La Rondine

 

La Rondine, una voce dal carcere

rivista della Casa di Reclusione di Fossano

(numero 13, aprile 2004)

 

Il carcere non può essere un’isola

Quando chi è "dentro" si fa "fuori"

Indifferenza

Sovraffollamento nelle carceri: una piaga ancora aperta

Carcere di Fossano: una struttura vivibile anche per gli stranieri

Ho ritrovato il mio equilibrio nella fede in Dio

Una giornata "in" carcere

"Sbarra la notizia", made in Santa Caterina

Un giorno da star

La mia ora di normalità

Notizie flash dal Santa Caterina

Lettera per un’amica

Quando la fiducia negli altri viene meno

Nessuna guerra in nome di Dio

Il carcere non può essere un’isola

L’attenzione dell’informazione locale permette la diffusione esterna del giornale carcerario

 

di Corrado Avagnina

 

Chi legge "La Fedeltà" non ha sicuramente dubbi sul fatto che il giornale diocesano di Fossano riserva, da tempo, una particolare attenzione alla realtà del carcere. Non si contano gli interventi, gli scritti, i commenti, le testimonianze e gli spunti... da oltre le sbarre, che su "La Fedeltà" hanno trovato spazio e risalto. Si tratta, ovviamente, di una scelta ben precisa. Ed è subito intuibile: chi vive la condizione di carcerato sta pagando per errori commessi, su cui non è il caso di tornare più di tanto. Invece preme guadare avanti, ad una vivibilità possibile e compatibile della detenzione stessa, pensando anche ad un reinserimento, che sappia di recupero e di riscatto.

A questi temi "La Fedeltà" è sensibile e partecipe. Nella consapevolezza che il carcere nel cuore della città è una presenza di cui tenere conto, senza dimenticare tutti coloro che vi operano in diverse mansioni di servizio e di responsabilità. Personalmente conservo un ottimo ricordo di un incontro-dibattito proprio dentro il carcere di Fossano, anni fa, a confrontarci con gli spazi ed i ruoli della comunicazione giornalistica, in riferimento a chi sta "dentro" e rispetto ad un settimanale che sta "fuori". Per tutte queste ragioni (e per una in più, che potrebbe identificarsi con l'accorato appello del papa, in occasione del Giubileo, per un'amnistia che si è fatta attendere troppo…), è sembrato logico e scontato mettere a disposizione "La Fedeltà" per far uscire come supplemento "La Rondine. Una voce dal carcere". Il dialogo è avviato e deve continuare. Il carcere non può essere un'isola anche se "dentro" si è isolati della vita ordinaria della città. Ci si deve "sentire" non come estranei, ma come interlocutori. In un rapporto costruttivo, maturo, rispettoso. Si cresce insieme. Soltanto se non ci si ignora. Anche "La Rondine" in questo può dare una mano. E pure "La Fedeltà" cerca di fare qualcosa, quel che può e riesce, perché questo legame prosegua e si rinsaldi.

 

Quando chi è "dentro si fa ‘fuori"

Presentato il primo dossier sulle morti in carcere curato da volontari e detenuti di Padova

 

Cresce il numero di suicidi e di atti di autolesionismo in carcere

 

A cura della redazione

 

"Morire di carcere" è l’eloquente titolo del dossier realizzato dalla redazione di "Ristretti orizzonti", periodico carcerario e dal "Centro di documentazione Due Palazzi" di Padova. Presentato a Montecitorio il 25 novembre 2003 da volontari carcerari e da un gruppo di detenuti del periodico padovano, il dossier (in versione integrale su www.ristretti.it) prende in considerazione i cosiddetti "eventi critici" degli ultimi due anni 2002-2003, su cui non esistono più dati ufficiali del Dap. Volendo andare oltre gli aride e anonimi dati statistici, i curatori della ricerca propongono le storie di 134 detenuti morti, ricostruite attraverso la cronaca giornalistica, ma per altrettante persone morte in carcere nello stesso periodo "non è stato possibile sapere nulla, il che significa che ogni due detenuti che muoiono uno passa inosservato" ha spiegato la direttrice della rivista, Ornella Favero.

Dei 150 morti presi in considerazione, ben 94, pari al 63%, sono per suicidio, il 16% sono morti per cause non chiare, il 15% imputabili all’assistenza sanitaria disastrata ed il 6% per overdose; 25 sono stati i tentativi di suicidio. Ad uccidersi sono di più gli italiani degli stranieri (rispettivamente 108 e 26) e soprattutto i giovani: un terzo dei suicidi aveva un’età compresa tra i 20 e i 30 anni e un altro terzo tra i 30 e i 40. La parte più consistente è rappresentata dai tossicodipendenti che costituiscono il 38% dei casi ricostruiti nella ricerca, a fronte di una presenza del 30% sul totale dei detenuti; si uccidono con maggiore presenza da "definitivi", un segnale probabilmente indicativo di particolari angosce legate al ritorno alla libertà in persone già fragili. Un fenomeno destinato ad impennarsi, secondo l’ex sottosegretario alla Giustizia Corleone, se diventerà legge il ddl Fini sulla droga. L’ingresso in carcere e i giorni immediatamente seguenti sono un altro momento in cui il rischio di suicidio è più elevato, non solo per i tossicodipendenti: i detenuti per omicidio rappresentano ben il 14% dei casi esaminati. Anche in questo caso la spinta è probabilmente rappresentata dalla mancanza totale di prospettive nei lunghi anni di carcere. Le strutture dove è avvenuto il maggior numero di suicidi sono quelli sardi (17), Rebibbia (Roma) con 6, San Vittore (Milano) e Marassi (Genova), entrambi con 4 e l’O.P.G. (Ospedale psichiatrico giudiziario) di Reggio Emilia con 5 casi.

