Una luce nel buio

 

Una luce nel buio: il Rapporto del Comitato europeo contro la tortura

di Sergio Segio (Responsabile del Programma Carceri del Gruppo Abele)

 

Dignitas, giugno 2003

 

L’European Committee for the Prevention of Torture and Inhuman or Degrading Treatment or Punishment (CPT), sulla base del mandato dei governi del Consiglio d’Europa, dalla fine degli anni Ottanta svolge ispezioni periodiche in tutti i luoghi ove vi sono persone private della libertà: carceri, commissariati di polizia, caserme, ospedali psichiatrici, centri di detenzione amministrativa di persone straniere. La Convenzione istitutiva, redatta nel 1987, è stata via via ratificata dagli attuali 44 Paesi membri del Consiglio d’Europa. Il CPT ha svolto un’attività sicuramente intensa, condensata in alcune cifre: al 12 marzo 2003, sono state effettuate 100 visite periodiche, 51 visite ad hoc e pubblicati 114 Rapporti.

 

Le ispezioni in italia

 

Le visite effettuate in Italia sono state sinora 3: nel 1992, nel 1995 e nel 2000. Nella visita più recente, iniziata il 15 febbraio 2000, nell’arco di 15 giorni gli ispettori hanno visitato gli istituti penali per minori Fornelli di Bari e Nisida di Napoli, l’ospedale psichiatrico giudiziario di Montelupo Fiorentino, le carceri di Bologna, Napoli Poggioreale e Spoleto, i centri di detenzione temporanea per stranieri di Francavilla Fontana e di Ponte Galeria a Roma, le stazioni di polizia e dei carabinieri di Bologna, Acquaviva delle Fonti (Bari), Firenze e Roma. Va peraltro considerato che la visita ispettiva è avvenuta due mesi prima dei gravi e massificati pestaggi avvenuti a danno dei detenuti nel carcere San Sebastiano di Sassari.

La stesura del relativo Rapporto, dei rilievi e delle raccomandazioni, ha richiesto alcuni mesi. Infine, secondo le formalità di rito, il materiale è stato trasmesso al governo italiano, per il tramite del competente Ambasciatore di Coordinamento dei Diritti dell’Uomo della Farnesina, cui è indirizzata la lettera di accompagnamento del Rapporto: "Conformemente all’articolo 10 della Convenzione europea per la prevenzione della tortura e delle pene o dei trattamenti inumani e degradanti, ho l’onore di inviarle il rapporto indirizzato al governo italiano, redatto dal Comitato Europeo per la Prevenzione della Tortura (...). Desidererei richiamare al Sua attenzione in particolare sul paragrafo 209, nel quale il CPT chiede alle autorità italiane di fornire in un lasso di tempo di sei mesi un rapporto sulle misure prese a seguito del suo rapporto di visita".

La lettera, e la trasmissione del Rapporto, recavano la data del 15 settembre 2000. La risposta e l’autorizzazione alla pubblicazione del Rapporto arriverà da parte del governo italiano solo il 29 gennaio 2003, con un ritardo di quasi due anni rispetto a quanto richiesto nel citato paragrafo 209. Le volte precedenti, del resto, non era andata meglio. Il Rapporto e la risposta del governo relativamente alle ispezioni del marzo 1992 furono ufficializzati e resi pubblici solo nel 1995, quelli delle visite effettuate nell’ottobre 1995 sono stati pubblicati nel dicembre 1997, un tempo di attesa forse ridotto grazie alle anticipazioni del mensile "Fuoriluogo".

Occorre tenere presente che i Rapporti del CPT rimangono riservati, sino a che il governo del Paese cui essi si riferiscono non vi abbia risposto formalmente. Questo significa che il silenzio, ma anche una strategia dilatoria, da parte delle autorità dei Paesi interpellati, può limitare di molto l’efficacia delle ispezioni e il loro impatto informativo sull’opinione pubblica. D’altro canto, secondo Mauro Palma, che attualmente riveste il ruolo di rappresentante italiano in seno al CPT, ciò va considerato una sorta di "bilanciamento" rispetto all’ampia possibilità di accesso ai luoghi di detenzione e ai fascicoli dei detenuti che è prerogativa delle ispezioni del CPT.

