Fuori Binario

 

Fuori Binario, giornale di strada dei senza dimora di Firenze

Numero 79 – gennaio 2004

 

Caro amico ti scrivo

N., un detenuto

Assan

G.

Caro amico ti scrivo

 

Ciao Roberto, spero che tu, lì fuori, stia bene e che tutto ti riesca nel modo migliore.

Purtroppo di me non posso darti buone notizie: da quando mi hanno trasferito qui da Sollicciano (il 24 o 25 novembre 2003), la mia salute è sempre più malandata. Ti chiedo a proposito di fare sapere su Fuori Binario il trattamento che mi hanno riservato durante il trasferimento.

Tu sai che sono diabetico e ho bisogno di insulina in dose quotidiana; ebbene in quella data, nonostante non stessi niente bene, ero per l’appunto proprio reduce da un ricovero ospedaliero a Careggi (di 3 giorni) per un attacco d’asma con bronchite dal 19.11 al 22.11; questa dose non mi è stata iniettata, non puoi capire che dolori ho subito durante tutto il viaggio, con il rischio di collassare da un momento all’altro. Non pensavo che, per quanto in situazione di detenuto, mi dovesse capitare una cosa simile.

Qui a Ariano non posso certo parlare meglio dell’assistenza sanitaria: mancano cure adeguate e devi persino considerarti fortunato se il medico ti visita.

Come sai sono nei termini per ottenere un permesso, infatti ne ho chiesto un altro ma, nonostante siano passati due mesi, essermi allontanato da Firenze mi sembra una ulteriore condanna. Di educatori non se ne parla proprio, se poi non sei del luogo anche l’ufficio di sorveglianza pare non esistere; sono lontano un po’ da tutti, qui non conosco nessuno e tutto quello che avevo messo in moto per attivare misure alternative alla detenzione ora mi sembra sfuggire e allontanarsi.

Caro amico questa è una situazione schifosa, tutti gli Istituti penitenziari di Italia fanno acqua dappertutto; quello che dovrebbe avere un scopo di reinserimento resta bloccato alla teoria e, come sempre, la solitudine uccide le nostre forze a resistere.

Casa circondariale Ariano Irpino (AV), 27 gennaio 2004.

 

N., un detenuto

 

"A forza di sospirarla, a forza di averci perso l’abitudine, la libertà in carcere ci sembrava più libera che non sia in realtà". (Dostoevskij)

 

Intervista raccolta da Giuseppe Caputo in un parco nel marzo del 2003

 

L’intervista si è svolta in un parco durante una tiepida giornata di marzo, circondati dai familiari di N., che per la prima volta dopo sedici anni lo incontravano al lontano dagli sguardi degli agenti di guardia alle stanze di colloquio del carcere. Ho solo cercato di fargli raccontare qualcosa dei suoi ultimi sedici anni da carcerato, senza parlare del suo crimine. Bastano le cronache a bombardarci di arresti e di condanne, per una volta proviamo a raccontare quello che succede dopo. Non è una storia come tante, nessuna lo è, ognuna è unica e complessa come l’umanità che la vive, e che ha in comune il solo fatto di essere reclusa al sicuro dalla superficialità di cronache più attente ad intrattenere che a raccontare.

 

Oggi è un giornata particolare per te vero?

Certo, molto particolare. Grazie a Dio dopo 16 anni oggi è il secondo permesso premio. L’altro l’avevo avuto mesi fa. Sono in carcere dal 1986, avevo appena 18 anni quando mi hanno arrestato. Mi hanno concesso questo permesso per permettermi di stare vicino ai miei familiari e per darmi una possibilità di reinserimento.

 

La tua famiglia non vive qui però.

No, la mia famiglia vive a Torino. Vengono a colloquio poco perché hanno difficoltà economiche.

Mia sorella ha cinque figli, uno più piccolo dell’altro.

Ora davvero capisco di aver sbagliato, capisco i miei errori passati. Ora non lo rifarei mai.

 

Quindi tu a partire da quando avevi diciotto anni, sei uscito la prima volta a 35 anni per un giorno?

