Prospettiva Esse

 

Anno VII - n. 3 - 4 Autunno - Inverno 2003

 

Voce dal carcere, di Labidi Ezzedine

Grazie, di Dino Previato

Irragionevolezze amministrative del potere, di Ferdinando Cantini

Non siamo tutti cittadini, di Dino Previato

Il colloquio, a cura della sezione femminile

Angeli o diavoli: come ci vedete?

Intervista al nuovo cappellano, don Marino Zordan

Saluti al Vescovo Andrea Bruno Mazzoccato

Quali diritti in carcere?!, di Giorgia, Monia, Olga e Natascia

Donne rom in carcere, madri di tanti bambini, di Natascia

Concerto, a cura della Sezione femminile

La sua condanna, di Labidi Ezzedine

Di carcere in carcere, di Gianluca Zordan

Il tuo spettacolo, di Labidi Ezzedine

La grazia, Adriano Sofri, la giustizia del Ministro, di Ferdinando Cantini

Il carcere immaginato, a cura dei ragazzi della 5^C dell'Itcs di Rovigo

 

Voce dal carcere, di Labidi Ezzedine

 

Gentili signori, non avevamo chiesto solamente una misura qualsiasi di indulto, ma che le carceri diventassero più umane, ricordando che una parte dell’articolo 27 della costituzione prevede la rieducazione del detenuto.

Non chiediamo di tornare solamente in libertà, ma che ci venga offerta la possibilità di riparare agli sbagli commessi nei confronti della società.

E cosa, se non un atto di clemenza, sarebbe più significativo di una riappacificazione avvenuta dopo la rottura con la società stessa?

Perché la persona finita in carcere non interessa più a nessuno? Perché, se previste dal codice penale, non vengono applicate le norme riguardanti le pene alternative se non in casi eccezionali?

Troppo spesso attraverso l’etichetta di "detenuto" viene cancellata anche la dignità riconosciuta ad ogni essere umano.

Siamo consapevoli del nostro sbaglio, ma sappiamo anche che dietro quel volto di detenuto c’è una storia, una storia umana con tutto il suo bagaglio di gioie e sofferenze, di amore e delusioni, di valore e di debolezze, che nessuno conosce e perciò è in grado di giudicare.

Lo stato di prostrazione che ci coglie, il sentirci abbandonati, lo scoprire di essere dimenticati dalla società, recepire che non si è nessuno per gli altri, è davvero umiliante e disumanizzante.

Quindi non c’è pace senza giustizia, non c’è giustizia senza perdono, a questo punto diventa inutile aggiungere altro.

Il messaggio vuole essere chiaro ed è un messaggio di speranza per noi detenuti. Ma che lo sia anche per la società affinché, attraverso politiche di reinserimento sociale, diventi capace di dare speranza ai detenuti spesso dimenticati nelle carceri.

Ogni uomo, in quanto tale, è capace di cambiamento. Il recupero non è impossibile, basta volerlo attivare per realizzarlo insieme.

 

Grazie, di Dino Previato

 

Novembre è il mese del Grazie, tutti in qualche modo dicono il loro, infatti andando a visitare i propri cari defunti, oppure come la gente dei campi che ringraziano il Signore per i raccolti ricevuti, anch’io, dopo il nuovo rigetto dell’istanza di affidamento, e quando mi mancano ormai cinque o sei mesi alla fine della mia pena, avverto la necessità di dire un grazie sincero e quanto mai sentito non solo al Signore per avermi consentito di superare questa "prova" e ma anche a tanti altri che mi ho sentito vicino e questo per tre ragioni:

avere avuto la possibilità di ritrovare me stesso e le ragioni per vivere.

Aver rafforzato i rapporti con la mia nuova famiglia e di sentirmi pienamente solidale;

Avermi dato una dimensione nuova per stare in "società" che preferisco chiamare comunità.

Sono i motivi di sempre, ma il ritmo forsennato della vita e degli accadimenti succedutesi, non lo hanno consentito, in quanto dal 1989 ad oggi, ogni giorno mi si presentava problemi nuovi e di diversa portata. Non facevo che inseguire senza mai un momento di sosta per fermarmi a riflettere e, grazie al Signore, è venuto anche il momento di fermarsi e mi sono accorto di quanto mi sarei evitato se solo avessi avuto l’accortezza di fermarmi.

Tutto ciò a primo avviso sembrerebbe un nuovo conformismo ed un adeguamento alla nuova dimensione del vivere la propria vita, invece per me tutto quello che mi è successo è stato come una "manna" dal cielo e con questo sentimento ho cominciato a guardare il susseguirsi degli eventi ed a convivere con essi. Ecco perché del mio grazie a Dio ed agli operatori attenti che affidandosi a Lui operano nelle disgrazie del Mondo. Don Silvio, Don Giuliano i più vicini, Don Pierino Gelmini, mi hanno insegnato pian piano la strada per avvicinarmi a conoscere sempre di più me stesso ed ad affidarmi alla pietà di Cristo e dei suoi Santi. Dare pugni in cielo è un inutile sforzo fisico, ma convivere con gli avvenimenti non è facile, ma la ritengo la migliore medicina. Oggi che ho imparato è diventato un principio di vita, meglio un elemento radicato che mi consente di guardare avanti e proiettarmi nel futuro. Per questo dire grazie è un sentimento radicato che ha irradiato i miei sentimenti, la mia modesta intelligenza, e la vita stessa. Spesso mi domando, guardandomi attorno e rivedendo il passato, come ho potuto superare tutte le vicissitudini che dal 1993 mi sono capitate e l’unica risposta razionale che trovo è sempre la stessa ..la "mano" di Dio mi ha aiutato.

Ecco questo affidarmi a lui, da fragile mi ha fatto sentire forte ed anche nei momenti di disperazione più assoluta, ha rinfrancato ed illuminato la mia razionalità e nello stesso tempo mi ha consentito di giungere sino ad oggi.

Mi sembra inutile rinvangare il passato, né ricercare quei segnali che dimostrano la Sua presenza, ma "… il convivere con l’inevitabile … mi ha senza dubbio permesso di sentirmi come un sopravvissuto da un terribile sogno, dal quale sono uscito rafforzato nella fede e pronto a nuove esperienze.

Un grazie ai Magistrati, tanto criticati ed avversati, sia quelli che mi hanno processato che condannato, ma anche a quelli che come "Sorveglianza" hanno soprasseduto ai miei miglioramenti educativi ed ovviato alla possibilità di destinarmi a nuovi livelli trattamentali.