 

Minacce di arresto agli ispettori

 

Una prerogativa e una facoltà di accesso, in verità e come spesso succede in Italia, riguardo aspetti del sistema detentivo, definita dalle norme e scritta sulla carta, ma non sempre scontata all’atto pratico. È addirittura clamoroso, infatti, il rilievo contenuto nel Rapporto 2000, sinora classificato riservato, riguardo l’ispezione al commissariato di polizia ferroviaria di Firenze. "Al suo arrivo, la delegazione ha dovuto aspettare 20 minuti prima di essere autorizzata a entrare nel commissariato. Durante la visita, le richieste della delegazione, più volte reiterate, di visionare il registro di detenzione – arresto, sono state respinte da parte del funzionario di polizia responsabile, il quale ha assunto un atteggiamento provocatorio e ha minacciato di mettere in stato di fermo uno dei membri del CPT".

Simile l’accoglienza ricevuta alla questura di Bologna, dove l’ingresso della delegazione è stato ritardato di 50 minuti e gli ispettori "sono stati sottoposti a svariati controlli di identità; tuttavia, i lasciapassare consegnati dal ministero degli Esteri non sono stati ritenuti sufficienti a permettere alla delegazione di svolgere il suo compito. I poliziotti in servizio non avevano apparentemente ricevuto alcuna informazione sul CPT e si sono mostrati scortesi nei confronti dei membri della delegazione".

In ogni modo, il giudizio generale espresso dal CPT in apertura del Rapporto è positivo: "La delegazione è stata ricevuta in modo soddisfacente dalla direzione e dal personale dei luoghi di detenzione visitati, inclusi quelli che non erano stati avvertiti dell’intenzione del CPT di effettuare una visita". Tranne eccezioni, appunto. Comunque, "la delegazione ha avuto accesso ai locali senza eccessivi ritardi, ha potuto intrattenersi senza testimoni con persone private della libertà".

 

Le violenze sugli arrestati e le omissioni dei medici

 

Basandosi proprio su queste testimonianze, il Rapporto afferma che "la delegazione ha incontrato svariati detenuti che hanno dichiarato di aver subito maltrattamenti da parte delle Forze dell’ordine", in sostanza dopo l’arresto e prima dell’arrivo in carcere. Dall’esame effettuato da alcuni medici, membri della delegazione, "è emersa la presenza di lesioni compatibili con quanto da loro dichiarato". Ma, lamenta il Rapporto, queste lesioni non sono state riportate nell’apposito "Registro 99" al momento dell’ingresso in carcere. Va peraltro detto, e il Rapporto lo ricorda, che esiste una circolare dell’Amministrazione penitenziaria, che dispone l’obbligo per i medici di formulare conclusioni dopo l’esame svolto sul recluso, raccogliendo eventuali dichiarazioni di maltrattamenti. Disposizioni contestate dai medici delle case circondariali di Bologna e Napoli poiché giudicate poco chiare. Francamente pare incredibile che vi sia bisogno di una precisa disposizione affinché un medico rilevi e segnali segni manifesti di percosse. Evidentemente, in determinati casi, non solo le leggi e i regolamenti penitenziari, ma anche il "giuramento di Ippocrate" rischia di essere considerato carta straccia. Ancor più preoccupante è che tali disposizioni vengano contestate per poter essere disapplicate. Ma tant’è.

Per giunta, rilevano gli ispettori, anche nel caso in cui l’esame medico all’ingresso in carcere rivelasse lesioni e queste venissero correttamente riportate sull’apposito registro, la decisione di informarne il magistrato viene lasciata all’eventuale querela del detenuto, tranne le ipotesi più gravi, ove la prognosi di inabilità venisse indicata come superiore ai 20 giorni. Di qui, il preciso richiamo, "vista la posizione particolarmente vulnerabile in cui si trova il detenuto, il CPT desidera ricordare la sua raccomandazione, secondo la quale "quando un medico osserva tracce di violenza che gli fanno ritenere che esse siano il risultato di maltrattamenti, la questione sia portata all’attenzione del magistrato della Procura competente".

Su questi due punti, la risposta del governo è netta, assicura che le disposizioni riguardo la corretta e necessaria compilazione del "Registro 99" già emanate dal Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria il 2 giugno 1998 sono state ribadite con la circolare n° 3516/5966 del 16 marzo 2000 e le Direzioni dei penitenziari sono state richiamate all’osservanza della stessa, nonché a rivolgersi all’autorità giudiziaria ogni qual volta venissero riscontrate sul detenuto segni di violenza dovuti a maltrattamenti. Il CPT ha tuttavia avuto modo di avvedersi che, in altri istituti, il "Registro 99" viene utilizzato correttamente. Proprio dalla sua consultazione nella Casa circondariale di Bari deriva una richiesta di informazioni al governo circa "il caso più preoccupante riscontrato dalla delegazione durante la sua visita".