I detenuti si tolgono la vita con una frequenza 19 volte superiore a quella delle persone libere, in Francia e in Austria il tasso di suicidio è addirittura doppio del nostro. Spesso lo fanno negli istituti dove le condizioni di vita sono peggiori, al sud e nelle isole, soprattutto in Sardegna, e in particolari momenti critici quali i giorni immediatamente successivi all’ingresso in carcere o quando la condanna è diventata definitiva e, per i tossicodipendenti, quando si avvicina la scarcerazione. Secondo Luigi Manconi, presidente di "A buon diritto. Associazione per le libertà", autore di una ricerca "Così si muore in galera. Suicidi e atti di autolesionismo nei luoghi di pena" pubblicata nel 2002, non è con la disperazione che si può spiegare l’elevato tasso di suicidio in carcere, ma piuttosto con la paura del noto e dell’ignoto. In carcere si uccide, quasi in egual misura, "chi conosce il proprio destino e ne teme l’ineluttabilità, chi non ha la minima idea del proprio destino e ne teme l’imprevedibilità. Non esistono particolari gruppi a rischio, a parte quello dei nuovi arrivati che entrando per la prima volta in carcere non trovano il necessario supporto se non tra i reclusi. Per alcuni ricercatori è sostenibile una correlazione tra il sovraffollamento, con tutto quel che ne consegue: spazi ridotti, maggiore promiscuità, tensione continua, aggressività, lentezze esasperanti per il disbrigo di ogni pratica o per ricevere servizi e assistenza e la crescita dell’insostenibilità della condizione reclusa che porta all’incremento dei gesti di autolesionismo e del suicidio.

Dice il direttore del carcere milanese di San Vittore, Luigi Pagano: "Il possibile suicidio di qualcuno è un vero e proprio incubo per me, un pensiero che non mi abbandona mai". E’ una sconfitta per tutti parlare di persone che si ‘fanno fuori’ inalando il gas della bomboletta o impiccandosi con un lenzuolo. Ma anche i casi di autolesionismo sono in crescita: detenuti che si tagliano le braccia, la faccia, che si cuciono la bocca con una molla della biro, che ingoiano di tutto, dalle lamette alle pile alle molle del materasso. Se per il suicidio le cause sono tante quanti sono i suicidi stessi, per gli atti di autolesionismo prevale una funzione principalmente dimostrativa, di protesta o anche solo per comunicare da parte di chi, rimasto "senza parole" usa il proprio corpo come mezzo e messaggio nel rapporto con l’esterno.

Da qualche tempo alcuni direttori più attenti al problema stanno sperimentando alcuni percorsi per scongiurare tali eventi estremi. Così Pagano, direttore di San Vittore a Milano, uno degli istituti più a rischio, ha introdotto progetti sui "nuovi giunti", con tre tipi di iniziative: un pronto soccorso psicologico attivo ogni giorno della settimana, un progetto accoglienza curato dai volontari con attività di arteterapia (scultura, pittura), un supporto "alla pari" di detenuti scelti tra i più equilibrati, che, meglio di chiunque altro, conoscono le sensazioni, lo sconforto, la voglia di farla pagare a qualcuno, di farla finita clamorosamente; quest’ultima pare stia dando ottimi risultati. Anche il direttore del carcere Le Vallette di Torino, Pietro Buffa sta sperimentando dei gruppi di attenzione formati da operatori e volontari: "Se c’è attenzione e riflessione – dice il direttore – probabilmente riuscirai a tamponare dei problemi, a trovare delle soluzioni però è un cammino lungo e le idee ti vengono facendo anche dei piccoli passi" …l’importante è non lasciare cadere tutto nell’oblio dell’indifferenza.

 

Indifferenza

 

di Tommaso Lodato

 

Verso la fine di novembre mi capita tra le mani un numero di "Specchio" e sfogliandolo vengo attratto da un titolo che mi incuriosisce: "Nemmeno un nome per il piccolo M". Si tratta di un giovane rumeno cresciuto in mezzo alla strada, è accusato di rapina, il carcere, il suicidio.

Ma di lui non si ricorda nessuno, dice di avere 16 anni, i giornali lo hanno indicato con la lettera ‘M’, l’iniziale del suo nome di battesimo, precauzione che si usa per tutelare la vera identità dell’indagato-accusato e la sua privacy. La sua identità e la sua età sono incerte, avrebbe potuto avere anche 18/19 anni, forse mentiva per difendere il suo status di minorenne e così sfuggire ai rigori della legge riservata agli adulti. Ma lui, il ragazzo, non sapeva che la ‘dura lex’ non risparmia i poveracci e lui poveraccio lo era davvero. La sua dose di sfortuna gli è capitata il 14 novembre. Dicono di lui che in compagnia di tre amici abbia aggredito un turista che passeggiava nei pressi della stazione di Pescara. "Volevano soldi" dirà la vittima dell’aggressione. Tanto è bastato perché ‘M’ finisse in un Commissariato di Polizia con la pesante accusa di tentata rapina.

Quest’ accusa trova parere favorevole da parte del Magistrato, un custode dell’ordine che non aveva tenuto conto della giovane età del ‘bandito’ se pur con grosso fardello di sofferenza alle spalle, sospettato di essere dedito (o indotto) alla prostituzione maschile minorile. Come mai non ha tenuto conto il Magistrato che questo ‘bandito’ andasse a far rapine senza armi, senza neppure l’ombra di un temperino! Purtroppo ‘M’ non disponeva di un difensore di grido come gli ultimi protagonisti della cronaca finanziaria. Non è pensabile che uno dei tanti talk show possa portare alla ribalta la storia di un povero straniero senza neanche un nome. Ma chi volete che ascolti un povero ragazzo che ripeteva che non di rapina si trattava ma di una lite finita a "cazzotti"! Le sue parole erano contrapposte alle dichiarazioni e alla rispettabilità di un cittadino italiano a passeggio nei pressi della stazione di Pescara, luogo molto noto per chi vuole concedersi qualche svago con ragazzi compiacenti.

Con una rapidità sorprendente, per "M" si schiudono le porte della galera, il giovane non resiste all’impatto con l’ambiente carcerario e si appende. Lo troveranno già rigido con una corda al collo. Non risultano lettere di cittadini indignati o dei soliti professionisti del garantismo. Questa è l’indifferenza "piccolo M".

 

Sovraffollamento nelle carceri: una piaga ancora aperta

 

Una ricerca condotta dal consigliere regionale Contu di Rifondazione Comunista

 

La situazione delle carceri piemontesi è aggravata dalla pesante carenza di organico, soprattutto nell’area educativa

 

di Andrea Rossi

 

Il sovraffollamento e la carenza di organico sono i due principali problemi che emergono nella relazione conclusiva di una ricerca condotta da Mario Contu, consigliere regionale di Rifondazione Comunista e durata circa un anno.

