Regolamento Penitenziario

 

Regolamento penitenziario - relazione

 

Parte introduttiva


1. Indicazioni sul contenuto dell'intervento modificativo

 

La legge 26/7/1975, n. 354, è dichiaratamente una legge di riforma, che, come tale, non si è limitata ad organizzare giuridicamente una istituzione dello Stato, ma ha messo in moto una serie di meccanismi propulsivi, che mirano a modificare non solo il sistema penitenziario, ma anche le interrelazioni fra questo e altre componenti del sistema sociale.
Nel 1975 si è avviato, quindi, un processo di trasformazione che, per produrre i suoi effetti, deve essere analizzato, valutato e sostenuto da una serie di interventi, mirati a determinare anche un mutamento culturale.
Sono trascorsi quasi 24 anni dalla prima redazione della riforma penitenziaria. Il percorso applicativo della stessa è stato attraversato da contraddizioni, espresse anche in una legislazione talvolta di allargamento, talaltra di restrizione degli spazi che la riforma aveva aperto. Potrà essere utile, per alcune delle disposizioni legislative oggetto di modifiche, un intervento di armonizzazione con la restante normativa. Questa non è però la sede per tale intervento, rimesso alla competenza del Parlamento. Prescindendo, però, da ciò, si può attuare e qui si attua un intervento di profonda revisione del regolamento di esecuzione alla legge di riforma, attraverso il quale è già attuabile un aggiornamento del sistema penitenziario secondo linee che emergono con chiarezza.
Il regolamento di esecuzione attualmente vigente è stato approvato con d.P.R. 29/4/1976, n.431, ed ha avuto pochissime modifiche nel corso degli oltre 23 anni trascorsi da allora. In presenza di vari interventi legislativi, i ritocchi al regolamento di esecuzione furono abbastanza limitati. Ciò è accaduto anche perché il testo originario raccolse ed espresse con forza il contenuto riformatore della legge e mantenne una significativa valenza progettuale, da cui, come dalla valenza progettuale della legge, la realtà penitenziaria restò abbastanza distante.
Una revisione attenta e approfondita del regolamento di esecuzione appare, però, oggi necessaria a vari fini, che qui si vogliono analizzare.


1.1 L'evoluzione normativa

 

