Bollettino n° 22

 

Osservatorio Calamandrana sul carcere di San Vittore

"per la trasparenza e l’umanizzazione in carcere"

Bollettino n° 23 - gennaio 2007

 

Violenze su detenuti e detenute: i volontari disinteressati o zittiti

L’opinione di un esperto: Valerio Onida

Da conversazioni di gruppo in carcere

Urgono risposte autorevoli!

I volontari disinteressati o zittiti

 

Recentemente ci è pervenuta notizia di un episodio in cui alcuni agenti a San Vittore hanno usato violenza fisica e insulti razziali ai danni di un detenuto. Chiediamo che questa notizia sia verificata dalle autorità competenti.

Abbiamo constatato che quando in carcere si vengono a conoscere episodi di violenza su detenuti, si crea un clima di silenzio. Molti pensano che è meglio non parlarne: i detenuti non parlano perché non avendo strumenti per difendersi, hanno paura del peggio, i volontari non parlano perché hanno paura di danneggiare i detenuti, o più spesso perché considerano normale prassi carceraria la violenza fisica e morale sui detenuti..

A noi sembra invece che se le illegalità rimangono nell’ombra possono continuare a ripetersi.

Non c’è sufficiente consapevolezza dell’illegalità di ogni azione violenta sui detenuti e non si conosce abbastanza l’ammonimento della Costituzione:" è punita ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà" (articolo 13, quarto comma).

Anche se può sembrare superfluo, vogliamo qui ricordare che fra i compiti della polizia penitenziaria c’è anche quello di partecipare al trattamento rieducativo dei detenuti (Legge 395/1990 art. 5 comma 2)

 

L’opinione di un esperto: Valerio Onida

(Presidente emerito della Corte Costituzionale, ora membro dello Sportello giuridico del carcere di Bollate) Stralci dall’articolo "Restrizioni e legalità". di Valerio Onida, apparso sulla rivista "Carcere e Diritti" n° 4-5 luglio-ottobre 2006.

 

Nulla come la condizione carceraria evoca l’esigenza e la necessità di assicurarne la piena legalità. Non solo l’imperio della legge non si ferma alle porte del carcere, ma, al contrario, dietro quelle porte la legge si impone più che mai.

Naturalmente, perché questo "imperio" si realizzi, non basta che le leggi ci siano: occorre che esse siano, in concreto, applicate e rispettate. E che, quando qualcuno le viola, operino effettivamente i rimedi, i meccanismi di riparazione o i sanzione previsti. Ecco perché lo sforzo di affermare e di salvaguardare la legalità, anche nelle carceri, non si può esaurire nella induzione di norme: questa

è solo la premessa, mentre poi occorre preoccuparsi di adeguare la realtà a ciò che le norme prescrivono, cioè di creare le condizioni - materiali (risorse), organizzative (personale con relativi adeguati poteri, compiti e responsabilità), culturali (formazione degli operatori, rottura dell’isolamento rispetto alla società) - perché le leggi non restino sulla carta e si attuino gli obiettivi cui esse tendono...

L’articolo 35 della Legge Penitenziaria n° 354 del 1975 sancisce il "diritto di reclamo" del detenuto, che può rivolgersi a diverse autorità... Prima ancora che dalle leggi, la condizione dei detenuti è presa in considerazione dalla Costituzione. Infatti la Costituzione stabilisce i principi e le regole essenziali della legalità, i diritti "inviolabili" delle persone e i loro doveri "inderogabili"...

Le pene "non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato" (articolo 27, terzo comma).

Tutte le norme ricordate muovono da una premessa fondamentale: il detenuto è una persona, la cui dignità e i cui diritti - naturalmente quei diritti che non sono momentaneamente compressi o limitati per effetto della pena - debbono essere salvaguardati e difesi. Come ha detto la Corte costituzionale, "la dignità della persona (...) è dalla Costituzione protetta attraverso il bagaglio degli inviolabili diritti dell’uomo che anche il detenuto porta con sé lungo tutto il corso dell’esecuzione penale" (sentenza n° 26 del 1999).

Anzi, la situazione di restrizione della libertà in cui il detenuto di trova lo rende più debole, per così dire più esposto: come ha detto ancora la Corte, "quanto più (...) la persona, trovandosi in stato di soggezione, è esposta al possibile pericolo di abusi, tanto più rigorosa deve essere l’attenzione per evitare che questi si verifichino " (sentenza n° 526 del 2000). Per questo la Costituzione ammonisce che "è punita ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà" (articolo 13, quarto comma).

