Effata n° 3

 

Effatà

Organo di informazione e strumento di dialogo

dell’Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Reggio Emilia

numero 3/2004, giugno – luglio – agosto 2004

 

Sovente l’Opg ospita in visita giovani delle scuole o di organizzazioni in qualche modo impegnate nel sociale. Non sempre a queste visite segue uno scritto di saluto o meglio ancora di osservazioni…, impressioni…, questa volta è avvenuto e ne siamo lieti e riconoscenti… sino a trarne lo spunto per una serie di riflessioni.

 

Sommario

Lo scrigno dell’infelicità

Dolore e gioia...

Un giorno come un altro

Un mostro giuridico… la proroga

La sessualità in O.p.g.

La lettera dei ragazzi:

 

Lo scrigno dell’infelicità

 

V^b Igea ITC L. Einaudi, Correggio

Il 25 novembre scorso la nostra classe fa visita ai detenuti (internati) dell’O.p.g. di Reggio Emilia. Giunti alla meta, tutti i ragazzi hanno gli occhi spalancati e puntati verso quel immenso edificio.

Sono accompagnati ad un punto d’incontro attraverso un corridoio silenzioso con ai lati delle porte verdi blindate che danno la netta sensazione che dietro c’è qualcuno timidamente nascosto. Quello che in realtà vedono, invece, è la parte migliore dell’O.p.g., definito ospedale ma che è un carcere vero e proprio. I pazienti non danno l’impressione di far parte della realtà, hanno voglia di parlare, sognare e dare dei consigli.

Un detenuto (internato) rimasto a lungo in silenzio, prende la parola e raccomanda ai ragazzi di preservare la vita, di non far differenza tra droghe leggere e pesanti e di non farne uso. La visita continua con trenta ragazzi che, a gruppi di tre, fanno irruzione, affamati d’informazioni, nell’alloggio di un detenuto (internato). La situazione non è delle migliori, in più la cella non è vuota. C’è il padrone di casa!

È veramente squallido, uno stanzino stretto, cupo e gelido che racchiude la paura, la solitudine e il disagio di un essere umano come un carillon che quando si apre anziché musica sprigiona tristezza e desolazione. Ancor più triste è che in quel carillon non c’è una perlata e leggiadra ballerina ma un distrutto e malato essere umano, che li guarda tremolante e forse non capisce neppure cosa stanno facendo. Quest’esperienza ha fatto capire ai ragazzi che non bisogna negare a nessuno un po’ d’affetto e che ogni piccola azione influisce fortemente su coloro che ci stanno vicino e su noi stessi. (sommario)

 

 

Riflessione & non solo 1

 

Dolore e gioia, l’essere e il divenire e tante altre cose

 

Gianfranco Dreolini & Michele Pontiggia

Rispondiamo ai ragazzi che hanno reso visita all’O.p.g. ed illustriamo brevemente il nostro punto di vista che è quello di due persone che mai in precedenza nella loro vita, e parliamo in un caso sino alla soglia dei 30 anni, nell’altro sino ai 45, hanno avuto esperienze con la giustizia e si sono trovati, al culmine di una malattia che coinvolge tutta la persona, nell’anima e nel corpo, in quest’O.p.g., e devono scontare un periodo di degenza che per chi lo riguarda e sempre troppo lungo.

Ebbene, possiamo comprendere lo stupore nel vedere l’edificio e la sua struttura interna, che indubbiamente sa di restrizione e sofferenza e se noi che scriviamo avessimo visitato un O.p.g. all’età in cui si è maggiormente spensierati e vogliosi di aggredire con entusiasmo la vita per coglierla nella sua bellezza, con ogni probabilità avremmo avuto lo stesso senso di disagio che vi ha colpito, perché l’animo umano tende sempre al bello e alla ricerca estetica della perfezione. È un istinto primordiale, che fa rimuovere il dolore e la sofferenza, cercando di non volerli vedere nei luoghi dove si manifestano.

Crescendo, la persona umana convive sempre di più con il dolore e sa che questo è parte integrante della vita e va affrontato con il coraggio e la maturità che ognuno di noi acquisisce con l’esperienza.

In O.p.g., superato l’impatto iniziale, ci sono non un mondo, ma tanti mondi quanti sono i ricoverati, poi che la malattia psichica è unica, anche se i sintomi sono gli stessi, poi che sconvolge per un attimo, e che attimo! … la vita di un uomo.

