Sosta Forzata

 

Sosta Forzata, giornale della Casa Circondariale di Piacenza

(numero pubblicato nel mese di dicembre 2005)

 

Poche cose

Dentro le mura

A proposito di nuove carceri

Paolo e il "condannato a morte"

Il sogno, la realtà e l’incubo

È Natale ancor

Aspettando Natale

Tempo di bilanci

Un Natale senza sorrisi

Un pensiero ai bimbi reclusi

Il lungo giorno della depressione

Un regalo carissimo

Parole oltre il muro 2005: la città si incontra con il carcere

La teoria è quando si sa tutto e niente funziona. La pratica è quando tutto funziona e nessuno sa il perché. Noi abbiamo messo insieme la teoria e la pratica: non c’è niente che funzioni... e nessuno sa il perché!

 

Albert Einstein

 

Poche cose

 

Disagio - disagio grave - gli ultimi - i diritti degli ultimi - i diseredati - le minoranze - i diritti delle minoranze - gli immigrati - i poveri - il carcere dei poveri - gli esclusi - l’esclusione sociale: parole vuote. Parole da politici, sospiri da politici, occhi un po’ commossi, toni alti e toni sommessi e poi nulla.

Niente amnistia, niente indulto, la certezza della pena e la pena intesa proprio come penare cioè soffrire tanto e tutti insieme, l’uno addosso all’altro. Per il resto niente, nemmeno le cose più semplici; il Garante delle persone private della libertà, per esempio. Una delibera comunale, nemmeno tanto complessa, già pronta. Da mesi. Promesse e speranze all’infinito rinviate. Un’attesa snervante. I detenuti, con i loro reati, hanno violato il patto sociale ma le istituzioni si presentano al confronto diretto con una credibilità molto bassa. Intaccata da troppe parole vuote; da numeri e notizie sconcertanti.

"Alla data del 30.11.2005, a fronte di una complessiva capacità ricettiva regolamentare di n. 45490 posti*, si è registrata una presenza di detenuti di n. 60483, di cui 57564 uomini e 2919 donne, di cui n. 44 ristrette con bimbi al seguito... Per quanto attiene alla posizione giuridica, la popolazione detenuta attuale è così distribuita: 36757 definitivi, 22568 imputati (13001 in attesa di 1° giudizio, 6777 appellanti, 2790 ricorrenti) e 1158 internati..." Sono solo alcuni dei dati forniti dal Ministro Castelli nella sua relazione sullo stato della Giustizia nel nostro paese.

E, in un preoccupante crescendo, ecco alcuni passaggi della relazione redatta dall’Ausl al termine di un’accurata ispezione negli istituti penali di Bologna e presentata al pubblico nel recente convegno "Dentro e Fuori". Una cornice nobile e fastosa ma le parole sono pesanti come pietre.

Alla Dozza poi c’è un’area infestata da topi, piccioni e scarafaggi: sono i cortili davanti alla sezione giudiziaria, "da anni ricettacolo di rifiuti di ogni tipo", per lo più alimentari, gettati dai detenuti. Un grave degrado igienico-ambientale, che attira "animali e insetti nocivi..." Nel 2005, poi, ci sono stati 8 casi di sospetta scabbia (un solo focolaio per due persone nel secondo semestre), 3 casi di Tbc (una detenuta si è contagiata da un’altra reclusa); malattie tubercolari sono state riscontrate anche al Pratello (istituto minorile). In carcere poi sono rinchiusi anche 24 sieropositivi e un malato di Aids" L’Ausl segnala che non sono state eliminate le barriere architettoniche e ci sono una serie di carenze rilevate nel bar e nelle cucine (anche quelle che fanno da mangiare per gli agenti). Al carcere minorile, invece, " l’ora d’aria viene fruita, nelle giornate piovose o d’inverno, nel corridoio posto al piano terreno privo di impianto di riscaldamento e di alcuni vetri alle finestre; nella palestra mancano vetri alle finestre e l’unico servizio igienico è pressoché inutilizzabile". Inoltre, "permane l’impossibilità degli spazi di relazione dovuta ai gradini e corridoi che impediscono il passaggio autonomo di persone disabili o di impedita capacità motoria".

Insensibilità, indifferenza, inciviltà o incapacità? Difficile scegliere. La sensazione di impotenza a tratti diventa opprimente. Forse sarebbe più prudente non chiedere alle persone detenute di cambiare; dopo questo trattamento c’è il rischio che diventino peggiori.

Disagio - disagio grave - gli ultimi - i diritti degli ultimi - i diseredati - le minoranze - i diritti delle minoranze - gli immigrati - i poveri - il carcere dei poveri - gli esclusi - l’esclusione sociale... bla, bla, bla.

 

Carla Chiappini

 

Dentro le mura

 

Anche questo sogno si è infranto, come tanti altri! Che sofferenza e che tormento accendere ogni giorno la televisione per sperare nel buon senso o nella buona sorte...Non che abbia paura di scontare il resto della pena per il reato commesso ma solo per sperare in un atto di clemenza, per ripartire da dove mi sono smarrito, per avere un’opportunità di cambiare, per non vivere da parassita in questo posto a spese dei miei cari o a spese di quella popolazione di lavoratori che contribuisce al mio mantenimento in carcere. Finalmente anche questo capitolo si è chiuso come molti di noi già sapevano che sarebbe finito perché saturi del sistema carcerario e, avendo già più volte vissuto questa esperienza, non si sono illusi come le reclute all’interno di questo complesso ingranaggio.

