L'Alba

 

L’Alba

mensile di pensieri in libertà della C.C. di Ivrea

 

 

numero febbraio 2004

 

Editoriale

Le parole che non si dicono

Grazie

Il piccolo miracolo

L’arrivo a Ivrea

Il mio primo giorno in carcere

Il silenzio di un Padre

Una promessa da mantenere

Riflessioni di una volontaria

Ritorno a vivere

"Vis a vis"

Editoriale

 

La redazione

 

Cari lettori de L’Alba,

anche questo mese è stato un successo, ci sono arrivate molte lettere di congratulazioni. Che dirvi, ringraziarvi ci sembra molto poco, purtroppo non possiamo fare più di quello che fino ad oggi abbiamo fatto, anche se ci stiamo organizzando per fare meglio.

In questa edizione troverete le pagine più ricche di emozioni. Un viaggio itinerante in esperienze reali che hanno donato emozioni, siamo convinti sapranno coinvolgere anche voi con il cuore e l’anima: noi è su questi presupposti che basiamo i nostri articoli "la realtà", e ci sembra doveroso tramite le pagine de L’Alba farvi questo regalo.

È questo che ci arricchisce, ci incoraggia e ci da lo stimolo per andare avanti malgrado le mille difficoltà. Un ringraziamento va all’Assistente volontaria Prof.ssa Mariella Ottimo, che ci ha regalato il suo primo articolo per L’alba, questo per noi "redattori" è stato molto bello.

Ci auguriamo che anche voi lettori la pensiate come noi.

Le parole che non si dicono

 

Roberto M.

 

È difficile trovare le parole giuste per ringraziarti e, soprattutto, per chiederti perdono per tutti i guai e problemi che ti ho causato in questi anni in cui sono venuto a mancare come marito prima, e padre successivamente. Penso e ripenso per trovare i termini più corretti per esprimerti quello che il mio cuore oggi mi detta, ma in realtà, non servono dei grandi discorsi, non servono paroloni, quello che voglio dirti è semplice: perdonami e grazie!

Perdonami per i guai che hai e che stai ancora oggi passando.

Perdonami per non essere maturato prima, per non avere capito uno dei valori più importanti della vita: la famiglia!

Perdonami per non avere percepito e capito l’amore che tu in continuazione mi trasmettevi.

Grazie perché la tua pazienza è riuscita a sopportare tutto il male che ho fatto.

Grazie per essermi stata sempre accanto, per avermi capito e sostenuto in questi anni.

Grazie per non aver fatto mancare la figura di padre a nostro figlio, continuandogli a parlare di me e rendendomi partecipe nonché presente, anche quando non ero lì con voi.

Grazie, per tutto l’amore che mi hai dato; è stata la cura migliore che mi ha consentito di capire e di cambiare.

Un ringraziamento anche al buon Dio, il quale mi ha aperto gli occhi, e mi ha aiutato a capire tutto il male che ho fatto.

Grazie tesoro, grazie di vero cuore, ma soprattutto grazie di esistere!!!

 

Dedicato con amore a Teresa; unica, insostituibile ed adorata moglie.

Grazie

 

Alfio Garozzo

 

Caro Roberto, vorrei cogliere questa occasione per ringraziarti delle tue bellissime risposte alle mie domande sul tuo angolo della fede; ma soprattutto vorrei ringraziarti per il pensiero che hai avuto nei miei confronti per Natale.

Il tuo gesto mi ha lasciato senza parole, non tanto per il tuo regalo, quanto per il tuo bigliettino di auguri e il suo contenuto scritto per me è per i miei figli. Lo custodisco preziosamente, non puoi immaginare quel tuo biglietto quante battaglie ha fatto scoppiare dentro me, quanti ricordi, quante emozione ha provocato!

Il pensiero ancora oggi mi fa tanto rivivere quello che mi ostinavo a voler dimenticare, il gesto che costava poco a tanti, a molti a me cari, soprattutto a molti miei famigliari (esclusa mia mamma che si ricorda sempre di me, e dei pochi che mi sono vicino) ma credo che sia parecchio normale per tutti noi.

Forse per me che mi faccio sopraffare da quella che è l’evidenza dei fatti, è un po’ più difficile sopportare tali ricordi! Non so se dare molto peso a delle cose così materiali, ma sta di fatto che l’estrema certezza di quello che ognuno di noi ha fatto nella vita, eppure anche quel poco di buono che si e fatto, nei momenti in cui quasi pretendi di essere ricordato questo non avviene…

Superfluo dire altro, o aggiungere di più, l’evidenza è indiscutibile, ripensarla può solo far male, ma quello che voglio dirti e solo che il tuo gesto per me rimane sempre e indiscutibilmente prezioso. E per questo ti ringrazio, come ti ringrazio per le tue risposte che personalmente so che provengono dal profondo del tuo cuore.

Non voglio essere ostile o ribattere su certi miei concetti e precise convinzioni sulla religione, ho le mie convinzioni dettate della cruda realtà e non credo di cambiarle mai. Posso dire a malincuore, che giorno dopo giorno la mia convinzione cresce sempre di più rafforzando il mio credo, quello di credere sempre più nelle persone ma non nelle favole!!!