Il primo fine, già anticipato in precedenza, è quello dell'aggiornamento sul piano normativo.
E' noto che una notevole modifica organizzativa della Amministrazione penitenziaria è intervenuta con la legge 15/12/1990, n. 395 e con i decreti delegati di attuazione della stessa. Con tale normativa la amministrazione è stata rinnovata, sotto l'aspetto organizzativo, nei vertici centrali e periferici, nelle articolazioni degli organi operativi, nella sostituzione al disciolto Corpo degli agenti di custodia del nuovo Corpo di polizia penitenziaria. Si è trattato di un intervento profondo, che verrà descritto nel dettaglio in seguito (v. Parte prima di questa relazione), e che richiede indubbiamente un intervento sul regolamento di esecuzione della legge sull'Ordinamento penitenziario, su cui non possono non scaricarsi gli indubbi riflessi delle disposizioni organizzative ricordate.
Una profonda modifica della normativa penitenziaria è stata anche operata dalla legge 10/10/1986, n.663, che è stata considerata una sorta di completamento della legge di riforma del 1975. Con riferimento a tale legge, furono già attuate modifiche del regolamento di esecuzione. Si trattò di modifiche limitate. La legge 663/1986 ha avuto poi vari e ulteriori interventi modificativi, alcuni restrittivi, altri, invece, di ulteriore allargamento, particolarmente in materia di misure alternative, fino alla legge 27/5/1998, n.165.
Si noti che, nel frattempo, questa parte della normativa penitenziaria era oggetto di ripetute pronunce della Corte Costituzionale, del formarsi di consolidati indirizzi giurisprudenziali, che avevano il risultato di produrre un'area di esecuzione penale all'esterno degli istituti di pena: quella delle misure alternative alla detenzione, la cui gestione era rimessa alla competenza del Servizio sociale penitenziario, con l'intervento della magistratura di sorveglianza. Quest'area assumeva sempre maggiore rilievo in relazione alla possibilità di accedervi senza passaggio dal carcere fin dalla legge 663/1986, soluzione successivamente ampliata e poi sistematizzata con la ricordata legge 165/1998. Tutto ciò pone il problema di nuovi aspetti giuridici e organizzativi dell'intervento penitenziario, che, per quanto riguarda gli aspetti operativi, può trovare soluzioni nell'ambito del regolamento di esecuzione.
Ma la legge 663/1986 aveva indubbie ricadute anche nella gestione della esecuzione all'interno degli istituti, dove si aprivano gli spazi dei permessi premio e sempre più si imponeva la esigenza di risposte, sul piano della osservazione e del trattamento, alle prospettive di ammissione alle misure alternative, particolarmente per soggetti come gli alcooldipendenti e i tossicodipendenti, per i quali, sotto determinati limiti di pena residua da espiare, le soluzioni alternative alla detenzione erano privilegiate rispetto alla esecuzione in carcere. Anche qui il regolamento di esecuzione può intervenire per dare ordine e impulso ad una attività il cui sviluppo deve essere agevolato. Si tenga presente che ripetute prese di posizione in sedi nazionali e internazionali hanno indicato nelle misure alternative alla detenzione la risposta più efficace al sovraffollamento degli istituti di pena, determinata in particolar modo dalla forte presenza di reclusi con problemi di disagio personale e sociale (particolarmente tossicodipendenti e stranieri), per i quali il carcere non è la risposta più utile per la soluzione dei loro problemi.
E altre modifiche erano ancora intervenute in altre materie, che pure avevano direttamente o indirettamente ricadute sul sistema penitenziario. Alcune in materie trattamentali, come alcune modifiche che riguardavano il lavoro, la formazione professionale, la istruzione. Altre realizzavano differenze di ammissibilità ai benefici penitenziari o alla applicazione di alcune norme fra i detenuti secondo le imputazioni o le condanne: su tali basi si era avviata, sul piano puramente amministrativo, una differenziazione di circuiti penitenziari e in questa materia il regolamento di esecuzione poteva dare indicazioni per indirizzare verso regimi di custodia più o meno intensa.
Anche il nuovo codice di procedura penale ha avuto ricadute sulla normativa penitenziaria: ad esempio, in materia di differimento della esecuzione della pena e in materia di misure di sicurezza. Di tali ricadute era doveroso prendere atto per dare indicazioni uniformi nel regolamento di esecuzione, evitando prassi applicative eterogenee.
Non si dimentichi infine una materia specifica: quella delle traduzioni dei detenuti e internati. Su questo è intervenuta la legge 12/12/1992, n. 492, che ha attribuito la competenza al Corpo di Polizia penitenziaria. Anche qui va aggiornata la normativa regolamentare.


1.2 Gli impegni internazionali

 

Di grande rilievo è anche la necessità di adeguamento della normativa regolamentare penitenziaria alle indicazioni internazionali. Si fa riferimento a quelle indicazioni che sono contenute in documenti di organismi internazionali, che hanno trattato la materia. In particolare si ricordano:
- le "Regole minime per il trattamento dei detenuti" adottate dall'ONU nel 1955;
- la "Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali" del 1950, ratificata dall'Italia;
- il documento sulle "regole minime" nel trattamento dei detenuti emanato dal Consiglio di Europa nel 1973 e aggiornato nel 1987: il documento reca il titolo "Regole penitenziarie europee": è interessante notare che, nel preambolo del documento citato, il Consiglio di Europa prospettava una costante evoluzione di tali regole, impegnandosi a "definire criteri di base realistici, che permettano alla amministrazioni penitenziarie di giudicare i risultati ottenuti e di misurare i progressi in funzione di più elevati standard qualitativi".
La risoluzione adottata dal Parlamento europeo il 18/12/1998 sulle condizioni carcerarie nell'Unione europea; ristrutturazioni e pene sostitutive.
Nell'esame dei singoli articoli del presente regolamento si farà esplicita menzione delle regole suindicate che comportano un adattamento della nostra normativa. Una applicazione abbastanza larga sarà fatta nella parte che riguarda le caratteristiche degli istituti, degli ambienti e dei regimi di vita negli stessi.
Anche in materia di misure alternative abbiamo un documento del Consiglio d'Europa: è la raccomandazione n. R. (92) 16 del Comitato dei Ministri, denominata: Regole europee sulle sanzioni e misure alternative alla detenzione.
Proprio nel documento ora citato, nelle premesse, si valuta la positività delle misure alternative alla detenzione sotto il profilo che "le stesse evitano gli effetti negativi della carcerazione". E' un punto questo che ha alle spalle una solida letteratura scientifica. Si rileva che l'inserimento continuativo in una istituzione totale, quale si verifica in carcere, ha ricadute negative sul piano psicofisico dei soggetti sottoposti, che può esprimersi anche in forme patologiche e in genere in un danno alla persona ( si è così parlato del carcere come l'ultima pena corporale).
Questa situazione è oggetto di particolare attenzione nelle modifiche apportate al testo vigente del regolamento. Soprattutto si mette in guardia dall'esasperare le situazioni di rischio attraverso la prassi, molto diffusa, delle prolungate chiusure in camera. In molte occasioni si coinvolge il servizio sanitario in modo che lo stesso possa dare le indicazioni adeguate perché delle situazioni di rischio si prenda coscienza e si operi per prevenirle.
In questo quadro si è disposto un adeguamento dei servizi nelle situazioni di maggiore difficoltà del soggetto, come in quella dell'ingresso, o in quelle in cui si manifestino problemi psichiatrici o di gravi malattie o in quelle ancora di soggetti incompatibili con il regime in comune con gli altri detenuti. Tutte queste situazioni hanno trovato spesso in carcere una risposta di segregazione. Nelle varie situazioni si è intervenuti con le modifiche regolamentari perché tale effetto segregante non si verifichi e sia comunque seguito da vicino, evitando ogni risultato di abbandono.