Occorre scavare in profondità, raccogliere le forze, dare un senso ai giorni che passano, nella tristezza, questa si, di quattro mura strette condivise a volte con un amico, a volte con un estraneo, a volte ancora con una persona che sta male e alla quale bisogna dare aiuto e comprensione. Noi stessi alcune volte ci domandiamo qual è il senso dei giorni passati in O.p.g., ora che siamo curati, stiamo bene, non siamo in preda alla disperazione e alla solitudine in cui ti costringe la depressione, e la risposta che ci diamo non è mai scontata.

Nel nostro caso viviamo chi per i propri figli, che aspettano il ritorno a casa del loro padre, chi nel sogno di un futuro migliore del passato e sognare non significa estraniarsi dalla realtà, ma coltivare la speranza, che non deve mai venire meno, qui in O.p.g., come fuori. Purtroppo ogni tanto qualcuno non ce la fa, viene schiacciato dalla croce che si trova a portare e cede.

Si potrebbero dire tante cose, noi preferiamo il silenzio rispettoso, certi che qualcuno lassù ci giudicherà con la magnanimità del Padre verso i figli. Dicevamo sopra dei mondi che convivono in O.p.g. Accanto a chi sta male e attraversa un periodo brutto della propria vita, c’è chi sta intraprendendo un cammino di recupero. Lo fa seguendo dei corsi scolastici e non, lavorando come scopino, magazziniere, cuoco e addetto all’Ufficio spesa.

Queste sono due facce di una stessa medaglia, o se preferite le mani di un solo corpo. Entrambe coesistono e stanno insieme, sono parte del tutto. Appunto, il dolore e la gioia, la malattia nel suo culmine, e la ritrovata salute, l’essere e il divenire (sommario)

 

 

Riflessione & non solo 2

 

Un giorno come un altro: oggi è un sabato di giugno

 

di Lorenzo Clò

Un sabato caldo e noioso, come tanti altri. Anzi, no. Qualcosa di nuovo c’è. A Maurizio è arrivato la carta. Licenza finale. Se ne va a casa, finalmente. La vita ricomincia. Non lo sentiremo più borbottare frasi incomprensibili, e nemmeno chiedere l’ennesima sigaretta. Quando qualcuno se ne va, il nostro animo si riempie di emozioni contraddittorie. Rabbia, perché vorremmo essere noi al suo posto. Speranza, perché se lui ce l’ha fatta, possiamo farcela anche noi. Desiderio, perché chi non lo ha mai provato, non può capire cosa significhi il desiderio di libertà. È come rinascere una seconda volta, dopo aver provato la morte in vita. Se c’è una cosa che può insegnarci questa esperienza, è il valore inestimabile del vivere liberi, e di apprezzare la vita in tutti i suoi aspetti, anche i più piccoli e apparentemente insignificanti. Quando per anni si è fissato il muro di una cella, obbligandoti a pensare, il vivere assume un altro significato, più profondo. La prospettiva è diversa, perché diverso è l’osservatore. Noi qui siamo fermi, e il tempo è come sospeso. Fuori, invece, il mondo corre, e non sempre sa dove va. (sommario)

 

 

Riflessione & opinioni & proposta & non solo 3

 

Un mostro giuridico… la proroga

 

di Lorenzo Clò

Tutti sappiamo, purtroppo, cos’è la proroga, ovvero la famigerata stecca

È quel meccanismo perverso per cui una misura di sicurezza si trasforma in una condanna sine die, cioè senza una fine certa. Per alcuni diventa un ergastolo in bianco. Per molti che devono scontare due anni, c’è praticamente la certezza che gli anni saranno almeno quattro o cinque.

Qualcuno, un certo Stefano, tanto per non fare nomi, si è fatto 22 anni. Secondo il diritto, la pena deve essere certa, ovvero precisamente determinata nella sua durata. Come è possibile che si arrivi a queste mostruosità? Secondo uno psichiatra che ho interpellato, un prosciolto non può essere liberato finché non sia accertato che la sua pericolosità sociale è scomparsa.

E su questo siamo tutti d’accordo. Nessuno vuole liberare nel territorio elementi socialmente pericolosi. Ma io rovescio la questione: quanti elementi non pericolosi oggi sono detenuti, proroga dopo proroga, magari perché i servizi sociali non si attivano, o perché non c’è posto nella struttura che li dovrebbe accogliere, o perché la loro famiglia non li vuole, o per stupidi ritardi burocratici?

Non è questo un sequestro di persona,a tutti gli effetti? Sulla pelle di molti ricoverati si consuma una continua violazione dei più elementari diritti della persona, primo fra tutti quello della libertà.

