Sosta Forzata n° 1

 

Sosta Forzata, giornale della Casa Circondariale di Piacenza

 

 

L’artista Gero Urso ci regala una litografia della sua… Sosta Forzata

Fermo immagine

Sosta Forzata prima uscita: la rassegna - stampa

Complimenti a "Sosta Forzata" dal Nuovo Giornale

Dalla Casa Circondariale di Ferrara una lettera

Garante dei diritti delle persone private della libertà

Le ultimissime novità in tema di Garante dei diritti delle persone private della libertà

E tutto questo è… noooia

È la noia la maggior nemica del detenuto

La noia danneggia solo noi stessi

Mi sembra di affrontare sempre lo stesso giorno

Per combattere la noia ho letto tutto sulle tartarughe e le foche monache…

Grazie! Mille libri regalati dall’Associazione Mario Cuminetti di Milano

Ministero della Giustizia: protocollo con il Ministero per i Beni e le Attività Culturali

È arrivata la mia "gamba"!

Il mondo degli affetti: lettera di un figlio al padre detenuto

Rapporti con la famiglia e progressione nel trattamento

Comitato europeo per la prevenzione della tortura

Corrispondenza: lettera da un figlio al papà detenuto

Da padre a figlio

Il sogno perduto

Essere reclusi "fuori"

Permessi premio

Il permesso premio

Tre giorni a casa!

Corrispondenza telefonica

Le telefonate con mio figlio

La nostalgia dal racconto "Il tempo dei ricordi"

La recidiva

Le statistiche: difficile crederci

La recidiva: colpa mia o del destino?

La recidiva: poche le cause ma molteplici le sfumature

La recidiva: una scelta

Una pagina di notizie da altre città, altre carceri per parlare di progetti interessanti

III° Edizione del concorso di scrittura libera "Parole oltre il muro" 2004

Il racconto vincitore della scorsa edizione 2003

L’artista Gero Urso ci regala una litografia della sua… Sosta Forzata

 

A Milano…

 

…c’era una volta un artista gentile e generoso che faceva vignette, quadri e murales, che svelava ai ragazzi il fascino delle forme e dei colori e che un giorno su un noto quotidiano lesse una notizia curiosa…

 

A Piacenza invece

 

…c’era un gruppo di persone "rinchiuse", un gruppo un po’ strano e piuttosto disomogeneo: qualche italiano, qualche albanese, un bulgaro, un palestinese, qualche volto giovane e qualcuno un po’ meno; un gruppo che voleva raccontare delle cose. Cose importanti e serie, qualcuna scherzosa e imprevedibile, qualcuna anche un po’ triste. Così, per poter comunicare le sue strane storie, il gruppo pensò a un giornale; un giornale insolito che decise di chiamare Sosta Forzata.

 

Che poi, come ben sappiamo anche noi "fuori", la vita di tutti conosce delle "soste forzate" più o meno gradevoli; ma questa "sosta" ha di particolare che non è mai, proprio mai una "sosta" felice. Utile, forse, qualche volta, sì ma neanche troppo spesso…

 

A Milano…

 

…il nostro caro amico artista gentile, generoso e anche originale come tutti gli artisti che si rispettano, decise di fare un regalo all’improbabile redazione di Sosta Forzata e inviò una preziosa litografia di una sua bellissima opera che pure si chiamava Sosta Forzata…

 

A Piacenza…

 

…l’insolito gruppo dell’insolita redazione pensò di dedicare la copertina del giornale a Gero Urso e al suo quadro, ringraziando con cuore commosso…

 

Morale della storia: ognuno se la cerchi e se la racconti come vuole! Quanto a noi, speriamo che finisca così "e vissero tutti felici contenti e liberi!"

 

Fermo immagine

 

di Carla Chiappini

 

L’obiettivo si ferma su Djon albanese e irrequieto.

Ma non irrequieto perché albanese, piuttosto perché giovane e sano; l’inattività del carcere gli mette ansia. Ha lavorato qualche giorno alla cooperativa Futura e comincia a uscire in permesso; il tono di voce è sempre piuttosto alto ma l’umore è più sereno.

Esibisce una camicia dal collo impeccabile e ci rivela il segreto di tanta perfezione: ogni volta che fa il bucato, piega la camicia ancora umida e la ripone accuratamente in un sacchetto di plastica; quindi la copre con un foglio di carta e la mette sotto il materasso. Per quanto tempo? - Quanto basta ovvero qb - così come recita un celebre manuale di ricette.

Sono estasiata; forse potrebbe essere un’idea anche per le domestiche camicie dei figli adorati.

Chissà se la "stirata" sotto il materasso garantisce un effetto migliore della più nota e altrettanto ingegnosa "piega alla macchinetta del caffè"…

 

Freddo e grigio: nei giorni del Natale il carcere sembra ancora più spento e triste e pesante.

Oggi si parla di feste, di figli e di famiglie. Enrico è appena rientrato da un permesso inatteso; è elegante, ordinato e sorridente. Narra dell’incontro per strada con il figlio venticinquenne e ignaro: lo stupore iniziale, poi gli occhi del giovane pieni di lacrime. Una sorpresa anche per il papà.

Vincenzo, invece, è tornato da Torino; una lunga notte trascorsa in chiacchiere con il ragazzo che ha lasciato in culla tante carcerazioni fa. Ogni tanto dice: "il mio bambino" parlando di questo figlio molto amato che, ormai, ha quindici anni e certamente bambino non è più. Pensiamo che per i tanti papà detenuti il tempo si sia fermato, pensiamo alle occasioni perse, alle telefonate che non dicono quasi nulla della vita reale, alle conversazioni imprigionate in pochi minuti, in orari prefissati. "E poi, quando avrebbero bisogno di sentirci davvero, non è mai possibile perché non è il giorno giusto e nemmeno l’orario giusto e bisogna aspettare e, intanto, il momento è passato…" sospira Gianluca.

Questi papà hanno sbagliato e devono pagare ma i figli perché?

 

Uno squillo al cellulare; una voce amica: – Sono fuori, sono libero, sono felice. –

Solo il tempo per una domanda: - Adesso cosa fai?-

Rapida la risposta: - Per oggi mi accontento di vedere la neve scendere; è tutto così bello, troppo bello…-

Fermiamo l’immagine su un’emozione autentica.

 

 

Sosta Forzata prima uscita: la rassegna - stampa

 

Affetto, interesse, incoraggiamento hanno accompagnato l’uscita del numero 0 del nostro giornale; ringraziamo in modo particolare i colleghi piacentini di Libertà e Telelibertà, il quotidiano a tiratura nazionale "Avvenire", le principali agenzie di stampa che seguono il mondo sociale, il settimanale "Vita" nella rubrica curata da Ornella Favero e alcuni siti dediti all’informazione dal carcere quali Papillon e Ristretti. A questi ultimi, in particolare, va la nostra gratitudine per aver accolto per intero i nostri articoli sulla propria pagina web (www.ristretti.it).

 

Tra i vari contributi riportiamo un articolo dell’Agenzia "Redattore Sociale" e una lettera apparsa sul settimanale diocesano "Il Nuovo Giornale".

 

Redattore Sociale 09.12.2003 14.47.33

 

Carcere - Prima uscita di "Sosta Forzata", neonato giornale della Casa Circondariale di Piacenza "Le Novate".

 

Quattromila copie, otto pagine formato tabloid, 14 redattori di varie nazionalità, periodicità trimestrale. Sono i numeri di "Sosta forzata", neonato giornale della casa circondariale di Piacenza "Le Novate", che ospita 300 detenuti. La prima uscita è avvenuta domenica scorsa. Quattromila copie distribuite con il settimanale diocesano "Il Nuovo Giornale" e un editoriale firmato dalla direttrice del carcere Caterina Zurlo. Tra i temi trattati in questo primo numero: scuola e cultura in carcere, stranieri, salute e volontariato, raccontati sempre dalla prospettiva di chi vive dietro le sbarre.

"Sosta forzata" è il risultato di un corso di giornalismo che da tre anni Carla Chiappini, giornalista e addetta stampa del Centro servizi per il volontariato di Piacenza, tiene all’interno del carcere grazie al finanziamento dell’assessorato alla Formazione del Comune piacentino e in collaborazione con l’associazione "La Ricerca". Finora i contributi dei detenuti-redattori erano stati ospitati da alcuni giornali locali: il quotidiano "La Libertà di Piacenza", il settimanale diocesano "Il Nuovo Giornale" e la rivista dell’associazione "La Ricerca". La redazione del giornale è composta da 14 detenuti di nazionalità diverse: italiani, bulgari, albanesi, tunisini, che lavorano al giornale due ore la settimana, tra le 13 e le 15 di ogni giovedì. Ai redattori fissi si aggiunge la collaborazione di altri detenuti, molti dei quali spiega Carla Chiappini, sono stranieri che riescono a scrivere i propri articoli grazie alla collaborazione dei detenuti italiano.

L’intenzione è fare del giornale un punto d’incontro tra chi sta dentro e chi sta fuori: "Le pagine di Sosta forzata non saranno solo scritte dai detenuti, ma aspettiamo anche il contributo di studenti e quanti vogliano partecipare a questo progetto. Spero, inoltre, che le pagine si riempiano presto del contributo delle detenute donne", spiega Carla Chiappini. L’idea con cui nasce "Sosta Forzata" è quella di diventare un luogo in cui scambiare esperienze e notizie. "È questo che chiedo ai redattori: non dare opinioni sui massimi sistemi, ma comunicare all’esterno le proprie esperienze, la vita in carcere, le storie, le esigenze. Tutto all’insegna della sobrietà e senza pietismi", dice Carla Chiappini. Il modello di riferimento è il giornale "Ristretti Orizzonti", giornale dalla Casa di Reclusione di Padova e dall’Istituto di Pena femminile della Giudecca. Con la stessa filosofia di promuovere uno scambio tra città e carcere, è stato organizzato il premio di scrittura "Parole oltre il muro". Vi potranno partecipare tutti i detenuti. I racconti dei partecipanti verranno poi selezionati e giudicati da una giuria composta da quattro classi di differenti scuole superiori di Piacenza e alcuni studenti dell’Università Cattolica piacentina. La premiazione avverrà nell’aprile 2004.