Vivo la vita con estrema certezza è sicurezza di quello che oggi è il mio presente, e quello che sarà il mio futuro domani, non voglio distogliermi da quella che è la realtà, per me oggi, la realtà è quella che vedo, che tocco, che giorno dopo giorno mi allontana sempre più dai miei figli.

Non dico che questo sia Dio a volerlo, ma non credo neanche che Dio faccia molto per me. Così la sua indifferenza diventa la mia indifferenza: credo fermamente sia inutile chiedere aiuto a qualcuno che non possa aiutarti, o non voglia aiutarti.

Sono comunque convinto e questo grazie anche a te, alle tue bellissime parole espresse in quelle poche righe di biglietto d’auguri che mi hai donato per natale, che esistono persone al mondo capaci veramente di volerti aiutare, e questo mi fa ricredere su tanti punti di vista che personalmente avevo.

Mi auguro, per me, per te, per tutti noi, ma soprattutto per i miei figli, che una di queste persone possa essere il Magistrato di Sorveglianza e che possa in un prossimo futuro donarmi e donarci quello che tu mi ai augurato!!!

Grazie.

Il piccolo miracolo

 

Cosimo Cirfeta

 

Il 23 Novembre 2002 si è verificato un fatto molto importante per tutta la comunità carceraria della Casa Circondariale di San Remo: sette detenuti hanno chiesto ed ottenuto un permesso premio ai sensi dell’art. 30 ter O.P. per recarsi presso la Casa di riposo comunale per anziani a Poggio San Remo "Casa Serena" per fare un concerto organizzato ed interpretato dai detenuti del padiglione Z.

Questa iniziativa nasce da un più ampio progetto denominato "Odissea" che per circa 2 anni ho portato avanti unitamente ai miei compagni di detenzione. Tale progetto prevede diverse iniziative di carattere artistico culturale, sociale, e di reinserimento, attraverso un percorso di autocritica soggettiva e collettiva che porti ad un integrazione sociale anche attraverso l’attenzione per le categorie di persone deboli: come per esempio gli anziani con i quali abbiamo chiesto di trascorrere una giornata, giornata che è stata indimenticabile per intensità emotiva ed arricchimento interiore.

Abbiamo toccato con mano i veri valori della vita, l’amore, l’amicizia, il fare anche una piccola cosa come può essere cantare e suonare per 180 anziani ospiti di Casa Serena, questo è stato un mezzo che ha unito persone agli antipodi, provate dalla vita.

I preparativi sono stati frenetici, le prove un crescendo arricchirsi fra di noi che viviamo la stessa realtà restrittiva, man mano che vedevamo avvicinarsi il momento l’emozione era sempre più incontenibile. Sensazioni difficili da descrivere a parole sono state elargite da questa giornata sin dal suo inizio, uscire dalla sezione, i cancelli che si aprivano al nostro passaggio, giungere all’esterno e trovare Padre Federigo Uboldi e la Dott.ssa Rossana Guazzotti, la mia adorata psicologa (che è stata la prima a credere e combattere con noi contro i famosi e noti pregiudizi, preconcetti etc… etc…), con il nostro amico Franco ed altre due persone che ci hanno messo a disposizione un furgone e due macchine per poter raggiungere Casa Serena, è stata un’emozione molto forte.

Il viaggio verso San Remo per raggiungere il Commissariato di Polizia è stato bellissimo, il cielo e il mare avevano una luce diversa. Raggiunta Casa Serena e vedere tanti anziani attenti al nostro scaricare gli strumenti e preparare il palco per il concerto del pomeriggio, è stata un’emozione multiforme, molto forte.

Già durante le prove, molti ospiti di Casa Serena si sono piazzati in prima fila per ascoltare, il loro sguardi amorevoli mi hanno tanto fatto pensare a quanta vita sprecata, quante brutture vissute, quanta distanza dal vero valore della vita, dal vero amore che un dolce sguardo di un’anziana donna può dare, quanta assurda distanza dalle cose semplici della vita che sanno dare tanto amore e felicità.

All’ingresso della grande sala troneggiava un bellissimo e coloratissimo cartello gigante con su scritto "Oggi la Casa Circondariale di San Remo offrirà un concerto a tutti gli ospiti di Casa Serena".

L’inizio del concerto è stato molto emozionante, Tele Imperia ha seguito l’avvenimento, la prima canzone del repertorio, composto tutto da canzoni scritte e musicate da me, è stata quella che ho dedicato a mio figlio volato in cielo il 12 Maggio del 2002.

Quello che è stato bellissimo, era dovuto al fatto che la musica, riusciva con il suo fascinoso mistero, ad unire in emozioni forti tante persone insieme attraverso sensazioni indescrivibili a parole, persone agli antipodi, persone che fino a poco prima non si conoscevano, questo ci ha riempito il cuore di gioia e felicità.

Non abbiamo avuto nessun disagio a dare e ricevere amore, emozioni, brividi, sensazioni forti, vere che ci hanno fatto sentire vivi. Uomini. Persone come gli altri. A sera il rientro è stato molto triste, ma pieno di fiducia, eravamo più ricchi di emozioni sentite con il cuore e trasmesse direttamente all’anima.