Visitando i 13 istituti piemontesi il consigliere ha potuto vedere con i propri occhi cosa significa sovraffollamento. I dati percentuali che parlano di una media del 27%, in linea con il dato nazionale, con punte del 60% ad Asti e del 55% a Saluzzo, applicati nella realtà significano che, nella migliore delle ipotesi, in una cella prevista per una persona (circa due metri per tre più il bagno) è stato aggiunto un secondo letto a castello, il tavolino rimane uno solo e su questo tavolino i due coinquilini devono a turno fare tutto: cucinare, scrivere…: implica un aumento se non il raddoppio degli armadietti, due sgabelli… e in questi sei metri quadrati così occupati due esseri umani devono passare venti ore al giorno!

Inoltre, quando al problema di un numero maggiore di detenuti si somma quello della carenza di organico nell’area educativa, i tempi per accedere a programmi di reinserimento si dilatano e si restituisce alla società, per fine pena, un ex detenuto al quale non è stato offerto alcun percorso di rielaborazione critica del proprio vissuto.

La situazione più drammatica per quanto riguarda gli organici è proprio quella dell’area pedagogica che ha un valore medio di copertura di appena il 50%, con punte assurde come quelle di Alba e Verbania dove non c’è praticamente nessuno e Asti che ha un solo educatore su cinque previsti.

La Polizia Penitenziale ha una carenza media del 20% ma tale dato non è omogeneo a livello nazionale: le deficienze, comunque non allarmanti del Nord sono ‘bilanciate’ da sovradimensionamento nel Sud: dall’Abruzzo in giù la media è del 30% in più, con maggiorazioni anche dell’80% in alcuni istituti.

L’indultino, con una percentuale d’applicazione di appena il 7% circa, pari a 280 persone liberate non sta incidendo sul problema del sovraffollamento delle carceri.

L’offerta formativa di una qualifica professionale pare sufficientemente ampia ovunque ma poi manca la possibilità di un lavoro sia dentro che fuori le mura.

Molte deficenze della struttura carceraria, dovute anche alla diminuzione dei fondi erogati sono in parte sopperite dall’impegno dei volontari ai quali sono affidate quasi tutte le attività ricreative e culturali, le più elementari necessità materiali, aumentate con l’incremento degli stranieri che sono quasi il 40% del totale.

 

Il sistema carcere in Piemonte (da "La Repubblica" del 18 novembre 2003)

 

Istituto

Capienza

Regolam.

Presenze

11/11/03

%

sovraffollam

Di cui

stranieri

%stranieri

Usciti

indultino

% usciti indultino

Alba

114

168

47

75

45

5

3

C.C. Alessandria 

287

334

16

184

55

27

8

C.R. Alessandria  

245

352

44

113

32

13

4

Asti

207

330

59

148

45

21

6

Biella

190

268

41

101

38

18

7

Cuneo

320

282

- 12

125

44

13

5

C.R. Fossano 

165

137

- 17

56

41

27

20

Ivrea

208

291

40

140

48

47

16

Novara

190

204

7

41

20

14

7

C.R. Saluzzo 

227

350

54

125

36

18

5

Torino

966

1244

29

404

32

30

2

Verbania

92

75

- 18

27

36

12

16

Vercelli

202

290

43

106

36

35

12

Totale

3.413

4.325

27

1.645

38

280

7

 

Il S.Caterina è uno dei pochi carceri non sovraffollati della regione

 

Carcere di Fossano: una struttura vivibile anche per gli stranieri

Buono l’inserimento lavorativo e discreta partecipazione alle iniziative da parte degli extracomunitari.

 

di Abdel Ilal Khadli

 

La Casa di Reclusione di Fossano appare un’eccezione positiva nel quadro generale del sistema carcerario piemontese. E’ l’unica, insieme a Cuneo e a Verbania a non avere problemi di sovraffollamento e questo si ripercuote positivamente sulle condizioni generali di vita interna e sulla possibilità di articolare progetti di reinserimento sociale. Come affermato nel comunicato stampa emesso al termine della visita della delegazione di Rifondazione Comunista, qui "si respira un’aria differente sia per la sensibilità della Direzione e della Polizia Penitenziaria che hanno impostato il rapporto con i detenuti sul rispetto", sia per la vicinanza della città che fa sentire il suo calore umano attraverso le numerose visite del Sindaco e l’impegno costante di un folto gruppo di volontari. "L’altro indice dell’integrazione carcere-città è che su un centinaio di agenti della Polizia Penitenziaria solo una decina dorme in caserma".

C’è da aggiungere al già positivo contesto emerso dalla visita, un’appendice relativa alla numerosa presenza di extracomunitari che qui si integra senza problemi allo stile di vita che caratterizza la struttura: maggiore orario di apertura delle celle, più vita comune per socializzare e partecipare alle iniziative e quindi anche maggiore responsabilità da parte di ciascuno per contribuire ad un più soddisfacente ambiente di vita per tutti. Vivono insieme, nella stessa sezione, italiani e stranieri di varia nazionalità e, tra questi, parecchi sono quelli che frequentano i corsi e i laboratori, che utilizzano le strutture ricreative e accedono alla biblioteca. Alcuni hanno partecipato attivamente all’ultimo spettacolo preparato all’interno, altri danno il loro contributo alla redazione di questo giornalino. Anche nel settore lavorativo interno (cucina, pulizia) viene dato loro ampio spazio. Attualmente due stranieri, semiliberi in articolo 21 (beneficio concesso dal Direttore dell’istituto) lavorano alle dipendenze dell’Amministrazione Penitenziaria che ha assunto in proprio il servizio di pulizia degli uffici amministrativi, in precedenza dato in appalto ad una ditta esterna. In questo modo si è incrementata la possibilità di lavoro per i detenuti.

Infine l’Ufficio Stranieri del Comune di Fossano, su iniziativa dell’Ufficio educatori ha attivato uno sportello anche all’interno del carcere con apertura settimanale. È un’iniziativa davvero utile considerate la complessità della normativa vigente nel settore e la lunga trafila per ogni tipo di documento.

 

"Ho ritrovato il mio equilibrio nella fede in Dio"

 

Riflessione di un detenuto straniero

 

di A.A.H.

