti realmente un risparmio, considerata l’entità dei lavori necessari.

 

Notizie flash dal Santa Caterina, a cura di Marco Z.

 

Cresime al Santa Caterina

 

Anche quest’anno, domenica 2 gennaio, il vescovo della diocesi di Fossano, accompagnato dal comandante Maglione, è venuto a farci visita, a portare i suoi auguri per il nuovo anno e a confermare il suo affettuoso e costante ricordo per noi nella preghiera. La messa che mons. Pescarolo ha concelebrato con il nostro cappellano, padre Bruno è stata davvero speciale sia per la presenza dell’illustre ospite sia perché durante il rito è stato somministrato il sacramento della Cresima a due detenuti, Giuseppe P. e Robertino M.. Inutile sottolineare la particolare emozione dei due cresimati per la presenza di alcuni loro familiari, con i quali si sono potuti intrattenere per un pò di tempo nella sala colloqui, al termine della messa. Anche il Vescovo ha partecipato volentieri ai festeggiamenti, gustando pasticcini e torte offerti dai cresimati in un clima di familiarità che ha unito tutti i presenti.

Il Vescovo è tornato a trovarci domenica 17 aprile per conferire la Cresima a Pietro. Durante la messa, semplice ma partecipata, mons. Pescarolo ha ringraziato il cappellano e i volontari perché, con la loro presenza all’interno del carcere portano la luce e la speranza della fede nel Cristo Risorto ed ha invocato sul cresimato e su tutta la comunità del Santa Caterina i doni dello Spirito Santo come sostegno al loro cammino di vita e di vita cristiana. Un lungo applauso al termine della funzione ha manifestato la gioia di tutti per Pietro, l’affetto e il ringraziamento per il Vescovo.

 

Padre Ghi ha celebrato la Pasqua

 

Ancora una volta la cappella del S. Caterina, riempita di molti detenuti, ha accolto padre Ghi, il gesuita carismatico di Cuneo che ormai da parecchi anni, viene a celebrare e a festeggiare nel carcere di Fossano le grandi solennità cristiane di Natale e Pasqua. La sua figura minuta e dal passo lento sembra vivificarsi e attingere nuova energia quando proclama la parola di Dio. La commenta con voce chiara e vigorosa come per trasmettere anche ai fedeli la forza, la gioia e l’entusiasmo che deriva dal proclamare la risurrezione di Cristo, vincitore della morte, delle paure, delle catene, del peccato. Come sempre il momento più toccante della celebrazione è stata l’adorazione del Santissimo che passa benedicente tra i partecipanti, raccolti in un assoluto silenzio intriso di personale e sofferta preghiera. Erano presenti il sindaco di Fossano Balocco, che nel suo saluto al termine della solenne funzione ha ricordato Manfredi sempre presente a questi appuntamenti religiosi, l’ex-presidente della Provincia Quaglia, i consiglieri provinciali Mantini e Lauria. Le autorità sono state salutate dal comandante Maglione.

 

I Tiromancino al carcere di Fossano

 

Con grande sorpresa di tutti i detenuti, mercoledì 2 febbraio sono venuti a trovarci qui i Tiromancino. A rappresentare il gruppo è stato Federico Zampaglione che, per circa un’ora ha eseguito con una chitarra acustica alcuni pezzi tratti dal suo ultimo album "Illusioni parallele". Trascinati dall’entusiasmo e dalla gioia di avere un tale ospite in mezzo a noi, molti cercavano di accompagnarlo nei ritmi e di cantare i suoi testi.

I Tiromancino hanno prodotto, negli anni 90, quattro dischi: Tiromancino nel 1992, Insisto nel 94, Alone alieno nel 95, Rosa spinto nel 97, fino ad arrivare all’ultimo Illusioni Parallele.

Il gruppo musicale ha nel proprio palmares molti premi importanti, un secondo posto al Festival della canzone italiana nel 2000, nomination come miglior gruppo al P.I.M per poi arrivare ad un riconoscimento più recente MTV european awards 2003: nomination "best italian act".