Mi permetto di dare un suggerimento per una modifica della legge sui prosciolti: i provvedimenti del Magistrato di sorveglianza dovrebbero avere carattere esecutivo e vincolante, ovvero costringere gli operatori del territorio ad attivarsi nel reperire un posto al ricoverato che ha terminato la sua pena. Altrimenti il ricoverato sarà liberato sul territorio, sotto la responsabilità giuridica dei Servizi sociali.

È ora di finire questo indegno scaricabarile tra O.p.g., Servizi sociali, strutture varie, Asl, comunità, psichiatri, educatori e quant’altro. Un gioco perverso in cui chi perde è solo uno: il ricoverato. (sommario)

 

 

Riflessioni & opinioni & non solo 4

 

La sessualità in O.p.g.

 

di Lorenzo Clò

Tutti sappiamo che l’uomo e la donna possiedono un naturale istinto

che li spinge verso l’accoppiamento.

Questo istinto sessuale è alla base della sopravvivenza della specie umana, come di ogni altra specie animale. Solo in questo modo possiamo trasmettere i nostri geni e assicurare una discendenza al genere homo sapiens.

Nel nostro Paese, quando una persona finisce reclusa o internata, perde, tra tutte le altre cose, la possibilità di avere rapporti eterosessuali, ovvero con partner dell’altro sesso. Le uniche possibilità concesse, non esplicitamente ma per forza di cose, sono l’omosessualità e l’autoerotismo, cioè la masturbazione.

La legge attuale non si occupa della sfera sessuale dei detenuti (de minimis non curat praetor) ammettendo implicitamente che la rinuncia al sesso è una parte della condanna che il detenuto deve scontare. Il detenuto, e l’internato, semplicemente, non hanno diritto ad avere una vita sessuale normale.

La verità, non detta, ovvero la vox populi sostenuta dalla opinione pubblica corrente è più o meno questa: "Hanno ucciso, hanno rubato, si sono drogati, hanno fatto del male, quindi niente sesso: ci mancherebbe che le carceri diventassero alberghi ad ore". Si capisce. La pubblica opinione italiana, sempre pronta al facile moralismo di facciata, si schiera a fianco del legislatore più bacchettone ed intransigente. Salvo poi, riposta la maschera del perbenismo d’ordinanza, alimentare l’enorme giro della prostituzione illegale.

Se le nostre strade, di notte, pullulano di prostitute, viados, trans e persino bambini ci sarà pure qualcuno che ci va (e non sono pochi). Questo parallelismo tra il problema della prostituzione, mai veramente risolto in Italia. e la situazione dei detenuti non è casuale. Sono ambedue argomenti scomodi, argomenti sporchi, verrebbe da dire. E di fronte ai quali la legge e la politica si dimostrano impotenti. La repressione non è la soluzione del problema. L’istinto sessuale è primario e insopprimibile, come ho ricordato all’inizio. La cultura dominante e l’educazione diffusa risentono fortemente della sessuofobia cattolica, sia a destra che a sinistra. E così il problema, buttato fuori dalla porta, rientra dalla finestra.

In altri Paesi, sicuramente più pragmatici e civili del nostro, è previsto che i detenuti possano avere colloqui intimi con i propri partners. Una sorta di ora d’amore, oltre all’ora d’aria. Questo scambio affettivo è importantissimo per l’equilibrio psicologico della persona ristretta. E, cosa molto importante, ne riduce l’aggressività, favorisce la risocializzazione e diminuisce l’aspetto più nefasto della vita da recluso: l’alienazione, il ripiegamento in se stessi.

In attesa che l’Italia si accorga che è necessario affrontare i problemi scomodi con sano realismo, e non sempre assecondare il perbenismo nella sua versione più rozza per tornaconto elettorale, le carceri e gli O.p.g. continuano ad essere regno di Sodoma e di Onan.

A proposito, troverete senz’altro qualche psichiatra che vi dirà che l’omosessualità carceraria è normale. Ditegli, con molto tatto, di donare la sua intimità posteriore al primo che passa, e di sperimentare di persona quella normalità che fa tanto progressista.

Mi permetto un ultima osservazione. In questo O.p.g. è vietata la stampa per adulti, quella pornografica per intenderci, a differenza di ciò che avviene in altre carceri, come quello di Bologna.

È una norma assurda e insensata. Forse il malato psichico, rispetto al detenuto, viene considerato una sorta di minus habens, che non ha nemmeno il diritto di masturbarsi? (sommario)

 

 

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