 

L’uomo è di natura un gran sognatore mai soddisfatto ma i problemi nascono quando si va a caccia di un sogno lontano, utopico, superiore alle proprie capacità di realizzarlo a causa di mancanza di preparazione, di tempo o di possibilità economiche. Si vive male e svanisce ogni speranza di essere felici. In questi giorni pieni di solitudine, dietro le sbarre ho pensato molto: per iniziare a progettare bisogna avere la piena consapevolezza di se stessi, essere coscienti del proprio passato. E’ difficile perché mille e mille sono le cose che l’occhio vede e il cuore desidera ma trovare la giusta dimensione ci fa risparmiare l’inquietudine dell’animo.

Un’altra cosa che mi sta aiutando è pregare: credere in Dio è sempre meglio che credere in un’idea che non può realizzarsi neanche nel tempo, mi ha fatto superare la mia conflittualità interiore e trovare la pace dentro di me, cancellando ogni traccia di rabbia e di insoddisfazione.

Paradossalmente oggi mi sento più libero perché ho imparato a dare la giusta valutazione alle cose che mi circondano.

La semplicità nasconde una grande bellezza: amare Dio, amare una famiglia e gli altri, avere un lavoro e una casa per vivere in santa pace. E’ questo il progetto, modesto ma capace di tenere in vita un uomo.

 

Una giornata "in" carcere: un detenuto racconta, ora per ora, la vita dietro le sbarre

 

L’attesa continua di poter comunicare con il mondo esterno

 

di Maurizio Fabbris

 

Una volta, durante un dibattito a cui partecipavano alcuni studenti, mi sono sentito rivolgere la domanda: "Ma come passate le vostre giornate da reclusi?". La curiosità delle persone che non hanno avuto un’esperienza di carcere è forte riguardo al fatto di come, noi persone detenute trascorriamo il nostro tempo. Allora perché non soddisfare questa curiosità?

Qui le celle sono normalmente per quattro persone e l’arredo è costituito dai letti, armadi e mensole, tavolo e il box dei servizi igienici; la doccia è invece comune al fondo del corridoio della sezione.

 

Mattino

 

Al mattino, tanti di noi si svegliano alle 7 o alle 7,30, altri indugiano di più nella branda. Chi si alza prima è, di solito, addetto ad un lavoro: cucina, ufficio spesa, manutenzione dei servizi o Mof, magazzino, pulizia sezioni, oppure frequenta un corso professionale o scolastico. Prepara la colazione per sé e anche per gli altri della cella che poi, di solito, ricambiano il servizio al sabato e alla domenica, che sono giorni di riposo per lavoranti e corsisti.

Gli umori poi non sono tutti gli stessi: c’è chi si sveglia bene, chi imbronciato, chi non dice una parola per un’ora. Ma tutti si svegliano con una domanda: "Verranno o no per la perquisizione?". Eh sì! Perché ogni mattina c’è sempre la perquisizione di due celle scelte a caso, fra il primo, il secondo e terzo piano. Allora l’umore, anche se è buono, con la perquisizione diventa subito pessimo. Facile intuire perché! Quando si rientra nella cella, la si deve poi tutta risistemare.

Chi non ha nulla da fare ha la possibilità di andare giù, all’aria, in cortile o andare in palestra, giocare a tennis oppure passeggiare. Altri, invece, fanno la pulizia della cella.

Così inizia l’attesa di qualcosa. Chi aspetta che lo chiami l’educatrice, l’assistente sociale, lo psicologo per un colloquio riguardante qualche richiesta di beneficio, chi invece la matricola perché magari attende la risposta alla richiesta di un beneficio o dell’indultino.

L’attesa più sentita però, arriva verso le 10,30-11, quando arriva la posta. Allora chi si sente chiamare avanza con un sorriso, chi, invece, non è chiamato ripete all’agente: "Sicuro che non c’è niente per me? Neppure una cartolina?". La consegna della posta è sempre un momento importante per la persona detenuta. E’ un filo di congiunzione tra noi e le persone care, è, soprattutto, il modo con cui noi valutiamo quanto siamo importanti nel cuore delle persone, di quanto sentano la nostra mancanza. C’è chi sorride leggendo la lettera, segno positivo che tutto va bene; c’è chi ha un’espressione triste, segno che non tutto procede bene o che c’è un’incomprensione; chi ha un gesto di rabbia e magari strappa lo scritto, segno di qualcosa che va proprio male. Chi non ha ricevuto posta, cerca di nascondere la delusione facendo l’indifferente ma in cuor suo spera di ricevere qualcosa l’indomani.

Arriva così mezzogiorno e tutti sono nella propria cella a pranzare e a parlare delle piccole cose accadute durante la mattina: la posta che è arrivata, l’argomento del corso, quello che si è fatto lavorando, quello che è successo in cortile.

 

Pomeriggio

 

Alle ore 13 si riaprono le sezioni e riprende il passeggio all’aria. A questo punto, se la giornata è bella e il tempo lo consente si dà il via al momento sportivo. Il martedì, giovedì, sabato e domenica si può giocare a pallone, il lunedì e venerdì a bocce, il mercoledì a pallavolo; a tennis si può giocare la mattina di tutti i giorni. Durante la settimana giocano chi è senza attività mentre il sabato e la domenica sono di turno i lavoranti e i corsisti.

Chi non lavora, al pomeriggio, ha la possibilità di frequentare la palestra secondo il proprio turno e due volte alla settimana la biblioteca, oppure aspetta che lo chiami un’assistente volontaria per un colloquio di supporto, per scambiare due chiacchiere ed aprire un dialogo d’amicizia, ma c’è anche chi rimane in cella a rispondere alle lettere ricevute, a leggere un libro, a seguire un programma televisivo, ad ascoltare musica e, anche, a preparare cena per quelli della cella.

Alle 16 rientriamo tutti nei rispettivi piani, che vengono chiusi e avviene la "conta". Solo con particolari autorizzazioni possono continuare alcune attività, in presenza di volontari.

