Mandato d'arresto europeo

 

Il mandato d’arresto europeo

di Roberto Pirro (uditore giudiziario)

 

La legge numero 69, approvata in via definitiva dalla Camera dei deputati in data 22 aprile 2005, dà attuazione, nell’ordinamento interno, alle disposizioni contenute nella decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio UE, del 13 giugno 2002, relativa al mandato d’arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri dell’Unione europea.

In via preliminare, giova osservare come l’adeguamento del diritto interno al diritto europeo, soprattutto in questa materia, si sia presentato notevolmente complesso, attesa la necessità di mediare tra la volontà comunitaria di semplificare le cennate procedure, e l’inderogabilità dei princìpi supremi posti a base dell’ordinamento costituzionale in tema di diritti fondamentali, quali i diritti di libertà e del giusto processo.

Orbene, l’Italia, con la promulgazione della legge in commento, dà esecuzione al mandato d’arresto europeo alle condizioni e con le modalità in essa stabilite, sempre che il provvedimento cautelare in base al quale il mandato sia stato emesso sia stato sottoscritto da un giudice, sia motivato, ovvero la sentenza da eseguire sia irrevocabile. Segnatamente, per mandato d’arresto europeo deve intendersi una decisione giudiziaria emessa da uno Stato membro dell’Unione europea (c.d. "Stato di emissione") in vista dell’arresto e della consegna di una persona, da parte di un altro Stato membro (c.d. "Stato di esecuzione"), al fine dell’esercizio tanto di azioni giudiziarie in materia penale, quanto dell’esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza privative della libertà personale.

La prima delle condizioni necessarie affinchè si possa procedere al mandato d’arresto europeo è, come anticipato, il rispetto delle norme stabilite dai Trattati internazionali, quale la Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, e la salvaguardia delle garanzie Costituzionali, attinenti al giusto processo. Nell’alveo di queste ultime occorre ricordare le disposizioni relative alla tutela della libertà personale, anche in relazione al diritto di difesa e al principio di eguaglianza, nonché quelle relative alla responsabilità penale e alla qualità delle sanzioni. E non va omesso come in caso di grave e persistente violazione di una delle condizioni de quibus da parte dello Stato richiedente, la legge numero69 riconosca all’Italia, relativamente alla procedura passiva, la facoltà di rifiutare la consegna dell’imputato o del condannato.

Originariamente, il mandato d’arresto europeo era stato indicato dal Consiglio UE, prima ancora dell’allargamento, come strumento necessario al fine di rafforzare la cooperazione giudiziaria nella lotta contro la criminalità internazionale. Tale risultato, infatti, in tanto poteva conseguirsi, soltanto elidendo le barriere burocratiche esistenti tra le autorita’ giudiziarie dei Paesi Europei, così da consentire alle stesse di prendere contatti direttamente fra loro, senza "passare" per i ministeri.

Da una prima lettura del testo di legge, tuttavia, tale semplificazione sembrava essere stata disattesa da parte del legislatore interno laddove all’art. 4 designava il Ministro della giustizia organo competente sia per la trasmissione che per la ricezione amministrativa dei mandati d’arresto europei e della corrispondenza ufficiale ad essi relativa. D’altronde, però, è anche vero che la stessa decisione quadro riconosceva la facoltà ad ogni Stato membro di individuare una o più autorità centrali per assistere le autorità giudiziarie competenti, laddove il proprio ordinamento giuridico lo consentisse. Ecco, quindi, che l’individuazione di tale autorità nel Ministro della giustizia non deve far pensare ad un travisamento della decisione quadro, ma, tutt’al più, ad una sua più stringente attuazione. Peraltro, sia il verbo utilizzato "trasmette" , che la locuzione "senza indugio" ("i mandati d’arresto alle autorità giudiziarie competenti" ), autorizzano l’interprete ad individuare nel Ministro della giustizia un organo di raccordo, con riguardo sia alla ricezione che alla trasmissione dei provvedimenti, ma senza poteri di veto, come accade invece nel caso del procedimento di estradizione per l’estero, disciplinato dagli artt. 697 e ss. c.p.p.. In tale procedura, infatti, il Ministro de quo non deve necessariamente trasmettere i documenti relativi alla richiesta estradizione all’autorità giudiziaria competente, come avviene ex art. 4 l.69/2005, ben potendo, anche, respingerla, non inviando gli atti al Procuratore generale presso la Corte d’appello competente. Altresì nel mandato d’arresto europeo non vi è nemmeno quella ulteriore fase amministrativa, successiva alla eventuale sentenza favorevole all’estradizione, nel corso della quale al Ministro della giustizia è riconosciuta la facoltà di decidere entro 45 gg. se concedere o meno l’estradizione stessa. Diversamente, aspetto comune delle due procedure in parola si ravvisa nella garanzia giurisdizionale, in virtù della quale nessuna estradizione al pari di alcun mandato d’arresto europeo può essere concesso senza la decisione favorevole della Corte d’appello competente.