1.3 Interventi di razionalizzazione

 

Una serie di interventi modificativi si impone sotto un profilo che può essere complessivamente chiamato di razionalizzazione. In tale espressione si raccolgono situazioni diverse.
Sono propriamente di razionalizzazione le modifiche di disposizioni, la cui applicazione, oscillante fra interpretazioni ragionevoli e fiscali, ha dato luogo a prassi eterogenee, che devono essere evitate.
E' forse meno propria la espressione "razionalizzazione" quando la stessa riguarda modifiche con le quali si riducono o si eliminano limitazioni a certe concessioni, una volta valutata, attraverso la prassi operativa degli istituti, la superfluità delle limitazioni e i risultati positivi delle concessioni.
Il riconoscimento dato alle prassi operative, nate talvolta anche negli spazi vuoti lasciati dalla norma, è un altro intervento ammissibile e razionale da attuare con le modifiche, intervento che possiamo pur sempre chiamare di razionalizzazione.
Sembra pertinente la citazione riferita nel preambolo delle Regole minime del Consiglio d'Europa sulla "costante evoluzione degli standard qualitativi", per dare conto di altre modifiche, che hanno carattere migliorativo del regime penitenziario, apportate quando le stesse appaiono mature a nuovi livelli di sensibilità e di rispetto verso le persone recluse. Possono fare parte di questi interventi anche quelle sulla possibilità, per i reclusi, di disporre di nuovi strumenti di lavoro e di studio (come i personal computer), quelle che riguardano la possibilità di gestire le fonti di luce artificiale nella propria camera ed altre ancora. E qui, o nei casi precedenti, possiamo porre le norme regolamentari che allargano gli spazi in materia di colloqui e telefonate.
Sono più impropriamente interventi di razionalizzazione quelli che operano il riconoscimento di veri e propri diritti. Applicazioni di tali situazioni si hanno, ad esempio, in materia di assistenza sanitaria e di regime economico relativo alla prestazione della stessa. E anche le modifiche apportate al trattamento delle madri che hanno bambini con sé e a quello degli stessi bambini (reclusi senza alcuna colpa) realizzano il riconoscimento di diritti sui quali precedentemente si taceva.

1.4 Esecuzione penale esterna

 

Un altro risultato che le modifiche del regolamento di esecuzione hanno voluto raggiungere è quello di definire regole in merito alla gestione della esecuzione penale esterna.
Ciò è stato fatto sotto due aspetti. Il primo è quello di avere indicato le prassi operative relative alla concessione delle misure, alla esecuzione dei provvedimenti e alla concreta esecuzione delle misure e al loro esito.
Il secondo aspetto riguarda l'operatività del servizio sociale, che oggi raccoglie la esperienza degli anni trascorsi, particolarmente dei più recenti, con la crescita sensibilissima delle misure stesse.