Non gli ha mai visti come dei torturatori, né come nemici, né come controparte, ma bensì come coloro che mi hanno consentito di conservare la ragione intatta e di guardarmi attorno confrontandomi con una realtà che non conoscevo e che non credevo esistesse quanto meno in tale dimensione.

Ripensando ai rigetti dell’affidamento sino ad oggi non concessi, mi hanno fatto sentire come una persona speciale e particolare, il qual fatto mi ha permesso di distaccarmi dalla realtà in cui vivevo e di non adagiarmi nella quotidianità e di farmi accettare per quel che sono.

Non è facile sottrarsi e distaccarsi dall’essere preso dalla "violenza" della vita del detenuto o dalla conformità del tanto che mi resta fare ho sempre vissuto in questa maniera. E’ vero mi ha aiutato il lavoro esterno, la semilibertà e l’amicizia dei vari Giovanni ed Urru (Compagni di cella), Francesco, Giorgio, Vincenzo, Davide, Giovanni, Silvano ed adesso anche Roberto che mi hanno accompagnato in questo mio cammino di espiazione e che hanno saputo con la loro giovialità e condannata fraternità a rendere più normale possibile la vita all’interno dell’Istituto.

So perfettamente che la mia vita non sarà come prima, e che certamente non dimenticherò tanto facilmente questa esperienza che mi ha segnato profondamente, ma non posso tralasciare dal dire che i tanti stimoli che mi hanno consentito di conoscere nuove esperienze e di superare tante tensioni.

Sono state i motivi della mia sopravvivenza e di crescita intellettuale e culturale specialmente quando leggevo le ordinanze di rigetto e presentavo una nuova richiesta. Chiedo scusa per le intemperanze ma certamente la ricerca di un migliore trattamento mi portava a questo, non certamente l’animo pugnandi. Casa sarebbe stato di me se non mi fossi comportato in questa maniera, un giudice non lo capirà mai, ma personalmente so che è stato un modo per sottrarmi dal cadere nella conformità e nell’adagiarmi nel vivere cercando di nascondere quello che realmente penso.

Quante volte mi tentato l’idea che un complotto politico giudiziario mi avesse condannato, ma sono sempre riuscito a superarla convincendomi che è stato tutto il frutto di una mia scelta e quanto meno di non aver esaminato i fatti e gli eventi con la giusta criticità e per questo dovevo sopportare quello che mi stava capitando.

In questo superamento sta anche la mia tranquillità e serenità d’animo che mi porta a decisioni non conformi, ma certamente in linea con le mie scelte operate, anche se qualche volta il peso maggiore deve sopportarlo la mia famiglia.

Un grazie lo debbo agli assistenti, ai responsabili penitenziari, che pur nel loro non facile né invidiabile compito, mi hanno aiutato a conservare il rispetto per me stesso. Sarebbe stato facile per loro trattarmi alla stessa tregua degli altri ospiti dell’Istituto, ma hanno sempre avuto quella attenzione e sensibilità per mettermi a mio agio anche nelle situazioni più difficili.

Sono stati per me quell’indescrivibile qualche cosa di più che mi è stato di aiuto e conforto nei momenti più bui. Una parola, uno sguardo, una battuta, un farmi parlare hanno rappresentato un modo per costringermi a ragionare ed ad usare la testa.

Sono piccole cose, che mi sono state di grande aiuto e che conserverò sempre nella memoria, come forza viva e vitale di un insegnamento che non si può cancellare e dove non trovano alloggio gli screzi od i diverbi che possono essere accaduti.

Un grazie va anche al personale addetto all’amministrazione, verso il quale spesso ho avuto le intemperanze più forti, ma che hanno saputo comprendermi e nello stesso tempo hanno dato risposte alle problematiche da me sollevate con gentilezza e molta sopportazione.

Un grazie alla mia famiglia, a mia "moglie", ai miei figli che hanno vissuto in comunanza di intenti queste vicissitudini, subendole e domandandosi perché, ma sempre attenti ad aprire le loro braccia con affetto e dolcezza.

Nonostante tutto sono stato con loro più tempo durante questa "prova" che non nel periodo che da libero tentatvo di affrontare e domare gli eventi. Non avevo tempo per loro.

L’unico crucio che mi resta è quello di non essere riuscito a sottrarli a questa sofferenza che ha segnato la loro vita, ma forse non è un male, perché si sono addestrati ad affrontare la realtà e le sue vicissitudini.

Nei loro cuori non c’è rabbia, né animosità, ma solo tanta tenerezza e dolcezza e tanto affetto ed una grande capacità di trasmetterla ed aspetto con ansia il giorno che mi consentirà di stare completamente con loro senza staccarmi per andare in Istituto.

Avrei tante altri grazie da dire, ma l’emozione non mi consente di andare oltre, né di aprirmi agli orizzonti della comunità e della società civile, forse perché questo è l’aspetto che forse mi fa più male, non tanto perché in esse non trovi il mio spazio, ma perché non vedo affermati quei valori per i quali anche questa "prova" è stata segnata.

Non ho nulla da rimproverare a nessuno, se non a me stesso, per non avere utilizzato i talenti che Dio ha voluto consegnarmi, per dare di più e meglio a questa comunità che tanto ho amato e continuo ad amare e sono sicuro che nella vita non ci sono possibilità di repliche ma che tutto bisogna costruire mattone dopo mattone e di poter essere quel muratore che con tanta pazienza edifica muro dopo muro quella casa comune che alla fin fine tutti vogliamo.

 

Irragionevolezze amministrative del potere, di Ferdinando Cantini

 

Una mediocre massaia prima di provvedere alla spesa per la propria famiglia si fa un rapido calcolo di quali sono le sue possibilità e le proprie capacità economiche onde evitare pessime figure fuori della porta di casa e attorno alla tavola di casa. Una mediocre massaia presto apprende l’arte della onorevole rinuncia a molti dei suoi ideali e a molte delle sue aspirazioni personali. Una mediocre massaia forse non conosce nessuna delle grandi filosofie sociali ed economiche, ma giorno dopo giorno diviene una esperta di "buon senso" e di "adattabilità". Una mediocre massaia è il nucleo del governo di una famiglia. La famiglia per quanto possa essere vilipesa dai nuovi costumi sociali è ancora (almeno costituzionalmente) il nucleo della nostra società.