 

A proposito di nuove carceri

 

Vorrei far presente al ministro Castelli che a noi detenuti quattro volte al mese sarebbe concesso di andare al campo per tirare qualche pedata a un coso chiamato pallone ma non sempre possiamo usufruire di questa concessione perché alcune volte (spesso) non si trova un assistente penitenziario disponibile ad accompagnare i 25 detenuti, sempre all’interno dello stesso edificio e per un’ora la settimana, nella zona predisposta. E lui vuole costruire nuove carceri!

 

Giovanni

 

Paolo e il "condannato a morte"

 

Il Centro Territoriale Permanente "Italo Calvino" diretto dal professor Rino Curtoni, con la collaborazione delle due insegnanti Pinuccia Montanari e Rossella Pizzi partecipa quest’anno a un progetto sull’educazione alla legalità promosso dall’Associazione di Volontariato "Libera". Il tema assegnato alla scuola presente nel carcere di Piacenza è una riflessione sulla pena di morte. Nell’ambito di questo progetto, avviene l’incontro di alcuni gruppi di detenuti con Paolo Cifariello e la sua storia fuori dal comune. Volontario di Amnesty un giorno risponde all’appello di una suora americana che cerca fondi per aiutare un giovane condannato a morte nello stato del Texas: Gary Graham. La vicende non felice di Gary Graham aveva preso una brutta piega quando, 8 mesi dopo il suo 17esimo compleanno, venne arrestato e accusato di un omicidio per rapina; un omicidio che egli affermava di non aver commesso. Lui ammetteva di essere autore di altri atti criminosi ma negava con forza di aver ucciso quell’uomo. Gary Graham aveva molte prove che potevano dimostrare la sua innocenza ma, nonostante ciò, venne giustiziato il 22 giugno del 2000. Accanto a lui c’era Paolo che gli aveva promesso di presenziare all’esecuzione. La loro amicizia era cominciata per lettera, con il biglietto di ringraziamento di Gary in risposta all’offerta di Paolo. Per 10 anni si erano scambiati tante lettere ma si erano incontrati solo poche volte nel carcere in cui il giovane era rinchiuso; l’ultima appunto il giorno dell’esecuzione.

"Se solo avessi immaginato quello che mi aspettava non avrei promesso a Gary di stargli vicino"

Ancora oggi, a distanza di quasi sei anni, la voce di Paolo si incrina al ricordo di quello che la stessa burocrazia texana definisce l’omicidio di Gary Graham.

La straordinaria storia di Paolo e Gary è stata oggetto di alcuni incontri nella sezione femminile e in due classi di detenuti comuni in grande maggioranza stranieri.

Noi abbiamo scelto di pubblicare una lettera di Antonietta (detenuta nella sezione femminile) per Paolo e un disegno di Ilir che rappresenta Abdoulaye Wade, presidente del Senegal l’ultimo Stato che ha abolito la pena di morte.

 

Lettera per Paolo

 

In carcere gli eventi che accadono, i sentimenti, le emozioni, gli odi e gli amori assumono uno strano contorno di irrealtà, caricandosi di significati di allarme e allusione.

Per questo non riuscivo a capire, non riuscivo a cogliere la ragione per la quale qualcuno aveva deciso di portarci Paolo in carcere. Per una settimana mi sono chiesta come era camminare con i propri pensieri dopo aver assistito alla morte di un amico. Ciò che mi incuriosiva di più era la motivazione e, subito dopo, cosa aveva provato nell’attimo prima e nell’attimo dopo la morte. Chissà se Paolo, assistendo a quella morte, così cerimoniosa, aveva veramente raggiunto la vetta finale senza mai cadere nel finale abisso. Chissà se aveva ripensato con consapevolezza a ogni aspetto di quella esperienza e a cosa era servito tutto ciò. In fondo mi pareva fosse rimasto con un pugno di mosche.

 

L’amico era morto!

 

È stato provato che il nostro pensiero è costantemente soggetto a sensazioni contraddittorie, allo sbarramento di immagini estranee; i pensieri nascono, le idee sono cambiate prima ancora che ci siamo resi conto di averle avute. Mi chiedevo come aveva fatto Paolo ad avere lo stesso pensiero costantemente per 10 anni; per un detenuto, poi! Ho sempre creduto che se anche i grandi disastri e i più grandi miracoli della vita ci colpiscono come mazzate negli occhi, diradandosi la nebbia, siamo stranamente confortati dalla più oscura e mediocre quotidianità. Tutto quadrava tranne il tempo. Che fosse stato un disastro o un miracolo, era durato troppo.

Era durato 10 anni. Nessun disastro né miracolo poteva durare tanto. Per questo pensavo a Paolo come a un originale e facoltoso snob che aveva bisogno di emozioni forti. Ma, soprattutto, che aveva tempo da perdere. Con tutti i diseredati che sono nelle carceri italiane aveva avuto bisogno di attraversare l’oceano per trovarne uno degno della sua attenzione. Poco importava che fosse stato condannato a morte. Forse che vivere come detenuti per anni sia una condanna minore?