1.5 Il trattamento

 

Si deve accennare, infine, ad uno dei fini più rilevanti dell'intervento modificativo sul regolamento di esecuzione di cui si sta dicendo.
Si tratta di dare nuova efficacia, nuova concreta attuabilità al trattamento penitenziario, articolato nei vari elementi indicati dalla legge all'art.15. Sotto questo profilo l'inadeguatezza alla legge del "carcere reale" non può essere ancora a lungo accettata. E' chiaro che è necessaria una implementazione organizzativa della amministrazione penitenziaria, in ogni sua componente, ma in particolare in quelle più impegnate sul versante trattamentale (così trascurate nei due decenni di vigenza della legge). Ma, tenendo conto che a ciò dovrebbe rimediare la legislazione in preparazione sul riordino e il potenziamento organizzativo della amministrazione penitenziaria, si è voluto sin d'ora intervenire sulla normativa del regolamento di esecuzione che riguarda gli elementi del trattamento. Con un proposito: quello di porre le condizioni per la sempre più estesa e concreta realizzazione di tali elementi.
A tal fine, si è indicata la esigenza che ministero della giustizia, da un lato, e ministero della pubblica istruzione e regioni, dall'altro, contribuiscano a realizzare un sistema di corsi in materia. Per quelli scolastici, oltre alla diffusione della scuola dell'obbligo in tutti gli istituti, si deve favorire la presenza, con almeno una esperienza in ciascuna regione, dei corsi di scuola secondaria successivi a quella dell'obbligo. Concrete iniziative, di cui si indicano le possibili modalità, sono anche previste per consentire ai reclusi di seguire gli studi universitari.
In materia di lavoro si è fatto il massimo sforzo perché la forza lavoro presente in carcere trovi gli strumenti di impiego. L'art. 45, sulla organizzazione del lavoro, indica vari punti: la possibilità di fare gestire lavorazioni e servizi interni a cooperative sociali per superare le insufficienze organizzative e i lacci burocratici e contabili che impediscono alla amministrazione un funzionamento efficace; l'impegno ad attivare le lavorazioni penitenziarie per le forniture di quanto necessario per la gestione della vita e della permanenza dei detenuti e internati negli istituti; e l'impegno, inoltre, a non trascurare, se possibile, le lavorazioni per le esigenze della stessa amministrazione e del personale . Indicazioni sono state date anche per una maggiore applicazione di inserimenti lavorativi e di formazione professionale all'esterno.
Le modifiche sono volte a rendere compatibili con il lavoro, attraverso la distribuzione nell'arco della giornata delle attività di istruzione e delle altre attività trattamentali.
Fra queste, un'ultima menzione meritano i rapporti con la famiglia, previsti dall'art.28 della legge penitenziaria. Di questi si occupa l'art. 61 del nuovo testo del regolamento di esecuzione. Pure includendo espressamente in tale contesto la previsione di incontri con i propri familiari nell'arco della giornata in appositi locali o all'aperto (cfr. l'art. 61, comma 2, lettera b) - previsione che è invece inserita dall'articolo 71 del regolamento vigente nell'ambito delle "ricompense" -, non è stato possibile, con norma regolamentare, introdurre la possibilità di incontri di detenuti e internati con i propri congiunti in unità abitative al di fuori del controllo visivo del personale, poiché tale forma di controllo è stabilita, sia pure in generale, da disposizione di rango primario (cfr. il secondo comma dell'articolo 18 della legge penitenziaria, come formalmente rilevato nel parere del Consiglio di Stato).

 

2. L'ordine della presente relazione

 

Si danno qui le indicazioni relative all'ordine della presente relazione. Ci si soffermerà essenzialmente sulle parti del regolamento che sono oggetto di modifiche, ma la relazione seguirà il testo dello stesso in tutte le sue parti, inquadrando anche quelle non modificate nel discorso complessivo.
L'ordine della relazione non può prescindere da quello proprio dell'Ordinamento penitenziario e del regolamento di esecuzione allo stesso, su cui riferisce. Rispettando, però, tale ordine, si ritiene di attuare una divisione in parti con riferimento al rilievo che assumono singole materie, operando divisioni in paragrafi quando vi siano disposizioni o gruppi di disposizioni aventi una propria e significativa autonomia.
Pertanto, la relazione, dopo la presente parte introduttiva, si svilupperà come segue.