 

Sera

 

Alle 16,30 passa il vitto della cucina. Nelle celle, ancora aperte, s’incomincia a preparare la cena con i fornelli tipo camping; in questo senso ogni cella si organizza come meglio crede o è sempre la stessa persona che prepara o si fanno i turni. Chi non cucina guarda la televisione oppure si organizzano partite a carte, principalmente scopa d’assi e scala quaranta, durante le quali la posta giocata può essere il lavaggio dei piatti dopo cena, la pulizia della cella o semplicemente un caffè o un tè. La maggior parte delle celle si mette a cenare dalle 17,30 alle 18,30 in modo che poi ci sia anche il tempo di poter passeggiare nel corridoio (si sa che dopo mangiato, due passi fanno bene alla digestione).

Arrivano le 19,20, ora in cui c’è la chiusura delle celle. In alcune si fa ancora una partita a carte per poter arrivare alle 20,30-21, quando iniziano le trasmissioni televisive serali. In altre celle, mentre alcuni guardano la televisione, c’è chi si mette la cuffia con il walkman o la radiolina e si ascolta un po’ di musica oppure legge un libro o scrive una lettera ad una persona cara o ancora, semplicemente, vuole stare solo con i propri pensieri perché non gli piace la trasmissione scelta dagli altri compagni.

Così giungono le 23, la mezzanotte e il momento dello spegnimento del televisore mediante comando centralizzato.

Arriva il momento più critico della giornata di un detenuto.

Tutti quanti al buio e nel silenzio, prima di addormentarsi sono soli con se stessi e tutti pensano alla propria condizione personale e familiare. C’è chi pensa ai genitori, magari alla mamma che venendo a trovarlo a colloquio ha pianto; chi pensa alla moglie o a suo figlio di pochi anni che la settimana prima, durante il colloquio, lo aveva abbracciato forte e non voleva più lasciarlo; chi pensa al suo passato e fa una riflessione critica; chi pensa al suo futuro, magari con speranza perché ha la possibilità di avere persone che lo aiutano, o con rabbia perché non ha nessuno che si interessi di lui; c’è chi macina dentro di sé rancore verso persone che gli hanno fatto del male; c’è chi ricorda con rimpianto e rabbia la donna che ha amato ma poi lo ha abbandonato ma sente di volergli ancora bene; c’è anche chi prega affinché Dio gli possa dare la forza di superare questo momento critico… c’è chi piange in silenzio… sì perché il detenuto è, nonostante quello che possa aver fatto, una persona con un cuore e con sentimenti e la sofferenza personale di ognuno di noi aiuta in un modo o nell’altro a prendere coscienza del proprio vissuto e la sua sensibilità è accentuata.

Così si chiude una giornata passata fra queste quattro mura e l’ultimo pensiero, prima di chiudere gli occhi per un sonno ristoratore è: "Oggi è andata così… domani speriamo meglio…", sì, perché la speranza è la nostra unica amica meravigliosa che ci dà la forza di superare tutto!

 

Striscia la notizia made in Santa Caterina

 

Grande divertimento tra il pubblico di detenuti

 

Simpatica recita del nuovo gruppo musico-teatrale che ha coinvolto attivamente anche alcuni stranieri e le nuove educatrici.

 

di Maurizio Fabbris

 

Venerdì 12 marzo, alle ore 14, nella sala-teatro del Santa Caterina è iniziato lo spettacolo intitolato "Dalla strada al palcoscenico", un intrattenimento comico-musicale sulla falsariga di "Striscia la notizia" con veri collegamenti e notizie che venivano tradotte in scenette divertenti. Non sono mancate le due veline… per meglio dire "velacce", interpretate magistralmente da due nostri simpaticissimi compagni che, con la loro apparizione, hanno fatto rimbombare il locale di risate, fischi e applausi. Lo spettacolo non ha avuto la pretesa di essere perfetto, anche perché è stato organizzato in pochi giorni, ma l’obiettivo che si era fissato il piccolo gruppo è stato raggiunto: un momento di puro divertimento e di svago musicale.

Poter passare un pomeriggio all’insegna della risata, del rilassamento mentale ha dato la possibilità di offrire sia al gruppo musico-teatrale, sia al pubblico l’opportunità di divertirsi, di dimenticare il luogo e ritemprare il morale. È un’esperienza che ha lasciato un segno positivo a tutti. Ecco alcuni commenti del pubblico.

Carlo: "Uno spettacolo divertente! È stato molto bravo tutto il gruppo teatrale e musicale regalandoci momenti di allegria!".

 

Marco: "Bravissimi i nostri compagni che hanno interpretato il ruolo delle velacce; uno spasso unico!".

Michele: "Scenette divertenti, uno stacco dai soliti tristi pensieri, bravi quelli della parte musicale con pezzi belli e coinvolgenti!".

Majid: "Bello, veramente bello lo spettacolo. Una cosa che mi è piaciuta molto è che il gruppo era composto da italiani e stranieri, nonostante la difficoltà della lingua e della cultura. C’è stato posto per tutti, ognuno con la sua parte. Spero di passare presto un altro pomeriggio così!".

Mohamed: "Ho visto uno spettacolo che mi ha coinvolto fino in fondo. Ho riso tanto e questo mi ha distratto dai soliti pensieri. E’ la prima volta che vedo uno spettacolo in carcere e spero che venga replicato. Gli amici del gruppo musico-teatrale sono stati davvero bravi!".

Questa iniziativa è stata possibile grazie al contributo di altre persone che hanno aiutato il nostro piccolo gruppo di attori e cantanti principianti. Ringraziamo il Comandante, Pasquale Maglione, sempre molto disponibile a iniziative di questo genere, gli agenti di Polizia Penitenziaria che ci hanno sopportato nell’esecuzione delle varie prove, l’Ufficio degli educatori, in particolare Francesca che non solo ci ha seguito e consigliato ma ha pure offerto un saggio della sua bravura come chitarrista e cantante e a Michela che ha contribuito ai costumi e alle attrezzature, il gruppo dei volontari che ha assistito allo spettacolo e che sempre ci sprona e ci sostiene.

Il grazie più sentito va a tutti i compagni di questa avventura che con serietà d’impegno e volontà sono riusciti a vincere la sfida del poco tempo a disposizione e a portare a compimento lo spettacolo. Abbiamo così trascorso una giornata serena e divertente con grande soddisfazione di tutti i partecipanti.

 

un giorno da star

 

di Gaetano G.