 

 

Complimenti a "Sosta Forzata" dal Nuovo Giornale, 9 gennaio 2004

 

di Paolo Dosi

 

Caro Direttore,

vorrei esprimerti tutto l’apprezzamento per l’iniziativa che ha portato il "Nuovo Giornale" ad ospitare "Sosta Forzata", il giornale della casa circondariale di Piacenza. Naturalmente gli apprezzamenti si moltiplicano nel momento in cui vengono rivolti alla redazione di "Sosta Forzata". La cosa più sorprendente è che abbiamo avuto tra le mani un prodotto di qualità: non è stata un’operazione filantropica di aiuto a persone in difficoltà, ma un’autentica operazione editoriale, in cui una redazione che ha maturato un periodo di formazione professionale è stata in grado di presentare un buon giornale, che non ha nulla da invidiare rispetto ad altre testate analoghe in circolazione. Ancora una volta la parola è diventata uno strumento per "evadere" positivamente da un luogo di costrizione. Il carcere rappresenta uno dei luoghi di costrizione più evidente, ma la nostra vita quotidiana è piena di luoghi di costrizioni: mode, conformismi, luoghi comuni rappresentano le inconsapevoli "gabbie" d’ogni giorno nelle quali ci adagiamo illudendoci di vivere da persone libere. Il linguaggio televisivo e il diffuso impoverimento del lessico hanno progressivamente svuotato di contenuto l’uso della parola parlata e scritta: gli amici di "Sosta Forzata" ci hanno ricordato come la parola possa conservare tutta la sua forza quando diventa mezzo di comunicazione capace di scavalcare qualsiasi muro e di consentire alle persone di conoscersi nonostante la distanza fisica. Grazie quindi al "Nuovo Giornale" e a "Sosta Forzata": rimaniamo in attesa impaziente del prossimo numero.

 

Dalla Casa Circondariale di Ferrara una lettera

 

di Mamo Erwi

 

Carissimi amici,

con la presente vorrei portare la mia voce fuori dalle mura grigia che non fanno respirare l’odore della libertà e del amore.

So di essere stato uno dei primi a dare voce a questo giornalino, e questa volta vorrei portare qualche mia riflessione sul carcere e su cosa produce in soggetti deboli e in soggetti più forti.

La durezza del carcere accentua per alcuni la tensione nervosa, a me capita per distrarmi quando mi prende un nodo alla gola che mi attanaglia, di guardare fuori dalle inferiate: è un tentativo di coltivare il pensiero che resto un uomo… Non bisogna arrendersi dicono, ma quando si viene presi per il bavero e sbattuti con il muro della sconfitta qualcosa dentro di noi si spezza e non e facile ricomporre i frammenti.

Vorrei che si comprendesse che la vita e una sola, e va vissuta con gli affetti con quelli che il Signore ci ha donati, e vivere in pace e serenità. Non bisogna piantare chiodi sul cammino perché toglierli è facile ma le ferite restano.

 

Garante dei diritti delle persone private della libertà

 

Redattore sociale, 27.01.2004

 

Approvata dal Consiglio comunale di Bologna delibera per istituire il "Garante dei diritti delle persone private della libertà"

 

Un passo in più a Bologna verso l’istituzione del "Garante dei diritti delle persone private della libertà". È stata infatti approvata all’unanimità dal Consiglio comunale la delibera - che andrà ad integrare e modificare lo Statuto comunale - per istituire questa nuova figura. Il consigliere Sergio Lo Giudice (Due Torri - Democratici di Sinistra), uno dei promotori dell’iniziativa, lo ha definito "un voto significativo che avvicina Bologna all’Europa. I cittadini di Bologna hanno oggi un’opportunità in più e dove sono tutelati i diritti degli ultimi, tutti sono più liberi". Approvazione anche dal centro destra: "E’ un segnale di grande civiltà - ha commentato Rocco di Torrepadula, del Gruppo misto - l’avere approvato l’istituzione del garante dei diritti delle persone private della libertà personale, dando con ciò attuazione all’articolo del nostro Statuto per il quale il Comune promuove la solidarietà della comunità locale rivolgendosi alle fasce di popolazione più svantaggiate".
"L’introduzione nello Statuto comunale della figura del Garante dei diritti delle persone private delle libertà personali con l’unanimità del Consiglio Comunale - ha aggiunto Maurizio Cini (La Tua Bologna) -, costituisce un atto di grande rilevanza sotto il profilo del rispetto della persona umana e in accordo con i principi costituzionali e con lo Statuto stesso del Comune di Bologna. Una figura esterna all’Amministrazione della Giustizia ed espressione del territorio in cui sorgono le strutture penitenziarie non potrà che contribuire all’attuazione del principio basato sul concetto di pena quale momento di riabilitazione e riadattamento alla convivenza civile nella società". Il Garante sarà una specie di difensore civico a tutela però dei detenuti, dei ragazzi che si trovano nelle carceri minorili, dei migranti trattenuti nei Cpt e dei fermati nelle celle di sicurezza delle forze dell’ordine. Si tratta di una figura terza e indipendente rispetto all’amministrazione giudiziaria e penitenziaria, con il compito di supervisione e di controllo sul rispetto dei diritti della persona e, soprattutto, con il compito di mediare nei conflitti e nelle tensioni che spesso accompagnano la condizione di detenzione o di limitazione della libertà personale.

La proposta era nata dalle sollecitazioni arrivate anche dal "Comitato europeo per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti", che ha chiesto agli stati membri dell’Unione Europea di dotarsi di organismi di controllo delle condizioni dei carcerati. Diversi paesi europei (Austria, Danimarca, Finlandia, Portogallo, Norvegia, Olanda, Ungheria, Gran Bretagna) hanno attivato esperienze simili a livello centrale e territoriale. Si stanno attivando ora anche diverse città italiane: nel maggio scorso, il Comune di Roma ha già deliberato all’unanimità l’istituzione di questa carica, ricoperta da Luigi Manconi.

 

Al punto 54 del documento ufficiale "Gli standard del CTP" reperibile sul sito del Consiglio d’Europa troviamo:

"Procedure efficaci di reclamo e di ispezione sono tutele fondamentali contro i maltrattamenti in carcere. I detenuti dovrebbero avere vie di reclamo aperte per loro sia all’esterno che all’interno del contesto del sistema carcerario, che comprendano la possibilità di avere accesso confidenziale ad una autorità pertinente. Il CPT attribuisce particolare importanza a visite regolari in ogni istituto penitenziario da parte di un ente indipendente (per esempio un Comitato di visita o un giudice supervisore) che abbia il potere di ascoltare (e, se necessario, di intraprendere azioni di conseguenza) i reclami dei detenuti e di ispezionare gli edifici degli istituti. Tali enti possono inter alia giocare un importante ruolo nel mediare le controversie che sorgono tra la direzione del carcere e un dato detenuto o i detenuti in generale.

 

Le ultimissime novità in tema di Garante dei diritti delle persone private della libertà

 

Antigone newsletter, 28.01.2004

di Patrizio Gonnella

 

Nel novembre del 1997 a Padova per la prima volta iniziammo a discutere pubblicamente di difesa civica nei luoghi di detenzione e di forme di tutela non giurisdizionale dei diritti delle persone private della libertà. In un paese come il nostro, che delega alla magistratura ogni forma di risoluzione dei conflitti, sembrava a quel tempo anomalo e utopico ragionare intorno alla diffusione di centri di controllo dei luoghi detentivi. In questi anni abbiamo organizzato seminari e convegni in giro per l’Italia, abbiamo sollecitato la presentazione di vari progetti di legge, abbiamo intrapreso studi comparati.

Nelle ultime settimane qualcosa si è mosso. La sequenza di quanto accaduto è di per sé significativa. A Roma, prima il Consiglio e poi la Giunta hanno deliberato l’istituzione del garante dei diritti delle persone private della libertà nel territorio comunale. Sono stati chiamati ad occuparsene Luigi Manconi e Stefano Anastasia. A Firenze è stato nominato Franco Corleone. A Bologna, ed è questa notizia di pochi giorni fa, il Consiglio comunale ha modificato lo Statuto introducendo la figura del garante negli atti costitutivi del Comune. Infine, la Commissione Affari Costituzionali della Camera ha votato un testo unico che raccoglie e unifica le tre proposte pendenti – a prima firma rispettivamente di Anna Finocchiaro (Ds), Giuliano Pisapia (Prc) e Erminia Mazzoni (Udc) – sul difensore civico delle persone private della libertà. Ora speriamo che si proceda velocemente alla approvazione del testo, possibilmente migliorandolo rispetto ad alcune cautele sinora emerse, come quelle riguardanti l’obbligo di preavviso prima dell’azione ispettiva nei centri di permanenza temporanea per immigrati, nelle stazioni di polizia e nelle caserme dei carabinieri.