 

Un caso riscontrato e ripetuto di violenza

 

Vale la pena di citare dal Rapporto per esteso. Il caso riguarda un cittadino italiano "arrestato il 16 settembre 1999, verso le 23.30, per detenzione di sostanze stupefacenti, da alcuni militari del Comando dei carabinieri di Acquaviva delle Fonti. L’individuo in questione è stato condotto in carcere il 17 settembre 1999, verso l’una del mattino, con una doppia frattura della mandibola - a sinistra e a destra - che ha reso necessario un ricovero ospedaliero di 4 giorni e un intervento chirurgico. Quattro giorni più tardi, egli ha lasciato il carcere, a seguito di un provvedimento per gli arresti domiciliari. Alcune ore dopo il ritorno al suo domicilio, il 25 settembre l999, egli è stato nuovamente interrogato, all’esterno della sua abitazione, da militari dello stesso Comando dei carabinieri, che avrebbero inflitto colpi nello stesso punto delle precedenti lesioni".

Questo è l’episodio più grave riferito dal CPT. Difficile pensare che si tratti di un caso raro, se non altro per ragioni di probabilità statistica, considerate le poche visite effettuate dal CPT e il già segnalato problema di omissioni e lacune nei registri sanitari delle carceri. La sua individuazione è stata in effetti resa possibile dal corretto operato dei medici e delle autorità penitenziarie di Bari.

E questo viene ben ricostruito nella risposta del governo, che espone poi le tappe successive della vicenda. L’8 febbraio 2000 il comandante e due militari del Comando carabinieri di Acquaviva delle Fonti ricevono un avviso di garanzia per lesioni personali aggravate emesso dal tribunale di Bari. Il 24 ottobre 2000 il Giudice per l’Udienza Preliminare dello stesso tribunale assolve gli imputati per non aver commesso il fatto. Il 18 dicembre dello stesso anno, il procuratore presso la Corte d’Appello propone ricorso. Conclusione - chissà se provvisoria - del governo italiano: "l’affaire est toujours en examen". In attesa di una parola definitiva dell’autorità giudiziaria rimane il fatto: la duplice frattura della mandibola di un arrestato.

 

Opacità e impunità

 

Oltre che tardive, le repliche alle segnalazioni e raccomandazioni degli ispettori europei sono, al solito, abbastanza generiche e rinsecchite in formule di rito. Del resto, come ha osservato Sandro Margara, anche lo stile del lavoro del CPT, e il linguaggio del suo Rapporto, è sin troppo compassato e a sua volta propriamente burocratico. Uno stile - che Margara giudica in realtà preciso e approfondito e, soprattutto, metodologicamente ammirevole - distante dai nostri "approcci alla materia, generalmente e genericamente critici verso strutture e organismi, animati da una pregiudizialità spesso fondata".

Una pregiudizialità forse sedimentatasi, inavvertitamente ma opportunamente, a fronte della insistita opacità e della tenace risultanza di impunità osservata in decenni di cronache carcerarie e giudiziarie rispetto ad arbìtri, violenze e violazioni a opera di appartenenti alle forze dell’ordine o di funzionari dell’Amministrazione penitenziaria. Episodi che non vanno generalizzati, ma neppure sottaciuti, nello stesso interesse delle forze dell’ordine nel loro complesso, come sottolinea Mauro Palma quando, a proposito dell’inchiesta sui pestaggi avvenuti a Napoli nel marzo 2001 a danno dei manifestanti no global, osserva che occorre "tutelare coloro che agiscono correttamente sulla base del proprio compito democratico dall’ombra inevitabilmente generata dai comportamenti illegali di alcuni, qualora questi non venissero perseguiti".

 

Disciplina militaresca? No, semplice abitudine

 

Vero è che spesso i rilievi critici del CPT sono temperati da considerazioni generali positive. "La situazione in materia di trattamento di persone detenute dalle forze dell’ordine in Italia sembra essere un po’ migliorata, in relazione a quella osservata nel corso delle due visite precedenti". Laddove quel diplomatico "sembra essere un po’ migliorata" può suonare rassicurante, oltre che realista, ma anche deludente. Specie considerando che molti dei rilievi sono in verità ricorrenti, sia quelli generali relativi al sovraffollamento e al connesso degrado delle condizioni di detenzione, al trattamento degli stranieri, alla durezza cui sono sottoposti i reclusi soggetti all’articolo 41 bis, sia quelli più specifici e inquietanti. Come ad esempio quanto riscontrato nel carcere Poggioreale di Napoli, dove "persisteva l’atmosfera opprimente che regnava nella struttura durante la prima visita. In particolare, persisteva l’uso in base al quale i detenuti abbassavano la testa e tenevano le mani dietro la schiena in presenza del personale penitenziario. (…) I detenuti camminavano in fila per due, con le mani dietro la schiena, e parlavano soltanto con il loro vicino più prossimo e a voce bassa".