Non sono mai uscito prima. Quando sono uscito il mondo mi sembrava cambiato.

 

Da quanto sei a Sollicciano?

Sono a Sollicciano da due anni. Ho girato 15-16 carceri diversi. La reclusione più lunga l’ho fatta a Porto Azzurro, ci sono stato 6 anni e mezzo. In media hai cambiato un carcere ogni anno per sedici anni.

 

La tua famiglia come faceva per venirti a trovare?

Finché le mie sorelle erano piccole venivano quando potevano. Poi da quando mia sorella si è messa con l’attuale marito non mi ha mai fatto mancare un colloquio. Venivano addirittura da Torino in Sicilia a farmi il colloquio ogni dieci o quindici giorni. Ringrazio mio cognato perché per me è come un Dio, un fratello.

Mi dispiace tanto per quelle persone che non ci sono più. Se potessi dargli la vita gliela darei, ma questo ormai non si può.

 

Hai la ragazza?

Sì, la mia ragazza si chiama M. Sta al carcere di V., lei mi sta molto vicina…

 

Come vi siete conosciuti?

Ci siamo conosciuti tramite un’amica che sta fuori che mi ha scritto di lei. Così ci siamo iniziati a scrivere… M. ha anche un figlio di 12 anni, E., un bambino stupendo e dolcissimo. Lei si è lasciata con il convivente e ha un po’ di condanne da scontare come me. Entrambi abbiamo sofferto molto. Il suo convivente la maltrattava. Lei ha visto che io sono un ragazzo bravo. Così ci siamo scambiati le foto e poi una lettera tira l’altra ed infine abbiamo deciso di stare insieme. E ora anche lei, se Dio vuole, il prossimo anno sblocca i permessi così possiamo farci una vita, cambiare.

Non voglio essere più come una volta, voglio aiutare chi ha bisogno e fare del volontariato.

 

Vi scrivete soltanto? Siete mai riusciti a parlarvi di persona?

Purtroppo non ci siamo mai visti di persona. Ci siamo scambiati tante lettere e fotografie. Però lei è una donna dolcissima. L’unico problema è che non ci siamo mai visti ancora. Spero che al più presto potremo incontrarci e conoscerci.

 

Che tipo di attività svolgi attualmente al carcere di Sollicciano?

Attualmente non faccio niente. Ho assistito un ragazzo cui facevo da "piantone". Lui non poteva muoversi perché aveva un gamba rotta, gli facevo tutto, anche la biancheria. Ho fatto di tutto in carcere, anche il portavitto e lo scopino della sezione.

 

Cosa sono il portavitto e lo scopino?

Il portavitto porta la colazione, pranzo e cena agli altri detenuti. Lo scopino è quello che pulisce la sezione.

 

In cella in quanti siete?

In cella siamo in tre persone perché la nostra sezione è un po’ particolare. In tante altre sezioni sono in quattro persone. Quando sono arrivato a Sollicciano sinceramente non avrei mai pensato di uscirne, questo è un carcere super affollato.

 

Le dimensioni di una cella?

Più o meno penso che siano 3 metri per 3, più il bagno.

 

Quindi all’incirca 2 o 3 metri quadrati a persona… Che tipo di effetti personali potete tenere in una cella?

Abbiamo un fornellino a gas a testa per cucinare, tipo quelli da campeggio, così per fortuna possiamo cucinarci qualcosa almeno la sera…

 

Li avete acquistati voi o ve li ha dati il carcere?

Li compriamo noi a spese nostre. Quando facciamo l’ordine della spesa chiediamo la bomboletta per la ricarica e poi la paghiamo.

 

A chi fate l’ordinazione?

Passa un detenuto, chiamato spesino, per tutte le celle e raccoglie le liste per la spesa. Noi abbiamo un nostro conto corrente in carcere da cui una volta ogni quindici giorni scalano le spese e una volta ogni 1 o 2 settimane ci portano quello che abbiamo chiesto.

 

Quindi il carcere cosa vi passa?