Anche a Torino, a Milano, a Bari si sta discutendo di organismi locali di controllo nei luoghi di detenzione. I diritti umani sono universali. Valgono per tutti, senza eccezioni. L’Italia ha firmato, ma non ancora ratificato, il protocollo alla Convenzione delle Nazioni Unite contro la Tortura. Esso prevede un meccanismo universale indipendente di controllo di prigioni e luoghi di privazione della libertà. Dalla ratifica del protocollo deriva l’obbligo di dar vita a organismi nazionali indipendenti di ispezione e monitoraggio di tutti i luoghi detentivi. Ugualmente, una indicazione in questo senso è arrivata dal Parlamento Europeo lo scorso settembre. Qualcosa si è mosso. Ora si tratta di non fermarsi.

 

E tutto questo è… noooia

 

di Alessandra

 

Domenica

Mi sveglio: è domenica…

Ancora prima di aprire gli occhi, in una frazione di secondo, realizzo due cose: la prima è di essere viva, la seconda è che sono in carcere!!! Immediatamente sono assalita dalla noia, cerco di reagire.

Organizzo mentalmente la giornata, partendo dalla colazione fino alla camomilla serale. Pianificando le 15 ore della lunghissima giornata, mi accorgo che è quello che faccio ogni domenica.

Mi deprimo all’istante, mi sento ripetitiva e priva di fantasia, allora penso, penso, penso…

È passata mezz’ora e non ho partorito idee geniali! Tutto quello che potrei fare, l’ho già fatto! Ci rinuncio!

La noia e la monotonia hanno vinto.

Decido come ogni domenica di farmi trasportare passivamente in balia degli eventi.

Sconsolata, con un balzo, scendo dalla branda a castello, infilo le ciabatte e, con passo trascinato, sfrego le suole sul pavimento.

Attraverso la cella, oltrepasso la zona giorno e mi dirigo nel bagno.

Subito dopo aver espletato l’impellente bisogno fisiologico, mi "tuffo" nel lavandino per la veloce toilette pre-colazione.

Mi asciugo.

Cerco la moka. Mi ci vuole un caffè dolce, molto dolce per compensare le amarezze della vita!!!

Il rituale del caffè è curato in tutti i suoi aspetti: la moka è pronta, la adagio delicatamente sul fornello a fuoco lentissimo e aspetto.

Nell’attesa, sempre con lo stesso passo trascinato, decido di andare alla finestra, la spalanco, mi avvicino, appoggio le tempie in uno degli scacchi formati dalle sbarre.

Ora la visuale è libera, l’aria ogni giorno è più frizzante, il volto ancora umido accentua il piacere della brezza.

Chiudendo gli occhi per un istante, amplificando l’olfatto, annuso la libertà: è un attimo.

Riapro gli occhi e, diversamente dal solito, non guardo ma… osservo, osservo lo stupendo spettacolo al di là delle mura.

Lo stacco è netto al di là delle mura.

Un ambiente sterile e privo di colori mi opprime.

Al di là delle mura, la libertà, la vita decorata dai pastelli della propria fertilità.

Gli alberi di fronte sono trafitti dal volo frenetico dei passerotti, mi sembrano felici e si tengono a debita distanza dal muro, come se percepissero il malessere e la disperazione presenti in questo luogo, negli abitanti di ogni singola "gabbia".

Trovo in me una somiglianza… cerco consiglio, cerco forza, voglio vivere, devo reagire.

D’un tratto vengo distratta, nell’aria sento l’aroma diffuso del caffè.

Sollevo la testa dalle sbarre, un ultimo sguardo alla libertà, con decisione mi giro, il passo è spedito, non trascino più le ciabatte, spengo il fuoco e m’accingo a bere il caffè.

Mentre sorseggio, mi accorgo di essere stranamente di buon umore… mi sento ricaricata, rigenerata.

Mi sveglio.

È domenica ed è una bellissima giornata.

 

È la noia la maggior nemica del detenuto

 

di Gjon Tanushi

 

Una delle cose importanti in carcere è non farsi sopraffare dall’apatia, cioè non lasciarsi andare. È la noia la maggior nemica del detenuto.

Restare lì fermi con la testa che gira a 360° per non portare a nulla serve solo a farci stare peggio, per cui c’è chi si distrae facendo ginnastica o magari giocando a carte in saletta.

Ma queste cose si possono fare durante la socialità.

Tenere la mente occupata è un buon esercizio per non lasciarsi andare a fantasie che risultano molto nocive, specialmente nella mente di persone che stanno attraversando un momento difficile.

Un aiuto viene anche dalla struttura con corsi scolastici e altri tipi di corsi quale giornalismo, agraria ecc,ecc.

Il lavoro contribuisce a farci trascorrere meno tempo in cella ma anche questo è un privilegio per pochi, visto che siamo in tanti e il lavoro va a rotazione, per cui è sempre meglio occupare gli spazi che, per il momento, abbiano a disposizione. Non saranno un granché ma ci permettono di vivere una certa normalità quotidiana.

 

La noia danneggia solo noi stessi

 

di Rino Bergonzi

 

Tra le componenti negative della vita ci sono, ad esempio, un carattere poco socievole, l’invidia, la gelosia… e anche la noia. E’ pur vero che la noia è il male minore, perché, se non altro, non fa danno a nessuno se non a noi stessi, ma è pur sempre componente negativa…

Se già è così nella vita normale, immaginiamo cosa può essere per chi si trova rinchiuso nella cella di un carcere, con pochissime possibilità di lavorare, costretto all’attesa per ogni piccola cosa; a partire dal carrello con il latte al mattino, a quello del pasto, dall’attesa per i colloqui con un familiare e a quella di poter parlare con un assistente di servizio, o per andare all’aria; questo a ripetersi in giorni identici e, giorno dopo giorno, in settimane, mesi e anni per i più sfortunati, tra i quali sono anch’io. A differenza di molti devo, però, dire che, per mia fortuna, non conosco la noia; forse perché non ho mai avuto motivo di pronunciare questa parola neanche prima perché ho sempre lavorato e chi lavora non ha tempo per la noia.

Per questo dal mio primo giorno di carcere ho capito che, per non impazzire, per non arrivare a gesti disperati, l’unica cosa da fare era quella di impegnare la mente in qualsiasi modo possibile e così ho fatto giorno dopo giorno tanto che sono passati quasi tre anni senza quasi accorgermene. Per prima cosa ho accettato da subito quei pochi "benefici" che il carcere consente; come andare all’aria nelle ore prescritte, in saletta quasi ogni giorno per la consueta partita a carte, partecipare al corso di auto-aiuto e frequentare la scuola d’Agraria. Nella maggior parte del tempo trascorso in cella, ho occupato ore e ore a leggere riviste, quotidiani e romanzi come mai in vita mia, alternando la lettura allo scrivere decine e decine di lettere e memorie per i miei avvocati… La televisione ha poi occupato le ore di relax, completando le mie giornate che solitamente incominciano prima delle sette e terminano a mezzanotte inoltrata .

La mia speranza e convinzione rimane, pertanto, ora come in futuro quella di non dire mai: "mi sono annoiata".

 

Mi sembra di affrontare sempre lo stesso giorno

 

di Agatino

 

Sono le ore 3 di mattina mi sveglio da un lungo sogno, disturbato da rumori di persone che scorrono in un corridoio pieno di malinconia, sento che si apre un grosso blindo, apro gli occhi e mi accorgo che è arrivato un altro giorno di tristezza; mi alzo, affronto con fatica un’altra giornata, mi sento come un burattino comandato da corde che fanno muovere le mani e i piedi. Incomincio a fare le stesse cose che ho fatto i giorni precedenti. Mi sembra di affrontare sempre lo stesso giorno in cui sono entrato in questo strano pianeta pieno di sofferenze. Immediatamente ho capito di trovarmi chiuso dentro quattro mura; poi sono passati i giorni e ho fatto l’abitudine a questo essere rinchiuso e a combattere per avere un giorno diverso dall’altro... 

 

Per combattere la noia ho letto tutto sulle tartarughe e le foche monache…

 

di Enrico

 

Nel 1983 entrai in carcere per fatti gravi che mi costarono sette anni di libertà. Non ero abituato a leggere nulla che non fossero quotidiani o riviste in qualche sala d’attesa, così come non scrivevo più da moltissimo tempo. Il primo libri che lessi, in quei frangenti, era la Bibbia. La sua lettura si diluì nel tempo e mi diede molto conforto, oltre a distrarmi dalle magagne che mi erano crollate addosso.

Contemporaneamente iniziai a leggere tutto ciò che mi capitava tra le mani. Giunsi a dedicare alla lettura sino a 14 ore al giorno. In molti libri comparivano dubbi e quesiti esistenziali; mi avvicinai alla filosofia e a testi molto impegnativi…

Ma poi ho letto anche un’infinità di libri di evasione e, nel carcere di Saluzzo dove la biblioteca era di modeste dimensioni, mi sono dedicato alle abitudini delle tartarughe, delle foche monache e delle api…

 

Grazie! Mille libri per i detenuti di Piacenza regalati dall’Associazione Mario Cuminetti di Milano

 

L’Associazione Gruppo Carcere Mario Cuminetti è stato il primo gruppo in Italia nel 1985 a chiedere e usufruire dell’articolo 17 dell’Ordinamento Penitenziario (integrato dalla Legge Gozzini) per svolgere attività culturale in carcere e creare un collegamento fra carcere e città.

L’Associazione prende il nome dal suo fondatore, Mario Cuminetti, teologo, saggista e operatore culturale, impegnato per il rinnovamento della società e in particolar modo per il problema degli emarginati.

Attualmente diversi sono gli ambiti di impegno dei volontari della "Mario Cuminetti" nelle carceri milanesi ma i libri e la lettura restano una vocazione centrale.