Ah!!! Dimenticavo, sono rimasto molto colpito dall’humour della Polizia: prima del rientro in istituto siamo passati tutti e sette insieme ad apporre il visto di presentazione, io mi sono preso i fogli del permesso di tutti per fare presto perché erano le 20:30 e per le 21:00 dovevamo essere dentro le mura, li ho passati al poliziotto di turno che con viso sospettoso e indagante mi ha detto: "quanti siete?". Io ho detto sette, e lui, "sette! Ma che hanno aperto le gabbie?". È stato piacevole sentirsi definire, anche se scherzosamente, quasi una scimmia.

Personalmente è stata una emozione multipla, suonavo e cantavo con i miei compagni per delle persone che comunque vivevano un disagio che quando è buono regala solo gli acciacchi dell’età, quando non l’abbandono da parte dei propri cari. Io avevo esaudito due miei grandi desideri, donare delle emozioni attraverso le mie canzoni , la mia musica, farlo per tante persone, davanti a quel pubblico così speciale è stato il no plus ultra, festeggiavo altresì il mio compleanno con loro, con delle persone molto speciali.

Per la prima volta dopo tanti anni riuscivo a respirare aria libera, senza sbarre, serrature e cancelli. Ho girato molti istituti , d’elite e non, ma è per me doveroso segnalare la sensibilità in primis del Magistrato di Sorveglianza di Genova Dr. Paolo Viarengo e del direttore dell’istituto Dr. Francesco Frontirrè che unitamente a tutta l’equipe trattamentale, ossia il pedagogista Dr. Filippo Paternò, Padre Federigo Uboldi e la nostra Psicologa , Dr.ssa Rossana Guazzotti, hanno creduto al progetto e grazie alla loro sensibilità è stato possibile realizzare "Il Piccolo Miracolo", conquistando, per quanto mi riguarda, il primo posto nella classifica professionalità, hanno reso della sensibilità e della disponibilità un valore aggiunto che spesso ovunque è carente, ne hanno fatto un ulteriore mezzo di recupero sociale dei soggetti che intendono realmente percorrere un cammino di vero e sentito desiderio di reintegrazione sociale.

Hanno dimostrato "coraggio", sentimento molto difficile da trovare. Spesso il pregiudizio, il preconcetto, prevale sui sentimenti buoni che in ognuno di noi albergano, anche se reclusi, oserei dire sopratutto.

Un grazie sincero e profondo giunge a tutti loro dal profondo del mio cuore, perché mi hanno dato la possibilità di realizzare un sogno lungo sette anni, per il quale ho combattuto ovunque mi sono trovato recluso con tutte le mie forze.

Un grazie giunge ai miei compagni che con me hanno contribuito in modo fattivo ad organizzare il tutto, a mettersi in discussione con me, senza di loro nulla sarebbe stato possibile, a nessuno avrebbe interessato un concerto fatto solo da me che comunque faccio poca fatica dato che il mio interesse principale è la musica , il canto, avrebbe interessato poco il sentire interiore del singolo.

Ogni direzione dovrebbe permettere di coltivare questo cammino e sostenere comunque ogni iniziativa che chi come noi vive ristretto chiede di poter espletare, per un proprio arricchimento interiore, e un avvicinamento alla società.

Si spera di avere sempre la possibilità di trovare dirigenti,persone che abbiano questa sensibilità, persone alle quali certamente sapremo affidare e con loro realizzare un ulteriore "Piccolo Miracolo".

L’arrivo a Ivrea

 

Cosimo Cirfeta

 

Sono giunto nella Casa circondariale di Ivrea da poco: l’11 dicembre 2003, e ho voluto "regalare" alla redazione del giornalino fatto dai miei compagni e ai lettori le mie esperienze, le mie emozioni, le mie sensazioni, l’immensa soddisfazione di essere riuscito a realizzare e vivere "Il Piccolo Miracolo" di cui ho parlato nel mio articolo.

È passato molto tempo da allora e molte attività mi hanno visto partecipe, protagonista e organizzatore: attività culturali e di reinserimento sociale, musical, mostre di lavori artigianali realizzati dai detenuti, di pitture ad olio, di intarsio su legno, iconografia (che ho imparato da una volontaria del carcere di Secondigliano), ho fatto da fonte e ho portato la mia testimonianza in appendice ad una tesi di laurea in storia contemporanea per una mia amica assistente volontaria che si è laureata con 110 e lode all’Università di Napoli.

Ma il vero "dono di Dio" sono stati i permessi premio di cui ho sempre usufruito dal 2002, e dei quali ho fatto uso con responsabilità e correttezza per poter vivere, per me e la donna che amo e che da sette anni mi segue imperterrita, forte del nostro immenso amore e della certezza del mio cambiamento.

Ho potuto vivere, anche se in piccola parte, con mia figlia Alessandra, gemella di Federico che è volato in cielo come ho detto nel 2002. Alessandra ha 22 anni e due figli, Noemi di sei anni e Federico di due: ho potuto provare la forte emozione di fare il nonno, dopo esserlo diventato a 32 anni!!!