Particolarmente importante è l’affermazione, che si trova in varie sentenze, per cui non solo il detenuto ha dei diritti, costituzionalmente protetti, ma anche la sua libertà personale - quella libertà essenziale su cui la pena detentiva incide - non è totalmente annullata dallo stato di detenzione: la restrizione di libertà cui egli è sottoposto è solo quella che deriva dalla pena inflitta secondo la legge, e al di fuori di essa vi è ancora un "residuo" di libertà personale di cui il detenuto è titolare, e che deve essere rispettato. Leggi, dunque, ci sono, e anche, in molti casi, buone leggi.

La Costituzione c’è, e ci sono i meccanismi giuridici per far sì che le leggi vi si conformino. Giudici, chiamati ad applicare e far rispettare le leggi, ci sono. Ma la realtà com’è?

Chi conosce la situazione concreta nelle carceri italiane ne parla spesso in termini drammatici. Il sovraffollamento, la vetustà di molte strutture, le carene di personale e di risorse, la difficoltà di organizzare e di assicurare ai detenuti il lavoro...: tanti fattori negativi pesano.

Può sembrare allora illusione o pura retorica, in questa situazione, parlare dei diritti dei detenuti e della loro protezione costituzionale. Ma non lo è: pur con tutte le difficoltà che le situazioni di fatto possono offrire, è essenziale mantenere chiaro - e battersi per attuarlo - il principio per cui il carcere non deve essere luogo di sopraffazione o di degradazione della personalità, ma luogo in cui persone, rispettate come tali, che scontano una pena legalmente inflitta, sono messe in grado di cercare e di percorrere la via del loro riscatto e del loro reingresso nella comunità dei liberi. È necessario, prima di tutto, crederci. La legalità, e la cultura della legalità, sono una premessa perché ciò possa avvenire.

 

Da conversazioni di gruppo in carcere

 

La squadretta c’è, ma non la fanno risultare, nessuno ti viene a dire che esiste. Non c’è nessun provvedimento del Ministero sulla squadretta; le decisioni vengono prese dal carcere. Loro per legge non possono alzare le mani su di noi, in Italia è proibito per legge La verità non viene mai fuori. Ogni cosa ha il suo coperchio. Se venisse fuori, a noi poi farebbero vedere i sorci verdi.

Potremmo perderci anche noi. I detenuti testimoni in carcere non contano, non servono a niente. I medici se denunciano spariscono. Se un magistrato venisse qui come detenuto, quante cose vedrebbe! Ci fanno rapporto per delle sciocchezze. Noi subiamo ogni giorno. Gli agenti devono agire nell’ambito delle leggi, non possono fare quello che vogliono.

Dovrebbero avere professionalità e delle regole definite. Vorremmo sapere anche noi le loro regole. Noi detenuti dovremmo avere una rappresentanza

 

Urgono risposte autorevoli!

 

Nel gergo carcerario viene chiamata "squadretta" un gruppo preciso di Agenti Penitenziari, che viene collegato alla triste piaga dei pestaggi. È ormai tempo, secondo noi, che chi ne ha l’autorità faccia chiarezza sul fenomeno. Per facilitare la trasparenza elenchiamo alcune domande guida.

La costituzione delle "squadrette locali" è legata a provvedimenti espliciti del Dap o è lasciata ai singoli Istituti?

Loro competenza è il ristabilimento dell’ordine turbato o la somministrazione di punizioni aggiuntive extragiudiziali?

Delle sue uscite "la squadretta" redige un verbale? Se sì, a chi ne viene inviata copia?

La Magistratura di Sorveglianza viene informata?

Perché i componenti della "squadretta" indossano i guanti?

Il personale medico che stila certificati compiacenti, tacendo le cause dei danni fisici, è da considerare connivente?

Circa i detenuti che testimoniano su violenze inflitte ad altri: come evitare che subiscano ritorsioni (rapporti o trasferimenti...)?

Come esporre querela per gli insulti subiti durante i pestaggi? ( a tema razziale, religioso, sessuale...)

La Direzione fa sempre indagini quando ci sono sospetti di reati di violenza. I risultati di queste indagini come possono essere resi pubblici? La loro pubblicazione potrebbe influire sull’immagine che si ha del carcere come luogo dove si rispetta la legalità.

Per informazioni, segnalazioni e adesioni rivolgersi a Gruppo Calamandrana

Presso Lega dei Popoli, via Bagutta 12 Milano tel. 02780811

e-mail gruppocalamandrana@libero.it

Sito internet: http://calamandrana.interfree.it

Gli originali degli scritti pervenutici direttamente da detenuti sono a disposizione presso la nostra sede.

Maria Elena Belli, Nunzio Ferrante, Augusto Magnone, Maria Vittoria Mora, Mario Napoleoni, Dajana Pennacchietti, Gabriella Sacchetti, Sandro Sessa. Le Associazioni: Naga, Lega per i Diritti dei Popoli - Sez. di Milano.

 

 

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