Sinceramente non ci passa molto. Soprattutto da mangiare, passano la mattina e poi la sera ti danno poco, magari solo un pezzo di formaggio. Rispetto a tanti altri carceri più piccoli, come ad esempio Porto Azzurro, il cibo qui a Sollicciano è scarso. Per fortuna che possiamo cucinarci.

 

Sì, potete cucinarvi qualcosa sempre che abbiate i soldi per fare la spesa e ricaricare i forellini…

Sì, solo se hai soldi! Qui su 1.200 detenuti, lavoriamo e abbiamo quindi un po’ di soldi solo in 300. Gli altri non so come fanno a mangiare quel po’ che passano. Per fortuna che io ho i miei familiari che mi fanno colloquio e che mi portano da mangiare. Mensilmente possiamo ricevere fino a venti kg di pacchi contenti cibo o vestiti. Il problema è per quei detenuti stranieri che non hanno nessun parente qui e che non hanno una lira. Per fortuna che questo è l’unico carcere, tra i 16 che ho girato, in cui se non hai una lira ti passano almeno le lamette da barba, la schiuma da barba, lo shampoo e la biancheria intima. Li danno ogni mese a chi non lavora o non riceve pacchi. Negli altri carceri neanche questo.

 

Proviamo ora a raccontare una tua giornata tipo dentro le mura.

Le giornate al 90 per cento sono tutte uguali. Uno in carcere cosa può aspettare? Magari una lettera… Ogni volta che un agente passa, preghi Dio che ci sia una lettera anche per te. Credimi quando non c’è è brutto, è una cosa indescrivibile. Quando c’è una lettera invece passi un po’ di tempo, leggi e poi scrivi. Per il resto fai un po’ di socialità con gli altri detenuti, magari una partita a carte. Le giornate sono tutte uguali, non cambia mai niente. l’unica cosa che aspetti è il colloquio con i familiari.

 

Ogni quanto riesci ad avere colloqui?

Me ne spetterebbero uno a settimana per regolamento. Purtroppo i miei familiari vivono lontano e non ce la fanno a venire se non una volta ogni dieci, quindici giorni. Se poi pensi a tutti i carceri che mi hanno fatto girare… Anche se questo non capita solo a me. Tutti i detenuti che hanno una pena come la mia, l’ergastolo, vengono presi, magari dopo cinque o sei mesi che sei in un carcere, e trasferiti. Così ricominci tutto daccapo.

Fino a che conosci delle nuove persone passa tempo. Finche ti ambienti ce ne vuole. L’ultima volta sono stato in un carcere vicino F., stavo con mio fratello T., che poverino ora non c’è più, è morto. Ringrazio il magistrato di sorveglianza di L. che mi aveva concesso, anche se non da libero, ma con la scorta, la possibilità di vederlo prima di morire. L’ho visto, sono stato con lui 3 ore in tre giorni di permesso. È brutto credimi. Quando mi hanno condannato, io avrei preferito la pena di morte ma non l’ergastolo! Perché la pena di morte dura un secondo, mentre l’ergastolo dura l’eternità.

Ora quasi piango… però ora grazie a Dio forse l’ho fatta. Avevo 18 anni quando mi hanno arrestato, ora ne ho 36, ho sempre un futuro davanti.

 

So che hai avuto dei problemi di salute non molto tempo fa… Mi vuoi parlare della situazione sanitaria a Sollicciano?

Qui non funziona nulla! Io avevo l’ulcera quando sono arrivato qui. Ogni giorno andavo dal dottore e gli dicevo che mi faceva male lo stomaco e lui mi rispondeva: "Non è vero, fuori da questa stanza".

Infatti mi hanno mandato via, finché un giorno sono stato malissimo, per fortuna che gli agenti si sono accorti che stavo male e che stavo morendo. Infatti il dottore dell’ospedale di Torregalli mi ha detto: "Per fortuna che sei arrivato in tempo, altrimenti saresti morto per l’ulcera perforata". Il dottore del carcere non mi aveva creduto, solo quando sono stato malissimo si è reso conto. Aveva sbagliato anche a darmi la terapia.