Da questa premessa, invisibile, perché si fonda su concetti comuni, così comuni proprio perché li viviamo senza accorgercene e senza valutare il loro valore intrinseco, proviamo a confrontare i fondamenti e i pregi del governo familiare di una mediocre massaia con quello della Nazione che, a rotazione di parti, è sempre in mano a filosofi della politica e teologi della società. Un argomento importante che potremmo esaminare è il comportamento sulla nuova legge sulle tossicodipendenze.

Tolleranza zero!… Anche chi fuma uno spinello violerà la legge ed incorrerà in sanzioni penali e potrebbe infilarsi in un tortuoso labirinto che lo conduce in carcere … se non contratterà l’accoglienza nelle comunità terapeutiche .

Tolleranza zero!… Così tuona il vice premier Fini, Alleanza Nazionale, e quasi tutto il governo. Sull’attesa delle loro tesi sanitarie, psichiche e socio-culturali è difficile addentrarsi, ce ne sono altre contrapposte altrettanto meritevoli di considerazione in quanto munite di altrettanta dignità culturale. E’ più pacifico e dignitoso pensare che la "Ragione " prevarica i confini di parte e non sta mai in un unico schieramento.

Però una considerazione può anche nascere spontanea: come possono gli Alberto da Giussano del liberismo divenire "ayatollah" del proibizionismo senza nemmeno aver prima il pudore di cambiarsi d’abito? Medio Evo e caccia alle streghe stanno ritornando a quanto pare!

Ma ritorniamo alla nostra mediocre massaia e investiamola di questo grande problema del nostro Governo. La nostra massaia che forse non sarà mai dotata delle capacità di lungimiranza di un politico, ma che si sposa quotidianamente con le doti della praticità, necessarie per sbarcare comunque il lunario nonostante i mille ed incalcolabili problemi, sa fare subito due semplici calcoli aritmetici per verificare se le sue finanze gli permettono di assecondare il suo progetto. Si accorge subito che le sue finanze già ora non sono sufficienti per le attuali spese per la sanità sia all’interno delle carceri che all’esterno tra la comune gente. Per quanto possa aborrire chi si fuma lo spinello o chi fa uso di droga, non si sognerebbe mai di togliere questi consumatori dal consorzio sociale, dove sono autosufficienti o quasi, per doverseli poi caricare nel proprio scarso bilancio. Si accorgerebbe che le carceri sono già stracolme, e che il mal partorito "indultino" era molto meglio abortirlo che generarlo e chiamarlo "Mostro di inettitudine burocratica" .

Si accorgerebbe che i nostri tribunali non ce la fanno già più ad amministrare nel senso delle leggi (La Giustizia è affetta da Utopia).

Si accorgerebbe che Sert e comunità sono il topolino partorito dalla montagna di elucubrazioni delle legislazioni precedenti e sono già al collasso economico per i continui tagli economici.

La nostra mediocre massaia si accorgerebbe di tutto questo perché è sotto gli occhi di tutti .

Non se ne accorge il vice Premier, Alleanza Nazionale e quasi tutto il centro destra che forse nel suo curriculum non hanno le capacità attitudinale della mediocre massaia.

Il problema droga esiste ed esiste perché ci sono assuntori, di questo bisogna dar atto, però le risoluzioni dei problemi si ottengono esaminando e sviluppando i dati dello stesso problema correttamente e non proclamando crociate contro lo spinello.

 

Non siamo tutti cittadini, di Dino Previato

 

Mi ha colpito il titolo di un articolo apparso sul "Gazzettino – Cronaca di Rovigo" dal titolo "Magistrati cittadini di serie B" ed ha innescato il desiderio di riflettere sul significato che tale affermazione determina.

Senza entrare nel merito del contenuto che esige conoscenza, non che manchino, basterebbe, infatti, analizzare i lavori della commissione nel sito "Parlamento Italiano" per capire e comprendere le ragioni che sottendono all’azione che i Magistrati stanno sollevando, ma anche perché non si tratta di stabilire la validità o meno della questione in atto per cui volutamente non voglio entrare nel merito, ma riconsiderare quel "Cittadini di serie B", difficile da comprendere e da giustificare.

Sarebbe più comprensibile se fosse stata una dichiarazione dei residenti in una frazione della città…abbandonata a se stessa e che rivendica una maggiore attenzione, ma non certo da dei Magistrati che, così danno la sensazione di difendere i privilegi di categoria che non un loro ruolo.

Infatti, cosa debbono pensare i cittadini "comuni" che sono soggetti alle decisioni dell’esecutivo ed alla "interpretazione creativa" della legge fatta dai Magistrati? Non è un modo per uscire dalle … righe e dal vivere i fatti della vita?

Ora, nella società della comunicazione, dove tutto si brucia nel giro di un attimo, per una attività produttiva che vuole operare nella legalità, per un cittadino che vuole osservare le leggi, quali sono i punti di riferimento certi da rispettare? Debbono quotidianamente aggiornarsi su come le leggi vengono interpretate? Quando possono dare seguito alle opere necessarie per adeguarsi, ben sapendo che è sufficiente una modifica di un parametro o la semplice errata valutazione di questo per trovarsi fuori dalla legge?

Ritengo che oggi più che mai occorra, e per un cittadino qualsiasi diventa necessità, avere punti di riferimento certi sia in termini di diritto che in termini di interpretazione della norma.

Giustamente il Presidente della Repubblica Ciampi ebbe a dire recentemente che "I magistrati sono chiamati a "dire il diritto", ad applicare e interpretare le leggi, calandone il contenuto, generale ed astratto, in fatti e situazioni concrete"…e che. "i fatti vanno valutati con la dovuta fedeltà al testo della norma, in un’ottica complessiva che la riconduca alla logica del sistema, la armonizzi con altre norme e con altri principi: primi tra tutti, quelli sanciti dalla Costituzione."

Non è certamente un dogma religioso, ne tanto meno mera aspirazione, ma una necessità, non solo per la chiarezza applicativa della norma ma per evitare che la mutevolezza e la contraddittorietà delle interpretazioni siano ragioni per offrire spazi che portano a non aver il rispetto delle attese del cittadino ed a non assicurare con la stabilità e "prevedibilità" alle decisioni di poter operare tranquillamente nella legalità.

Non è certamente facile vivere ed operare quando si deve tener conto anche della variabile legata alla potestà discrezionale del giudice.

Ritengo che è vero che i tempi cambiano, ma forse i cambiamenti contano solo per una parte della società?