Io e la donna che amo abbiamo potuto avere una casetta tutta nostra, anche se a rate abbiamo potuto dare luce e vita al nostro immenso sentimento, al nostro amore, perché come sostengo in una mia canzone "Se l’amore non si vive, non si fa, lui si spegne e se ne va".

I permessi premio ci hanno consentito, ci consentono di fare insieme dei progetti di vita che quanto prima sfoceranno nel matrimonio, siamo infatti in attesa della discussione della semilibertà, solo allora potremo coronare in pieno il nostro amore, anche con un figlio che entrambi desideriamo.

Sono in carcere da 17 anni, sono stato trasferito qui ad Ivrea dopo un tremendo periodo di sofferenza interiore, di disperazione, ma è più che mai viva in me la convinzione di continuare a percorrere il mio percorso di reinserimento nella società, sono certo, e spero con tutta la mia anima ed il cuore che codesta rispettabile (e come ho potuto constatare di persona, sensibile Direzione nella persona della Dr.ssa Ardito e l’equipe trattamentale tutta mi aiutino nel perseguimento reale, fattivo di questo vitale obbiettivo, ho potuto personalmente toccare con mano la sensibilità del Magistrato di Sorveglianza la Dr.ssa Del Piccolo e da ciò è viva in me la certezza che a tutti noi in questo senso vengano incontro realmente che sono in cantiere).

Questo mi auguro e sono certo avverrà per me e per tutti i miei compagni che prima di me sono ristretti in questo istituto, perché anche a loro è giusto che si dia la possibilità di vivere una esperienza meravigliosa, come quella del "Piccolo Miracolo" che si può e si deve concretizzare ancora fornendo il sostegno per portare avanti le molteplici attività di reinserimento che sono in cantiere progettate e proposte dalla popolazione detenuta e nello stesso tempo dando la concreta speranza della concessione di benefici penitenziari, come può essere un giorno libero da trascorrere con la famiglia a quelli che dimostrano una reale volontà di cambiamento, una sincera richiesta di aiuto, tutto ciò, personalmente, l’ho visto scaturire, emergere dal profondo del cuore e dell’anima di ogni componente del gruppo che ho trovato operante e attivo in questo istituto.

"Qui vedo tutti impegnati sinceramente, realmente in questo senso". Il gruppo è interessato ed impegnato a molteplici attività, come l’organizzazione dell’incontro con diverse persone della società esterna avvenuto nel periodo di Natale. Sono felice.

Il rapporto con la società esterna altro non è che un ulteriore, importantissimo incentivo a fare ancora di più propri nuovi valori che in ognuno di noi sono presenti, vivi, reali, pulsano e palpitano e devono soltanto essere colti dalle autorità preposte, che qui come ho detto, sono attente, vigili e sensibili; non solo alla detenzione sotto il profilo restrittivo della pena che è contemplato dalla legge, ma anche nella disponibilità a dare ad ognuno di noi la possibilità di esprimersi, di mettersi in discussione, di percorrere un cammino di responsabilizzazione soggettiva e collettiva che certamente sarà incentivata sponsorizzata ed appoggiata da questa direzione.

"Ai miei compagni va il mio umile plauso, perché difficilmente si riesce a creare in questi circuiti un gruppo omogeneo come quello che ho trovato in via di costruzione e che si sta fattivamente creando in questa sezione, all’equipe trattamentale, al signor Direttore, al signor Magistrato di Sorveglianza , alla Polizia Penitenziaria, ed a tutti dico molto umilmente: "Anche nel deserto possono nascere dei fiori", e sarebbe un peccato, per voi che potete , non dare un po’ d’acqua, cioè un po’ di aiuto, che porti tutti gradualmente verso le proprie famiglie rinnovati, verso un reale "anche se graduale" e definitivo reinserimento sociale e ritorno in seno alle nostre famiglie.

A tutti i mie compagni faccio i miei auguri ed i miei sentiti complimenti, sono felice di poter anche io fare parte di questo cammino, e umilmente vi dico sono con voi! Per ciò che posso essere utile ritenetemi a completa disposizione.

Grazie.

Il mio primo giorno in carcere

 

Mariella Ottino

 

Descrivere le mie impressioni dopo che sono entrata per la prima volta nel carcere circondariale non è facile. È passato troppo poco tempo e ci sono entrata soltanto due volte. Ma posso raccontare tutto quello che è avvenuto "prima", che cosa cioè mi ha portata alla decisione di entrarci. O forse non è stata proprio una decisione, ma una spinta interiore, un impulso.

Andando a lavorare, per molti anni, tutte le mattine passavo davanti al carcere. Forse è stato questo: il pensiero del "fuori" e del "dentro": due mondi che rischiano di non incontrarsi mai, anche se tutti pensano che non sia giusto. Così pensavo alle mille barriere che separano gli uomini, che li allontanano, pensavo anche che la conoscenza è l’unica strada per arrivare alla comprensione, alla solidarietà. Allora il desiderio di fare qualcosa per superare la barriera, almeno in parte, almeno per quanto mi riguardava si faceva più forte. Quello che mi frenava era la paura: la paura di affrontare un ambiente nuovo, e anche la paura di non essere capace di farlo…

Allora cercavo delle scuse: le figlie ancora piccole, il lavoro, la fatica quotidiana di tenere insieme tutto. Ma il desiderio riaffiorava, ed era accompagnato dal mio "sogno": quello di un mondo in cui gli uomini si riuniscono per leggere, scrivere, parlare, condividere pensieri e emozioni. Il mondo della parola scritta, che è sempre stato così affascinante per me, nel suo duplice aspetto di lettura e di scrittura, da diffondere tra la gente, come fonte inesauribile non dico di conoscenza, ma di gioia.