 

Parte prima - Principi direttivi: corrispondente al Capo I del Titolo I, articoli da 1 a 5.

 

Parte seconda - Condizioni generali degli istituti: corrispondente al Capo II del Titolo I, articoli da 6 a 21.

 

Questa si articolerà nei seguenti paragrafi:


Paragrafo I°: Strutture degli istituti e regime di vita: articoli da 6 a 16.
Paragrafo II°: Assistenza sanitaria in generale e per particolari gruppi di persone. Servizio di biblioteca: articoli da 17 a 21.

 

Parte terza - Ingresso in istituto e modalità del trattamento: corrispondente al Capo III del Titolo I, articoli da 22 a 68.


Questa parte di articolerà nei seguenti paragrafi:
Paragrafo I°: Ingresso in istituto: articoli da 22 a 26.
Paragrafo II°: Osservazione della personalità, programma di trattamento, assegnazioni dei detenuti e internati e regolamento interno: articoli da 27 a 36.
Paragrafo III°: Colloqui e corrispondenza. Uso di radio e altri strumenti: articoli da 37 a 40.
Paragrafo IV°: Istruzione e formazione professionale: articoli da 41 a 46.
Paragrafo V°: Lavoro e remunerazione. Peculio: articoli da 47 a 57.
Paragrafo VI°: Altri elementi del trattamento: artt. da 58 a 68.

 

Parte quarta: Regime penitenziario: corrispondente al Capo IV del Titolo I, articoli da 69 a 93.


Questa parte si articolerà nei seguenti paragrafi:


Paragrafo I°: Il regime penitenziario e la sua applicazione: articoli da 69 a 75.
Paragrafo II°: Ricompense e sistema disciplinare: art. da 76 a 82.
Paragrafo III°: Trasferimenti e traduzioni: articoli da 83 a 87.
Paragrafo IV°: Eventi conclusivi della detenzione o internamento. Disordini collettivi e intervento della Forza pubblica: articoli da 88 a 93.

Parte quinta: Assistenza: corrispondente al capo V del Titolo I: articoli 94 e 95.

 

Parte sesta: Misure alternative alla detenzione ed altri provvedimenti della magistratura di sorveglianza: corrispondente al Capo VI del Titolo I: articoli da 96 a 109.


Questa parte si articolerà nei seguenti paragrafi:


Paragrafo I°: Affidamento in prova, detenzione domiciliare e semilibertà: articoli da 96 a 101.
Paragrafo II°: Altri provvedimenti della magistratura di sorveglianza: articoli da 102 a 109.

 

Parte settima: Organizzazione penitenziaria: corrispondente al Titolo II: articoli da 110 a 120.
Paragrafo I°: Istituti penitenziari: corrispondente al Capo I del Titolo II: articoli da 110 a 117.
Paragrafo II°: Servizio sociale e assistenza: corrispondente al Capo II del Titolo II: articoli da 118 a 120.

 

Parte ottava: Cassa delle ammende: corrispondente alla parte II: articoli da 121 a 130.

 

Parte nona: Disposizioni finali e transitorie: corrispondente alla Parte terza, articoli da 131 a 136.

 

Si dà atto che nel corpo dell'articolato sono state apportate alcune modifiche di carattere meramente formali suggerite dai Ministeri concertanti e dal Consiglio di Stato, sezione consultiva per gli atti normativi, nel parere reso nell'adunanza del 17 aprile 2000.


Parte prima

 

Principi direttivi
(Capo I del Titolo I: articoli da 1 a 5)