Ero prevenuta ed ero decisa a smascherare Paolo con domande provocatorie. Così quando è apparso in aula con la sua aria normale, mansueta, sono rimasta francamente delusa. Ma non mi sono arresa. Volevo una risposta. La volevo però soddisfacente. Poi ha cominciato a parlare e mi sono commossa come non succedeva da quando sono entrata in carcere. Quel grumo rimasto in gola per due mesi si è sciolto e ho pianto anche dopo che sono rientrata in cella.

Avevo bisogno - ha detto Paolo - di colmare un vuoto, non ho mai avuto un amico nemmeno nella mia infanzia. È iniziato tutto leggendo due righe scritte su Internet da una suora americana. Si era accesa una fiammella che, alimentata per dieci anni, brucia ancora come un grande fuoco - ha concluso.

Era stato testimone personale della morte dell’amico tanto amato e tanto atteso; il cui destino non sarebbe stato determinato da alcunché egli potesse offrire come prova...neppure l’amicizia...un tesoro!

Caro Paolo, in un contesto drammatico come il carcere dove dominano la miseria e la promiscuità, dove la società continua a richiudere, senza eccessive remore, una marea di tossicodipendenti, extracomunitari quasi in un tentativo di neutralizzarli e renderli inoffensivi è pressoché impossibile parlare di amicizia, di amore, di credere, di sperare. È di questo che tu hai parlato.

Allora ti dirò la verità. Hai colmato un po’ della mia solitudine, come per dieci anni hai colmato quella dell’americano. La realtà quotidiana del carcere è uguale dappertutto, dovunque esso sia ubicato, è piena di desolazione. La solitudine è la grande nemica in carcere, è una penosa radice del deterioramento dell’uomo. Ascoltandoti, Paolo, per la prima volta e spero che continui per tanto altro tempo, non ho visto cadere inesorabilmente tutto intorno a me; all’idea della rovina, all’angoscia, al vuoto, al senso di emarginazione ha preso posto la speranza, il sogno di tutti di ritrovare pienamente il senso dell’identità civile e della dignità umana. Grazie Paolo!

 

La storia di Gary Graham è narrata nel libro scritto da Paolo Cifariello "Muoio assassinato questa notte".

 

Il sogno, la realtà e l’incubo

 

Il sogno

 

Tre notti fa ho fatto un bel sogno; ho visto la mia cella piena di fiori e che stiamo tutti tanto bene.Tutti quanti abbiamo in cella l’acqua calda, il frigorifero e anche la doccia, le porte non si chiudono mai, ogni giorno usciamo a passeggiare all’aria aperta e ci sono anche dei terreni verdi. Ho sognato anche che facciamo la socialità due ore al giorno e siamo trattati come esseri umani, con rispetto. La spesa costa meno del solito e ci sono aziende che danno più opportunità di lavoro ai detenuti.

Il mio sogno era così bello che volevo più svegliarmi; sapete, si mangia anche bene, puoi ordinare quello che vuoi e io ho approfittato subito dell’occasione e ho ordinato un bel piatto di cus-cus.

Credetemi ragazzi, era buonissimo!

E nel sogno poi è arrivato un agente grosso, alto due metri con un bastone in mano e mi ha detto: - Cosa fai? Chi ti ha dato il permesso? -

E io: - No, il mio permesso premio è stato respinto...-

E lui adesso fa anche lo spiritoso: - Ma come ti permetti di sognare queste cose? -

E io: - Non è stata colpa mia, è soltanto un sogno che è venuto a farmi visita. -

Ho cercato in tutti i modi di fargli capire che non era colpa mia.

Ma lui non ha fatto neanche uno sforzo cercando di sentirmi o capirmi

E poi mi ha detto: - Beccati questo rapporto, così non sogni più! -

E lì, dalla paura di perdere i miei giorni di liberazione anticipata, mi sono svegliato e, sapete ragazzi, sono tre giorni che non dormo più. Ho paura di sognare.

Ma, che resti tra noi, io di nascosto sogno ancora e credo sempre in un mondo migliore perché qui ho imparato due cose: pazienza e speranza.

 

Boumazoued Tarik

 

La realtà

 

È il 22 dicembre e, dopo quattro mesi di attesa e vari spostamenti di date, finalmente è arrivato il momento di andare in ospedale.

Alle 9,00 vengo chiamato per prepararmi ad effettuare la gastroscopia che stavo aspettando; scendo all’ingresso e, cosa strana, vengo "appoggiato" in una cella in attesa che arrivi la scorta per potermi accompagnare. Dopo una trentina di minuti il furgone si avvicina alle scale, gli agenti entrano in cella, solita perquisizione, braccialetti d’argento ai polsi e via dentro la gabbia - la stessa gabbia che mi ricorda il tempo in cui lavoravo in un circo e i ricordi sono legati agli animali che, tra uno spostamento e l’altro, sono chiusi in gabbie. Una volta arrivati in ospedale, vengo fatto scendere e al tempo stesso mi viene applicato un piccolo guinzaglio e via verso il reparto dove andrò a effettuare la visita. Ma la cosa più curiosa sono le facce che fanno tutte le persone che sostano nei corridoi quasi che vogliano chiedermi un autografo o magari liberarmi da quegli odiosi braccialetti.