Nel tempo passato con noi Federico si è esibito in: Amore impossibile, La terra vista dalla luna, Imparare dal vento per terminare con una cover di Lucio Dalla dal titolo Felicità, canzone per altro inserita nel loro ultimo CD. Ad assistere all’evento musicale erano presenti il sindaco di Fossano Balocco, il direttore del carcere Torchio, il comandante del Corpo di Polizia Penitenziaria Maglione, le educatrici oltre che a molti altri operatori e agenti in forza al carcere di Fossano.

I detenuti sono stati molto soddisfatti del concerto, anche perché il vocalist dei Tiromancino prima di lasciarci ha promesso che se fosse passato ancora per Fossano, sarebbe di nuovo venuto a trovarci. Grazie a Federico Zampaglioni, ti aspettiamo e grazie anche all’amministrazione comunale che promuove queste occasioni di incontro e di svago.

 

Speciale San Valentino

 

In occasione della festa degli innamorati diamo parola alle persone a cui l’amore viene negato per eccellenza ma per le quali, comunque, S. Valentino ha ancora sempre un significato.

 

Se la mia vita ricominciasse

 

Se la mia vita ricominciasse,

la cambierei.

Ti verrei a cercare da bambino e crescerei insieme a te.

Non commetterei gli stessi errori,

non sarei di altre donne,

scoprirei con te tutte le gioie.

I miei occhi cercherebbero solo te

ed io avrei quello che bramo.

Se la mia vita ricominciasse,

tuo figlio sarebbe nostro figlio,

con il tuo viso e la tua dolcezza.

Ogni notte ti starei accanto, il giorno lo colmerei di te.

Respirerei il tuo profumo, t’inebrierei d’amore.

Mi nutrirei del tuo corpo, aspetterei la vecchiaia

Intrecciando le dita delle mani insieme alle tue.

Se la mia vita ricominciasse

sarebbe la tua vita.

Fai ciò che vuoi

di quella che mi rimane.

Marco Z.

 

San Valentino dietro le sbarre: amarezza e speranza, di Nino M.

 

Rieccoci a S. Valentino! Mi sembra di tornare a tanti anni fa quando avevo lo stesso senso di vuoto che ho adesso perché non provavo nessun sentimento per nessuna donna. Oggi è la festa degli innamorati, ho fatto con piacere qualche disegnino carino che i miei compagni hanno spedito alle loro fidanzate o mogli. Lo facevo anch’io fino ad un anno fa, ma oggi no...perché a quell’indirizzo scriverei solo bugie. Allora preferisco aspettare come quando, diviso da una vetrina di un negozio guardi qualcosa che ti piace ma che in quel momento non ti puoi permettere perché costa troppo cara! Se potessi scrivere ad una persona amata le direi: "Ho sprecato tanto tempo della mia vita per cose futili che non portano a niente di buono ma che ora vorrei recuperare tutto quello che ho perso. Ad essere sincero, non so se ci riuscirò o se riuscirò a sconfiggere le mie paure. Per il momento sono chiuso in una gabbia e là fuori c’è la giungla, la stessa giungla che mi ha cresciuto e che mi fa sentire a casa mia".

Avrei bisogno di una persona dolce e sincera per trovare sentieri diversi; tenendomi per mano riuscirebbe a calmare la mia voglia di trasgredire. Aspetterò il mio tempo sperando di farcela da solo e di non perdere questi ultimi treni che mi porterebbero lontano da tanti guai.

Auguro a tutti gli innamorati tanta serenità e di non farsi scappare i bei momenti che può regalare l’amore.

 

Pillole di psicologia, a cura di Marco Z.

 

La redazione propone una sintesi tratta dal testo "Per amare ed essere amati" della collana "Psicologia e personalità", curata da Valerio Albisetti e Irina Palbo e pubblicata dalle Edizioni Paoline.