In altri tempi venivano chiamati "atti corporativi" oggi è stato coniato un nuovo termine "difesa dell’autonomia", ma la ragione è sempre la stessa "difesa dei propri diritti".

A lezione di educazione civica ci insegnavano che l’abuso è l’applicazione di un tuo diritto ai danni di quello di tutti. Ora quando per ogni piccola "storia". è possibile che si debba di aprire un’inchiesta? Non ci si accorge che "l’interpretazione creativa" della legge sull’obbligo di intervenire non sia sentita né vista come un atto dovuto, ma più come una necessità di apparire? Ora anche solamente questo dimostra che il Magistrato non è un cittadino di serie "B" e per questo che tali affermazioni molte volte creano situazioni incomprensibili e certamente fanno nascere repulsioni e malintesi e non le dovute attenzioni che il problema forse necessita.

Quando un cittadino per effetto di una legge vede leso un diritto o si determina una disparità nel trattamento, ha l’arma dello sciopero che purtroppo essendo stata abusata, oggi non ha quell’effetto di deterrente che stimola la ricerca di soluzioni accettabili, ma determina della esasperazioni che incidono nei rapporti sociali e non aiutano la solidarietà.

Anche per questo quel "Magistrati cittadini di serie B" offende il comune sentire e comunque allontana una categoria dalle restanti e le fa sentire come un corpo estraneo, quando invece un po’ di equilibrio renderebbe tutto più semplice. Proviamo a pensare ai pensionati, come si debbono sentire in una graduatoria che dalla Serie A tocca tutto l’alfabeto?

Visto in quest’ottica certamente quel grido assomiglia più ad un atto di salvaguardia e come tale non serve alla causa, né contribuisce a migliorare i rapporti. Anche il mio è un pregiudizio, ma pongo a tutti un problema, il recupero di valori che giustificano e rendano i cittadini, non dico eguali, ma certamente in grado di dare secondo i propri talenti per far crescere la comunità.

Ci sarà mai spazio per tutto ciò o rappresenta semplicemente un’illusione?

 

Il colloquio, a cura della sezione femminile

 

Sono una donna di circa quarantacinque anni, per la prima volta in carcere. Il mio primo colloquio è stato troppo emozionante per la vergogna che provavo nell’affrontare i miei famigliari.

Malgrado il passare dei giorni dell’ora del colloquio mi è rimasta la sofferenza nel vedere il sorriso e le lacrime dei miei famigliari, ma c’è anche molta gioia nel mio cuore che mi porto poi nella cella per tutta la settimana. Purtroppo il tempo passa veloce in quell’ora si cerca di dare e ricevere il massimo, ma il tempo è molto tiranno e vorrei che ci fossero più ore disponibili nel mese.

Sono la compagna di cella della signora che ha appena descritto il suo colloquio, mi trovo in carcere da circa sei mesi. All’inizio i colloqui li attendevo con molta ansia nel vedere i miei genitori, anche per provare la gioia nel sentire parlare della vita esterna dal carcere. In un secondo tempo ho avuto la possibilità di fare un colloquio con il mio ragazzo, questa breve ora l’avevo attesa per quattro mesi. La grande emozione mi ha giocato un brutto scherzo perché sono stata chiamata in ritardo ed ero già nel mio letto a piangere la solitudine che mi avvolge nei giorni dei colloqui se non vengo interpellata, ad un tratto balzare dal letto e scendere le scale velocemente, arrivare nella saletta e vedere emozionata ed incredula il mio ragazzo. Il breve abbraccio che mi è stato concesso è stato molto intenso, ma le cose che avrei voluto dirgli erano troppe per il poco tempo a disposizione .

Trovo le ore che vengono concesse in un mese siano ancora poche, capisco che mi trovo ristretta e che devo scontare l’errore che ho commesso, ma il desiderio di libertà dentro di me è grandissimo.

Sono la terza della cella 5 che condivido con un'altra ragazza e la signora che chiamiamo affettuosamente zia. Mi trovo qui da circa venti giorni, ma a differenza di loro due io ho già provato la brutta esperienza, non per un’altra condanna, ma per la stessa che ancora oggi mi ha riportato tra queste mura. Sono mamma di una bambina di cinque anni e per me la sofferenza è tutta posta per lei. Il mio problema non è uguale alle altre, in quanto la mia piccola gioia è custodita dalla mia mamma che non è in grado di poter venire costantemente nei giorni e nelle ore prestabilite da questo carcere per problemi di lavoro e distanza. Le mie poche ore messe a disposizione le vivo con immensa felicità quando posso finalmente riabbracciare il mio piccolo amore che mi fa scordare tutti i problemi e le mie tristezze. Ma il momento più difficile è il distacco e la solitudine che mi riporto nella cella , ma nello stesso tempo mi da la forza di continuare a vivere qui pensando di ritornare presto da lei che mi manca tanto.

Come dicevo, prima la distanza dalla propria città il carcere può essere causa di molti problemi per noi che attendiamo con ansia quelle poche ore al mese che ci vengono concesse, se al di fuori i nostri parenti non hanno la possibilità di essere presenti nei giorni stabiliti. In questi venti giorni ho potuto rivedere la mia piccola cucciola solo una volta ed il dolore per me è immenso quando sento l’agente avvisarmi della fine del colloquio, uscendo porto con me la gioia del suo sorriso.

 

Angeli o diavoli: come ci vedete?, di Fiorina Butoi, Tatiana Furios, Nadia Martinet, Paola Parigi

 

Ci siamo decise noi, ragazze della cella 5, a buttare giù poche righe dove spieghiamo come conviviamo in questa situazione: persone diverse, storie abitudini e soprattutto caratteri diversi. Quando uno arriva in carcere non sa cosa lo aspetta, quindi dobbiamo trovare il modo per inserirci al meglio, non è sempre facile, bisogna cercare di venirsi incontro un po’ per tutto: dalle cavolate come i programmi i televisivi, agli atteggiamenti, che pur sembrano abituali da un altro possono essere fraintesi. In poche parole, convivere qui, non possiamo scegliere con chi vivere, quindi siamo obbligati a trovare compromessi. Fortunatamente nella nostra cella quasi fin dall’inizio abbiamo trovato il giusto equilibrio. Nonostante qualche diverbio che, comunque per adesso ci ha aiutato a conoscere i nostri limiti ed a migliorare i nostri rapporti.