 

Dal Ministero della Giustizia: un protocollo d’intesa con il Ministero per i Beni e le Attività Culturali

 

Presentato in una Conferenza Stampa il 16 gennaio 2004 a Roma presso il Teatro Argentina

 

Linee generali

 

Le attività culturali e ricreative, che favoriscono il percorso di maturazione e di crescita personale di ogni individuo, svolgono un significativo ruolo di supporto nella prospettiva di un positivo reinserimento sociale dei condannati, dando impulso allo sviluppo di capacità critiche ed autocritiche, e la possibilità di conoscere modalità comunicative nuove e di instaurare un dialogo con persone con esperienze esistenziali differenti.

In tale prospettiva da alcuni anni è già stata avviata una collaborazione con il Ministero per i Beni e le Attività Culturali per lo sviluppo di iniziative progettuali congiunte con particolare riferimento alla promozione della lettura…

I punti qualificanti del citato protocollo d’intesa sono i seguenti:

valorizzazione della dimensione progettuale delle iniziative culturali ed espressive organizzate in favore dei soggetti in esecuzione di pena;

sviluppo della dimensione "professionalizzante" attraverso l’organizzazione di corsi professionali in grado di far acquisire competenze – inerenti lo specifico settore - spendibili sul mercato del lavoro;

diffusione sul territorio delle esperienze culturali/espressive realizzate negli Istituti penitenziari, mediante l’utilizzo di teatri esterni e la partecipazione a festival ed iniziative presenti sul territorio, al fine di realizzare una permeabilità con il tessuto sociale esterno;

promozione della lettura e del ruolo e della funzione delle biblioteche penitenziarie quali centri per l’apprendimento, per lo sviluppo delle attività mediazione culturale e per l’integrazione didattica;

valorizzazione degli aspetti multiculturali delle etnie presenti negli Istituti Penitenziari, attraverso la promozione e diffusione di testi in lingua originale e bilingui;

promozione della conoscenza del linguaggio cinematografico ed audiovisivo, favorendo il coinvolgimento di professionisti dello spettacolo nella realizzazione di incontri, laboratori e/o seminari, guardando al cinema ed all’audiovisivo come ad un prodotto artistico che utilizza nella comunicazione idee, immagini e tecniche proprie;

promozione - mediante azioni congiunte ed il coinvolgimento dei club, delle società sportive e polisportive del territorio nazionale - di qualificate iniziative di pratica sportiva di carattere continuativo all’interno degli Istituti penitenziari.

 

È arrivata la mia "gamba"!

 

di Nico Giampaolo

 

Vi avevo promesso che qualora fosse arrivata la mia "gamba" vi avrei avvertito, perciò…

Da qualche giorno ho messo a riposo il mio vecchio arto, che di battaglie ne aveva fatte davvero tante e, senza meritarlo, mi ha tenuto compagnia in questa carcerazione.

L’arrivo è stato preceduto da un ortopedico (penso che questo sia il suo titolo) che con molto scrupolo ha rilevato misure, spessori e quant’altro. Non ho osato chiedergli quali asperità abbia dovuto superare per raggiungermi, la mia felicità era superiore alla curiosità.

Per la difficoltà di deambulazione, già da un po’ di tempo avevo rinunciato all’ora d’aria. Lo scarso moto mi aveva fatto guadagnare qualche chilo che ora, con il mio fiammante marchingegno riuscirò a smaltire.

Ma soprattutto riuscirò a superare quel senso di prostrazione che mi trasmetteva il non sentirmi a mio agio, non essere corpo unico con la mia gamba.

Sarò retorico, ma quando si gode di ottima salute, non ci si rende conto dello stato di grazia in cui si vive. Crediamo che questo benessere sia una cosa scontata, ma è sufficiente un banale mal di denti per farci capire quanto siamo fragili. Quanto siamo bisognosi di tutto e di tutti.

Non so a chi attribuire maggior merito per questo traguardo, credo a Gesù Bambino e all’assistente volontaria Signora Valla.

Voglio pensare che abbiano lavorato insieme per farmi questo regalo Natalizio e ringrazio ambedue con affetto da questa tribuna.

Pare che il costo dell’impresa si aggiri intorno ai 5000 euro. Questa cifra sarebbe stata di arduo raggiungimento anche in condizioni di libertà.

Questa traversia mi ha anche fatto riflettere sulla fortuna di essere nato in uno stato che riconosce diritti anche a chi, come me, non è stato alle regole.

Feodor Dostoevkij dice che: "Il grado di civiltà di uno Stato si misura anche dalle sue carceri".

Sì… l’Italia è un paese con un ottimo grado di civiltà.

E con questa citazione, ringrazio tutti coloro che hanno collaborato all’impresa.

 

Il mondo degli affetti: lettera di un figlio al padre detenuto

 

Caro papà,

so che oggi per te è un giorno speciale e pertanto ho deciso di fati un regalo, anzi due: interromperò il silenzio che mi sono imposto quando sono stato informato del tuo arresto e ti descriverò, con sincerità, cosa ho pensato in tutto questo tempo.

Durante gli anni del liceo e dell’università le molte e pesanti discussioni tra te e la mamma mi avevano portato alla convinzione, forse fondata, forse no, che noi fossimo una delle principali cause delle tue vicissitudini (gli arresti, l’alcool, le cattive frequentazioni, la vita sregolata).

Alla fine, visti i risultati drammatici che stavano assumendo gli eventi, ho deciso di imboccare , con decisione, l’unica strada percorribile: maturare definitivamente assumendomi tutte le mie responsabilità e andando a lavorare.

Anche Paolo, sebbene con un percorso diverso ha fatto lo stesso.

Questa scelta ovviamente ha comportato delle grosse rinunce ma ha permesso alla nostra famiglia di diventare indipendente economicamente ed ha sgravato te e la mamma di qualche obbligo di sostentamento.

In tal modo, pensavo ingenuamente, papà dovrà provvedere solo a se stesso e quindi non dovrà più delinquere per causa nostra.

Speravo infatti che ti bastasse vivere di "piccoli espedienti ".

Quanto mi sbagliavo!

Ricordo ancora molto bene l’ultima volta che ti ho visto prima dell’arresto.

Era l’inizio di Dicembre e io e la mamma eravamo andati dall’ottico di Via Garibaldi.

Nel negozio della zia Adele c’eri anche tu a "dare una mano".

Al momento di andare via entrò un cliente tu , poiché Giuseppe era già impegnato con un signore e la zia ci stava accompagnando alla macchina, guardandomi fiero iniziasti a servirlo.

In quel momento fui davvero felice: forse mio padre era cambiato, forse avevo raggiunto il mio scopo.

Povero illuso ! Dopo pochi giorni la doccia fredda: la notizia dell’arresto con tanto di motivazioni.

Che rabbia! La provo ancora adesso.

Non riuscivo a credere alle mie orecchie.

Chi commette certi reati è giusto che paghi, che paghi caro.

Altro che padre onesto. È proprio vero, "il lupo perde il pelo ma non il vizio".

Ma di una cosa sono certo: questa volta non era stato per colpa nostra.

Decisi quindi di chiudermi in me stesso e di seppellire il tutto. Più volte in questi anni mi è capitato di pormi delle domande:" come starà in questo momento? Come starà passando tutto questo tempo? Quando me lo ritroverò davanti, cosa gli dirò? Cosa farò?".

E soprattutto… "avrà messo la testa a posto?".

Non ho mai trovato una risposta perché ogni volta ho subito cambiato l’oggetto dei miei pensieri.

Preferivo non pensarci ed evitare di riaprire una ferita che non si è mai rimarginata completamente.

Come hai visto sono stato molto colpito nel rivederti. Proprio il giorno di Natale, è stata davvero una sorpresa, ti confesso però che sono molto preoccupato.

Quando uscirai cosa farai?

Tra me e me penso: "Anche l’altra volta aveva detto di essere sinceramente pentito ed aveva promesso di non ripetere più certi errori. Eppure c’è ricascato".

Il nostro Pinocchio sarà cresciuto definitivamente o seguirà ancora il cattivo esempio di Lucignolo, del gatto e della volpe?

A mio avviso hai due possibilità.

La prima è un po’ meno probabile, vista la tua età e il tuo curriculum, poco ambiziosa ma più sicura dal punto di vista esistenziale: trovare un lavoro dipendente.

La seconda è più avvincente e percorribile, ma anche più rischiosa: aprire una tua attività.

Purtroppo ho paura che, soprattutto se le cose non dovessero andare subito per il verso giusto, questa soluzione ti possa portare velocemente sulla cattiva strada.

In ogni caso è fondamentale che, quando uscirai, tu riesca subito a fare ciò che io e mio fratello abbiamo fatto anni fa: andare a lavorare.

Solo cosi potrai condurre una vita regolare ed onesta, evitando di rotolare nuovamente giù per la china.

È per questo che ti consiglio di pensarci sin da ora con serenità, ma seriamente.

Questo è quanto avevo da dirti .questo è il mio regalo.

Una raccomandazione: non rispondere a questa lettera, tienila con te e rileggila, rileggila spesso, specie la prima parte, soprattutto nei momenti difficili.

Sarà il tempo a rispondere…

Prima di lasciarti voglio esprimere un desiderio… un desiderio che fino ad oggi non sei riuscito ad esaudire.

Quando uscirai definitivamente sarai di nuovo libero.

Per te sarà come rinascere, sarà la tua seconda vita.

Fai che io possa essere fiero di questo nuovo E.

Fallo per me, ma soprattutto per te.

Buon compleanno papà.

 

Rapporti con la famiglia e progressione nel trattamento

Art. 61 DPR 230/2000 Ordinamento Penitenziario

 

1. La predisposizione dei programmi di intervento per la cura dei rapporti dei detenuti e degli internati con le loro famiglie è concertata fra i rappresentanti delle direzioni degli istituti e dei centri di servizio sociale.