Sarà per questo che già il primo pomeriggio mi sono sentita a mio agio, nel mio elemento. Abbiamo parlato degli articoli dell’alba e io mi sono sentita coinvolta, e non esclusa. Mi sono sentita coinvolta anche perché ho trovato un clima di grande gentilezza, nei miei confronti, di rispetto e anche di comprensione di fronte alla mia confusione, che forse era abbastanza evidente. Per ora non posso dire altro, ma ci saranno spero altri momenti di riflessione quando sarò in grado di dire un po’ di più.

Il silenzio di un Padre

 

Sting

 

Dopo quasi dieci anni di silenzio ho ripreso improvvisamente ad avere un dialogo con una donna che in tutti questi anni, pur non avendo mai chiesto sue notizie, non avevo mai cancellato dai miei pensieri.

L’ho esclusa dalla mia vita, anche se i fatti potevano far pensare e credere solo questo, mai un saluto da parte mia per lei, mai un come stai. Anche se puntualmente una o due volte al mese le mie lettere entrano in casa sua, ma indirizzate però ad un altra donna molto speciale per me, mia figlia Ilaria.

Penso che Manuela (così si chiama) in questi anni ci sia rimasta molto male per come mi sono comportato nei suoi confronti e avrebbe avuto tanti buoni motivi per odiarmi, invece con mia sorpresa dopo quasi dieci anni grazie ad una mia frase scrittami da mia figlia ho inviato i miei saluti a Manuela, la quale mia scritto una bellissima e inaspettata lettera senza parole di odio, senza giudicarmi, o addirittura colpevolizzarmi o condannarmi per il mio comportamento di tutti questi anni nei suoi confronti.

Quella sua lettera con un po’ di rabbia ma piena di conforto e comprensione mi ha dato davvero una lezione di vita facendomi capire molto cose, ma soprattutto quanto ho sbagliato, e quanto dovrei sentirmi in colpa nei loro confronti. È la prima volta che ammetto le mie colpe e anche la prima volta che ammetto che un’altra persona è stata davvero molto più in gamba di me, ma Manuela in tutti questi anni a saputo essere veramente unica crescendo da sola, con mille problemi, i miei tre figli dando loro una discreta posizione economica e sociale, ma soprattutto una buona educazione, e soprattutto a insegnato loro l’onestà e la forza di non dimenticare come ho fatto non cancellando mai dalla loro vita la mia figura paterna.

Oggi c’è solo mio figlio Aldo che gli crea un po’ di problemi dovuti alla sua giovane età, e vorrei che Aldo capisse la sua e la mia motivata preoccupazione e avrebbe un po’ di riguardo in più per la sua mamma, una mamma che per quanto ha fatto meriterebbe davvero di poter vivere la sua vita serena e felice.

Per troppo tempo ho evitato di esprimervi il bene che vi voglio, e che vi ho sempre voluto, anche se lo tenevo ben chiuso nel mio silenzio, così oggi ho deciso di pubblicarlo nonostante sia io uno che difficilmente esterna i propri sentimenti, ma è il minimo che possa fare per ringraziarti ed esprimerti tutta la mia gratitudine se oggi ho tre figli che mi vogliono un gran bene nonostante il mio comportamento, tre figli meravigliosi dei quali sono veramente fiero e ne sarò per sempre orgoglioso.

Grazie Emanuela.

Una promessa da mantenere

 

Dario Scerenzia

 

Sono passati cinque anni ormai. È vero, pensandoci adesso sembra ieri, in realtà se mi soffermo a rifletterci bene e rivivo tutti i momenti neri passati, devo proprio dire che è stato durissimo. Lo spirito di combattimento, la voglia di ricominciare ed il coraggio di affrontare una vita "da regolare" mi hanno molto aiutato a superare tutti gli ostacoli in questi cinque anni di carcere.

Chiaro, adesso sono più sereno dove mi trovo, ma se mando a ritroso i miei pensieri, come la pellicola di un film e ritorno con la memoria al 1999, mi si rizzano ancor oggi i capelli. Comunque se mi permettete, vorrei accompagnarvi in questo viaggio virtuale tanto per rivivere insieme alcuni passaggi di quel periodo.