 

Questo è successo quando sei arrivato a Sollicciano da un altro carcere?

Stavo male già da prima. Ma era sopportabile, solo che il dolore è andato aumentando nel tempo. Ma il dottore ha continuato a non credermi finché non mi ha visto sdraiato per terra in mezzo al corridoio, solo allora ha disposto il ricovero.

 

Prima eri nel carcere di Porto Azzurro, un carcere molto più piccolo.

Ci sono stato per sei anni. È un carcere più piccolo in cui si sta molto meglio, che ospita detenuti con pene molto lunghe come la mia.

L’80 per cento dei detenuti lì lavorano, io stesso lavoravo in cucina. Lavoravo 6 ore e 40. Le celle sono sempre aperte durante il giorno. Quindi si poteva socializzare anche con i detenuti di altre celle.


A Sollicciano invece…

Ci sono quattro ore di socialità in cui ci si può riunire con altri detenuti della sezione, che vengono da te o vai tu da loro. La socialità per 4 ore al giorno si svolge tra le 19 celle che compongono la sezione, su un totale di 15-20 sezioni maschili.

 

La socialità si svolge quindi nelle celle. L’ora d’aria invece cos’è?

Avresti diritto a quattro ore al giorno d’aria aperta. In realtà non sono mai quattro ore, sempre di meno, circa tre. Perché siamo tanti ed il personale manca, quindi è difficile farci fare tutte le ore. Durante l’ora d’aria siamo sempre solo quelli della stessa sezione, non possiamo incontrarci con quelli delle altre sezioni.

 

All’interno della tua sezione siete tutti detenuti con pene lunghe come la tua? Hai mai creato rapporti d’amicizia duraturi nel tempo?

No, purtroppo le uniche persone con pena lunga sono tre o quattro, ma siamo in celle diverse. Io non ho mai avuto problemi di socializzazione soprattutto con detenuti con pene lunghe. Ci aiutiamo molto tra di noi, c’è molta solidarietà tra ergastolani, poi c’è sempre lo stronzo…

 

Ritorniamo a parlare di Porto Azzurro. Che tipo di attività facevi lì?

Oltre il lavoro, facevo lavori artigianali con gli stuzzicadenti come molti altri detenuti. Ho costruito delle piccole cornici e dei portagioielli. A Porto Azzurro potevi anche venderli attraverso una piccola bottega. Qui a Sollicciano non posso venderli ma continuo a farli grazie all’aiuto di alcuni volontari che mi portano il materiale. Poi faccio anche cartoline su cui ricamo a mano disegni o scritte.

 

Ha mai fatto la scuola in carcere?

La scuola qui c’è, mi sono iscritto ad un corso di computer. Ma qui è un casino perché manca il personale. Ci vado una volta a settimana, per un’ora. Ma in un’ora cosa vuoi che impari? Mi hanno messo davanti un computer dopo 15 anni di carcere, non sapevo neanche cos’era. Non sapevo neanche dove dovevo mettere le mani. A Porto Azzurro, invece, erano almeno 3 o quattro ore la settimana.

 

So che voi passate molto tempo a guardare la televisione, ultimamente si è parlato molto dell’indulto. Come avete vissuto questo susseguirsi di notizie? .

Sì, guardiamo 24 ore su 24 la televisione. Ho sentito dell’indulto ma io con la mia condanna non posso prenderlo. Loro con l’indulto non risolveranno niente, perché non uscirà quasi nessuno. Possono alleggerire un po’ il carcere, ma non cambierà nulla. Io non posso prenderlo, io posso prendere solo la liberazione anticipata, mi scontano 45 giorni ogni sei mesi di buona condotta…

Hanno anche par1ato varie volte dell’abolizione dell’ergastolo nel 1998. Poi non lo hanno fatto. Mi hanno dato l’ergastolo perché avevo sbagliato. Io all’epoca avrei preferito la pena di morte, nonostante neanche la bibbia la permette, ma non l’ergastolo. Perché l’ergastolo è una condanna a morte che non finisce mai.