2. Particolare attenzione è dedicata ad affrontare la crisi conseguente all’allontanamento del soggetto dal nucleo familiare, a rendere possibile il mantenimento di un valido rapporto con i figli, specie in età minore, e a preparare la famiglia, gli ambienti prossimi di vita e il soggetto stesso al rientro nel contesto sociale. A tal fine, secondo le specifiche indicazioni del gruppo di osservazione, il direttore dell’istituto può:

a) concedere colloqui oltre quelli previsti dall’articolo 37;

b) autorizzare la visita da parte delle persone ammesse ai colloqui, con il permesso di trascorrere parte della giornata insieme a loro in appositi locali o all’aperto e di consumare un pasto in compagnia, ferme restando le modalità previste dal secondo comma dell’articolo 18 della legge.

 

Comitato europeo per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani degradanti

 

Nel documento del Comitato europeo per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani degradanti (CTP) in cui l’Italia è rappresentata dal fondatore dell’Associazione Antigone Dott. Mauro Palma in carica fino al dicembre 2004 che anticipa "indicazioni chiare alle autorità nazionali sul proprio punto di vista rispetto al modo in cui le persone private della libertà dovrebbero essere trattate" al punto 51 si legge:

 

"È anche molto importante per i detenuti mantenere in maniera ragionevole un buon contatto con il mondo esterno. Soprattutto, a un detenuto devono essere forniti i mezzi per tutelare i rapporti con la sua famiglia e con gli amici intimi. Il principio guida dovrebbe essere la promozione del contatto con il mondo esterno; qualunque limitazione di questo contatto dovrebbe essere basata esclusivamente su questioni rilevanti di sicurezza o considerazioni sulle risorse disponibili".

 

Il CTP desidera mettere in rilievo in questo contesto il bisogno di un certo grado di flessibilità delle applicazioni delle regole sulle visite e sui colloqui telefonici nei confronti dei detenuti le cui famiglie vivano lontano (cosa che rende impraticabili visite regolari). Per esempio, a questi detenuti, dovrebbe essere concesso di accumulare il tempo della visita e/o offerte possibilità migliori per i colloqui telefonici con le loro famiglie.

 

Corrispondenza: lettera da un figlio al papà detenuto

 

Ciao papà.

Come stai? Spero bene, io sto bene.

Ti scrivo, innanzitutto per scusarmi di non averti scritto prima, ma…sai come sono fatto, comunque spero che tu mi possa perdonare.

Domani chiamo la nonna per chiederle come sta, e per sentirla visto che non lo faccio da tempo.

Lunedì se riesco a convincere mamma stiamo tutto il giorno assieme dalla mattina e ti porto da…

Non so quando uscirai per sempre, spero solo che a quel punto tu possa cancellare per sempre tutta la brutta avventura che hai trascorso fino ad ora, papa non voglio più vederti in galera, per favore so che non lo voi anche tu, però dipende da come ti comporti e ti ripeto, spero che non ci andrai mai più in un posto cosi bruto, perché adesso ho 15 anni e ho tanta voglia di conoscere mio padre. Con questo chiudo, ragiona sulle parole che ti ho detto, sappi che ti voglio tanto bene.

Cambiamo discorso, io in questo momento sto guardando un film e nel frattempo scrivo al mio papà scusami ancora se non ho mantenuto la promessa.

Papà comprami tutto quello che ti ho chiesto per favore. Ti devo dire una novità con A. mi sono lasciato perché ero stufo di lei era troppo appiccicosa e poi le ho detto che a Capodanno mi sono baciato con un’altra e così ci siamo lasciati: meglio così.

Adesso per un po’ non voglio altre ragazze…

Bè, penso di averti detto tutto, tutto ciò che mi passava per la testa.

Oh dimenticavo… il mio cellulare è troppo bello, poi ti farò una foto.

Adesso ti saluto perché sono un po’ stanco, sono le due di notte, ti sto scrivendo e domani ho scuola, perciò buonanotte papà.

Ti voglio tanto bene.

Tuo figlio

 

Da padre a figlio

 

Ciao mio piccolo bimbo,

sono molto contento di aver ricevuto la tua lettera, anche se breve ma va bene lo stesso.

Spero che tu stia molto bene. So che domenica sei andato dalla nonna e dalla zia; la nonna mi diceva che ti fa male la gamba, ti sei fatto male a giocare?

Anche tu mi manchi moltissimo e non vedo l’ora che arrivi il permesso per stare un po’ con te.

Forse tante volte sono un po’ invadente con te, ma il tuo Papà devi capirlo, visto che con me ci sei stato poco, non per colpa tua e neanche della mamma ma per colpa dei tuoi errori. E anche per questo che mi comporto così, voglio recuperare tutto il tempo perduto, so che ci vuole pazienza ma io so attendere, non farei mai niente per farti soffrire. Sappi che ti voglio un mondo di bene; sei la persona più importante per me.

Mi chiedi scusa per quello che è successo, ormai non ci penso più, l’importante è che non capiti più…

L’altro giorno mi è arrivato il permesso, esco il 15 e rientro il 20; mi dovrai sopportare in questi giorni ma se poi non vuoi, vado da un’altra parte. Sappi che a me fa molto piacere stare con te.

Visto che non capisci la mia calligrafia, ti ho scritto con il computer e inizio già a scusarmi per tutti gli errori che sto facendo, so scrivere così. Mi dici di cambiare squadra; è una cosa che non farò mai, provaci tu, io ne sarò felice; tanto lo scudetto non lo vincete neanche voi…

Adesso ti lascio, ti invio un grosso bacione e sappi che ti voglio un mondo di bene, sei il mio piccolo bimbo e non fare quella faccia; per me sei sempre un bimbo.

Ti adoro, il tuo Papà.

Saluta anche la mamma. Ciao ciao.

 

Il sogno perduto

 

di Motoi Akrame

 

La vita non è una strada diritta, ma è un tracciato con molte curve. Possiamo dire che è un po’ come il tempo, segue le stagioni. Quando si viene al mondo, intorno a noi c’è buio, si deve attendere un po’ prima che si diffonda la luce e si diffonda l’illuminazione.

Ogni persona ha il suo desiderio, cioè combattere per la pace e per tutto ciò che desidera. Per questo ci vuole pazienza e tanta fiducia in noi stessi. Il mio sogno è una bella casa come la sogna tutto il mondo e la pace che per me significa molto, come per tutti quelli che la pace non riescono mai ad assaporarla. Il mio paese combatte da una vita per la sua terra, ognuno vorrebbe avere una moglie e dei bambini, una vita piena di amore e di pace.

Voglio che i miei bambini non facciano la vita che è toccata a me, non voglio che nascano in mezzo al sangue, alla paura.

Tutti i popoli hanno diritto alla pace, alla libertà.

 

Essere reclusi "fuori"

 

Saraceno

 

Un aspetto strano, non considerato, ma assolutamente inquietante, è la pena che madri, figli, compagne, stanno pagando per reati non commessi.

Si è spesso parlato dell’affettività nel carcere, si è detto poco della privazione dell’affettività fuori dal carcere: forse la più drammatica.

Ho incontrato una madre, "prigioniera" della privazione del figlio.

Una madre consapevole ma non colpevole, combattiva, ma sconfitta da un "regime" che la ha privata della sua libertà.

Le chiedo: - Perché è accaduto? -

Nella dolcezza di questa donna e madre, quello che traspare è la sua "sicilianità", dove fra i tanti valori ci sono la famiglia e forse l’onore.

C’è una risposta: - È andata cosi perché lui era in compagnia "di loro" -.

Del giorno del suo arresto si ricorda una telefonata.

Mi dice: - Paura, pianto, dispiacere… ma ero preparata -.

Per un figlio faresti di tutto: è stato amore tenerlo in casa senza far saper niente a nessuno: lui era latitante ma io… Madre sua."

Dopo nove anni lui è tornato.

Cosa ti ricordi di quel giorno?

Una gioia grandissima.

E lui com’era?

Disorientato ma felice.

Della fine di questo "calvario" ringrazio Padre Pio.

 

Permessi premio, art. 30 ter Ordinamento Penitenziario Legge n. 354/75:


Permessi premio

 

Ai condannati che hanno tenuto regolare condotta ai sensi del successivo comma ottavo e che non risultano "socialmente pericolose",( inserite con articolo 1 d.l. 1991, n. 152 coordinato con la legge di conversione 1991, n. 203) il magistrato di sorveglianza, sentito il direttore dell’istituto, può concedere permessi premio di durata non superiore ogni volta a quindici giorni per consentire di coltivare interessi affettivi, culturali o di lavoro. La durata dei permessi non può superare complessivamente quarantacinque giorni in ciascun anno di espiazione.

Per i condannati minori di età la durata dei permessi premio non può superare ogni volta i venti giorni e la durata complessiva non può eccedere i sessanta giorni in ciascun anno di espiazione.

L’esperienza dei permessi premio é parte integrante del programma di trattamento e deve essere seguita dagli educatori e assistenti sociali penitenziari in collaborazione con gli operatori sociali del territorio.


La concessione dei permessi é ammessa:

 

a- nei confronti dei condannati all’arresto o alla reclusione non superiore a tre anni anche se congiunta all’arresto;

b- nei confronti dei condannati alla reclusione superiore a tre anni, salvo quanto previsto dalla lettera c), dopo l’espiazione di almeno un quarto della pena;

c- nei confronti dei condannati alla reclusione per taluno dei delitti indicati nel comma primo dell’articolo 4-bis, dopo l’espiazione di almeno metà della penale, comunque, di non oltre dieci anni;

d- nei confronti dei condannati all’ergastolo, dopo l’espiazione di almeno dieci anni.

