Ristretti Orizzonti

 

Criminalità: è giusto avere paura? Forse sì forse no:

l’importante è capire cosa sta succedendo

Al via oggi "IL DITTATORE. Il pensiero unico del giornalismo"

XVI Redattore Sociale: Comunità di Capodarco, 30 novembre - 2 dicembre 2007

di Francesca Carbone, redazione di Ristretti Orizzonti

 

30 novembre 2007

 

Si è aperta oggi a Capodarco di Fermo (AP), la XVI edizione di Redattore Sociale, il seminario di formazione per giornalisti impegnati sui temi del disagio e della marginalità, che continuerà fino al 2 dicembre nella storica cornice della Comunità di Capodarco di don Vinicio Albanesi. Il titolo della tre giorni di quest’anno è "IL DITTATORE. Il pensiero unico del giornalismo".

Un week-end per scoprire quali i diktat del mondo della comunicazione, le forze più o meno oscure che comandano e a volte monopolizzano l’informazione nel nostro paese e non solo, come si decide cosa "fa notizia" e cosa no, cosa è in e cosa out.

 

Redattore, prima agenzia di stampa italiana sui temi del disagio e dell’impegno sociale, ha scelto di dedicare la prima giornata del seminario a quella che è forse la questione del momento: l’allarme sicurezza. Dopo i workshop della mattina che ha voluto svelare i veri volti dei "protagonisti delle nuove paure nell’era della sicurezza turbata", il momento dedicato al dibattito ha avuto come ospite Maurizio Barbagli, ordinario di sociologia all’Università di Bologna, che nel suo intervento "Era ora! Analisi dell’improvviso successo della tolleranza zero", ha subito distinto fra fear of crime (la paura di subire un reato o una violenza) e concern about crime (preoccupazione riguardo alla criminalità): «La prima - ha detto - è influenzata più che dai media da ciò uno vede e vivo, o da ciò che altri raccontano aver subito; la seconda invece guarda al crimine come a un problema della società e risente molto del grado di politicizzazione delle persone e dei mezzi di comunicazione in genere».

 

Ma questa paura della criminalità è giustificata? Barbagli non lo sa, ma sostiene che si può spiegare. «Il punto di partenza per chi vuole capire – dice - è l’Italia di fine anni ’60: forte aumento della criminalità con la frequenza dei furti d’auto e in appartamento, dei borseggi, degli scippi e delle rapine che sale vertiginosamente. Da allora – pur con oscillazioni cicliche - il verificarsi dei reati ha seguito un trend di crescita che durante gli anni Sessanta e Ottanta ha visto aumentare nella popolazione il senso di insicurezza e la paura di essere assaliti, derubati o rapinati».

 

Con riferimento a questi specifici atti criminali associati a un più alto elevato grado di allarme sociale, il professore spiega che il tasso di criminalità oggi è alto e stabile: «Non vi rientrano i reati dei colletti bianchi, perché non alterando in maniera immediatamente visibile la quotidianità non influenzano la paura della massa – precisa - così come fuori rimangono anche i reati per omicidio, oggi non solo ai minimi storici degli ultimi cinquant’anni italiani ma anche degli ultimi cinque secoli».

 

Altra cosa che conta secondo Barbagli è il degrado che va dai cittadini che recano danno al decoro urbano, al disturbo sul piano sociale causato per esempio dalla presenza di prostitute e tossico dipendenti nei quartieri, e ancora al tipo di degrado quale i cumuli di spazzatura sulla strada: «La violazione delle norme condivise riguardanti i luoghi pubblici, pur a volte non trattandosi di crimini, aumenta la fear of crime. Se in una comunità – ha spiegato Barbagli citando la teoria delle broken windows - si verificano tali forme di inciviltà, questo genera insicurezza poiché si sviluppa l’idea che lì non vi sia nessuno a far rispettare le norme, e che perciò "potrebbe succedere anche di peggio"».

 

Sul versante immigrazione, «gli italiani – dice- non sono preoccupati della diversità degli stranieri né li vedono come competitori sul mercato del lavoro, piuttosto, e lo testimoniano le statistiche, come persone che danno un grosso contributo alla criminalità e al degrado. Inoltre tanto minore è il numero di persone che io non conosco, tanto maggiore è il senso di degrado e la paura del crimine…».

 

Commentando poi il pacchetto sicurezza: «Serve a far vedere che si sta facendo qualcosa, ma sortisce pochi effetti sul piano della prevenzione, al contrario di misure che trovano meno risonanza sul piano delle retorica politica». Barbagli nomina poi altre forme di prevenzione che, senza ricorrere alla repressione fisica o alla violenza, scoraggiano dal commettere un crimine, nomina la prevenzione situazionale (rivolta alle vittime potenziali dei delitti), quella precoce e quella sociale (entrambe indirizzate ai potenziali autori di reato). «L’aumento della severità della pena – chiosa il professore - non è la chiave per ridurre i crimini; in realtà quanto maggiore è la probabilità che gli autori di reato siano individuati, giudicati e condannati tanto minore è il tasso di criminalità: in Italia ad esempio per rapine e borseggi è difficile che si venga puniti ».

 

"IL DITTATORE", organizzato dalla Comunità di Capodarco – Agenzia Redattore Sociale, in collaborazione con Internazionale e col patrocinio dell’Ordine nazionale giornalisti, della Federazione nazionale stampa italiana e dell’Usigrai, continuerà domani con "Il giornalismo e il consumo a tutti costi"; domenica gran finale: atteso Giuliano Ferrara.