I primi cinque articoli del Regolamento, volti a rendere operanti i principi generali che costituiscono il nucleo dell'intera riforma penitenziaria, sono stati rivisti apportando alcune modifiche necessitate, soprattutto, dalla legislazione riformatrice che ha modificato apparati giuridici connessi all'Ordinamento penitenziario. Si fa riferimento soprattutto alla già ricordata legge 15/12/1990,n. 395 e ai relativi decreti di attuazione.
La normativa citata, in particolare, oltre ad istituire e disciplinare il Corpo di Polizia penitenziaria ha apportato numerose modifiche alla struttura stessa dell'Amministrazione Penitenziaria.
Anzitutto è stato istituito il Dipartimento dell'Amministrazione penitenziaria in luogo della Direzione Generale degli Istituti di Prevenzione e Pena (art. 30); in sede periferica, poi, sono scomparsi gli uffici dell'Ispettore distrettuale per far posto ai Provveditorati regionali, con il compito di attuare un vero e proprio decentramento su base regionale delle funzioni amministrative (art. 32); tutte le strutture periferiche dell'Amministrazione penitenziaria - provveditorati, istituti penitenziari e Centri di servizio sociale - sono state organizzate ed articolate in distinti settori operativi denominati "aree" la cui conduzione è stata affidata ad un responsabile. La creazione di queste aree ha comportato numerosi cambiamenti nell'assetto degli istituti e dei centri di servizio sociale e, di conseguenza, nell'intero Ordinamento penitenziario (art. 30 comma 4 lettera a) e b) della legge 395/90 ed artt. 4 e 13 del decreto legislativo 30 ottobre 1992, n. 444).
Non è intervenuta alcuna modifica dell'art.5, per il quale, pertanto, non si svolge alcuna considerazione.


Art. 1- Interventi di trattamento

 

Nel comma 2, si è ritenuto opportuno fare riferimento anche alle condizioni personali dei soggetti ed alle loro relazioni familiari e sociali, che possono essere di ostacolo ad una costruttiva partecipazione sociale.

 

Art. 2 - Sicurezza e rispetto delle regole

 

Con le modifiche operate nel comma 1, si è sottolineato che il mantenimento dell'ordine e della disciplina ha come scopo essenziale quello della realizzazione delle finalità trattamentali. Il mantenimento dell'ordine e della disciplina è quindi il mezzo che serve alla realizzazione dei fini propri della attività penitenziaria. Dal comma 1 viene anche un'altra indicazione: quella che la sicurezza degli istituti e il rispetto delle regole negli stessi sono mantenute da tutto il personale penitenziario, che, fornendo un servizio adeguato e corrispondente ai compiti di ciascuno, realizza una attività penitenziaria rispondente alle esigenze di tutti ed evita tensioni ed il sorgere stesso di quei problemi che richiederebbero, poi, interventi disciplinari.
Il comma 2 registra che il servizio di sicurezza e custodia è ora attuato dal Corpo di polizia penitenziaria, che, come detto, ha sostituito il disciolto Corpo degli agenti di custodia.


Art. 3 - Direzioni degli istituti penitenziari e dei centri di servizio sociale

 

Nel comma 1 è stato tolto l'inciso "diversi dalle case mandamentali" poiché attualmente, in virtù dell'art. 18 del decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 273, alla direzione delle case mandamentali è preposto il direttore dell'istituto penitenziario più vicino.
Nel comma 2 si identificano poteri e funzioni dei direttori degli istituti e dei centri di servizio sociale e il rapporto che gli stessi devono stabilire con i responsabili delle aree competenti ai singoli servizi, così come previsto dalla legge n. 395/90 e codificato dal decreto legislativo n. 444/92.
Vi è solo una modifica formale nel comma 3 (si usa la nuova denominazione di provveditore regionale in luogo di quella di ispettore distrettuale) e non si è conservata la norma transitoria contenuta nel comma 4.


Art. 4 - Integrazione e coordinamento degli interventi

 

La precisazione contenuta nella prima parte del comma 1 ribadisce il principio che tutti gli operatori penitenziari debbono partecipare alle funzioni trattamentali assegnate all'Amministrazione penitenziaria. Quindi, si ribadisce che, come il servizio adeguato di tutti è garanzia di sicurezza, così anche tutti gli operatori, compreso il personale di polizia penitenziaria, per l'adeguatezza del loro servizio, devono collaborare allo svolgimento delle attività trattamentali. Il comma 1 conserva anche, nella seconda proposizione, il testo vigente, che coglie anche la integrazione degli interventi del volontariato con quelli degli operatori professionali.
Nel comma 2, accanto alla integrazione e coordinamento, già previsti dal testo vigente, fra istituti e centri di servizio sociale dislocati nei singoli territori regionali, si prevede anche il coordinamento e le eventuali collaborazioni del sistema penitenziario di un dato territorio con le altre amministrazioni pubbliche che svolgono o possono essere stimolate a svolgere attività collegate a quella penitenziaria.