 

Si però c’è stato un momento in cui ti sei reso conto che poteva finire.

Sì, questo è vero però io sono straniero, quando mi hanno arrestato avevo 18 anni ed ero clandestino. Non mi sarei mai aspettato un permesso anche di un giorno, pensavo che non sarei mai uscito. Perciò avrei preferito la pena di morte. Dicono di essere contro la pena di morte, ma l’ergastolo è peggio! Non ha mai una fine e te lo tieni tutta la vita. Se una persona viene presa come me a 18 anni, allora ci può essere speranza. Ma se uno lo arresti a cinquanta gli hai dato la pena di morte! Io ne conosco di ergastolani che si sono tolti la vita. A Porto Azzurro ne ho visti 3 o quattro che hanno preferito il suicidio. È una pena disumana, non deve esistere. Quando una persona ha fatto 10 o 15 anni di carcere già non è più la stessa!

 

L’intervista finisce perché non ho voglia di rubare altro tempo a N., le sue nipotine ci giocano intorno da una buona mezz’ora e diventa sempre più difficile farmi raccontare la vita da recluso proprio ora che è fuori. Così lo lascio libero di trascorre in pace le poche ore di permesso rimaste, prima del rientro alla routine del carcere.

 

Assan

 

Storia raccolta da Erika Caparrini nel dicembre 2003 nell’Istituto penale minorile di Firenze

 

Ciao a tutti! Sono un ragazzo algerino di 19 anni che in questo momento si trova all’Istituto Penale Minorile di Firenze. La mia famiglia è composta da 8 persone: babbo, mamma e 6 figli. Non siamo ricchi e per questo motivo ho deciso di andarmene dal mio paese.

Prima di arrivare in Italia ho vissuto in Francia, poi in Belgio e Germania. In Algeria non avevo mai commesso nessun tipo di reato, neanche piccolo, ma quando sono arrivato a Parigi – senza parenti né amici – ho conosciuto persone che non mi hanno aiutato, ed anzi, mi hanno insegnato a rubare portafogli. Rubavo sempre sugli Champs Elysèes.

A Parigi mi hanno arrestato quattro volte ed ho scontato quattro mesi di carcere. La Francia è molto bella, ed è per questo motivo che ci sono rimasto a lungo, ma dopo la detenzione sono voluto andare in un’altra città per ricominciare tutto da capo… ma le cose non sono andate esattamente così.

Quando sono arrivato in Italia sono rimasto per otto mesi a Genova e poi sono venuto a Firenze, dove mi hanno arrestato. Spero di uscire questo mese: domani viene l’assistente sociale della comunità in cui vorrei andare… Lì spero di imparare un mestiere: non ho studiato da piccolo e non ho nessun diploma. Mi piacerebbe lavorare a Firenze per cercare di cambiare la mia vita: qualsiasi tipo di lavoro.

Ho sbagliato molte volte quando ero più piccolo ed ora ne pago le conseguenze Ma spero che gli errori del passato non mi impediscano di cambiare il presente ed il futuro. Mi manca molto la mia famiglia e se trovo un lavoro quando esco di qui, voglio mettere i soldi da parte per tornare in Algeria dai miei genitori, dai miei fratelli e dai miei nipoti.

Mi piacerebbe avere i documenti in regola e visto che ho una ragazza, la vorrei sposare, ma prima di tutto non voglio più lasciarla sola. Lei ha studiato ed ha sempre lavorato: è una brava ragazza ed è anche per lei che vorrei cambiare la mia vita.

Quando rubavo, non avevo nessuno vicino a me che sapesse consigliarmi le cose giuste… ma avevo fame… e se un giorno avrò dei figli o avrò l’opportunità di poter aiutare qualche giovane ragazzo, lo farò, cercando di parlare e di spiegare che tutto ciò che è facile da ottenere, poi porta sempre dei guai.

Ho la "fortuna" di non avere i lineamenti del viso marcatamente algerini: potrei sembrare anche un italiano se non mi senti parlare… È per questo che quando sono in giro non sto mai con i miei connazionali: la polizia se vede un gruppo di algerini, tunisini, marocchini, albanesi… viene subito a chiedere i documenti ed il libretto di lavoro.