 

Nei confronti dei soggetti che durante l’espiazione della pena o delle misure restrittive hanno riportato condanna o sono imputati per delitto doloso commesso durante l’espiazione della pena o l’esecuzione di una misura restrittiva della libertà personale, la concessione é ammessa soltanto decorsi due anni dalla commissione del fatto.

Si applicano, ove del caso, le cautele previste per i permessi di cui al primo comma dell’articolo 30; si applicano altresì le disposizioni di cui al terzo e al quarto comma dello stesso articolo.

Il provvedimento relativo ai permessi premio é soggetto a reclamo al tribunale di sorveglianza, secondo le procedure di cui all’articolo 30-bis.

La condotta dei condannati si considera regolare quando i soggetti, durante la detenzione, hanno manifestato costante senso di responsabilità e correttezza nel comportamento personale, nelle attività organizzate negli istituti e nelle eventuali attività lavorative o culturali.

 

Il permesso premio

 

di Enrico

 

Il 23 dicembre, dopo tre anni di reclusione, mi è arrivato inatteso un permesso premio di due giorni da trascorrere a Milano con i miei familiari, o con chi affettivamente mi fosse rimasto.

Un’ordinanza non può sapere ciò che è avanzato ad un detenuto dopo tre anni , forse non lo sa nemmeno il detenuto stesso.

La vigilia sarei uscito per trascorrere il Natale a Milano.

Nessuna euforia od esultanza.

Certo dentro di me ero contento, ma gli anni ed i tanti errori, oggi mi fanno accogliere e valutare ogni novità, piacevole o spiacevole che sia con molta ponderazione.

Alla stazione di Piacenza, osservavo ogni persona con attenzione. Forse volevo capire se tutta la carcerazione fatta, mi avesse fornito la chiave di lettura di chi ho attorno.

L’euro per me è una novità, ma non ho trovato alcuna difficoltà nel maneggiarlo.

Sono arrivato inaspettato a Milano.

Sono andato in negozio da mia sorella ed il marito, vedendomi, per qualche istante ha pensato ad un’evasione.

Da mia moglie sono separato da anni, per cui il luogo di dimora l’ho scelto da mia sorella.

L’incontro che mi ha colpito di più è stato quello con mio figlio minore Francesco, 25 anni.

Ho due figli, il maggiore ha 30 anni.

A dispetto della mia vita incosciente e senza dubbio per merito di loro madre, sono cresciuti bene, sono due bravi ragazzi, ottimi cittadini.

Il maggiore è laureato in matematica ed è dirigente presso un’importante "net-work".

Il minore aveva intrapreso gli studi di perito aeronautico, ma fu un errore.

Trovò da solo la sua strada, iscrivendosi a dei corsi di "body-bilding", sino ad ottenere la qualifica di "personal-trainer".

È questo un mestiere che ritengo abbastanza frivolo, ma lui lo svolge con molta passione e da esso ottiene molte soddisfazioni, morali ed economiche.

Un amico il giorno di Natale mi portò da loro, ove abitano con la madre.

Francesco era sul marciapiede con le due cagnoline di casa. Quando lo chiamai, capii che doveva mettermi a fuoco come immagine imprevista ed imprevedibile.

Mi guardò e ci abbracciammo.

Gli occhi gli luccicavano, ma solo ora, a distanza di dieci giorni da quell’incontro, riesco ad analizzare le sue emozioni.

Non mi vedeva da oltre tre anni ed in questo periodo il tempo aveva agito su di me.

Forse mi ricordava come un uomo e padre invincibile, ma i capelli grigi, quei pochi, gli hanno fatto trovare davanti a se un’altra persona.

E’ pur vero che ad un giovane d’oggi, chiunque con 10 o 15 anni più di lui può sembrare un anziano, era così anche per noi.

Ma penso che lui abbia letto in me una vita di sconfitte.

Le mie rughe e la mia canizie, non rappresentavano certo un esempio da emulare. Ritengo di aver colto in quelle lacrime oltre all’affetto, un misto di compassione per un vinto.

Il suo ragionamento era inconscio, ma credo che la mia analisi sia assolutamente reale. Non gli ho detto che anche alla mia età si hanno delle aspettative, la sua gioventù non lo avrebbe capito. Sarà la vita ad illuminarlo.

Ora il mondo è suo, come lo era per me alla sua età lasciamo che se lo goda.

Il figlio maggiore è molto più posato e per quanto non lasci trasparire le emozioni, era visibilmente commosso. Questo vale anche per loro madre, con la quale i rapporti sono stati sempre difficili.

Le fasi salienti della mia libera uscita di due giorni, sono state queste. Più scioccanti che allegre, portatrici di riflessioni più che di entusiasmi.

Ho ritrovato comunque un retroterra ricco di affetti, segno che nella mia follia, qualcosa avevo pur dato e ciò mi consola molto.

 

Tre giorni a casa!

 

di Gjon Tanushi

 

Sono in carcere da due anni ed ora che ci penso, non mi sembra nemmeno vero.

Ho passato anche giorni belli, se cosi li posso definire e tanti giorni inutili.

In questo periodo come un triste rito, ho visto tanta gente entrare ed uscire, ormai non li facevo più caso.

Ora sono entrato nei termini per beneficiare di un breve permesso premio. Un salto a casa.

Ho fatto richiesta al magistrato come un bambino che scrive a babbo Natale per avere un giocattolo che non sa di meritarsi.

Oggi… mi hanno chiamato in ufficio matricola per comunicazioni. Quando quell’ufficio ti chiama, viene sempre un tonfo al cuore. Possono essere buone notizie, ma anche brutte.

Un agente mi chiede di apporre una firma su un documento. Vede il mio sguardo perplesso e mi rassicura: " E’ un permesso di tre giorni ".

Non riesco ma crederci, la mia gioia è immensa. Potrò andare a casa, festeggiare il capodanno insieme ai miei famigliari.

Le mani mi tremano dall’emozione, non riesco a crederci, sento il sapore di una pur breve libertà.

In un attimo tutto intorno a me cambia colore diventa più bello, mi sembra di essere sospeso nell’aria.

Non vedo l’ora che arrivi quel tanto sospirato momento.

Continuo a girare per la cella, lo dico a i miei compagni, sono felice, ma il tempo non so perché procede più lentamente da quel momento.

Viene la sera e guardo la televisione, il fatto è che non vedo nulla, la mente è all’esterno delle mura.

Non riesco a prendere sonno, dall’uscita mi dividono dieci ore quanto provo non si può esprimere.

Come tutto, è arrivata anche l’ora di uscire, mio fratello mi sta aspettando.

Sono in strada, libero senza manette. Tutto mi sembra diverso, nuovo, anche i campi non li ricordavo cosi.

Provo un senso di colpa per avere gettato via due anni di vita, ma è inutile recriminare: ho sbagliato e sto pagando. Verrà il momento di ricostruire, devo guardare avanti, mi attende un futuro da costruire ci riuscirò?

Mio fratello mi sta aspettando, è tutto così bello.

Con la macchina prendiamo la strada di casa.

Dal finestrino tutto mi corre attorno, sembra un altro pianeta, non vedo l’ora di arrivare al paese dove ho vissuto dieci anni della mia vita, dove sono cresciuto, provo una grande emozione a rivedere quei luoghi.

Al paese sono cambiate molte cose in due anni.

Alcuni negozi non esistono più, altri nuovi hanno preso il loro posto.

La c’era un prato, ora c’è una casa. Tutto è andato avanti ugualmente durante la mia assenza.

È davvero difficile da concepire che sono stato due anni fuori dal mondo, ero su un altro pianeta, il pianeta carcere.

 

Corrispondenza telefonica, art. 39 D.P.R. n. 230/2000:

 

  1. In ogni istituto sono installati uno o più telefoni secondo le occorrenze.

  2. I condannati e gli internati possono essere autorizzati dal direttore dell’istituto alla corrispondenza telefonica con i congiunti e conviventi, ovvero, allorché ricorrano ragionevoli e verificati motivi, con persone diverse dai congiunti e conviventi, una volta alla settimana. Essi possono, altresì, essere autorizzati ad effettuare una corrispondenza telefonica con i familiari o con le persone conviventi in occasione del loro rientro nell’istituto dal permesso o dalla licenza. Quando si tratta di detenuti o internati per uno dei delitti previsti dal primo periodo del primo comma dell’articolo 4-bis della legge e per i quali si applichi il divieto dei benefici ivi previsto, il numero dei colloqui telefonici non può essere superiore a due al mese.

  3. L’autorizzazione può essere concessa, oltre i limiti stabiliti nel comma 2, in considerazione di motivi di urgenza o di particolare rilevanza, se la stessa si svolga con prole di età inferiore a dieci anni, nonché in caso di trasferimento del detenuto.

  4. Gli imputati possono essere autorizzati alla corrispondenza telefonica con la frequenza e le modalità di cui ai commi 2 e 3 dall’autorità giudiziaria procedente o, dopo la sentenza di primo grado, dal magistrato di sorveglianza.

  5. Il detenuto o l’internato che intende intrattenere corrispondenza telefonica deve rivolgere istanza scritta all’autorità competente, indicando il numero telefonico richiesto e le persone con cui deve corrispondere. L’autorizzazione concessa è efficace fino a che non ne intervenga la revoca. Nei casi di cui ai commi 2 e 3 il richiedente deve anche indicare i motivi che consentono l’autorizzazione, che resta efficace, se concessa, solo fino a che sussistono i motivi indicati. La decisione sulla richiesta, sia in caso di accoglimento che di rigetto, deve essere motivata.

  6. Il contatto telefonico viene stabilito dal personale dell’istituto con le modalità tecnologiche disponibili. La durata massima di ciascuna conversazione telefonica è di dieci minuti.