Tanta gente forse si sarà chiesta perché una persona, se anche ha commesso dei reati, debba sentirsi così umiliata agli occhi degli altri e comunque, "come un vero uomo", a testa alta continua a camminare senza far caso a tutto questo. La cosa, però, che mi ha colpito di più, sono stati tutti quei sorrisi di quelle splendide infermiere che sembravano volermi trasmettere una comprensione e un affetto che in quel momento desideravo molto.

Entro nell’infermeria e il dottore inizia a chiedermi le generalità ma, alla domanda sulla professione, qualcuno cerca di anticiparmi cercando di far credere che sono un nulla-facente ma la mia rapida risposta lo anticipa e riesco a dire che, prima di entrare in questo fantastico mondo, ero un animatore turistico. In ogni caso quello che volevo far notare è che nessuno è nato in matricola* e prima o poi tornerà a fare quello che ha sempre fatto.

Dopo tutto questo, mi infilano un tubo in bocca e piano piano giù dalla gola fino allo stomaco per vedere dove può essere il problema. Finito tutto, indossiamo di nuovo i preziosi braccialetti, il solito guinzaglio e via verso il furgone dove mi aspetta quella comodissima gabbia.

In tutto questo ho avuto un solo pensiero rivolto a quei poveri animali che ho visto spesso soffrire nelle gabbie e forse non ho mai capito fino in fondo la loro sofferenza... Ma dopo questa umiliazione non potrò mai dimenticarla.

 

Antonio-Arcobaleno

 

L’incubo

 

Sappiamo di lui poche cose; che era italiano, giovane, scappato da una comunità terapeutica, in carcere da pochi giorni. E che si è impiccato in un freddo mezzogiorno d’inverno nella casa circondariale di Piacenza. Solo. Sappiamo anche che mani pietose ma a lui del tutto ignote lo hanno preso e coricato nella sua branda. Non c’era più nulla da fare ed è finita così. Ancora solo in cella ma senza più dolore.

 

P.L.

 

È Natale ancor

 

Natale in carcere, Natale da dimenticare. Tornare riposati dopo le vacanze e scoprire, con dolore e imbarazzo, l’infinita solitudine, la tristezza, l’abbandono del Natale incarcerato. La depressione, il vuoto. "Non posso farci niente", mi ripeto.

"In fin dei conti sono andata a manifestare per l’amnistia proprio nel giorno di Natale nel freddo e nella pioggia milanese sotto il carcere di San Vittore", ma il pensiero non mi dà pace. So che, dopo, c’è stata festa anche per me. Un delizioso pranzo caldo e l’affetto di persone care. Qui niente. Niente di niente. Nell’ascoltare le voci amiche della redazione, sento che è il tempo di farmi delle domande serie.

Forse li sto illudendo con il mio anacrostico ottimismo, forse è vero - come spesso dicono - che la loro sofferenza interessa solo le persone care, poche pochissime persone. La nostra città sembra, ogni tanto animarsi ma il carcere è sempre isolato, congelato dentro le sue mura grigie. Non c’è nemmeno il Garante, le persone sono tanto abbandonate. Eppure continuano a consegnarmi fogli manoscritti che aprono brevi squarci sul loro cuore, forse sperano ancora. Non so nemmeno io come. E noi continuiamo a pubblicare. È proprio vero che la speranza è come un fiorellino giallo, l’unico che cresce nel carcere, a dispetto della durezza gelida del cemento.

 

Aspettando Natale

 

Ridurre, ridurre, ridurre. Certo, sono strani questi giorni di festività natalizie visti da qui dentro. In occasioni simili il personale tende a diminuire e le nostre condizioni si fanno più difficili. Mentre il freddo aumenta, ridurre sembra importante, ridurre dove si può. Si riducono le ore lavorative allo stretto necessario e, in tal modo, vengono ridotti anche gli spazi di movimento consentiti.

Sono sospese le ore settimanali dedicate allo sport e, nei giorni indicati, viene interrotta la possibilità di acquistare generi importanti (alla spesa interna del carcere). Per interruzione scolastica, le aule rimangono chiuse; cure e visite mediche subiscono inevitabili rinvii.

Nei corridoi insolitamente vuoti, una calma strana; le festività si preannunciano come un nuovo e più triste disagio. Chiunque sembra inseguire la propria frettolosa euforia in un’atmosfera gelida e frustrante; inutilmente cerco di accostarla in qualche modo all’antico ricordo che è rimasto in me del Natale di un tempo; un’immagine da dimenticare.

 

Tempo di bilanci

 

Ed è tempo di bilanci; ad uno ad uno si allineano nel mio calendario mentale gli anni trascorsi in questo stato. Mi soffermo su una domanda: - Che cosa ho fatto, che cosa sono riuscito a realizzare in tutto questo tempo? Niente, ho solo aspettato; ho trascorso tre anni aspettando che la televisione nutra il mio vuoto. Solo a pensarci, mi viene la vertigine anche adesso. Non ho più il senso del tempo, l’ho perduto o forse l’ho superato chissà quando: una vera sconfitta.

