Giornalismo dal carcere

 

 

In carcere ho riscoperto la religione. Dopo l’eclisse, il sole

 

Sono una persona non più giovane, con alle spalle una serie di fallimenti sia familiari, con un matrimonio e due lunghe convivenze che mi hanno fruttato due figli, sia nel lavoro e, soprattutto, come membro della società. Ho avuto il primo contatto con la triste realtà del carcere circa 12 anni fa, ma solo per un breve periodo. Adesso sono dentro da 4 mesi e, purtroppo, ne avrò per diversi anni, ma ciò che mi sta dando la forza di accettare e andare avanti in questo triste futuro è il nuovo rapporto che sono riuscito a instaurare con la religione. Da adolescente ho avuto un grosso rapporto con la chiesa e la religiosità, in quanto ho vissuto per 5 anni in seminario, ma questo fatto alla fine mi aveva completamente allontanato prima dalla pratica attiva e successivamente anche, purtroppo, dalla fede cristiana, tanto che mi rifiutavo addirittura di entrare in chiesa perfino nelle grandi occasioni familiari come battesimi, matrimoni e funerali.

Da quando sono qui ho avuto l’opportunità di avvicinarmi di nuovo alla fede, ma con mio grande stupore in maniera semplice, senza remore, e la cosa più strabiliante è che ho una grande voglia di recuperare il tempo perduto. Tutto ciò mi ha fatto riacquistare una grande serenità d’animo che non avevo da molti anni.

Un’altra cosa che mi suscita molta meraviglia è il vedere uomini con un passato di violenza, droga e quant’altro accostarsi con umiltà e serenità al rapporto con Dio. Il vedere persone di culture, etnie e addirittura religioni diverse, ritrovarsi tutti assieme nella piccola cappella del carcere attorno alla canuta figura del cappellano, grazie al quale l’incontro avviene con semplicità e spontaneità che stupiscono.

E il tutto avviene senza forzature da parte di nessuno, anzi, si fa a gara per essere inseriti nei gruppi di studio religiosi, corsi e incontri di formazione religiosa, ma la cosa più bella è sentire parlare e aprirsi i propri compagni di sventura.

 

Calogero, dal carcere di Pordenone

 

 

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