 

Parliamo d’amore

 

Entrare nell’amore significa entrare in se stessi, capire la propria condizione vera condizione, arrivare a delle situazioni psichiche e spirituali dove ciascuno incontra, rispecchiato, il proprio io; dove si fa l’esperienza del limite e ci si "prova", si aumenta la conoscenza di sé. Chi scappa, rifugiandosi nel sesso, nella promiscuità o nella paura di soffrire, è malato, teme la vita. L’amore è rischio. Rischio di perdersi nell’altro senza più uscirne, rischio di fermarsi; ma è anche la possibilità di inoltrarsi nell’altro e saperne uscire, insieme, più vitali.

Innamoramento e amore.

Non si può né si deve confondere l’amore con l’innamoramento.

L’innamoramento, anche se piacevole e importante, è solo un momento, una scintilla. L’amore è una fiamma continuamente alimentata.

L’innamoramento è temporaneo, finirà comunque. L’amore è duraturo, perenne per definizione.

Nell’innamoramento l’altro diventa ossessione, senza di esso la vita finisce. Nell’amore l’altro è sempre presente, anche quando non c’è fisicamente

Nell’innamoramento la realtà viene modificata, alterata, esaltata. Nell’amore la realtà diviene parte integrante del rapporto stesso, lo fortifica, lo rende sicuro, solido

L’innamoramento è dipendenza. L’amore è autonomia.

Nell’innamoramento viene negato il senso del limite. Nell’amore esso viene cercato, riconosciuto, accettato.

Nell’innamoramento la ragione scompare. Nell’amore essa è sempre sullo sfondo.

L’innamoramento è esclusivo. L’amore è generoso.

L’innamoramento è possesso. L’amore è dono.

L’innamoramento viene ferito dai dubbi, dalle riflessioni. L’amore ne viene fortificato.

L’innamoramento è desiderio. L’amore è desiderio supportato da volontà, da perseveranza.

L’innamoramento vuole tutto e subito. L’amore predilige la pazienza.

La sofferenza uccide l’innamoramento. L’amore la comprende.

Nell’innamoramento i due si annullano. Nell’amore moltiplicano le loro forze.

L’innamoramento è facile ma ti svuota. L’amore è più difficile ma ti riempie.

Capaci d’amare.

Esiste in tutti la capacità d’amare. L’amore non è facile, non è comodo, non è un dono gratuito, non è una caratteristica innata, ma è una capacità. Basta saperla cercare, riconoscere ed accettare, per poi saperla sviluppare, ampliare, consolidare.

La capacità d’amare richiede un tale grado di energia da coinvolgere tutta una vita.

La capacità d’amare inizia con il conoscere se stessi. Se non ti conosci, non ti studi, non rifletti su di te, non ti auto analizzi, difficilmente potrai imparare ad amare. Devi domandarti il perché delle cose che vivi, che ti succedono se vuoi dare un senso a te e all’amore. Cerca dentro di te. L’esterno non è che il riflesso di ciò che sei dentro. Non identificarti totalmente in quello che fai o pensi. Cerca di vederti dall’esterno. Ciò ti aiuta a non cercare alibi o giustificazioni. Rivedi tutta la tua vita passata fin dalla nascita, come hai vissuto le varie fasi evolutive, il rapporto con i genitori, con la realtà, fino ad avere un immagine vera, profonda, sincera di te.

Elimina o riduci le tue nevrosi, in modo da portare in coppia il minimo della patologia.

Per amare veramente.

Il coraggio della verità. Di verità ce n’è una sola, le altre sono false verità, alibi, giustificazione, ignoranza, illusione, nevrosi.

La costanza e la disciplina. La disciplina da sola reprime, è fastidiosa, non ha senso. La disciplina deve sempre essere percorsa da un senso. La disciplina rappresenta il braccio operativo della costanza. La scelta ed il desiderio di stare con l’altro morirebbero senza la disciplina e la costanza. Senza la costanza il desiderio si spegnerebbe subito. Dove governano costanza, disciplina, unita al desiderio, il tradimento trova difficoltà ad esistere.

Dare senso al proprio esistere e a quello dell’altro. Se non si dà senso, se non si entra in un progetto, tutto si perde nel nulla, nell’inutilità, nel passare del tempo.