Ai sensi dell’art. 7 della legge in oggetto, è, poi, cristallizzato il principio della doppia incriminazione, in virtù del quale l’Italia in tanto dà esecuzione al mandato d’arresto europeo soltanto laddove il fatto sia previsto come reato anche dalla legge nazionale, fatta eccezione per le violazioni commesse in materia di tasse e imposte, dogana e cambio. Materie, quest’ultime, in cui la mancanza del principio della doppia punibilità è giustificato dal fatto che deve comunque trattarsi di tasse e imposte che siano assimilabili, per analogia, a tasse o imposte per le quali la legge italiana preveda, in caso di violazione, la sanzione della reclusione della durata massima, escluse le eventuali aggravanti, pari o superiore a tre anni.

In generale, poi, è previsto che il fatto debba essere punito dalla legge dello Stato membro di emissione con una pena o con una misura di sicurezza privativa della libertà personale della durata massima non inferiore a dodici mesi, che non tenga conto ai fini del calcolo della pena o della misura di sicurezza delle circostanze aggravanti.

Diversamente, in caso di esecuzione di una sentenza di condanna, la pena o la misura di sicurezza sufficiente per garantire l’operatività della procedura in commento deve prevedere una durata non inferiore a quattro mesi.

Ex art. 8 è, quindi, prevista una copiosa elencazione dei reati (per tutti si veda terrorismo, traffico di droga, omicidio volontario, corruzione, frode o lavaggio di denaro sporco) per i quali si procede alla consegna obbligatoria in base al mandato d’arresto europeo, indipendentemente dalla doppia incriminazione, sempre che, escluse le eventuali aggravanti, il massimo della pena o della misura di sicurezza privativa della libertà personale sia pari o superiore a tre anni.

Conformemente al dictum della Corte Costituzionale numero 364/1988 è, poi, stabilito che, laddove il fatto non sia previsto come reato dalla legge italiana, non si debba dar luogo alla consegna del cittadino italiano se dovesse risultare che lo stesso non era a conoscenza, senza propria colpa, della norma penale dello Stato membro di emissione in base alla quale era stato emesso il mandato d’arresto europeo.

Da ultimo, con riguardo alla procedura attiva di consegna, giova osservare quali siano le autorità giudiziarie legittimate ad emettere il mandato d’arresto europeo. Segnatamente, esse possono essere tanto il giudice che ha applicato la misura cautelare della custodia in carcere o degli arresti domiciliari, quanto il pubblico ministero presso il giudice indicato all’articolo 665 c.p.p. che ha emesso l’ordine di esecuzione della pena detentiva di cui all’articolo 656 del medesimo codice, sempre che si tratti di pena di durata non inferiore a un anno e che non operi la sospensione dell’esecuzione, ovvero ancora dal pubblico ministero, individuato stavolta ai sensi dell’articolo 658 c.p.p., per quanto attiene alla esecuzione di misure di sicurezza personali detentive. Emesso da una di queste autorità, quindi, il mandato d’arresto europeo viene trasmesso al Ministro della giustizia che provvede alla traduzione del testo nella lingua dello Stato membro di esecuzione e alla sua trasmissione all’autorità competente. Della emissione del mandato è, poi, data immediata comunicazione al Servizio per la cooperazione internazionale di polizia. L’autorità giudiziaria competente emette il mandato d’arresto europeo se risulta che l’imputato o il condannato è residente, domiciliato o dimorante nel territorio di uno Stato membro dell’Unione europea. Se, invece, il luogo della residenza, del domicilio o della dimora non è conosciuto e risulta possibile che la persona si trovi nel territorio di uno Stato membro dell’Unione europea, l’autorità giudiziaria dispone l’inserimento di una specifica segnalazione nel Sistema di informazione Schengen (SIS), che equivale a un mandato d’arresto europeo.

Nel caso in cui la persona ricercata benefìci di una immunità o di un privilegio riconosciuti da uno Stato diverso da quello di esecuzione ovvero da un organismo internazionale, l’autorità giudiziaria provvede a inoltrare la richiesta di revoca del privilegio o di esclusione dell’immunità.

Infine, non va sottaciuta la previsione normativa contenuta nel capo III del titolo II della legge numero69/2005, ove sono disciplinate le misure reali accessorie alla richiesta di consegna sia attiva che passiva. Mediante tale coacervo di norme, infatti, si è riconosciuto alle autorità giudiziarie competenti la facoltà di disporre, non soltanto il sequestro dei beni necessari ai fini della prova, ma anche la confisca dei beni costituenti il prodotto, il profitto o il prezzo del reato. In particolare, gli artt. 34 e 35 della legge in esame radicano la competenza su base distrettuale, rispettivamente, in fase di emissione al Procuratore generale presso la Corte d’appello ed in fase di esecuzione alla medesima Corte d’appello. Il tutto al fine di rafforzare quella cooperazione giudiziaria in ambito penale, recepita nella decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio UE, ed oggi attuata attraverso la legge che, sia pur soltanto per sommi capi, si è, in questa sede, voluta esaminare.

 

 

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