Mettevi comodi e seguitemi…

Sai mamma, devo farti una promessa importante, per due motivi: primo, sono stanco di vedere i tuoi occhi sempre rossi e colmi di lacrime per colpa mia, voglio vederti gioiosa e sorridente e vorrei essere io l’artefice di questa tua emozione. Mi hai dato sempre tantissimo ed io voglio ricompensare l’immenso amore che quotidianamente ricevo da te; secondo, voglio altresì scrollarmi di dosso questo mio passato; è vero, devo scontare una pena definitiva, ma è questa la mia promessa: "Una volta terminato questo mio ultimo calvario, la vita sarà per me come quella di tutta la gente onesta", come quella che tu hai sempre desiderato per me, e la serenità e la gioia che hai sempre cercato, ed hai lottato con tutte le tue forze per ottenere, regnerà nella nostra casa!

Ricordo che queste mie parole cambiarono l’espressione sul volto di mia madre. Mi sembra ancor oggi di vedere i suoi grossi occhi neri, quel leggero spostamento delle sue ciglia, che è sinonimo di meraviglia e stupore, ma ad un tratto ecco che, non potendosi trattenere, le lacrime spuntarono sulle sue gote. Erano lacrime di gioia. Spuntò anche un sorriso e le sue braccia si strinsero attorno al mio collo. A me, tremavano le gambe, e riuscii a stento a trattenere l’emozione davanti a mia madre, ma dentro di me sentivo come un vuoto e trovandomi solo nella mia camera, mi soffermai a pensare come avrebbe d’un tratto potuto cambiare la mia vita.

Che bei propositi, a quante belle cose pensavo in quei momenti, anche se ero ignaro su ciò che da lì a poco mi sarebbe realmente accaduto.

Passarono alcune settimane da quel giorno, quando mi fu notificato un ordine di carcerazione, per la pena definitiva che dovevo scontare. Mi portarono al carcere di Catania, dopo qualche giorno mi trasferirono dalla mia adorata Sicilia in Sardegna; ero preparato a scontare questa mia ultima pena, un po’ meno invece a questo trasferimento da un isola all’altra. Nonostante ciò, i miei propositi non cambiarono, anche se, giorno dopo giorno, dovevo affrontare varie difficoltà.

La lontananza da casa, non poter vedere la mia famiglia e non coltivare i miei affetti non mi aiutavano di certo a tenere su il morale, ma grazie a Dio, dopo circa un anno riuscii ad ottenere un trasferimento. Fui destinato in un carcere Palermitano: da una parte "ero vicino alla mia famiglia", potevo fare i colloqui, tutto questo chiaramente rafforzava i miei propositi, anche perché stare vicino ai propri cari mi dava sicurezza e mi aiutava ad affrontare questa mia ultima prova, d’altra parte però, lo stare quasi o sempre chiuso, non avere la possibilità di svolgere alcuna attività culturale, senza volontari, i quali come tutti sappiamo sono un pilastro fondamentale ed importante per noi detenuti, non mi aiutava per niente a far passare le giornate in maniera serena.

Tutte queste sofferenze mi stavano facendo perdere i buoni propositi che mi ero prefisso poco tempo prima, nonostante ciò, alla mia famiglia non dimostravo segni di debolezza, anzi ero io stesso, ad incoraggiare loro dicendogli che stavo bene; in realtà stavo ero triste ma devo dire con tutta franchezza e sincerità, che proprio nel momento in cui stavo perdendo forza e speranza, il nostro buon Dio mandò in mio aiuto un angelo. Senza alcun motivo, dopo quasi tre anni trascorsi in questo penitenziario arrivò inaspettato un altro trasferimento, questa volta in un carcere del Nord, arrivando così ad Ivrea senza sapere, mio malgrado, che avrei ritrovato quella tranquillità che mi aveva accompagnato all’inizio di questa mia avventura.

Bene! Adesso possiamo ritornare con i piedi per terra, per ricollegarci alla frase iniziale: ad Ivrea ho ritrovato quella serenità, forza e determinazione che formarono le mie promesse ed i miei buoni propositi, che mi ero fatto cinque anni prima.

Adesso sì che vedo maggiormente l’inserimento; adesso sì che credo ci sia buona gente fuori da queste quattro mura, gente pronta ad aiutarti, a sostenerti e non solo capaci a tirarti pietre e qualificarti, con aggettivi orribili, per gli errori commessi in gioventù. Queste persone le ho conosciute qui, e giorno dopo giorno mi aiutano a mantenere saldo quello che ho nel mio cuore.

Parlo chiaramente dei volontari e della equipe interna. Vorrei concludere ringraziando anche la Direzione in quanto permette a tutti noi di scrivere e pubblicare questo giornalino.

Un pensiero finale, va alla mia insostituibile ed adorata mamma: il 31 di gennaio hai compiuto il tuo compleanno, ed io vorrei non solo mandarti i miei più cari auguri, ma voglio anche donarti il più bel regalo che tu possa mai ricevere: "Sappi che sei la mia vita, e farò di tutto per renderti felice, ti voglio bene vita mia"!

Riflessioni di una volontaria

 

Athe Gracci

 

È iniziato l’inverno ed allora mi conviene riflettere su ciò che è passato per capire meglio cosa si possa fare in situazioni difficili.

Molti amici miei mi chiedono se abbia mai timore nell’entrare in carcere e parlare con i miei giovani.