L’essenzialità. Vivere in modo essenziale non stanca mai. L’essenzialità è il contrario della superficialità. L’essenzialità permette di entrare nelle cose, in più cose possibili, attraversandole, superandole, vivendole. L’essenzialità nella sua forma più alta non ha bisogno di parole. In un rapporto d’amore veramente essenziale, uno sguardo rende la potenza di mille parole. Aver raggiunto l’essenzialità massima in un rapporto d’amore significa aver fatto silenzio dentro di sè, significa essere riusciti a scomparire nel rapporto per divenire altro.

Includere l’esterno. Significa non chiudersi nella coppia. Vuol dire comportarsi adeguatamente al reale, non adattarsi passivamente ad esso. L’esterno non è staccato da te, dall’altro.

Essere capaci di vivere la solitudine. Per solitudine non si intende isolamento. La solitudine ti rende profondo, aiuta a farti divenire te stesso. La crescita personale non avviene se non si è capaci di stare soli. Vivere la solitudine significa non sentirsi perduto se l’altro non c’è.

Essere autentici. Non essere spettatore della vita. Vivila in prima persona. Molte cose ormai sono finte, false. La falsità, prima o poi, porta al tradimento.

Essere capaci di rispettare. Rispettare non significa affatto aver soggezione. Rispetto vuol dire desiderare che l’altro continui nel suo cammino personale, con i suoi tempi, con i suoi mezzi. Avere rispetto significa anche non avere l’arroganza di sapere che cosa è bene per l’altro.

La coerenza e l’integrità. Coerenza significa essere aderenti alla promessa fatta, al tipo di cammino intrapreso, al senso e alla validità del progetto in cui si è inseriti. La vita è lunga e, senza volerlo ti svegli un giorno e ti accorgi che sei andato fuori dal progetto iniziale. Ciò succede perché si è persa la coerenza. La coerenza ti dà sempre il filo grazie al quale non puoi perderti nel labirinto dell’esistenza. La coerenza è una regina assoluta, non ammette deroghe, non fa eccezioni. La coerenza è innanzi tutto individuale, prima che di coppia. La coerenza è dura ma è l’unica che aiuti nei momenti di paura, di confusione. La coerenza è tipica delle persone mature. La coerenza non potrebbe esistere senza l’integrità

La disponibilità. La disponibilità non significa essere deboli, lasciarsi andare. Significa rimanere nello stato di semplicità e di umiltà. La disponibilità è un atto volontario, una scelta. Usare disponibilità significa avere il senso del ritmo, del tempo, perché ognuno possiede un suo personale modo, tempo di porsi, di vivere. Disponibilità non è promiscuità.

Senza amore non può esistere l’uomo, per definizione.

 

Pensieri, di D. Bonhoeffer

 

L’obbedienza segue ciecamente, la libertà ha occhi aperti. L’obbedienza agisce senza domandare, la libertà domanda del senso. L’obbedienza ha le mani legate, la libertà è creativa. In obbedienza l’essere umano segue i precetti di Dio, in libertà l’essere umano crea nuovi precetti. Nella responsabilità si realizzano ambedue: obbedienza e libertà.

È infinitamente più facile soffrire in comune, che in solitudine. È infinitamente più facile soffrire pubblicamente e onorati, che appartati e nella vergogna. È infinitamente più facile soffrire mettendo a repentaglio la vita corporea, che soffrire nello spirito.

Mi sprofondo nelle mie riflessioni. Mi affondo fino al fondo della tenebra. Notte, tu piena di misfatti e miserie, tu svelati a me! Perché e fino a quando consumerai la nostra pazienza? Profondo e lungo silenzio; poi sento la notte chinarsi su di me: io non sono tenebra, tenebra è solo la colpa!

Mi chiedo spesso chi io sia veramente, se sono colui che si contorce continuamente sotto queste cose orribili sino a finire in una miseria singhiozzante, o colui che sferzando se stesso appare all’esterno (e anche a se stesso) come il calmo, il sereno, il tranquillo, il superiore facendosi per questo ammirare?

