Fuori Binario

 

Fuori Binario, giornale dei senza dimora di Firenze

(numero 80, marzo-aprile 2004)

 

 

Noemi si racconta

 

di Noemi

 

Vi invio questa mia storia, sperando vi possa aiutare nell’intento di realizzare uno spazio per tutte quelle persone che, come me, si trovano detenute e private non solo della libertà ma di tante cose: emozioni, gioie, dolori e affetti reali. La vita all’interno di un carcere non è vita reale, è un’altra dimensione, realtà a parte. La vera realtà, la vita, si trova al di là di queste mura. Ove tu sei padrone delle tue scelte, azioni e pensieri.

 

Mi chiamo Noemi, ho 27 anni e questa è la mia prima esperienza carceraria. Sono stata arrestata il 5 maggio 2003 a seguito di uno scippo. Purtroppo il mio complice riuscì a darsi alla fuga, così io restai l’unica imputata del reato con lesioni e ricettazione, visto che io e il mio complice eravamo in possesso di un ciclomotore rubato. Tutti e tre gli articoli mi sono stati dati in concorso. Ho fatto il processo per rito abbreviato e sono stata condannata a 2 anni e 6 mesi di reclusione.

Mi trovo alla casa circondariale attenuata di Empoli dal 5 agosto 2003, dove mi sono subito adattata all’ambiente e alle compagne. Le mie giornate sono tutte organizzate fra lavoro (mattina) e i vari corsi e studi (pomeriggio).

So che se mi trovo in carcere è perché stavo vivendo una realtà diversa, distorta. Da tossicodipendente. La tossicodipendenza giorno dopo giorno mi stava annientando. Mi ero isolata da tutto e da tutti ed il mio primo pensiero era divenuto l’assumere sostanze stupefacenti; volevo che il mio primo pensiero fosse rivolto alla vita ma non fu così: la mia dipendenza era troppo forte da permettermi di poter vedere oltre.

Ho iniziato a usare l’eroina a 25 anni e mezzo. Dopo varie sventure sono cascata in questo diabolico vizio in un periodo alquanto nero della mia esistenza trascorsa. Sono andata via dalla mia casa genitoriale a 18 anni per seguire colui che credevo essere l’uomo della mia vita.

Ahimè quanto mi sbagliavo!

Nei sette anni di convivenza con G. ne ho passate tante, forse troppe!

A 21 anni sono rimasta incinta del mio primo figlio, T., che attualmente ha 7 anni e vive con la famiglia adottiva a Capannori, Lucca. Quando conobbi G. studiavo presso una scuola privata per conseguire il diploma di assistente socio sanitario, che poi mi avrebbe permesso l’internamento alla scuola d’infermieri. Inoltre, lavoravo in una discoteca di Firenze nelle pubbliche relazioni. Andai a vivere con lui presso amici comuni, poi andammo in un affittacamere, che io pagavo con i soldi guadagnati con il lavoro di pubbliche relazioni che già svolgevo per la discoteca, ed in più iniziai ad occuparmi della gestione pubblicitaria di alcune ditte, tra le quali anche Radio Studio 54.

Guadagnavo abbastanza bene da permettere al mio compagno di non lavorare. Dopo 1 anno e 7 mesi di convivenza rimasi incinta. La mia famiglia non volle aiutarmi, quella di G. non poteva.

Andai a Capannori in una casa famiglia con mio figlio T. Ero ingenua, desiderosa e bisognosa di avere vicino a me un punto di riferimento che trovavo nel mio compagno (anche se poi, non lo era).

Dopo 5 giorni lui mi telefonò e mi intimò di raggiungerlo perché sarebbe partito per Sarno (SA), il suo paese di origine, se non lo avessi raggiunto. Stupidamente, ingenuamente, corsi da colui che ritenevo il mio grande amore. T. restò lì a Capannori.

Mi maledico per aver anteposto un uomo a mio figlio, sangue del mio sangue. Iniziò per me un periodo strano, irreale. Non mi rendevo conto ero stata l’artefice di un gesto disumano.

Non avevo più un impiego e così iniziai a fare "colletta" in stazione. Per un po’ di tempo andò abbastanza bene, certo riuscivo a far fronte ai bisogni primari miei e del mio compagno, ma spesso mi ritrovavo a dover dormire nelle sale d’attesa della stazione o nei vagoni in deposito.

Preferisco non dover spiegare come, ma mi ritrovai a esercitare la prostituzione. Avevo bruciato tutto ciò che avevo di umano, andando contro ai miei principi. Non avevo più stima di me stessa, non avevo orgoglio, ma soprattutto volevo o credevo di amare solo il mio compagno e non me stessa. Nel marzo del 1997 rimasi incinta per una seconda volta. Avendo subito un taglio cesareo e con la paura di poter perdere quel futuro figlio, abortii.

Nel giugno dell’anno successivo, rimasi incinta per un terza volta. Fortunatamente trovai lavoro presso un’agenzia pubblicitaria di un conoscente che mi diede anche un alloggio.

A febbraio del 1999 mio padre mi prese in affitto un bilocale ad Empoli, mi comperò tutto l’occorrente per la bambina e provvide al mio mantenimento, del mio compagno e di mia figlia. Questo per due mesi, dopo i quali trovò anche un impiego al mio compagno.

P. è tuttora per me la cosa più bella al mondo, quella che io abbia amato veramente. Anche se oramai sono 2 anni che non la vedo e non ne ho notizie. Purtroppo, un giorno mi suonarono alla porta due poliziotti e due assistenti sociali con un decreto di allontanamento dalla minore da me e G.