Nei momenti difficili cerchiamo di aiutarci a vicenda, sia finanziariamente che psicologicamente, cercando di ragionare e consigliare con i nostri pareri prima di arrivare ad azioni azzardate. Quando la noia prevale troviamo, troviamo sempre il modo di impegnarci per fare allontanare i pensieri; come , per esempio, il Natale ed il capodanno, nonostante la tristezza per non essere con i nostri cari, abbiamo cercato di stare unite passando il tempo ballando e scherzando. Ormai siamo abituate a farci anche scherzi tipo: cuscinate e secchiate d’acqua quando uno dorme.

Forse agli occhi degli altri possiamo sembrare superficiali, ma invece cerchi solo di vivere la galera più spensieratamente. D’altra parte cosa dobbiamo fare? Non riusciamo a tare tutto il giorno in cella buttate sul letto a deprimerci, infatti cerchiamo di trasmettere questa atmosfera positiva con le altre detenute e con il personale del carcere le agenti o le infermiere. Ed infatti Le ringraziamo perché ci fanno vivere in un ambiente familiare.

 

Intervista al nuovo cappellano, don Marino Zordan

 

D. Il carcere cos’era per Lei e cos’è ora, dopo essere diventato il cappellano della Casa Circondariale di Rovigo ?

 

R. A tutto avrei pensato, ma non che il Vescovo mi chiamasse a diventare Cappellano della Casa Circondariale di Rovigo. Onestamente, sulle prime la proposta non è che mi entusiasmasse molto, condividendo i soliti luoghi comuni sulla realtà carceraria, i soliti pregiudizi, le solite paure.

Ora, dopo cinque mesi che sto vivendo questa esperienza, la mia posizione è cambiata. Sto incontrando persone con attese, delusioni, speranze, paure. Certo, mi sento ancora un novellino, ma il carcere non è più per me un problema misterioso dal quale è bene stare alla larga.

 

D. La sua, nel carcere, è una missione pastorale di guida e ricerca in un luogo in cui principalmente Le viene chiesto tutt’altro genere di aiuto, quale voce del detenuto sente chiamarLa con più insistenza ?

 

R. Il detenuto ti cerca per le cose più disparate: 5 o 10 € per poter telefonare, o comprare il necessario per scrivere o un pacchetto di sigarette, etc. Molte sono le richieste di vestiario e di scarpe. Nel limite del possibile cerco di andare incontro a queste necessità. Accanto a queste richieste, incontro persone chi ti accostano per raccontarti una pagina della loro storia o per condividere la sofferenza di essere reclusi, magari lontani da casa, con il pensiero che corre alla moglie, al marito, alla convivente e ai figli.

I primo tempi mi sentivo un po’ a disagio in questa situazione e mi dicevo "ma io come prete che ci sto a fare qui?". Lentamente sto prendendo coscienza che qui sono prete e il mio servizio all’uomo è un modo di annunciare il Vangelo (buona notizia) del Dio fatto uomo per amore. Non sono mancate in questi mesi esperienze molto belle, quali la Messa domenicale animata da un gruppo di giovani volontari, poi due incontri di riflessione in preparazione al Natale, le confessioni, etc.

 

D. Il carcere ormai è un luogo di convivenza multietnica, anche i Credo religiosi sono differenti. Come concilia questa situazione non trascurabile dell’aspetto religioso. Che aiuti e direttive Le sono messe a disposizione dal Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria. ?

 

R. Qualche giorno fa parlando con delle detenute ho scoperto che in quel momento erano presenti persone di nove lingue diverse, una realtà davvero complessa. Anche dal punto di vista religioso la realtà non è diversa, accanto a persone di religione cattolica sono presenti ortodossi, prevalentemente donne, e musulmani.

Oltre ai cattolici anche gli ortodossi partecipano abitualmente alla celebrazione della messa domenicale. Nei confronti dei musulmani c’è la mia disponibilità all’incontro, all’ascolto e all’aiuto materiale che ricordavo prima.

Nel tentativo di collocarmi meglio in questa situazione, nei mesi scorsi ho partecipato ad alcuni incontri organizzati dalla Direzione della casa circondariale con mediatori culturali di diverse nazionalità.

 

Saluti al Vescovo Andrea Bruno Mazzoccato, a cura della redazione

 

Anche quest’anno la messa del S. Natale all’interno della Casa Circondariale si è trasformato in un evento: la S. Messa è Stata celebrata dal Vescovo e fra noi hanno assistito alcune personalità esterne, i ragazzi del coro e rappresentanti del volontariato. Era presente anche il Magistrato di sorveglianza, il Direttore e il Comandante che con noi hanno preso parte alla cerimonia di commiato per il Vescovo, Monsignor Andrea Bruno, chiamato in altra diocesi. Terminata la S. Messa il Magistrato di sorveglianza, il Direttore e alcuni di noi hanno rappresentato al Vescovo la continuità della nostra vicinanza che Lo accompagnerà anche nella sua nuova missione pastorale.

 

A sua Eccellenza il Vescovo Andrea Bruno Mazzoccato

 

La familiarità con cui anche oggi è in mezzo a noi per santificare il Natale, nasconde ai nostri pensieri l’eccezionalità che dovrebbe avere questo evento, giacché in molte occasioni ci ha già onorati della Sua presenza tra noi .

Ci sembra ieri, che all’inizio della Sua missione pastorale è subito venuta a conoscerci e a portarci le sue fraterne parole di speranza accogliendo le nostre storie.

Oggi però e tra noi anche per salutarci perché la Sua missione pastorale la sta chiamando altrove.

Ci è spontaneo augurarLe di riuscire a conseguire, anche nella prossima sede pastorale, gli stessi risultati ottenuti qui a Rovigo e tra noi detenuti.

Vogliamo chiederLe di lasciare tra noi una inestinguibile parola di speranza a riscaldare i nostri cuori.

Le dicono grazie di essere stato con noi e tra noi, i detenuti e le detenute della Casa Circondariale di Rovigo

 

Quali diritti in carcere?!, di Giorgia, Monia, Olga e Natascia

 

In carcere si parla molto dei tagli economici e noi detenute ci domandiamo perché dobbiamo subire i problemi che ci sono nella gestione del carcere. E i nostri diritti ? Siamo consapevoli che la gestione del carcere è complicata e comprendiamo i motivi che spesso portano al sorgere di molte problematiche, ma la comprensione dovrebbe esistere da entrambe le parti .

Aiutateci a rendere umanamente più vivibile la nostra permanenza in questa casa così chiamata di nome, ma non di fatto.

