Piano di fuga

 

Piano di fuga

 

Periodico di informazione della Casa circondariale di Lecce

 

Anno 6, numero 2, aprile 2005

 

 

Se qualcuno mi chiedesse…

 

di don Gigi

 

“… Che cosa, nella tua lunga esperienza di carcere, ha colpito di più il tuo  cuore e la tua mente?”, non avrei esitazione a rispondere: “Il volto dei parenti, quando vengono a colloquio, in attesa di essere ammessi all’interno o, peggio ancora, quando escono e vanno via, dopo il colloquio”. Non sono pittore né scrittore, ma ho dentro una sensazione difficilmente comunicabile, che mi mortifica tutte le volte che assisto a certe scene.

Non ho fatto l’abitudine ai volti tirati dei genitori, alle lacrime asciugate in fretta dalle mogli, alle grida dei bambini che fanno capricci perché forse vorrebbero rimanere ancora un poco con papà. Ma tant’è…! Quali sono, allora, i sentimenti che tumultuano nel cuore di queste persone? Perché è vero che il carcere punisce i colpevoli ma, nello stesso tempo, in questi casi, senza poterci fare niente, punisce anche gli innocenti.

I genitori, che lasciano dietro le sbarre il proprio figlio, che deve stare lì per un certo tempo, si chiedono: “Dove ho sbagliato nell’educare questo figlio?”. Vedono crollare tutte le speranze, le aspettative, i desideri di madre e padre che, per il figlio, hanno sempre aspirato al meglio, vedono crollare tutto un mondo, dinanzi alla condanna che la società ha inflitto in nome della giustizia e del diritto. “Non gli ho fatto mancare mai niente”, mi diceva una volta una mamma, ed ora, pur di continuare a dargli una certa cifra mensile, si priva di tante cose necessarie!

Quante mogli coraggiose, che sanno rimanere fedeli nell’attesa, si prodigano nella piccola-grande premura del “pacco settimanale, delle robe che profumano di casa, in attesa del piccolo gesto affettuoso”, magari rubato con la compiacenza serena e comprensiva dell’agente di turno… affrontando un lungo viaggio, un’attesa snervante, il disagio della perquisizione, il tempo del colloquio, che sembra sempre troppo breve, e tante altre difficoltà di ordine più morale che materiale…

Ci sono anche altre mogli, che non resistono all’usura del tempo e avvertono dentro che non ce la fanno più a continuare quel rapporto, perché è crollato un mito, un amore, un progetto di vita. E i figli, specialmente piccoli, che non capiscono perché papà deve rimanere lì, che non può venire a casa con loro, perché “deve ancora lavorare molto (gli si dice) così può mandare tanti soldi a casa…!!!

E quante altre considerazioni vengono alla mente e al cuore di chi, non con animo distratto, ha a che fare ogni giorno con il mondo del carcere che, pur nel suo necessario regolamento, resta incomprensibile per il fatto che è l’unico sistema riconosciuto dalla società come coercitivo. Ci fosse, almeno per alcuni, la possibilità di un’alternativa, che favorisca più velocemente e meno drasticamente un certo reinserimento.

È la mia solita utopia…??? Però, attenzione: la parola utopia significa “buon luogo (Eu-topia) che ancora non c’è”, non soffocamento di buone intenzioni…!!!

 

 

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