 

Io Gaetano, da un vissuto delinquenziale ad essere protagonista di una manifestazione teatrale e musicale: un’esperienza bellissima! Sicuramente non ha cambiato la mia vita ma le ha dato un senso diverso non avendo mai pensato di poter un giorno far parte di una band musicale, anche se non sono un professionista. Quest’esperienza mi ha coinvolto molto essendo io figlio d’arte e amante della buona musica. Purtroppo sono stata attratto da altri interessi che mi hanno portato a delinquere e a conoscere la galera. Partecipare a questo spettacolo ha dato una svolta positiva alla mia vita attuale perché mi ha fatto provare, con tanta gioia, un’emozione nuova, quella di essere per la prima volta protagonista in prima persona e di aver contribuito a far divertire tutto il pubblico, detenuti come me che per due ore sono stati lontani dalla solita routine del carcere. Ringrazio tutte le persone che mi hanno permesso di vivere un giorno da star…

 

"La mia ora di normalità"

 

Una particolare esperienza nel racconto di un operatore della Comunità Papa Giovanni

 

Detenuti e disabili hanno realizzato un enorme dipinto per la cappellina del centro diurno.

 

di Flavio Zanini (Centro Diurno Santa Chiara)

 

Marina, Luca, Stella, Gianluca e Silvana del Centro Diurno Santa Chiara per portatori di handicap psico-fisico della Comunità Papa Giovanni XXIII sono i componenti del gruppo che ha partecipato al laboratorio di pittura organizzato all’interno della Casa di Reclusione Santa Caterina.

Silvana, autonominatasi Sillybat, fu la mattatrice del primo incontro; non è consueto presentarsi davanti ad una trentina di sconosciuti raccontando (a modo suo) una vicenda personale che in quel momento la faceva soffrire, ma lei lo fece suscitando la simpatia dei presenti. Si trattava di collaborare alla realizzazione di un quadro da porre nella Cappellina del Centro che avesse come soggetto il Buon Pastore. Si parlò di pecore nere e di pecore bianche, mentre Suor Rachele, convinta, affermava che le pecore nere non esistono; altri, più realisti (sic!), distinguevano tra pecore che sembrano nere perché emarginate dalla gente e quelle che sono nere per davvero. Tanto si parlò di pecore che alla fine non ne rimase traccia. Un gruppo di detenuti coordinato da Alessandro, volontario e pittore coinvolto provvidenzialmente in questa iniziativa, si ritrovarono loro soli ad elaborare il soggetto del quadro arrivando a definire una proposta originale. Un altro incontro ancora, questa volta alla presenza dei partecipanti del Centro Diurno con i suoi operatori e l’idea di fondo si delineava e chiedeva di prendere forma sul pannello di compensato lungo due metri e mezzo. Chiunque si ponga davanti all’opera finita collocata nella Cappellina potrà adesso fare le sue considerazioni, mi auguro che ciò lo possa aiutare nella preghiera.

Sembra che l’uomo in bianco e nero (disegnato da Milan), con la stampella in mano simbolo di tante umane fragilità, si sia lasciato alle spalle un deserto e ora riposi inchinato di fronte alla pozza d’acqua. Per me rappresenta l’uomo in ricerca che pur nel grigiore e nella fatica della quotidianità sente nascere dentro di se una speranza, forse è la pecorella smarrita da cui eravamo partiti. La sua sensibilità affinata dalla sofferenza gli suggerisce che esiste un mondo più ricco, più vero (rappresentato da quella foresta fantastica e policromatica ideata e realizzata dagli ospiti del Centro Santa Chiara) che sembra sottostare la dura realtà ma pian piano si afferma perché possiede una forza incontenibile. Gesù con le braccia spalancate riflesso nell’acqua ci ricorda che siamo fatti a immagine e somiglianza divina, la stampella non è più tale, si trasforma diventando il bastone regale nel regno di Dio a cui interiormente aspiriamo.

Sento che la definizione migliore di quanto abbiamo vissuto l’ha data Tommaso, che mi ha detto durante un incontro: questa è stata la mia ora di normalità.

 

Un saluto e un ringraziamento a Walter, Tommaso, Khadli, Mauro, Milan, Fausto che ci hanno accolti e che hanno partecipato a tutte le fasi di realizzazione, ai detenuti di cui non ricordiamo il nome che venivano ogni tanto a farci visita, a quanti infine, Comandante, agenti e volontari sono venuti il giorno dell’inaugurazione dell’opera.

 

Notizie flash dal Santa Caterina

 

a cura di Murizio Fabbris

 

Un fondo fantasma finalmente visibile

 

Una strana storia quella del fondo sulle ammende. Presso il ministero della Giustizia esiste un fondo, sotto il capitolo "Cassa delle ammende", nel quale confluiscono i proventi derivanti dalle multe amministrative e dalla vendita di manifatture carcerarie e di corpi di reato. Istituito nel 1932 è destinato, per legge, al sostegno dei detenuti e delle loro famiglie ma gli 80 milioni di euro, tale è l’importo attuale, sono rimasti ‘imprigionati’ nelle maglie della burocrazia, in attesa che venisse completato il regolamento attuativo del Dpr 230 del 30 giugno 2000. Finalmente la situazione si è sbloccata il 18 febbraio e il Cda della Cassa ammende, presieduta da capo del DAP, Giovanni Tenebra, ha approvato due progetti del DAP stesso, attinenti alla sanità penitenziaria per un valore di 3-4 milioni di euro. I progetti possono essere presentati dai Centri di servizio sociale per gli adulti, dagli enti pubblici e privati, dalle fondazioni e dalle associazioni di volontariato.

Da "Vita" del 05 marzo 2004

 

Indultino e legge Bossi-Fini: dati sulla loro applicazione

 

Sono 4.269 i detenuti scarcerati grazie al cosiddetto "indultino": i dati del Ministero sono aggiornati al 31 gennaio scorso. A fine gennaio risultano presenti negli istituti penitenziari 54.919 persone, di cui 52.377 uomini e 2.542 donne. Il Ministero fornisce anche il numero dei detenuti stranieri espulsi in base alla legge Bossi-Fini: sono passati da una media di 20-30 al mese nella prima parte del 2002,a un numero stabilmente superiore ai 70, con punte oltre le 100 unità.

Nell’istituto di Fossano, in questi primi tre mesi dell’anno, sono usciti per l’indultino altri 17 compagni per un totale di 60 dal mese di settembre 2003.