Da qui, la raccomandazione del CPT ad abbandonare queste prassi anacronistiche e l’approccio inutilmente militaresco. Replica il governo italiano: tale usanza non risponde a uno stile imposto dal personale di custodia, ma probabilmente a un’abitudine dei detenuti difficile da estirpare. Una osservazione sconcertante o, per dirla con Adriano Sofri, una manifestazione - decisamente evitabile e grottesca - di sense of humour ministeriale.

 

Evasività ed eufemismi

 

È innegabile la pervicace e disarmante evasività delle risposte governative. Non di meno colpisce il sapiente o prudente eufemismo, utilizzato dal CPT in diversi punti delle proprie relazioni. Sempre il 29 gennaio 2003, il governo italiano ha autorizzato il Consiglio d’Europa a rendere noto, oltre a quello del quale stiamo trattando, un secondo Rapporto, su una sorta di supplemento di visita effettuata nel novembre del 1996 nel carcere di San Vittore.

Il documento era stato trasmesso alle autorità italiane il 21 marzo 1997, con la consueta richiesta di voler rispondere entro sei mesi. Ci sono invece voluti quasi sei anni. In esso, gli ispettori europei confermano in sostanza quanto detto nella visita precedente del 1995 a Milano, in modo particolare alcune categorie di persone (stranieri e arrestati per reati di droghe) "corrono un rischio non trascurabile di essere maltrattati".

In altro punto del Rapporto, gli ispettori riferiscono invece apertamente quanto riscontrato da un medico membro della delegazione del CPT in un colloquio, avvenuto senza testimoni, con quattro reclusi: presentavano lesioni traumatiche medie e gravi. "Tre di loro - continua il Rapporto - hanno fornito dettagliate spiegazioni sulle circostanze in cui erano stati maltrattati dalle forze di polizia di Milano". L’affermazione dei reclusi andava (andrebbe?) verificata giudiziariamente. Ciò non toglie che le lesioni erano presenti e riscontrate. L’esperto medico della delegazione ha esaminato il Registro 99 relativamente agli ingressi nel carcere di San Vittore, 682 nel mese di ottobre 1996.

Quasi il 10% dei certificati redatti in quell’occasione (64) contenevano affermazioni di violenza subita. L’esame medico obiettivo riscontrava in 17 casi lesioni traumatiche medie-gravi e in altri 20 lesioni leggere, mentre 27 esami risultavano negativi, Come dire, qualcosa di più di un rischio non trascurabile. Numeri così alti danno semmai l’idea di una certezza e di una sistematicità. E, assieme, fanno dubitare della reale efficacia preventiva e dissuasiva nel maltrattamento di arrestati e detenuti connessa alle ispezioni del CPT. Del resto, proprio il suo primo presidente, Antonio Cassese, ricostruendo in un libro le attività svolte dalla Commissione nel periodo del suo mandato (1989 - 1993), annotava mestamente "Troppo spesso io e i miei colleghi abbiamo dovuto limitarci a fare i notai delle sofferenze altrui".

Pure, se sull’efficacia immediata delle ispezioni si possono nutrire dubbi, anzitutto per il vincolo al silenzio nell’attesa delle risposte dei governi, si può invece stare certi che senza le periodiche visite di questi notai le carceri, anche italiane, sarebbero ancor di più isole oscure sottratte alla vista, ma anche alle regole e alle leggi della civile convivenza e della società esterna.

L’ispezione effettuata nel 2000, però, un risultato certo e rapido l’ha ottenuto: la chiusura del centro di detenzione per immigrati di Francavilla Fontana. Forse è solo una chiusura temporanea, per lavori di adeguamento delle strutture. Ma è pur sempre un inizio, magari, per ristrutturare complessivamente i modi, oltre che i luoghi, con cui si amministrano le pene e si trattano le persone private della libertà nel nostro Paese.

 

 

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