Dico invece, sempre, che vi sono diverse persone che affrontano l’ingresso di quei cancelli che a me, sempre, hanno aperto il cuore. Vi si incontra il prete, la suora e diverse altre persone che hanno lo stesso mio slancio d’amore. Voglio dire che per me entrare in relazione con un uomo o una donna con i quali inizio un percorso, non si tratta di minimizzare o di dimenticare lo sbaglio commesso, ma di andare oltre.

Sono esseri umani che bisogna conoscere e penetrare nella loro vita. Si scoprono così uomini e donne ferite e punite dalla vita stessa. Ogni detenuto, come tutti gli esseri, ha le sue debolezze, i suoi punti di rottura. Si tratta di rispettare in lui le sue zone di ombra, di mistero, perché è indispensabile che certe cose restino segrete. Andare nel suo più profondo per fare luce sul suo percorso.

Bisogna aiutare il detenuto a ricostruirsi senza aver paura di affrontare la realtà. Credere in Dio è anche credere nell’uomo, perché chi crede sa ascoltare e capire gli uomini, i deboli ed i reietti della sua epoca. Ed allora, ora che l’estate assolata è passata, penso che in quella stagione la detenzione vada a rilento. Il detenuto non vede progredire il suo "dossier", il giudice ha molto lavoro, egli riceve meno posta e certe attività socio-educative sono in parte sospese. il tempo carcerario si vive più o meno bene col calore esterno e non con l’indifferenza della gente che fuori è in vacanza. Sarebbe di grande necessità assicurare presenze extra in questo periodo quando le mancanze, le frustrazione; possono riapparire più o meno violentemente.

Vorrei potei ridurre al minimo la presenza delle persone volontarie, in estate, in modo da mantenere con i detenuti un legame sempre vitale per loro ed essenziale per limitare le lori tensioni. Perché le Case Circondariali sono luoghi dove vivono uomini che la società ha punito, ma che bisogna, nei lori confronti, avere speranza e credere che si possono preparare uomini nuovi.Se solamente l’individuo potesse comprender che la giustizia passa, ma che la comunità dei detenuti non debba essere dimenticata. Molte attività vi sono nelle Case Circondariali: biblioteche, lezioni professionali, informazioni, ma io credo che la società dovrebbe essere attenta alla sorte futura di questi uomini.

Io sono felice di poter testimoniare che il mio lavoro lo sento utile anche per la considerazione che queste persone m rivolgono. Penso sovente a ciò che un giorno, durante un periodo di una guerra dell’epoca che ho vissuto, ebbi 1a fortuna di ascoltare, da un personaggio di cui non ricordo più il nome: "Potremo sopportare la fame e la sete, ma ne potremo sopportare l’indifferenza per questi uomini, forse colpevoli, e spesso dimenticati".

Ritorno a vivere

 

Emanuele La Boccetta

 

Ciao, sono Emanuele, un ragazzo che si trova detenuto da cinque anni. Nella mia vita ho fatto molti errori, offendendo con questi miei sbagli la società, ma il rimorso più grande che continua a mordermi all’interno, è quello d’aver fatto soffrire le persone a cui più tengo, parlo appunto di mia moglie e dei due meravigliosi figlioli che abbiamo.

Nonostante la più grande abbia oggi quindici anni, ed il più piccolo undici, per me erano sono e sempre saranno i miei bambini. Ricordo d’averli lasciati molto piccoli quando mi arrestarono, ed ancora oggi li vedo e ricordo così. Subito dopo il mio arresto, mia moglie s’ammalò. Per le sue precarie condizioni di salute che giorno dopo giorno peggioravano, non riuscivo o non potevo fare i colloqui con la famiglia, e, come padre e marito, ma soprattutto come uomo innamorato dei propri cari, mi sentivo perso e preoccupato, mi sentivo disperato ed inutile, sapere che i miei figli rischiavano d’essere allontanati dalla famiglia, che la malattia di mia moglie non migliorava per niente, mi faceva sentire piccolo ed inutile.

È stato difficile superare tutto questo, ed oggi posso dire con grande franchezza che, l’aiuto avuto dagli psicologi ed educatori, e dal Dr. Fiorentin e dalla Dr.ssa Del Piccolo, mi hanno sostenuto ad affrontare con lucidità e determinazione, questo grande problema. Grazie al buon Dio, quest’anno Babbo Natale, ha bussato alla porta di casa mia. Devo dire che, erano anni che non credevo più in Babbo Natale, ma quest’anno, il Natale è stato molto più dolce sia per la mia famiglia che per me.

Il 27 di Dicembre, la Dr.ssa Del Piccolo mi ha concesso due giorni di permesso; è indescrivibile l’emozione che mi ha suscitato, quando mi hanno notificato il beneficio, le lacrime si facevano strada con frequenza sul mio viso, dal quale traspariva stupore, sorrisi e gioia.

Viaggiando con i pensieri, la fantasia aveva messo la freccia ed aveva sorpassato la realtà; tanto è vero che, con il foglio del permesso in mano, ero già abbracciato a mia moglie ed ai miei figli fuori da queste mura. Arrivò finalmente il 27 di dicembre, che meraviglia…! Dopo cinque anni di carcere finalmente una boccata d’ossigeno, ero finalmente a casa, stavo abbracciando veramente mia moglie e i miei bambini, e le lacrime che scendevano questa volta erano lacrime di gioia; mio figlio Beniamino, mi disse mentre mi abbracciava: "Quest’anno il Natale è veramente una festa". In quel momento non sapevo cosa rispondergli, perché era troppo grande l’emozione e così lo strinsi più forte a me dicendogli che gli volevo bene.