Molti diritti ci sono privati: le ore d’aria dipendono solamente dalla presenza o meno di più personale penitenziario in sezione; le forniture non sono sufficienti per garantire il nostro fabbisogno quotidiano, costringendoci a comprare la maggior parte di ciò che ci serve. Molte persone potrebbero usufruire delle previste misure alternative che però non vengono applicate; il tempo trascorso in carcere è inutile se mancano quelle attività rieducative e ricreative che ci permettono di scontare la pena in modo costruttivo; i tempi burocratici sono troppo lunghi .

Quali sono dunque le priorità? E’ più importante l’aspetto economico e quindi le restrizioni, cercare di risparmiare per risolvere certi problemi, o una maggiore sensibilità verso quelli che sono i bisogni delle persone? Eppure anche nel risparmio si può riuscire a vivere dignitosamente.

 

Donne rom in carcere, madri di tanti bambini, di Natascia

 

Sono Natascia, mamma di otto figli e nonna di tre nipoti, ho 35 anni, sono in carcere nonostante tutti i miei figli siano minorenni. Il pensiero dei miei figli è costante e la tristezza mi accompagna ora per ora . E’ la prima volta in assoluto che ho lasciato i miei figli ed il marito.

Le domande che mi pongo, giorno per giorno, sono queste: " Perché la giustizia è così lenta? Perché devo pagare ora per un reato commesso parecchi anni fa?".

I miei figli hanno bisogno della loro mamma, per mio marito diventa pesante badare a tutti loro anche perché sono tutti maschi.

Quando vengono a farmi visita in carcere mi è molto pesante vederli andare via, il mio cuore piange, e loro versano molte lacrime, la loro bocca sussurra "Mamma torna a casa".

Il pensiero di dover aspettare ancora una quindicina di giorni prima di uscire da qui mi angoscia ancora di più.

Purtroppo, non conoscendo le regole del carcere, essendo la prima volta, ho già terminato le ore consentite di colloquio. Non vedo l’ora di uscire per riabbracciare i miei figli e riprendere la felicità che qui ho perso e la libertà che mi appartiene.

 

Concerto, a cura della Sezione femminile

 

Oggi ventinove maggio abbiamo assistito, con tanto piacere ed entusiasmo, ad un concerto di tamburi offertoci da alcuni detenuti della sezione maschile. Non tutte noi della sezione femminile abbiamo partecipato, non dimostrando così il pieno apprezzamento e valore alla loro importante iniziativa.

Il concerto è stato proposto in due diversi momenti, perché questo? Perché non condividere questo momento insieme al personale e ai detenuti di tutta la Casa Circondariale ?

Perché non dare il giusto valore e soddisfazione a questi ragazzi che si sono molto impegnati e offrono qualcosa di loro? Di sicuro noi sette ragazze non abbiamo fatto una platea adeguata alla loro bravura. Visto che tempo fa c’erano già stati dei precedenti, dove erano state coinvolte le due sezioni, noi chiediamo il perché di questo: e perché noi del femminile non abbiamo aderito al corso ? O perché non potremo più avere momenti di condivisione con la sezione maschile ?

Il concerto è stato di nostro gradimento, lo abbiamo apprezzato molto, e nonostante che il ragazzo cantante non cantasse italiano, è riuscito a dare il suo messaggio e a darci emozioni. Ci ha molto colpito ed emozionato il poeta con la sua poesia….speriamo di poterlo riascoltare con altre poesie.

Un grazie particolare agli insegnanti, che si sono tanto prodigati, e un grazie ai ragazzi per averci fatto sentire così bene. Un sentito grazie da parte della sezione femminile.

 

La sua condanna, di Labidi Ezzedine

 

Quando uscirà e non avrà niente nelle sue mani di sicuro farà un altro reato per sopravvivere e questo è completamente sbagliato, perché se potesse avere un lavoro sicuro non penserebbe più a delinquere!

Abbiamo bisogno veramente di essere aiutati per evitare di fare gli stessi errori che ci hanno portato a condurre questa vita; il vostro aiuto ci fa cambiare la mentalità di una volta, vogliamo più volontari che ci appoggino su questo argomento e che non ci prendano in giro facendoci credere delle cose impossibili.

Ci sono lavori che sono fattibili, che implicano minore investimento di denaro e danno la possibilità al detenuto di essere produttivo in breve tempo; possono essere: un laboratorio per lucidatore di mobili, assemblaggio di materiale elettrico o meccanico, imballaggio, laboratorio di tipografia per stampaggio, una stireria.

Vogliamo che il mondo esterno si interessi su questo argomento…., siamo fiduciosi.

 

Di carcere in carcere, di Gianluca Zordan

 

Premesso che questa è la prima volta che entro in un carcere Italiano, che la mia unica esperienza carceraria risale a dieci anni fa in Francia e che sono tredici anni che vivo in Spagna, e attraverso conoscenti conosco qualche cosa del sistema carcerario spagnolo, mi ritrovo a riflettere sulle differenze dei tre sistemi carcerari, sui diversi sistemi di trattare i detenuti.

Diritti di unità familiare, di una giusta sanità, di un giusto reinserimento nella società.

Partiamo dalla Spagna dove una volta la mese hai a disposizione otto ore di "vis a vis" ossia quattro ore in un luogo accogliente (un salotto con bagno e zona cucina) dove puoi ricevere la tua famiglia, stare comodo come fossi a casa tua, poter giocare con i tuoi figli poter aver un contatto più umano con i tuoi familiari, senza la promiscuità che ti comporta un colloquio con altre persone intorno, con sconosciuti che ti circondano; poi quattro ore di "vis a vis intima" cioè con tua moglie, convivente, o amica, con una camera da letto ( ti riforniscono di lenzuola pulite) un salottino e un bagno, e poter stare quattro ore in intimità con la tua amata.

Non esiste una polizia penitenziaria, "Los funcionarios" (i funzionari) sono civili, e all’interno svolgono tutte le attività concernenti al funzionamento di una corretta vita carceraria, permettendo una minor soggezione presso la popolazione carceraria.

Una zona d’aria (patios) dove è presente un servizio bar con bibite, panini, patatine caffè ecc, (a pagamento), per poter passare le ore d’aria un po’ più umanamente, inoltre c’è un telefono dove, comprandoti una scheda telefonica ti è permesso telefonare dove e a chi vuoi, chiaramente una volta definitivo.