 

Parte seconda

 

Condizioni generali degli istituti
(Capo II del Titolo I: articoli da 6 a 21)

 

Paragrafo I- Strutture e regime di vita degli istituti (artt. da 6 a 16).

In questa parte del regolamento si sono individuati, attraverso le modifiche apportate, gli aspetti più significativi per rendere concreto il modello di istituto penitenziario disegnato dalla legge di riforma. Quello che tale legislazione intende escludere è un istituto penitenziario di mera segregazione, luogo di reclusione in camera dei singoli all'interno del luogo generale di detenzione. Per la legge di riforma è essenziale invece che vi siano locali di pernottamento, dove si sta la notte, e locali comuni per le varie attività che si devono svolgere durante il giorno. Questi locali devono rispettare le regole igieniche relative ai luoghi e alle persone e consentire di essere utilizzati secondo tali regole. In questo quadro, sono dettate regole in materia di corredo, di vestiario, di alimentazione. Si sottolinea anche la importanza che deve avere la fruizione di spazi aperti, esterni ai fabbricati, tali da potere consentire lo svolgimento, che è necessario, di attività fisica.
In sostanza, nel dare le indicazioni essenziali per un effettivo rispetto dell'Ordinamento penitenziario, si vuole anche contrastare una gestione degli istituti che possa consentire il prodursi degli effetti psicofisici negativi dello stato di detenzione nei confronti dei reclusi, effetti negativi che sono sempre stati segnalati e che si sono sempre voluti contrastare nei vari documenti messi a punto in sedi internazionali in materia di istituti di pena.
Tanto premesso, si possono dare alcune indicazioni generali per gruppi di articoli, salvo poi l'esame dettagliato delle modifiche apportate ai singoli articoli.
All'epoca della prima redazione della Riforma Penitenziaria non era stato possibile recepire integralmente le "regole minime" relative alle strutture penitenziarie. Tuttavia molti degli istituti di nuova costruzione sono stati successivamente realizzati secondo quanto indicato nelle varie "raccomandazioni" del Consiglio d'Europa. In particolare sono state prese in considerazione le Regole penitenziarie Europee, (Raccomandazione n. R (87) 3 adottate dal Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa il 12 febbraio 1987).
Attualmente, considerata anche la ristrutturazione di molte delle strutture preesistenti, è divenuto possibile - quindi doveroso - apportare alcune modifiche alla definizione normativa degli standard cui debbono essere adeguate le strutture detentive secondo le direttive europee.
Nelle Regole penitenziarie europee vengono determinate con particolare rigore le caratteristiche dei locali di detenzione e le norme igieniche cui debbono attenersi i detenuti, nella dichiarata convinzione che l'ambiente e le condizioni personali sono determinanti nei progetti trattamentali.
Le disposizioni contenute negli artt. n. 6, 7 e 8 sono cogenti per gli Istituti di nuova progettazione o costruzione e saranno, pertanto, operative al momento in cui si darà corso alla realizzazione degli stessi. Per gli istituti esistenti si provvederà alle modifiche dei locali detentivi ancora non adeguati a quanto prescritto, ma nei limiti delle disponibilità di bilancio volta per volta accertate. In proposito, una delle norme transitorie, comprese nella parte finale di questo regolamento, indica i tempi entro cui le modifiche vanno attuate e le condizioni minime da rispettare nel periodo intermedio.
Negli artt. 9 e 10 sono state apportate limitate modifiche, che saranno specificate in occasione dell'esame degli stessi.
Quanto agli articoli successivi, esaminati in questo paragrafo e concernenti in particolare il vitto, vi è da rilevare in generale che le regole penitenziarie europee raccomandano di porre la massima attenzione sulla alimentazione dei reclusi in considerazione del rilievo che la stessa ha nella qualità del regime di vita. Si deve, fra l'altro, tenere conto, oltre che delle esigenze dietetiche, anche di abitudini culturali e prescrizioni religiose della eterogenea popolazione detenuta attuale.
Si viene all'esame dettagliato dei singoli articoli.