Nei giorni festivi, anche in occasioni come questa, le visite familiari non sono consentite e nemmeno l’uso del telefono. Ma le telefonate per noi non sono solo semplici parole, non offrono solo consolazioni, sono la vita che continua, le uniche occasioni, l’ultima possibilità, spesso prima degli abbandoni. Così gli abbracci mancati, le occasioni rimandate, le parole non dette; resteranno a lungo in noi e, in silenzio, continueremo a ripetercele dentro.

È un pensiero costante che cerca disperatamente di raggiungere quello che è rimasto delle nostre famiglie, dei nostri figli, delle nostre mogli. È impossibile immedesimarsi e riuscire a capire la vita, le pene, il sacrificio e le fatiche vere di queste nostre compagne che, nel bene e nel male come penelopi in un tempo senza tempo, protette da niente e nessuno, caparbie fino alla commozione, ciascuna con il proprio bisogno di vita e d’amore, sono disposte a lasciarsi consumare nell’attesa della liberazione, una lunga attesa che impedisce di vivere una vita normale e di respirare libere.

Non so darmi risposte, vorrei cercare di non pensarci. Poi, preso da una suggestione, mi appresto come tanti ad accarezzare il sogno di una breve uscita, un riavvicinamento anche di poche ore soltanto, ma è un privilegio che raggiunge pochi, quasi nessuno, un tormento.

 

Un Natale senza sorrisi

 

Così resto come gli altri in quell’intermittenza scandita da scarse speranze e tanti desideri bloccati, rifugiato in strane geometrie, attraverso interminabili su e giù senza pace. Nonostante le migliori intenzioni, anche a Natale di sorrisi se ne vedono pochi, di auguri ancor meno, bene attenti, come siamo, a non infrangere qualcosa di simile a una regola come a una legge non scritta ma da tutti riconosciuta secondo la quale gli auguri in galera sono banditi, non si fanno a nessuno.

Anche la funzione religiosa del Santo Natale viene anticipata di alcuni giorni e contribuisce solo a farmi dubitare che ci sia, che esista ancora il sentimento che mi riporti al sacro rito della Natalità.

 

Un pensiero ai bimbi reclusi

 

Non posso fare a meno di domandarmi per quale ragione, da quale maledetta traiettoria sono precipitati per rimanere imbrigliati in posti come questo, quei bimbi che hanno come unica colpa certamente non loro, quella di essere nati nel momento più sbagliato, da una mamma con una pena da scontare...che dire se, ad accoglierli nel lieto evento di un giorno benedetto, troveranno in dono un destino amaro scelto per loro molto tempo prima che impone loro di restare chiusi in galera fino ai tre anni di età. Che dire di casi come questi, che vivono una situazione assurda per la mancata applicazione di una legge che consentirebbe condizioni diverse, più umane. Una legge dimenticata, messa da parte, ignorata*.

Oggi il mio pensiero va anche a loro, da questa cella, da questa speranza, una piccola attenzione. Auguro a tutti i nostri lettori un Nuovo Anno appena appena un po’ più giusto di questo da dimenticare.

 

Mario Visintin

 

* Sono 44 le donne recluse con "bimbi al seguito" come recita la relazione del Ministro Castelli, nonostante la legge Finocchiaro del marzo 2001 che prevede la detenzione domiciliare per mamme con bimbi sotto i tre anni.

 

 

Il lungo giorno della depressione

 

Il racconto è del nostro pagliaccio triste che da pochi giorni ha lasciato la redazione per un attesissimo avvicinamento alla famiglia, in Toscana. Ci ha lasciato il compito di raccontare il suo Natale in carcere. Purtroppo è proprio impossibile rendere la simpatica parlata livornese e la mimica che ci ha fatto tanto ridere. Un riso amaro e liberatorio.

"Il giorno di Natale ero depressissimo e il mio compagno di cella peggio di me. Ma ci avevano concesso la socialità (ndr la possibilità di invitare a mangiare in cella un detenuto della stessa sezione) e abbiamo accolto un altro ragazzo...perfino più depresso di noi. Abbiamo passato il Natale accasciati, con la testa poggiata sul letto, un po’ intontiti.

Per capodanno mi sono detto: - Ma forse è meglio restare in due, se deve andare come a Natale -. Sono andato all’aria e, al ritorno in sezione, ho trovato il nostro ospite che ci aspettava tristemente seduto sul suo sgabello, davanti alla porta della nostra cella. Non ho avuto il coraggio di rimandarlo indietro. Così ci siamo depressi, ma proprio depressi anche tutto il capodanno. Pensa, sono ancora così tanto depresso che questa cosa qui non riesco nemmeno a scriverla..."

 

Da una storia di Antonio Serra

 

Un regalo carissimo

 

Un giorno prima di Natale alle 8 di mattina sono uscito dalla cella per andare a lavorare nell’ufficio del sopra-vitto. Facevo lo spesino. Un mio compagno di lavoro, "lui di Spagna proprio spagnolo di Barcellona", come me arrestato e condannato in Italia, quel giorno senza dire niente ha tirato fuori una busta dalla sua tasca e mi ha detto che prima di mezzanotte non dovevo aprirla. Io l’ho ringraziato tanto perché ho passato cinque "Natali in carcere" e un regalo così non l’ho mai avuto. A me è dispiaciuto un po’ perché non avevo un regalo per lui e ho chiesto "tanta scusa" ma lui ha capito e ha detto che non fa niente. Quando è arrivata mezzanotte io ho aperto la busta regalo. "Era carissima. Questa mi fa un bel ricordo perché in cinque anni di tempo una persona ti dà un regalo in galera. Per me significato molto" .