  7. L’autorità giudiziaria competente a disporre il visto di controllo sulla corrispondenza epistolare ai sensi dell’articolo 18 della legge può disporre che le conversazioni telefoniche vengano ascoltate e registrate a mezzo di idonee apparecchiature. È sempre disposta la registrazione delle conversazioni telefoniche autorizzate su richiesta di detenuti o internati per i reati indicati nell’articolo 4-bis della legge.

  8. La corrispondenza telefonica è effettuata a spese dell’interessato, anche mediante scheda telefonica prepagata.

  9. La contabilizzazione della spesa avviene per ciascuna telefonata e contestualmente ad essa.

  10. In caso di chiamata dall’esterno diretta ad avere corrispondenza telefonica con i detenuti e gli internati, all’interessato può essere data solo comunicazione del nominativo dichiarato dalla persona che ha chiamato, sempre che non ostino particolari motivi di cautela. Nel caso in cui la chiamata provenga da congiunto o convivente anch’esso detenuto si dà corso alla conversazione, purché entrambi siano stati regolarmente autorizzati ferme restando le disposizioni di cui al comma 7.

 

Le telefonate con mio figlio

 

di Nico Giampaolo

 

Mi viene sempre molto difficile parlare con mio figlio per via telefonica.

Ogni volta che mi accingo a farlo non so mai cosa dirgli rimango bloccato.

Le nostre conversazioni sono quasi sempre le stesse… "come stai ? come va a scuola ? cosa mangi? fai il bravo?".

A volte mi sforzo per trovare un argomento di dialogo. Qualcosa che ci possa unire. Ma è troppo il tempo che ci divide!

Ho lasciato mio figlio all’età di sette anni, adesso lo ritrovo con quattro anni di più.

Più alto, più robusto e con un intelligenza che non ricordavo.

Una volta al mese lo vedo perché viene a farmi visita in carcere. Mi dice che non gli piace venire qui, cerco di sdrammatizzare dicendogli che anche per me non è il massimo.

Incominciamo a parlare… nei nostri discorsi cerco di cogliere qualcosa che ci leghi, mi racconta che sta andando in piscina, che è ingrassato ed intende dimagrire.

Mi racconta di certi programmi televisivi, me li descrive in ogni piccolo dettaglio.

Mi rende partecipe della sua vita, delle sue emozioni, dei suoi dolori.

Io lo guardo sbalordito, estasiato.

Il colloqui è finito, si alza e mi viene incontro timidamente, mi abbraccia mi accarezza e mi bacia.

"Ciao papà ci sentiamo presto!"

Un’ora è volata via, un’ora di colloqui, cosa posso pretendere di dire a mio figlio o a mia moglie, o a chi che sia.

Lo stesso vale per i dieci minuti che ho settimanalmente per telefonare.

Amo mio figlio perché è la cosa più sana e più vera che ho avuto dalla vita.

 

La nostalgia dal racconto "Il tempo dei ricordi"

 

di Mario Caldara

 

Ho nostalgia di tutto, ho nostalgia di quando ero bambino, mi ritornano in mente i miei genitori, guardandomi allo specchio noto la tangibile eredità che mi hanno lasciato dipinto sul volto, il sorriso e gli occhi di una, gli zigomi e i capelli dell’altro. Sono convinto che per quanta esperienza noi possiamo accumulare nella nostra vita per quanto illuminati possiamo diventare, i genitori restano una sorta di divinità in fondo alla nostra anima. Talvolta vivo momenti di amarezza, prodotti dalla logica consapevolezza che un giorno, ovunque io mi trovi, mi arriverà una telefonata,un telegramma o una lettera che mi parlerà di loro; allora ricorderò quel maglione che mia madre sventolava rincorrendomi, perché quel giorno avrò veramente freddo.

 

La recidiva

 

di Carla Chiappini

 

Forse la recidiva più pericolosa è stata la nostra.

Questa testarda reiterazione a voler discutere di recidiva, a cercare di capire ciò che oggettivamente non è facile, a scandagliare le coscienze per trovare i motivi per cui tante persone di indubbia intelligenza e lucidità, pur conoscendo per esperienza diretta, il punto d’arrivo cui conducono quasi inevitabilmente determinate scelte, continuano a ripeterle più volte nel corso della vita.

Da queste discussioni in redazione ma anche con altri gruppi di detenuti, sono sempre uscita stanca e confusa, senza aver trovato nemmeno un punto di chiarezza. Troppo complicati gli esseri umani; troppo sofferenti e compressi in un sistema che offre pochissime, per non dire inesistenti, occasioni di confronto chiaro, onesto e libero. Si intrecciano infiniti e spesso contorti percorsi individuali; la situazione sembra quella di un laboratorio e non di un luogo fatto di persone vive, con propri sentimenti, pene, delusioni e risorse.

 

Il male della recidiva è nel cuore degli uomini o nella società che respinge chi ha sbagliato?

È la naturale tendenza a ripetere in modo quasi meccanico quei comportamenti cui siamo più avvezzi o è rabbia, ribellione, la difficoltà stessa di vivere in una legalità che spesso non paga?

E, attraversando il piazzale per una volta incredibilmente assolato, pensiamo alle nostre personalissime recidive, a quegli sbagli ripetuti più volte e sempre inutilmente che, per nostra fortuna, non coincidono con i reati ma potrebbero ugualmente recar danno a noi stessi e alle persone più care.

Allora che fare? Abbiamo tutti un po’ bisogno di "rieducazione"? Come cambiare senza la minaccia di una sanzione o, ancor meglio, si può cambiare solo dietro la minaccia di nuove più severe sanzioni?

Seguono quattro pensieri sulla recidiva scritti dai detenuti stessi; quattro punti di vista su cui riflettere.

 

Le statistiche: difficile crederci

 

di Enrico Fantoni

 

Nel 50, 60, 70, per cento dei casi, i detenuti che riacquistano la libertà, ricadono nella violazione delle leggi.

Mah… sono perplesso di fronte a questi dati.

Le statistiche sono una formula di conoscenza e previsione che, se utilizzata impropriamente, non rende affatto l’idea della realtà che si vuole analizzare.

Se diciamo che i tumori diagnosticati tardivamente, quando già sono in metastasi, sono mortali al 90%, diciamo una verità. Ma se diciamo che i tumori, sono letali al 90%,diciamo una bugia.

La statistica perciò dipende anche dalla competenza di chi la tratta, o se si preferisce dalla buona e mala fede di chi la redige.

Non conosco i dati statistici sulla reiterazione dei reati, ma se mi viene detto che il 70%, delle persone che ha espiato più di 3/4 anni di reclusione consecutivamente, ricade in reati analoghi, sono certo che è una menzogna.

Se, però, mi viene detto che il 70% dei giovani che incappano nelle maglie della legge e scontano periodi di detenzione inferiori ad un anno, cade nella reiterazione, posso crederci.

Questi mie certezze derivano da conoscenza diretta, ne sono testimone.

Un giovane al primo o secondo reato, che entra in prigione e sconta pochi mesi, quando riacquista la libertà, ritroverà la realtà che ha appena lasciato.

Un breve periodo di detenzione ce lo si può scrollare come fa un cagnolino che, caduto in una pozzanghera, si scrolla l’acqua di dosso.

Troncare con l’illegalità dipende, in prima istanza, dalla volontà dell’individuo. In un breve periodo difficilmente la macchina rieducativa potrà incidere sulla volontà, le abitudini e l’indole del soggetto. Ma quando la detenzione supera i tre anni, i fattori che entrano in gioco sono totalmente differenti anche perché spesso la conseguenza più immediata è la perdita o, nel migliore dei casi, il ridimensionamento degli affetti. Ho visto persone entrare in carcere con una famiglia alle spalle e uscirne senza nemmeno un letto su cui poter riposare.

A mio avviso, un lungo periodo di reclusione conduce qualsiasi individuo a riflettere e a iniziare un lavoro di introspezione.

 

La recidiva: colpa mia o del destino?

 

Un detenuto

 

Sono un uomo di 30 anni che da un po’ di tempo è in carcere a Piacenza. Ciò che sto scrivendo è il perché sono ritornato in carcere dopo esserci stato la prima volta. Sono stato arrestato all’età di 20 anni e ho scontato una condanna a 4 anni. Al momento della mia scarcerazione mi sono sentito rinascere nel vero senso della parola, ma per poco tempo, cioè fino a che sono rimasto in famiglia. Al momento in cui sono tornato a contatto con le persone non famigliari, già ho trovato le cose cambiate in quanto sì, mi hanno salutato ma non come prima.

Il mio datore di lavoro nonostante conoscesse le mie capacità e nonostante avesse bisogno del mio lavoro, non mi ha assunto dicendomi che per il momento non aveva posto per me. Ho cercato e ho cercato in altre ditte ma la risposta era sempre la stessa. Alla fine ho trovato una ditta che mi ha assunto senza pregiudizi. Nella stessa ditta lavoravano altri ex detenuti, lo stipendio non era tanto anzi era pochissimo. Dopo un anno e mezzo io e altri due ex detenuti che lavoravamo insieme, abbiamo commesso un reato, per la quale dopo un po’ di tempo siamo stati arrestati di nuovo. Non so se è stato il destino o sono stato io a provocarmi questa nuova carcerazione; so solo che ho cercato con tutte le mie forze di non tornare in carcere e invece eccomi qua. A volte penso pure che se avessi trovato un lavoro che mi permetteva di guadagnare uno stipendio discreto, forse non avrei commesso di nuovo un reato… 

 

La recidiva: poche le cause ma molteplici le sfumature

 

di Beppe

 

Le cause sono poche ma le sfumature molteplici. Diversi stati d’animo, sfiducia nelle giustizia, menefreghismo verso l’autorità o, più semplicemente un momento di sconforto… poi pensi di tirare su la testa e ti trovi in mezzo al marciume perché sei stato "dentro" e non ti viene chiesto il perché; se bollato e basta, senza nemmeno cercare di capire se la tua esperienza può essere tramutata in positivo per te stesso e per altre persone… 

 

La recidiva: una scelta

 

di Vincenzo

 

Scrivere della recidiva comporta alcuni rischi, uno dei quali è quello di non essere capiti, soprattutto se, come me, si è in carcere e a questo si aggiunge il fatto di essere anche un plurirecidivo. L’altro può essere quello di cadere nel ridicolo.