Esistono "Patios" con campi da calcio, pallacanestro, pallavolo, bocce e soprattutto un po’ di verde, la possibilità di una piscina, presente nella maggior parte delle carceri spagnole, un sistema sanitario dove ritengono prioritaria la salute dei reclusi, seguiti costantemente dall’inizio alla fine della loro carcerazione. E per finire sulle carceri spagnole un buon programma di reinserimento. La maggior parte esce con un lavoro già trovato da enti assistenziali perciò la possibilità di svolgere una attività lavorativa grazie alla quale sono seguiti costantemente e che permette loro un adeguato reinserimento.

Per quanto riguarda la Francia, quando sono stato scarcerato nel ’94 , stavano discutendo di far entrare in vigore il "vis a vis familiare".

Sempre per il discorso colloqui, si svolgono in cabine separate dove puoi parlare tranquillamente senza essere disturbati dagli altri. In ogni carcere si svolgono attività lavorative, scolastiche e ricreative perciò il tempo si fa meno pesante essendo quasi sempre impegnato. Il vitto ti viene sempre servito in vassoi individuali, perciò tutti ricevono una quantità uguale di cibo, in più, due giorni alla settimana, si ha la possibilità di comperare dei cibi a scelta, tipo costata o pollo con patate, formaggi misti ed altri. La spesa è ripartita dal lunedì al venerdì. Per esempio: il lunedì spesa dei liquidi (latte, acqua, bibite ecc.) il martedì frutta e verdura, e così via. Sul tema salute vale lo stesso discorso spagnolo, ossia seguiti costantemente da un equipe medica con visite mensili, anche se sei sano come un pesce. E per terminare con la Francia, anche lì un buon funzionamento degli enti assistenziali che ti permette una reintegrazione nella società. Ricerca del lavoro e del reinserimento, ad un terzo della pena, sono un fatto concreto nel sistema francese.

In definitiva queste riflessioni nascono dal fatto che qui in Italia il trattamento dei reclusi non mi pare molto compatibile con una nazione che vuole trovarsi tra le più industrializzate del mondo dove prevale una burocrazia obsoleta . una mancanza di aiuti assistenziali sanitari e umanitari, una non volontà da parte degli enti competenti ad una giusta riforma carceraria, un giusto reinserimento, un giusto trattamento per tutta la popolazione detenuta.

 

Il tuo spettacolo, di Labidi Ezzedine

 

A volte ti accorgi di essere protagonista di un vero mistero, il mistero del destino. Sicuramente qualcuno di voi mi prenderà per un pazzo contorto e paranoico, qualcuno invece, sono certo, capirà sicuramente nel modo più totale quel che dico e vivo in questo specifico momento.Ti è mai successo di sentirti realizzato perché il tuo lavoro ti riempie, i figli ti gratificano, il tuo tempo libero è impegnato nel migliorare il mondo? Tua moglie ti ama perché sei per lui la persona più splendida della terra? Io mi sono sentito davvero molto fortunato, anche se come tutti vivo momenti di gioia e di dolore, di amore e di odio, di felicità e di tristezza. Ma debbo dire grazie a Dio perché anche nei momenti di totale buio ho sempre avuto intorno a me qualcuno pronto ad amarmi, ad ascoltarmi, a sollevarmi. Sono una semplice normale persona che però ha avuto un passato abbastanza travagliato. Credo che, anche se non vi racconto di me, sia importante, giusto e fondamentale dire oggi che non ha importanza cosa ti succede o dove ti succedono le cose, ma è più importante essere aperti a tutto perché solo così, quando ti senti smarrito, ti accorgi che la persona che siede vicino a te è fonte di luce e di aiuto per come stai.

Spero di non essere troppo vago perché allora dovrei scrivervi pagine e pagine di spiegazioni o racconti, oppure in tre righe racchiudere il senso di tutto questo. Ad esempio: sii aperto e sorridente alle persone ed alle cose che ti affiancano per quanto tristi e squallide siano, loro saranno l’ancora che ti permetterà di non sentirti più triste e solo e, piano piano, con pazienza, passerai beato con fianco a fianco con la salvezza dell’animo protagonista di una vita. Quale meraviglia esistente la può descrivere? Protagonista per soffrire, protagonista per gioire, spesso la platea risulta vuota, ma tu sei lì ed attorno a te Tutto, dentro te Tutto… Sensazioni che rabbrividiscono i tuoi sensi, sospiri che si aprano a nuovi eventi, sguardi che racchiudono capitoli tristi e sofferti, chi può negare tutto questo?

E da protagonista ti accucci su te stesso, quasi per gridare …Basta!! E’ come un semaforo rosso che ripete: "Fermati a pensare" ….a cosa? Alla vita … e poi ricordi un sogno chiedendoti: "Ma la felicità è solo un’illusione?" No! Ti senti felice quando anche nei momenti più neri sei tu il protagonista del tuo spettacolo! (che è la vita).

 

La grazia, Adriano Sofri, la giustizia del Ministro, di Ferdinando Cantini

 

La Grazia è un istituto contemplato sia nella Costituzione che nei codici penale e di procedura che nell’ordinamento penitenziario. La prerogativa di concessione della Grazia, ovvero di commutare le pene, è affidata unicamente al Presidente della Repubblica, secondo il dettato dell’art.87 della Costituzione. Ogni singolo cittadino o associazione può invocarla per sé o per altri e può aspirare alla decisione del Presidente della Repubblica in tal senso invocata. La Grazia è fondata su un presunto principio di clemenza in cui l’autorità di uno Stato di diritto fa sfoggio della sua magnificenza illuminata. Solo chi si eleva al di sopra delle miserie umane può compiere atti di clemenza: solo il perdono è un atto individuale, la clemenza non può esserlo in una civile democrazia, in quanto solo lo Stato può essere clemente, in nome di tutti e per voce del suo Primo Cittadino, il Presidente.

L’iter burocratico di presentazione della domanda di Grazia è abbastanza complesso e deve comunque terminare nelle mani del Ministro Guardasigilli, il quale si farà carico di portarla all’attenzione del Presidente della Repubblica. Se al momento della domanda l’interessato si trova in uno stato di detenzione, la domanda di Grazia va invece indirizzata al magistrato di sorveglianza che ha giurisdizione nel comprensorio del luogo della detenzione, il quale istruirà poi la pratica esprimendo il suo motivato parere. Per un detenuto la domanda di grazia può essere presentata anche dal "Consiglio di disciplina" del carcere, in ogni caso sarà consegnata al Magistrato di sorveglianza che espletate le funzioni di sua competenza, la consegnerà al Ministro della Giustizia per la presentazione al Presidente della Repubblica.