Fuori io non ho mai festeggiato il Natale perché per me non significava niente (ndr Satilmis, il turco è di religione musulmana). Questo regalo del mio amico spagnolo mi ha dato un altro sentimento dal cuore perché prima io non lo conoscevo. Lo conosco solo da 6/7 mesi e penso che le persone che mi vogliono bene davvero in carcere sono poche. Adesso lui è uscito in semi-libertà e mi manca tanto. Ciao Jaime, tu sei grande.

 

Satilmis, il turco

 

Questo breve racconto del nostro redattore anziano turco merita una spiegazione esistenzial-linquistica: Satilmis è stato arrestato nel porto di Ravenna cinque anni fa. Non parlava una parola di italiano e la prima lingua che ha imparato è stata la lingua albanese perché alcuni ragazzi di quel paese lo hanno "adottato". Ora capisce perfettamente l’italiano, lo parla bene e lo scrive in un modo un po’ fantasioso non privo di un certo fascino. Abbiamo pensato di citare testualmente tra virgolette le espressioni che ci sono piaciute di più.

 

Tenerezza

 

È una delle tante sensazioni che in carcere difficilmente si possono trovare, anche se in "piccoli casi può succedere. Possono nascere amicizie, si possono condividere discorsi e pensieri, ma la tenerezza è tutt’altra cosa. È lo svegliarsi alla mattina vicino alle persone care, l’accarezzarsi con le persone amate, l’abbracciarsi e il baciarsi.

Che questo sia il luogo meno adatto per queste situazioni è ben chiaro ma a volte mi accontento. Quando, per esempio, dopo aver fatto una telefonata a casa, mi sento chiedere da qualche compagno di sezione con cui ho buoni rapporti, se mia madre sta bene e se tutto è a posto. Questo per me è già un buon gesto di tenerezza che mi fa molto piacere e mi fa affrontare più sereno il resto della giornata. Nel mese di dicembre sono andato in permesso sono andato in permesso per quattro giorni durante le vacanze natalizie e all’uscita del carcere c’era la mia convivente ad aspettarmi. Al primo abbraccio che ci siamo scambiati al di fuori delle mura ho provato una sensazione straordinaria di passione ma anche di vera tenerezza, forse anche più forte del dovuto perché stando qua rinchiuso ne sento molto il bisogno.

Nando

 

Parole oltre il muro 2005: la città si incontra con il carcere

 

IV° edizione del concorso di scrittura riservato alle persone detenute nella Casa Circondariale di Piacenza. È diventato ormai un momento di incontro tra persone detenute e cittadini liberi; tra Piacenza e il suo carcere. Anche quest’anno il 3 dicembre nella biblioteca del liceo "Melchiorre Gioia" si è festeggiata la consegna dei premi ai vincitori del concorso "Parole oltre il muro - Stefania Manfroni" 2005: cinque attestati accompagnati da altrettanti versamenti presso l’ufficio contabile del carcere.

Ospite d’onore della manifestazione, lo scrittore Edoardo Albinati da dieci anni professore d’italiano nel carcere romano di Rebibbia e autore del libro "Maggio Selvaggio" un libro sull’irrealtà, un diario della vita di galera vista con gli occhi di chi ogni giorno entra ed esce. Albinati, al termine dell’incontro, si è recato in carcere a incontrare la redazione di Sosta Forzata e a consegnare gli attestati ai vincitori.

All’incontro pubblico, inoltre, sono intervenuti il dirigente scolastico del Liceo Gioia Gianna Cravedi, il direttore della Casa Circondariale Caterina Zurlo, il presidente di Svep Giuseppe Pistone e l’assessore ai Servizi Sociali del Comune di Piacenza Leonardo Mazzoli. L’assessora Giovanna Calciati ha ricordato Stefania Manfroni con una bella poesia di Gibran dedicata all’amicizia; Romano Gromi e Sandra Ramelli hanno letto i racconti vincitori, il professor Luigi Galli ha interpretato la poesia premiata e il presidente del Rotary Club Piacenza Farnese Walter Cordani ha rappresentato le attività a sfondo umanitario in cui è impegnato il suo club.

Graditissimi ospiti tra il pubblico il vice sindaco AnnaMaria Fellegara, l’assessore comunale Paolo Dosi, l’assessore provinciale Paola Gazzola, il direttore dell’Ufficio Esecuzione Penale Esterna di Reggio Emilia, Parma e Piacenza Rosaria Furlotti, don Davide Maloberti direttore del Nuovo Giornale. In prima fila anche la mamma di Stefania, Ida, e il papà Roberto.