Di questa problematica si dibatte da molto tempo nei più disparati ambienti: da quello della giustizia a quello penitenziario, dal mondo culturale alla società civile, in quanto tutti, per vari aspetti, ne sono coinvolti. Ed esistono varie teorie; quella che più attecchisce all’interno della popolazione carceraria sostiene che molte delle responsabilità di "ricaduta" siano da ricercarsi nell’ambiente in cui l’ex detenuto torna a confrontarsi, nelle solite amicizie dalle quali, per abitudine, non si riesce a distaccare, e nelle "inesistenti" possibilità di lavoro e quindi di reinserimento che una volta fuori ci si trova ad affrontare; teoria alla quale per comodità e per una forma di auto-giustificazione, il recidivo in genere dà il proprio assenso.

A questo punto entra in gioco il rischio di cui parlavo all’inizio, e cioè quello di non essere capiti; infatti, tenendo per buona motivazione delle vecchie amicizie o della mancanza di lavoro si giunge quasi conseguentemente, a minimizzare il reato stesso e a de-responsabilizzare chi lo commette.

Chi appoggia questa teoria non si rende conto di quanta determinazione ci voglia nel rendersi autori di un reato e soprattutto con quanti timori e paure si debba combattere; tutte cose che un "semplice" condizionamento non riuscirebbe a determinare e superare. Dico questo perché cercare delle scusanti così banali per i miei reati non mi aiuterebbe certo a capirne i veri motivi che sono certamente più profondi; anzi accettare quella teoria bloccherebbe quella naturale evoluzione che nel tempo mi ha portato verso diversi propositi che spero, quando me ne verrà data l’opportunità, mi premieranno moralmente.

E io ci conto proprio per quella coerenza che ho sempre avuto nel mantenere fede alle mie decisioni.

 

Una pagina di notizie da altre città, altre carceri per parlare di progetti interessanti e nuove aperture

 

di Carla Chiappini

 

Coordinamento dei giornali del nord-est:

martedì 3 febbraio 2004 primo incontro del nuovo anno nell’Istituto "Due Palazzi" di Padova per le redazioni dei giornali delle carceri del nord-est. Sono presenti in folto gruppo i redattori di "Ristretti Orizzonti" che giocano in casa con la coordinatrice Ornella Favero e la volontaria Vanna Chiodarelli; Paola Tacchella di Verona, Isabella Marchetto di Vicenza e Carla Chiappini di Piacenza. Dopo un breve aggiornamento sulle rispettive situazioni, si passa a discutere i punti di interesse che il Coordinamento ritiene particolarmente importanti: l’impegno perché in ogni città l’amministrazione comunale istituisca il "Garante dei diritti delle persone private della libertà personale"; un’indagine il più dettagliata possibile su ciò che è permesso e non-permesso nei diversi Istituti Penitenziari, il punto sull’indultino e una raccolta di informazioni sul numero di detenuti "rinchiusi" per la revoca dello stesso. Senza trascurare un’attenzione ai temi di sempre: la situazione della salute nelle carceri italiane, il lavoro e il reinserimento esterno che sarà tema centrale dell’ormai tradizionale appuntamento di maggio nel carcere di Padova. Quest’anno la data prevista è il giorno 14 e il titolo: "Carcere: l’alternativa che non c’è".

Al termine del lavoro di redazione, un’affollatissima conferenza - stampa condotta da Rossella Favero nei locali della Direzione è stata l’occasione per festeggiare il prestigioso Premio Nazionale "Luciano Tavazza" promosso dalla FIVOL e vinto dall’Associazione Granello di Senape di Venezia e per presentare la costituzione di una nuova Cooperativa, "AltraCittà", che si occuperà dell’inserimento lavorativo di persone detenute ed ex-detenute. Il presidente del "Granello di Senape" Giovanni Vianello ha, poi, comunicato alla stampa e alle autorità presenti l’apertura della sede padovana dell’Associazione, in cui lavora già da qualche giorno in articolo 21 Francesco Morelli, redattore "storico" di Ristretti Orizzonti.

La trasferta padovana si chiude con un incontro, nuovamente dentro le mura, tra la redazione di Ristretti e lo scrittore noir, conduttore della trasmissione televisiva "Blu notte", Carlo Lucarelli buon amico del gruppo e docente, negli anni passati, di un "corso di scrittura" nel carcere "Due Palazzi". Interessante e intenso lo scambio che, purtroppo, si chiude troppo presto allo scadere del tempo previsto.

Una nota di mera gratitudine a Nicola Sansonna, a Paola e a tutti i detenuti e volontari che hanno offerto agli ospiti un delizioso spuntino nella migliore tradizione dello "chef" dei "Due Palazzi".

 

Mercoledì 18 febbraio si riunisce a Bologna la Conferenza Regionale del Volontariato Giustizia, coordinata da Paola Cigarini, che sposa l’impegno dei volontari di Parma a favore della legge per l’istituzione del "Garante dei diritti delle persone private della libertà" e promuove l’organizzazione in aprile di un incontro sul tema con l’onorevole Erminia Mazzoni autrice di una delle tre proposte di legge attualmente all’esame degli organi competenti.

Si parla anche della prossima divulgazione dei nuovi "Regolamenti d’Istituto" che, per impegno del PRAP Emilia – Romagna, saranno il più possibile uniformi e dovranno essere distribuiti ai detenuti e ai volontari dei vari istituti.

 

III° Edizione del concorso di scrittura libera "Parole oltre il muro" 2004

 

Riservato alle persone detenute nella Casa Circondariale di Piacenza

 

1° premio "Parole oltre il muro" euro 600

 

2° premio "Parole oltre il muro" euro 400

 

premio speciale Stefania Manfroni euro 250 offerto dalla Famiglia Manfroni

premio "Parole oltre il muro – poesia" euro 250 offerto dal Rotary Farnese

 

Regolamento per le persone detenute

Argomento libero ma non più di 5 fogli

Consegna entro e non oltre il 29 febbraio

 

Il racconto vincitore della scorsa edizione 2003

 

di Gianfranco Amato

 

Novembre 1997

 

La serata è ideale, come lo sono tutte le serate autunnali, è buio e fa freddo e la gente cammina a testa bassa fasciata da caldi cappotti e avvolta nelle sciarpe. Sono le ore 19.00 ancora pochi istanti e poi si entra in azione. Finalmente è arrivato il momento tanto atteso, dopo avere passato diversi giorni di fronte a questo "magnifico" Centro Commerciale alla periferia nord della città a programmare il "lavoro" nei minimi dettagli.

Seduto al volante di una potente auto, mi sento fremere dalla voglia di cominciare a "danzare". In compagnia di due fidati amici distribuisco le ultime indicazioni con decisione e freddezza, in questi momenti così carichi di tensione è importante dimostrare lucidità per dare sicurezza ai tuoi compagni di avventura.

Come d’abitudine mi carico con una striscia di "materiale" e, in un gesto istintivo, passo la mano sulla cintola dei pantaloni dove il gonfiore della mia inseparabile "38 canna corta" mi fa ribollire il sangue e il mio corpo è attraversato da un fiume di adrenalina. Tutta la mia esistenza sembra essere stata concepita per quel lungo ed interminabile istante. Il tutto dura pochi minuti, il tempo di entrare, mostrare i ferri e riempire due splendide sacche di denaro.

Il direttore e il personale rimangono come ipnotizzati alla vista delle armi e, per noi, è un gioco da ragazzi ritrovarci già in macchina per la fuga. Sono di nuovo alla guida e mentre sento i miei compagni esultare euforici alla vista del bottino, il mio pensiero va alle emozioni violente e sfibranti che ho appena vissuto, tanto intense da potergli quasi dare un senso per la vita, da diventare droga, e come per la droga così difficili da abbandonare o sostituire con altre emozioni

 

Giugno 1984

 

Intorno a me sono tutti sorridenti e gioiosi. Tra abbracci e strette di mano si congratulano con mia madre. È il giorno della consegna del diploma di 3° media e da un po’ di tempo ho preso la decisione di iscrivermi all’Istituto Superiore Alberghiero; la mia intenzione è quella di diventare cuoco. I complimenti dei professori si sprecano, sia per l’ottimo percorso scolastico appena concluso, sia per la scelta della scuola che a breve dovrò frequentare.

Ora il viso di mia madre è rigato di lacrime, sono lacrime di gioia, chissà a cosa sta pensando? Sicuramente è orgogliosa di me, e piena di speranze per il futuro di questo suo primogenito. Mentre la guardo sono assalito da una miriade di emozioni, ho il cuore gonfio di felicità per averle dato questi momenti.

Non riesco a muovermi nonostante abbia tanta voglia di gettarmi tra le sue braccia, sono imbarazzato, vorrei dirle tante cose ma non ci riesco, qualcosa mi frena, forse la paura di deluderla o forse è solo il fatto di voler vivere intensamente questo magico momento, di scolpire nella mia mente questo ricordo, l’immagine di te mamma, che piangi di gioia.

 

Gennaio 1988

 

Ho passato tutto il pomeriggio pensando al modo con il quale procurarmi i soldi per un "mezzo", non è una novità, infatti oramai da