Il detenuto Adriano Sofri come ogni altro condannato ad espiare una pena detentiva può aspirare a proporre una domanda di Grazia o a che altri la propongano in suo favore. La Costituzione della Repubblica glielo consente.

La burocrazia, parola ingiustamente pensata con acredine e disprezzo da tutti, invece avrebbe il fine di costruire un iter di civiltà del chiedere e del concedere, senza che possano interferire in ciò gli interessi e le simpatie dell’individuo prima che la questione arrivi nella sede preposta al fine decisionale..

Il detenuto Sofri pur manifestando e professando ad oltranza la sua non colpevolezza accetta con responsabilità e partecipazione la sua condizione di detenuto in espiazione. Da questo grande esempio di civile rispetto non rassegnato e non passivo della voce e del potere dello Stato è errato voler fare discendere orgoglio, presunzione ed arroganza. La manifestazione delle proprie idee, anche se sulla giustizia e sulla propria innocenza sono consentite anche ad un detenuto già condannato e anche se non recepite, la società le deve rispettare. Ritenere che solo con il riconoscimento della propria colpa può aver inizio quel ravvedimento che può dar inizio al meccanismo del perdono collettivo quale è la grazia, è fonte di miopia culturale e di barbarie intellettuale…basti pensare quante miserie individuali e quanti vantaggi giuridici sono propinati e elargiti a chi recita il mea culpa.

La vicenda che invece abbiamo tutti a portata di vista ci rivela un Ministro Guardasigilli che con l’esprimere la sua avversione alla concessione della Grazia ad Adriano Sofri, blocca di fatto il meccanismo burocratico della presentazione della domanda non adempiendo al proprio dovere istituzionale di farla pervenire al Presidente della Repubblica, unico legittimato dalla Costituzione a poter decidere nel merito. Sarebbe come se un operaio in una catena di montaggio, per sue personalissime opinioni, fosse avverso al pezzo che deve montare nella compartecipazione del prodotto finito. Il meccanismo è ineccepibile e il risultato perseguito, cioè ottenere il "prodotto finito" non sarebbe mai conseguito. In questo caso l’ottenimento del "prodotto finito" sarebbe il fine massimo che prevarrebbe su ogni altra individuale ragione e l’operaio sarebbe rimosso per inattitudine al posto occupato.

Il Ministro Guardasigilli può benissimo arrogarsi l’individuale diritto a non voler provare sentimenti di perdono, ma non può in spirito di giustizia e democrazia arrogarsi anche il potere di "inclemenza" ostacolando o impedendo la decisione del Presidente della Repubblica a nome di tutti i cittadini e solo per questo anche in suo nome. E poi ora il Ministro Guardasigilli è solo un Ministro di Giustizia (non più di Grazia), quindi ancor più dovrebbe esimersi dall’esprimere pareri individuali su una richiesta di Grazia. L’unica grazia esprimibile dovrebbe essere limitata a: "una grazia di movimenti distaccati dal giudizio di merito e di solerzia nel mettere il Presidente nelle condizioni migliori per esaminare la richiesta".

Viviamo in un tempo che ha bisogno di chiarezza e di regole efficaci in tutti i livelli sociali, solo così potremo aspirare a una giustizia che non ci sovrasti e che ci sia elargita, ma che si effonda liberamente tra tutti. Il Ministro della Giustizia dovrebbe esserne il promotore e non l’imperatore. Una domanda di Grazia può essere accolta o respinta ma comunque deve essere trattata con la giustizia e il rispetto già preordinati nella Costituzione della Repubblica

 

Il carcere immaginato, a cura dei ragazzi della 5^C dell'Itcs di Rovigo

 

Nella giornata di giovedì 10, noi ragazzi della classe 5^ C dell’ITCS " De Amicis" di Rovigo, ci siamo recati nel carcere della nostra città.

La visita, per nulla casuale, è frutto, da parte nostra, di una lunga preparazione, ha rappresentato l’atto conclusivo di un progetto iniziato, per noi, all’inizio di quest’anno scolastico, con il prezioso coordinamento del nostro insegnante di religione: don Damiano Furini.

Il progetto ha avuto come scopo il raggiungimento , da parte nostra, di una maggiore conoscenza del mondo carcerario, ai più, oscuro o solamente "immaginato" attraverso banali stereotipi.

L’incontro, durato circa una mattinata, si è è suddiviso in due parti: nella prima abbiamo incontrato il direttore del carcere ed il comandante della polizia carceraria, che gentilmente ci hanno chiarito diversi dubbi.

Nella seconda abbiamo invece avuto un colloquio con un gruppo di carcerati, che con grande disponibilità hanno accettato di rispondere alle nostre domande, spiegando i loro punti di vista e suscitando in noi grande interesse. Il colloquio è continuato poi con una discussione "collettiva", rivelandosi un’ottima occasione di confronto e non limitandosi ad un semplice "interrogatorio" che sarebbe stato imbarazzante ed improduttivo per entrambe le parti. Particolare interesse, da parte nostra, è stato suscitato, poi, dalla discussione riguardo l’utilità del carcere oggi ed il confronto fra la vita "dentro" e quella "fuori. Numerosi ed interessanti sono stati gli spunti a questo proposito. Dal colloquio è emerso infatti che probabilmente il carcere non rappresenta più una soluzione, ma piuttosto una efficace "scorciatoia, la persona esce infatti dalla detenzione solo con qualche anno in più sulle spalle e senza una esperienza costruttiva.

All’interno di questa tematica abbiamo poi sottolineato come sia importante che progetti di incontro come questi vengano ripetuti, per sensibilizzare nel giusto modo l’opinione pubblica, circa un argomento tanto importante quanto spesso ignorato, come quello del carcere. Da parte nostra dobbiamo ammettere che l’esperienza è stata proficua. Immergersi ed affrontare le realtà difficili aiuta a comprenderle e forse anche a risollevare coloro che si trovano a viverle in prima persona nella quotidianità.

Giunti, tuttavia, al termine del nostro lavoro vogliamo ringraziare i carcerati, che con ammirevole umiltà e semplicità d’animo, ci hanno dato l’opportunità di svolgere un’attività molto produttiva e gratificante, augurando loro un "in bocca al lupo" per il loro futuro.

 

 

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