 

Chi sono io?

 

Chi sono io? Mi dicono spesso

che esco dalla mia cella

rilassato e lieto e saldo,

come un padrone dal suo castello.

Chi sono io? Mi dicono spesso

che parlo con le mie guardie

libero e amichevole e comprensivo,

come se comandassi io.

Chi sono io? Mi dicono anche

che sopporto i giorni di sventura

indifferente,sorridente e fiero,

come chi è abituato a vincere.

Sono effettivamente ciò che gli altri dicono di me?

Oppure sono solamente ciò che io conosco di me stesso?

Irrequieto, nostalgico, malato; come un uccello in gabbia,

che lotta per un respiro di vita, quasi mi stessero strozzando,

affamato di colori, di fiori, di canto di uccelli,

che trema di ira per l’arbitrio e per l’umiliazione più meschina,

corroso dall’attesa di cose grandi,

preoccupato, impotente, per amici infinitamente distanti,

stanco e troppo vuoto per poter pregare, per pensare, per agire,

opaco e pronto a congedarmi da tutto?

Chi sono, l’uno o l’altro?

Forse oggi l’uno e domani un altro?

Tutt’e due insieme? Per l’umanità un ipocrita

e per me un debole spregevole e querulo?

O assomiglia, ciò che ancora è in me, a un esercito sconfitto,

che disordinatamente fugge dalla vittoria già conquistata?

Chi sono io? La domanda solitaria mi rende ridicolo.

Chiunque sia, Tu mi conosci, Tuo sono io, o Dio!

 

Dietrich Bonhoeffer

 

Chi era Bonhoeffer

 

Dietrich Bonhoeffer nacque il 4 febbraio 1906 a Breslau, nell’odierna Polonia. Suo padre era professore di neurologia e psichiatria e sua madre era dedita alle attività domestiche e all’educazione dei suoi otto figli. Dietrich era n bimbo sensibile, ricco di talenti, sveglio. A Berlino frequentò il ginnasio e studiò teologia. La sua vita di pastore protestante e di professore universitario mutò bruscamente con l’ascesa al potere di Hitler nel 1933, contro la cui dittatura si oppose in Germania e all’estero. Subì restrizioni e divieti alla sua attività finché nel 1943 venne arrestato. Nel 1945 fu trasferito nei lager e lì venne impiccato. I suoi scritti durante la prigionia costituiscono una testimonianza di coraggio, civiltà e saggezza e ne fanno uno dei teologi più letti. La poesia Chi sono io rappresenta una testimonianza particolare della tensione tra depressione e forza interiore che accomuna le persone private della libertà, qualunque siano i motivi che causano tale condizione di vita.

 

La Rondine, una voce dal carcere

 

Periodico dei detenuti della Casa di Reclusione di Fossano

Aprile 2005 - Numero 17

Supplemento gratuito a "La Fedeltà" n. 17 del 04.05.2005, anno 108

Autorizzazione Tribunale di Cuneo 17.07.1950

Direttore responsabile: Corrado Avagnina

Redazione: Adalberto C., Franca R., Renato S., Marco Z.

Hanno collaborato a questo numero: Antonio M., Edoardo Torchio., Laura Bottero, Vincenzo C., Bruno Pierrot.

La redazione ringrazia: Luigina Ambrogio, Laura Bottero, Valter Lamberti, Pasquale Maglione, Bruno Perrot, Edoardo Torchio, le educatrici, gli assistenti volontari

Videoimpaginazione: Cooperativa "Nuove idee"- c/o Editrice Esperienze - Via S.Michele, 81-Fossano. Stampa: Stamperia Comune di Fossano

Invitiamo i lettori a scriverci: "La Rondine, una voce dal carcere" c/o Istituto Suore Domenicane - Via Bava, 36 - 12045 Fossano. La comunità del S. Caterina ringrazia la Fondazione della C.R.F., il Comune di Fossano, il settimanale diocesano "La Fedeltà"

 

 

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