Io cerco sempre amici italiani sperando che riesca a realizzare una vita migliore qui a Firenze.

Anche qui in IPM è così: non do confidenza a nessuno perché non voglio casini. Voglio scontare la mia pena ed andarmene presto.

Infine vorrei dire che nonostante la mia vita non sia stata facile, io sono un ragazzo felice, a cui piace la vita, a cui piace divertirsi… Sai che mi piace ballare tanto la break-dance? Mi piacciono anche i balli latino-americani perché vanno ballati con le ragazze…

 

G.

 

Storia raccolta da Nastassya Imperiale e Antonella Lamorgese il 22 giugno 2003 a Firenze

 

G. ha 18 anni, viene dall’Albania, è venuto sia per lavorare sia per evadere dalla realtà albanese.

Ha descritto un viaggio scioccante, per noi ascoltatori ma in particolar modo per lui che lo ha vissuto. La voce tremante e soffocata, lunghe pause, parlano più di cento parole.

Un viaggio interminabile, reso ancor più lungo dalle ronde della guardia di finanza che ha costretto la nave a rientrare per poi riprendere la sua rotta.

Paura, timori, parole taciute, fame, questi sono stati i compagni di viaggio di G. verso l’Italia: "Non ti aiutava nessuno, ognuno pensa per se, se poi anche urlavi, se dicevi qualcosa, ti davano pugni. Troppo difficile, veramente. Sono rimasto quattro giorni senza sapere nulla. Non sapevo nemmeno che giorno era, niente… in mezzo al mare senza vedere nessuno… poi anche gli altri non parlavano perché tutti avevano paura. È una cosa tristissima, veramente. Alcuni prendono il gommone e anche lì mi hanno raccontato che ci sono persone che li buttano anche dentro in mezzo al mare quando arriva la guardia di finanza, li buttano in mezzo al mare e gli altri aspettano in Albania di essere chiamati.

Veramente è una cosa tristissima… La fortuna mi ha portato qui… mi è andata bene…".

G. lascia l’idea di essere arrivato in Italia molto spaurito, poco convinto delle proprie potenzialità. Il suo obiettivo era raggiungere una zia alla quale sono aggrappate tante speranze.

Il viaggio continua, esausto in un treno dove trova finalmente una persona amica.

A volte un semplice gesto come pagare un biglietto del treno od offrire una carta telefonica, vogliono significare molto. Raggiunta sua zia sono arrivate le prime delusioni, i primi problemi; non è semplice ottenere il permesso di soggiorno. Così per cinque mesi G. resiste in una situazione che non avrebbe mai immaginato: non si poteva far vedere da nessuno per non mettere nei guai la zia e se stesso. Non era questo quello che si aspettava e cercava dall’Italia, non ha lasciato la sua terra, intrapreso tante difficoltà per stare in casa a "mangiare i soldi", come dice lui, a sua zia, ma vuole trovare un lavoro e un po’ d’istruzione, è tutto più difficile senza il permesso di soggiorno.

Una volta in Italia l’aspirazione massima è ottenere il permesso di soggiorno.

G. lo ha ottenuto da poco, è contento ed ha trovato un lavoro che inizierà tra qualche giorno.

Nella struttura in cui è ospitato, pensava di rimanere solo fino al rilascio del permesso di soggiorno: "Pensavo di prendere il permesso di soggiorno e di andare via subito, che ne pensavo di stare ancora qui e cominciare a lavorare! No, veramente mi hanno aiutato tanto". È stato contento di arrivare nel centro dove si trova perché da sua zia non faceva nulla, non poteva far nulla, invece qui è stato fermo solo la prima settimana che è quella per la conoscenza; poi ha cominciato a stare in cucina, a studiare un po’ d’italiano perché non sapeva nemmeno una parola e quindi non poteva comunicare con nessuno.