Fu affidata all’Istituto degl’Innocenti dove, dopo tanto lottare, sono riuscita a raggiungerla. Dopo 11 mesi di permanenza in quell’istituto ci fu un’udienza, a seguito della quale P. fu resa adottabile.

Mi cadde il mondo sotto i piedi. Avevo perso la mia bambina, la seconda creatura che avevo messo al mondo. Ero sola, non mi interessava più niente. Ero senza un alloggio, senza un lavoro e… sola.

Iniziai a prostituirmi e per cercare di non pensare, cominciai a fumare eroina con amici e/o compagni di sventura.

Una sera, ero nella macchina di un amico "femminiello" ed un altro ragazzo. Il "femminiello", A., usava la roba da quasi dieci anni e se la iniettava. L’altro ragazzo non tossicodipendente si fece fare da A. un piccolo "schizzo". Io non avevo gli "attrezzi" per fumarla, così quando vidi che A. sciolse con la sua busta anche la mia dicendomi: "Noemi, domani ti ridò i soldi", presi una decisione, volevo provare anch’io le sensazioni che si hanno facendosi in vena. Così A. mi fece il primo buco della mia vita. Per 3 giorni stetti sempre con A. e il suo amico. Era un continuo bucarsi.

Una notte io ed A. restammo soli e mi invitò a trascorrere qualche giorno presso la sua abitazione.

Fu un’esperienza indimenticabile.

Ai piano inferiore la cucina, fuori uso, il frigo staccato. Al piano superiore una stanza con un letto matrimoniale (i cui lenzuoli e la trapunta erano sempre, perennemente i soliti, sudici e logori). Un bagno in cui non funzionava l’acqua, dove era pieno di mosche e moscerini per la sporcizia. Sui muri del bagno una quantità infinita di schizzi di sangue.

Dopo aver vissuto quella realtà ero sicura che mai e poi mai avrei fatto la stessa fine. Ahimè l’ho fatta!

 

N.B. Ora ho la possibilità di riscattarmi creandomi una nuova esistenza: sana e umana!

 

Cosa è il carcere?

 

I detenuti di Sollicciano

 

Una fastidiosa presenza invisibile di cui si invoca la necessità ma della cui concreta esistenza nulla si vorrebbe sapere. Il contenitore a buon mercato di un modello di convivenza che mette in conto, come suoi costi sociali, discriminazione, emarginazione ed esecuzione. In apparenza la risposta più semplice ad ogni problema posto alla società da questa età di cambiamenti e dalle contraddizioni sociali, (immigrazione, tossicodipendenze, disagio psichico, impoverimento materiale e culturale delle nostre città).

Un non-luogo dove le condizioni di vita sono spesso durissime (sovraffollamento, sanità, alimentazione, ecc…) e la rivendicazione dei diritti è vista con sospetto se non con ostilità. Un universo di corpi muti.

Sollicciano è la struttura detentiva più grande di tutta la Toscana, e come pochi penitenziari è costruito all’esterno della città, è un complesso nato appositamente per accogliere detenuti a differenza di altri carceri, che sono stati in origine monasteri o quant’altro e poi adibiti a luoghi di detenzione, ma a suo discapito ha molte incongruenze, fra le quali celle anguste, corridoi ampi dove si disperde lo spazio ed il calore d’inferno, poco spazio interno per delle attività, molto esterno lasciato incolto ed abbandonato.

Di necessità ce ne sono molte, sanità assente, dalle visite specialistiche a quelle ordinarie, vediamo il medico solo due volte alla settimana, terapia che scarseggia dai carrelli, quindi la necessità di dover acquistare il necessario, e chi non ha soldi continua ad essere malato, struttura fatiscente che ha la giornaliera necessità di provvedere a riparazioni.

Quasi assenza di assistenza di qualunque genere, si vedono poco i volontari, siamo molti e gli spazi e i tempi a disposizione dei volontari sono pochi, non c’è da vestire, mancano generi sanitari per la pulizia personale per chi non ha soldi, manca assistenza psicologica, sempre perché siamo in molti, quindi dei tanti problemi, quelli di più urgente risoluzione sono il sovraffollamento e l’indigenza, due situazioni che mal gestisce Sollicciano, poi che sono ingestibili, forse il progetto che abbiamo intenzione di esporre potrà essere preso come l’ennesima assurda richiesta dei detenuti, ma per noi che vediamo e viviamo dall’interno i problemi, vi possiamo dire che non è così.

 

Art. l della Costituzione: L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro.

Art. 4 della Costituzione: La repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendono effettivi questo diritto.

 

Poter avere del lavoro, che dia la possibilità di rendere autonomo un detenuto e toglierlo dall’ozio della cella, non è una proposta da accantonare, certo è che occorrono molte cose, dalla struttura che non c’è e che dovrebbe essere costruita, a commesse esterne che dovrebbero essere cercate - se si pensa che molti lavori a catena e anche artigianali, che non necessitano di conoscenze particolari, ma solo di essere prodotti, vengono portati all’estero per la minor incidenza del costo del lavoro sul prodotto, allora vi possiamo dire che un detenuto ha una paga inferiore a quella sindacale e per questo più interessante per un imprenditore che deve sopportare il costo. Certo è che permane il grande problema della sanità che è un grosso fardello, anche al femminile non è stato ancora dato inizio al consultorio, dove si doveva provvedere alle necessità delle mamme e delle varie problematiche femminili… Nonostante le difficoltà e qualche battuta d’arresto, la voce dei nostri compagni è stata per noi preziosa negli ultimi tempi, e quindi non vorremo che cessasse di farsi sentire.

 

 

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