 

I vincitori

 

1° Bouma.... Tarik - Marocco 500 euro con il racconto "È notte"

2° Mario V. Italia 400 euro con il racconto "È Natale: il bambino che devo raggiungere mi aspetta"

3° Antonio Serra - Italia 250 euro "Premio Stefania Manfroni" offerto dai genitori di Stefania con il racconto "Ronni e Arcobaleno". Silvio E. - Italia "Premio Speciale Giuria Studenti Liceo Gioia" 150 euro con il racconto "L’uomo del treno"

1° Premio sezione poesia a Francesco Trommino 250 euro offerto e assegnato da Rotary Club Piacenza-Farnese

 

Le novità 2005

 

Le giurie. Tre selezioni per 30 racconti partecipanti al premio. Un primo lavoro di cernita effettuato da due classi di Istituti Superiori Piacentini: la 1° A tradizionale del Liceo Gioia con l’insegnante Noemi Perrotta, la................. del Liceo Artistico "B.Cassinari" con l’insegnante..................

Gli studenti liceali hanno consegnato all’organizzazione i 6 racconti finalisti che sono stati letti ed esaminati da una giuria di studenti dell’Università Cattolica del Sacro Cuore coordinata da Ivana Galione volontaria e laureanda in Diritto Penale.

Infine i 3 che hanno superato tutte le selezioni sono stati distribuiti a circa 70 cittadini significativi della nostra città, appartenenti al mondo della cultura, politica, informazione, volontariato. A questo gruppo era affidato il compito di esprimere un voto di preferenza che permettesse di stilare la graduatoria finale.

Tra gli altri hanno votato: il vice-sindaco Anna Maria Fellegara, gli assessori Calciati, Dosi, Mazzoli, il presidente della Provincia Boiardi, l’assessore provinciale Gazzolo, il direttore di Libertà Gaetano Rizzuto, i docenti dell’università Gromi e Triani, lo scrittore Vittorio Curtoni, il consigliere comunale Massimo Trepidi, il vice-preside del "Cassinari" Sebastiano Ghigna, don Davide Maloberti del Nuovo Giornale. A tutti un grazie di cuore per la partecipazione e la sensibilità dimostrata.

 

I ragazzi del Gioia

 

La Classe 1° A ha assegnato un premio speciale al racconto "L’uomo del treno" e ha partecipato all’incontro pubblico con alcuni brani contenenti un’analisi critica del testo.

 

I ragazzi di Sosta Forzata

 

Quest’anno, per la prima volta, la redazione è stata rappresentata da due ragazzi stranieri - Jaime Calvo e Mahamed Quatani - che hanno portato i saluti di tutti, esprimendo grande commozione nel dover parlare di fronte a un pubblico tanto numeroso.

Restano impressi nella memoria di questa edizione il primo permesso del turco Satilmis dopo quasi 5 anni di ininterrotta carcerazione e la presenza di Indrit con Alessandra partiti all’alba dalle Marche per venirci a salutare.

 

Primo permesso turco

 

25 agosto 2001 sono arrivato in Italia, un giorno dopo 26 agosto sono arrestato per droga. Quando sono entrato in carcere di Ravenna non sapevo neanche una parola di italiano. Fino 3 dicembre 2005 passato troppi anni difficili. Il 3 dicembre 05 sono uscito in permesso per 7 ore, grazie Dio. Prima volta andavo fuori dopo quasi 4 anni e mezzo. Non ci posso credere che sono fuori, mi vedo dentro un sogno che non finisce. Io mi sono divertito, era un giorno felice perché c’era con me anche mio compagno di cella e mio amico di lavoro e Carla. Non ho nessun familiare in Italia, per me uscire in permesso è stato un miracolo. Ringrazio direttore di carcere, educatori, magistrato di sorveglianza che mi hanno dato un’opportunità per uscire. Adesso mi mancano 1 anno e 2 mesi per finire. Dopo esco anche io, però prima di uscire sentire odore di libertà è cosa buona. Bisogna imparare e prendere lezioni dalla vita. Carcere ti fa imparare tante cose.

 

Turco

 

Racconto vincitore

 

È notte. È notte, sono le tre, finalmente silenzio. Il respiro del mio compagno mi fa compagnia, mentre mi giro e rigiro nel letto. Anche stanotte i pensieri si rincorrono velocissimi, escono, volano e mi portano a Fes, antica e magnifica città del Marocco dove sono cresciuto, ho studiato tra millenari monumenti, la reggia del Sultano, l’antica università è la moschea; è lì che custodisco ciò che ho di più caro, le mie tre bambine Samah, Sumiei e Iman. La maggiore, Samah, ha sette anni ed è quella che conosco di più. È nata dall’amore con Fatima, una mia compagna di scuola bella e allegra trovata dopo cinque anni trascorsi in Italia. A lei ho potuto confidare quanto avessi desiderato tornare in Marocco ma come ormai mi sentivo straniero tra la mia gente e in particolare coi miei. E si vedeva sempre di più perché con lei stavo bene e ritrovavo me stesso e quella fiducia che avevo smarrito in Europa. Fatima rimase incinta e noi vivemmo gioia e preoccupazione. Gioia perché eravamo innamorati, preoccupazione perché i miei non erano d’accordo ma, contro il loro parere, mi sono sposato con lei. Lavoravo sodo, facevo il cameriere, a volte la guida turistica ma il mio lavoro non era mai fisso e, comunque, sottopagato.