Proviene da una famiglia modesta, i suoi sono contadini e lui spesso aiutava nei lavori nei campi: "Pochissimo, veramente, lì è una vita difficile… perché non trovi lavoro, e anche se trovi, stai otto, dieci ore… e poi che prendi?! Che vi posso dire, otto euro, giuro! È una cosa difficile, veramente".

È il più piccolo di tre figli, non vede la sua famiglia da un anno e mezzo e per un po’ non tornerà a casa, non può tornare senza portare qualche soldo alla sua famiglia: "Ho i documenti per andare, però… senza niente non si può andare… perché due anni… e non li mando ancora niente, è una cosa brutta mi sa, o mi sbaglio?".

Una vita difficile da portare avanti, tanto da spingere i suoi genitori a dirgli di andarsene, lasciando la propria terra e la famiglia, perché "lì è una vita difficile, veramente, troppo difficile, non puoi trovare lavoro… Anche se lavori ti pagano pochissimo, pochissimo, veramente." Vorrebbe farsi raggiungere dai suoi fratelli non appena sarà sistemato; non vuole tornare in Albania. Scrive poesie, è un ragazzo molto sensibile, le scrive soprattutto per i suoi genitori, descrive la realtà, ciò che sente e che ha vissuto, non gli piace inventare.

Non ha ceduto al gusto di fare soldi in modo facile ma illegale: "Io gli affermavo che dovevo andare, che non avevo tempo per certe cose". G. per quanto riguarda quest’argomento sembra aver le idee molto chiare, anche se ha avuto molte proposte di andare a rubare, di spacciare, di prendere roba, lui ha sempre rifiutato: "Per me uno che fuma o fa certe cose… boh, non lo so… fa una vita di merda… per questo è importante aver qualcuno che ti dice di non fare certe cose, anche se credo che basta non averle in testa, perché qualcuno anche se ha delle persone che gli dicono di non farlo, lo fa lo stesso."

Ha un grosso rispetto per i suoi genitori, ne sente la mancanza; non capisce quei ragazzi che litigano, contestano o trattano male i propri genitori: "Alla fine, anche se loro sbagliano, hanno ragione perché ti hanno cresciuto, ti hanno dato la vita." Percepisce molto le differenze culturali tra Italia e Albania, per questo non vuole vivere per sempre qui, ma vorrebbe tornare in Albania, magari anche tra dieci anni, ma non vuole rimanere per sempre qui. "In Albania incontri una persona, i vicini di casa, vai da loro… funziona diversamente perché dai vicini ci vai per passare il tempo, a mangiare, a vedere un film, a scherzare… se qui fai degli scherzi, ci sono degli italiani che ti dicono di non offendere, anche se non fai nulla per offendere. Non lo so, non hanno tanto senso di umorismo, anche se scherzi con loro. Poi con le mani non li puoi toccare… boh, non lo so, sono… non lo so… quindi basta, voglio tornare in Albania per vivere là… Non lo so! Non è che l’Italia è bellissima, più bella dell’Albania, però la gente che sta troppo lontano, che non ha voglia di parlare, di scherzare… Non puoi scherzare con loro… scherzare sì, ma li sento troppo chiusi. Forse hanno anche ragione, non si sa! Ancora non ho trovato un amico stretto, fino adesso no. Qui ci sono tanti ragazzi, ma sono troppo diversi, hanno cambiato da quando sono venuti in Italia, hanno cambiato perché… sono come diventati un po’ italiani. Lo sai perché? Nel senso che in Albania i figli con i genitori o con uno più grande… per esempio, se uno è più grande di te, lo devi rispettare per forza. È una cosa buona rispettare, e qui ci sono tanti ragazzi che non hanno rispetto delle persone più grandi di loro… Adesso ho il permesso di soggiorno, che mi dura per sei mesi, poi quando inizio a lavorare lo devo rinnovare, poi lo faccio per un anno, per due… ormai ce l’ho, sono sicuro, sono liberooo! Adesso sono tranquillo, prima mamma mia! Avevo paura di tornare in Albania… tutto questo sacrificio che avevo fatto… poi alla fine di andare in Albania… ooohh, perché io sono venuto per lavorare."

 

 

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