Dopo tanti anni il mio primo Natale in famiglia, è stato veramente fantastico, ho passato quasi tutto il tempo a coccolare i miei figli e mia moglie, cercando di rassicurarli, dicendo loro che mi avrebbero dato i permessi più spesso anche se in realtà questa è una piccola bugia.

Nelle condizioni in cui si trova mia moglie penso che la piccola bugia da me detta le faccia più bene che male, in fin dei conti è sempre meglio dire una bella bugia piuttosto che una brutta verità.

Nei giorni trascorsi a casa credo che il momento più bello sia stato quando la sera mettevo a letto i miei figli e vedevo nei loro occhi la felicità, stavo lì immobile a guardarli finché non si addormentavano, pensando a tutte quelle volte che avevano bisogno di me ed io non cero, non ero presente ai loro compleanni, non ero presente tutte le volte che si ammalavano, non ero presente in nessuna occasione per loro importante. Chissà quante volte hanno avuto bisogno di me e io non ero presente, al solo pensiero del dolore che gli ho causato mi si stringe il cuore ancora oggi.

In quei giorni trascorsi a casa, ho cercato di dormire almeno un paio d’ore, ma avevo paura che al mio risveglio mi rendessi conto che fosse stato un bellissimo sogno. Ma come tutte le cose belle, c’è un inizio ed anche una fine; così arrivò il giorno 29; sarei dovuto rientrare. Mi alzai il mattino per preparare la colazione, mi resi subito conto, che quell’aria gioiosa e festosa, che ci aveva accompagnato nei giorni precedenti, si era trasformata già in tristezza.

Nel silenzio più assoluto, tutti eravamo consapevoli che, da un momento all’altro, dovevamo nuovamente separarci. Lacrime di sofferenza e disperazione presero il posto di quelle gioiose dei primi giorni.

È vero, abbiamo sbagliato ed è giusto pagare il nostro debito, sia con lo stato che con la società; ma tutte queste sofferenze mi hanno fatto maturare molto, mi hanno reso più responsabile facendomi aprire gli occhi, e capire che il valore dell’onestà, della famiglia e del rispetto, sono importantissimi pilastri che mantengono salde le fondamenta e i valori di qualsiasi essere umano.

Sono sicuro, anzi sicurissimo che una volta scontata la mia pena, facendo ritorno a casa, farò di tutto affinché la mia famiglia non soffra più, per i miei errori. Sono sicuro che anche voi come me abbiate capito, che le strade negative che abbiamo preso in passato, non ci hanno portato che sofferenza, sofferenza ed ancora sofferenza.

"Vis a vis"

 

Bellisomi Daniele

 

Qualche giorno fa mi è capitato di leggere sul giornale "Ristretti", pubblicato dal carcere di Padova, un articolo di alcune detenute che trattava il problema sesso all’interno del carcere.

Certo, in altri paesi come la Spagna il sesso per i detenuti non è un problema: esiste il "Vis a vis", l’ora d’amore. Questa proposta fu portata qualche anno fa anche al Parlamento Italiano che comunque l’accantonò.

Il sesso è un fattore molto importante della nostra vita; però sono d’accordo sul fatto che l’Italia non abbia aderito a questa proposta di legge concernente l’ora d’amore in carcere.

Penso che le nostre mogli siano umiliate già fin troppo, dal solo fatto di dover essere perquisite ogni volta che entrano in carcere per venirci a trovare e non credo sia giusto, fargli subire l’umiliazione di entrare in una stanza, con uno sconosciuto dietro la porta che sappia già cosa stia accadendo dentro tra noi e le nostre mogli.

Certo questo è un mio pensiero personale, però sono sicuro che molti detenuti la pensino come me.

Forse sarebbe diverso se questa legge prevedesse dei criteri un po’ più allargati, meno umilianti per le nostre mogli, nel senso che fosse consentita l’ora d’amore ai detenuti con delle prostitute.

Questo purtroppo non potrà mai accadere, in quanto in Italia sarebbe un reato e anche abbastanza grave, favorirebbe lo sfruttamento della prostituzione e comunque personalmente credo: non sarebbe giusto nei confronti delle nostre mogli, delle nostre compagne!!!

Credo che sarebbe meglio, forse, se venisse modificato il Codice Penale e che venisse abbassato il tetto massimo delle pene in modo di consentire un ritorno dalle nostre famiglie un po’ prima.

Personalmente per un reato grave come l’omicidio, se fossi io il Legislatore, non comminerei più di 15 anni di carcere, badate che non sono per niente pochi… 15 anni di carcere non sono pochi per chi li deve scontare, vivere, soffrire giorno dopo giorno in una cella 2 metri x 3 lontano dai propri figli, dal mondo, dalle proprie mogli…

 

 

Home Su Successiva