 

Emergenza psicologi nel carcere di Fossano

 

Il servizio di psicologia all’interno del carcere di Fossano è in situazione d’emergenza. Il Ministero di Giustizia ha ridotto i fondi destinati agli psicologi penitenziari, liberi professionisti con cui il D.A.P. stabilisce delle convenzioni. Le due psicologhe in servizio nel nostro Istituto hanno avuto un taglio di circa il 30% sul numero di ore fino a giungere, complessivamente, alle attuali venti mensili per una popolazione di circa 150 detenuti.

In attuazione, inoltre, del D.P.C.M. del 10.04.2002, che prevede il trasferimento delle risorse finanziarie e del personale addetto al presidio tossicodipendenza dal Ministero della Giustizia al Servizio Sanitario Nazionale, l’A.S.L. 17 di Savigliano non ha ancora stipulato convenzioni con psicologi per l’osservazione e il trattamento dei detenuti tossicodipendenti.

 

Un corso su alcool e guida organizzato dal Ser.T.

 

È appena terminato un corso di sei ore organizzato dal Ser.T. sul tema degli effetti prodotti dall’assunzione di alcool e droghe in chi guida e sulla delicata questione del nuovo codice della strada, in particolare sulla patente a punti. Hanno partecipato dodici detenuti che hanno trovato le lezioni molto istruttive in quanto nessuno conosceva le nuove norme del regolamento stradale. Per esperienza personale, posso dire che in Germania ci sono molto meno incidenti stradali causati dall’alcool e dalle sostanze stupefacenti in quanto esiste un capillare controllo da parte delle forze di polizia, con relativi strumenti di rilevazione. Al venerdì e al sabato quelli che decidono di andare a divertirsi in qualche locale usano i taxi o si fanno accompagnare da qualche amico astemio o vanno a piedi.

 

Lavoro esterno presso il Comune di Fossano

 

Due nostri compagni hanno ottenuto il beneficio concesso dal Direttore con l’art. 21 O.P. e da metà marzo lavorano all’esterno per tutto il giorno, rientrando in carcere alla sera. In applicazione della L.R. n. 45 che stanzia annualmente dei fondi per i carcerati e il loro inserimento nella società, il Comune offre un’attività lavorativa nel settore della manutenzione delle aree verdi cittadine della durata di circa 10 mesi.

 

Volontari

 

Si sono aggiunti al gruppo teatrale interno due nuovi ragazzi volontari, Giorgio e Luca che fanno parte della comunità di Padre Gasparino di Cuneo. Li ringraziamo per la loro amicizia e disponibilità a vivere quest’esperienza umana di arricchimento reciproco.

 

Servizi di "Telegranda" sul carcere di Fossano

 

Il giorno 22 gennaio, Telegranda, l’emittente locale della provincia di Cuneo, è venuta per un nuovo servizio, trasmesso regolarmente nel corso dei telegiornali e di AssoTg, rubrica di informazione sul volontariato. L’intervistatrice Erika, diventata ormai una nostra amica per essere già stata varie volte tra noi e l’operatore Bruno hanno realizzato un servizio incentrato su alcune nostre iniziative quali, in particolare, il numero di gennaio de "La rondine" e sull’originale collaborazione artistica e umana tra alcune persone detenute e ragazzi portatori di handicap dell’Associazione Papa Giovanni che insieme hanno realizzato un quadro.

 

Novità per "La Rondine": nuova redazione e sito internet

 

Si è inaugurato il 15 marzo il nuovo locale al terzo piano dove ha sede la redazione del nostro giornale. Oltre al normale arredo è arrivato un nuovo computer, corredato di stampante, scanner e un fotocopiatore. Così la redazione può avviare i primi passi verso una maggiore autonomia operativa. Inoltre "La Rondine" può essere visionata anche sul sito Internet www.ristretti.it., coordinamento nazionale dei giornali carcerari. Ringraziamo per il concreto sostegno che abbiamo ricevuto fuori e dentro il carcere e che rappresenta uno stimolo ad andare avanti nel nostro lavoro, aperti alle nuove possibilità che ci vengono offerte.

 

Grazie Walter

 

Martedì 16 marzo un altro compagno ha potuto usufruire dell’indultino ed essere nuovamente un uomo libero sebbene con l’osservanza di alcune disposizioni. Faceva parte della nostra redazione a cui ha dato una fondamentale impronta da professionista del settore e collaborava settimanalmente al giornale locale "La Fedeltà" con articoli interessanti. Ha partecipato anche al gruppo musico-teatrale ed è stato uno dei promotori dell’ultimo spettacolo. Grazie Walter! Ti auguriamo che con la libertà acquistata tu continui nel tuo percorso di rinascita umana.

 

Lettera per un’amica

 

di Claudio

 

Ciao Maria, mi permetto scriverti questa lettera perché ho piena fiducia in te e ti voglio bene come se fossi una sorella, la tua disponibilità mi dà una carica morale e fisica che mi permette di far fronte alla mia attuale situazione critica che di giorno in giorno diventa sempre più pesante. Anche se in passato ho toccato con mano il fondo della mia debolezza posso anch’io esclamare con gioia che i lunghi colloqui con te, Maria mi hanno salvato tirandomi fuori dalle mie esperienze negative.

Pensavo di essere ripudiato e messo da parte, invece ho constatato con gioia che mi hai aiutato con molta bontà anche se capisco che non è tutto perché il passo più grande lo devo ancora fare: perdonare me stesso.

A volte mi sembra di vivere in mondo di sogni e alterno momenti di grande gioia, mai provata in vita mia, a momenti di sconforto.

Credo di non avere avuto la fortuna di avere la fiducia della mia famiglia, escluso mia madre, per cui spesso mi domando fino a che punto posso essere io responsabile.

Ed ora, cara Maria, consentimi di passare ad un altro discorso diverso; credevo di non tornarci più ma ho subito un altro duro colpo che mi ha buttato in uno stato di angoscia e di dolore. Cosa vuoi è la natura umana che si difende da questi sentimenti perché offesa nel più intimo. Al mio rientro ho avuto una sorpresa molto amara ed umiliante che mi ha scioccato tanto perché credevo in persone che però, in quel momento, ho sentito lontane. I miei familiari mi prendevano in giro per cui era una sofferenza continua nel vederli lontani, senza fiducia, anche se in cuor mio dovevo ascoltarli ed ascoltarvi per vivere un’esistenza più serena. Volevo gridare della mia stupenda esperienza e fare provare la gioia senza pari ma trovavo un muro di resistenza per cui ho creduto limitarmi alla lontananza. La mia decisione rinnega ricordi e immagini di un passato che sto per seppellire per sempre, in vista di una vita più serena.