Dopo è nata Samah, ero molto contento di avere questa bimba ma i problemi aumentavano sempre di più perché sono nate altre due bambine e io che volevo combattere la povertà, ero sempre più disarmato. È così che ho deciso di tornare in Italia; avevo un progetto sicuro, quello di salvare il futuro delle mie bambine e di tornare a casa. In Italia nel frattempo tutto si era inasprito e io senza documenti non esistevo, perfino il lavoro nero sembrava un miraggio. Si avvicinava l’autunno, anche in Marocco era tempo di scuola, volevo per Samah una scuola privata dove imparasse inglese e informatica. Allora ho accettato ciò che da un po’ mi proponevano; portare cocaina da Torino a Brescia in cambio di 1.000 euro. Qualche viaggio e poi il ritorno, qualche viaggio invece poi...l’arresto, che rabbia! Ero molto arrabbiato con me stesso, con la vita e anche con Dio. Pensavo alla morte continuamente, desideravo farla finita, si trattava solo di trovare il coraggio.

Dopo due mesi ho ottenuto il permesso di telefonare a casa e così ho parlato anche con Samah; lei mi disse. - Papà ogni notte prima di dormire prego Dio perché ti faccia uscire dal carcere, non ti preoccupare papà, presto uscirai - e io le ho chiesto chi avesse parlato del carcere e lei mi ha risposto che l’aveva capito dalle lacrime e da qualche breve parola della mamma. È Samah che mi ha tolto l’idea di farla finita, questa dolce bambina che mi sembra un po’ strana perché è già così adulta. Grazie Samah, grazie a te ho fatto la pace con Dio e grazie a te anche stanotte una preghiera è arrivata.

 

Tarik

Premio speciale giuria "Liceo Gioia"

 

L’uomo del treno. L’uomo salì sul treno, era una piccola stazione. Percorreva il corridoio della carrozza con sguardo basso, non lo alzò neppure quando, sedendosi, prese posto. Accanto al finestrino, dal lato opposto una donna. Lui aveva il viso pallido di chi non conosce il sole. Aveva il viso ruvido di chi conosce la sofferenza le palpebre tremavano, e tremavano anche le mani che teneva nascoste nelle tasche dei pantaloni. Dopo un po’ l’uomo tirò fuori una sigaretta, non aveva il pacchetto. L’accese diede qualche boccata profonda, poi la spense nel posacenere e infilò quello che ne rimaneva nel taschino della camicia. Lì sul cuore.

Aveva uno sguardo impaurito, scrutava ogni angolo nel sospetto che qualcuno lo stesse osservando all’improvviso trasalì, prese con cautela il mozzicone di sigaretta e lo ripose nella tasca sinistra dei pantaloni, ma decise che il posto più sicuro fosse nel taschino della camicia, lo rimise lì, sul cuore.

Alzò gli occhi che teneva bassi e incontrò lo sguardo stupito della donna che l’osservava. Cercò di atteggiare la bocca a un sorriso, ma non ci riuscì e balbettò timidamente: Sa, là dov’ero, indicando con il pollice destro un ipotetico posto dietro le sue spalle, era vietato fumare. Dove? - Chiese lei meravigliata. A questa domanda si sentì in dovere di darle una spiegazione, e lo fece con la cantilena che un bambino usa quando parla con chi non capisce. Rispose quindi: Là nell’istituto penale .

Poi ci fu silenzio, nella timorosa attesa dell’effetto che quelle parole avrebbero suscitato. Ma lei lo guardò con calma, e allora il volto si di stese, facendo un cenno amichevole con il capo. Il tremore cessò, allungò la gamba che inavvertitamente toccarono quelle della donna, e le chiese: - Va lontano? -

Fece di cenno di sì, e con un sorriso felice che le illuminò gli occhi verde smeraldo, gli disse la sua meta. E poi continuò: - Laggiù mi è capitato una vicenda. Ho incontrato qualcuno.Torno da lui - .

- Allora faremo il tragitto insieme - disse lui trasalendo quando il controllore gli chiese il biglietto, ma tranquillizzandosi appena la divisa scomparve. E lei: - Se questo la può sollevare, sì. -

Ma lui aveva abbassato lo sguardo, cercò il mozzicone dal taschino, lo accese e diede qualche boccata profonda. Poi incominciò a parlare dapprima in tono sommesso, poi quasi rapito e concluse la sua storia sottovoce, così come l’aveva cominciata. Sa, là dov’ero, era vietato fumare.

 

Il saluto di Silvio ai ragazzi che lo hanno premiato. Immaginare un racconto, la gioia di scriverlo. È stata questa la motivazione che mi ha spinto a partecipare a questo concorso, ma cosa scrivere? Fantasia? Realtà? Non è stato difficile, è bastato lasciar scorrere la penna e le parole sono venute da sole, instillando in poche righe parte di quelle che sono esperienze della mia vita, una vita che continua a sorprendermi e donarmi gioia. Mi scuso per l’assenza ma non ho potuto beneficiare del piacere di essere presente; ci sono regole e condizioni che me lo impediscono e che bisogna accettare ma esprimo a voi tutti profonda gratitudine per il premio accordato.

 

 

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