È stata una sofferenza, è vero, ma è valsa la pena; non più dubbi o desideri di farla finita perché ora sono felice. Chi non ha provato non può capire la bellezza di aver toccato il fondo e di essere risaliti!

Non più rimpianti e rancori; perdono coloro che mi hanno sfruttato e considerato non una creatura umana, ma un essere deplorevole degno solo di disprezzo.

Maria, grazie della tua disponibilità che mi offri, farò tesoro di tutti i tuoi aiuti e consigli; ho bisogno di dialogare ma con persone adatte, in grado cioè di capire i miei problemi. Grazie Maria.

 

Quando la fiducia negli altri viene meno

 

Riflessione di in detenuto "schiacciato" dagli eventi

 

Spesso ci si trova a combattere un conflitto. Non è una guerra etnica o religiosa; è un conflitto impari perché il nemico è il proprio io. È difficile combattere contro se stessi ed è praticamente impossibile vincere. Realmente il o i responsabile/i di queste guerre mai sapranno di aver generato un conflitto, continueranno a vivere la propria vita probabilmente generando altri conflitti senza mai preoccuparsi, continueranno a calpestare e distruggere fiori e alberi, continueranno ad inquinare intossicando i loro stessi figli. Persone che prendono senza chiedere, come se tutto fosse loro dovuto, senza pensare che certe azioni potrebbero devastare chi ha avuto la sfortuna di incrociare la loro disgraziata strada. Persone che non hanno nessun rispetto per la vita altrui e probabilmente neanche per la propria, decidono anche per gli altri e li fanno diventano oggetti di piacere a loro uso e consumo. Spesso resta all’interno di questi sfruttati un conflitto, spesso non distinguono più cosa sia il bene o il male, restano confusi e diffidenti.

Quando una persona si avvicina, la prima cosa che si chiedono è perché lo fa, che cosa vuole. La soluzione più facile e più pratica è isolarsi, sapere di poter contare solo su se stessi; si paga il prezzo della solitudine ma si ha la certezza che mai più nessuno potrà farti del male. Comunque dentro di te il conflitto resta, le due fazioni continuano a combattere fino a raggiungere un’inconsapevole pace coatta. Penso che alcune persone vivano un tempo che non è il loro, uomini che sarebbero stati più a loro agio con i neanderthal e che chissà per quale maleficio sono stati catapultati nel nostro tempo. La sfortuna ha fatto sì che a me di questi s… ne capitassero due. Mi domando: non si poteva catapultarne uno un tantino più lontano da dove ero io?

No, tutti e due vicino a me dovevano essere catapultati! Dicono che il tempo cancelli tutto: c…, il tempo è solo scandito da lancette di un orologio, dalla meridiana; la memoria, il cervello non hanno niente a che fare con questi ingranaggi. Il tempo è solo qualcosa che avanza e lascia profonde rughe, fatte per ricordarti che il tuo tempo sta passando inesorabilmente su te e su tutti i tuoi malesseri o benesseri. Comunque non sarà il tempo a cancellare le cicatrici che, spesso, chi ti circonda non vede e non vedrà mai. Tutto questo può sembrare piuttosto tragico considerando lo spirito di sopravvivenza che ogni essere vivente ha. A volte, il fardello che uno si porta dietro con il tempo va attenuandosi, altre volte va ad accentuarsi, spesso si fa di tutto per rendersi il più invisibili possibile. Ho letto una frase che diceva così: "O si fa di tutto per vivere o si fa di tutto per morire". Ci sono giorni che sprizzo vitalità da tutti i pori, altri in cui mi sento una ‘merda’ che tutti calpestano…

 

Nessuna guerra in nome di Dio

 

"Il Corano non richiede di convertire con le armi"

 

Il discorso religioso accompagna da sempre il nostro cammino nella vita spirituale e la fede, qualunque essa sia, è basata sull’uguaglianza, la giustizia, la pace che, nonostante i progressi umani, sembrano essersi smarriti in questi ultimi anni, da quando non ci stupiamo più di sentire di guerre, attentati…, come l’ultimo di Madrid, rivendicato da Al Qaeda. La cosa che stupisce è che tutti questi attentati, l’11 settembre, la strage di Casablanca, non sono serviti a nulla, non distinguono tra militari, donne, bambini e colpiscono tutti per il solo fatto di essere cittadini di un paese che sta "dall’altra parte". Tutti gli attentati che ci sono stati sono serviti alla causa palestinese? Così pure, a che cosa serve aver ucciso l’imam Yassin?

Tutto si fa nel nome di Dio ma Dio non ha bisogno di qualcuno nel nome della guerra santa contro l’infedele. Se torniamo all’epoca del profeta Muhamed non era così, come è scritto nel Corano "…Combattete contro quelli che non credono in Dio, né nella vita eterna e che non considerano proibito quel che proibisce Dio e il suo apostolo e che non professano la religione della verità, ossia coloro ai quali è stato dato il libro, finché non paghino il tributo individualmente, con umiliazione…" (Sura: Toubà versetto 29). In questo versetto coranico Dio ordina al credente di combattere ma di non obbligare nessuno ad entrare nella fede. Al tempo del Profeta, i suoi guerrieri chiedevano agli abitanti di un villaggio conquistato se volevano diventare islamici; se non accettavano, dovevano solamente pagare un tributo.

L’islam fin dalla nascita è stato contro la guerra e lo vediamo quando Ali ibn Abi Taleb, nipote di Muhamed, lascia la sua eredità come Principe dei credenti nella battaglia di Saffine. L’islam è stata sempre una religione di pace, di fraternità e di perdono.

La guerra non è mai stata una soluzione verso un mondo migliore, al contrario porta con sé solo la rovina e la miseria. Perciò, finché viviamo, abbiamo sempre la speranza in un mondo senza guerre e senza battaglie religiose, basta che siamo tutti credenti nell’unico nostro creatore: Dio.

 

 

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