Art. 6 - Condizioni igieniche e illuminazione dei locali

Sono aggiunti i primi quattro commi.
Il primo prescrive che i locali in cui si svolge la vita dei detenuti siano igienicamente adeguati.
Il secondo comma stabilisce che le finestre dei locali devono consentire il passaggio di aria e luce naturali, con abolizione delle schermature, in particolare di quelle denominate "bocche di lupo" e analoghe. L'uso eccezionale di schermature deve rispondere a dimostrate ragioni di sicurezza e le schermature stesse devono presentare determinate caratteristiche enunciate nel comma.
I commi 3 e 4 riguardano invece la luce artificiale, che le fonti della stessa possano essere gestite dai detenuti e dagli internati, compatibilmente con un adeguato regime di controlli.
Nel comma 7, si prevede che, laddove le condizioni lo consentono, sono organizzati reparti per coloro che non fumano.


Art. 7 - Servizi igienici

 

Venendo all'esame dell'art. 7, si può osservare che anche le innovazioni di questo articolo corrispondono ad un preciso dettato delle Regole Penitenziarie Europee (artt. 17 e 18) che, pur nella consapevolezza delle difficoltà che le amministrazioni penitenziarie dei vari Stati incontrano, raccomandano di rendere possibile ai detenuti una completa autonomia in relazione alle necessità fisiologiche ed alla pulizia. In particolare il Consiglio d'Europa ritiene che "il rispetto di queste regole deve essere assolutamente prioritario nei progetti di modernizzazione di tutte le amministrazioni penitenziarie", poiché riveste una importanza fondamentale per il rispetto della dignità umana.
Si è ritenuto necessario di inserire anche il bidet, in particolare nelle camere delle sezioni femminili. L'inserimento della doccia nell'ambito del vano dei servizi annesso alle singole camere presenta un indubbio vantaggio nella promozione dell'igiene individuale, indispensabile in comunità numerose e con le caratteristiche degli istituti di pena. Non vanno trascurati anche i vantaggi di gestione di questa modifica: si eliminano, infatti, i problemi e le tensioni connessi alle limitazioni all'accesso alle docce e alla difficoltà di soddisfare le esigenze di tutti in sezioni talvolta molto numerose. Si superano, infine, anche le difficoltà tecniche, manifestatesi molto frequentemente, circa la manutenzione dei locali doccia in stato di efficienza accettabile, quando l'uso collettivo degli stessi sia particolarmente intenso.


Art. 8 - Igiene personale

 

Circa le modifiche introdotte nell'art.8, viene stabilito, nel comma 1, il principio che l'obbligo di fare la doccia può essere imposto solo per motivi igienico-sanitari, rafforzando in tal modo il diritto all'autodeterminazione che sta alla base di qualunque progetto trattamentale: resta fermo ovviamente che, nella possibilità di utilizzare servizi igienici annessi alla propria camera, i detenuti e gli internati saranno sensibilizzati a gestire in modo adeguato igiene e pulizia personali. Nel comma 4 è stata eliminata la prescrizione che il rasoio elettrico sia autoalimentato in considerazione della minima quantità di energia elettrica necessaria per farlo funzionare, dei problemi ecologici connessi allo smaltimento delle pile ed infine del numero esiguo dei detenuti che fanno uso di rasoi elettrici.
Nell'ultimo comma si stabilisce che nel regolamento interno sono stabiliti anche i tempi dell'erogazione dell'acqua calda per consentire agli istituti di adeguare questo servizio alle potenzialità energetiche degli impianti: la distribuzione a turno nei vari reparti durante il giorno (ogni giorno) potrà impedire eventuali sovraccarichi.


Art. 9 - Vestiario e corredo

 

Nessuna sostanziale modifica è stata apportata alle norme che riguardano il vestiario ed il corredo forniti dall'Amministrazione o di proprietà personale dei detenuti, ad eccezione della soppressione del comma 6 dell'art. 9, che non fa che ripetere la disposizione del comma 3 dell'art.7 della legge e che risulta, pertanto, superfluo.


Art. 10 - Corredo e oggetti di proprietà personale

 

Il comma 2 dell'art.10 impegna gli istituti a dotarsi di un servizio di lavanderia. E' questa l'unica modifica apportata al testo vigente.
L'organizzazione di un servizio di lavanderia risponde ad una concreta, comprensibile esigenza dei detenuti, ma garantisce, anche, la diminuzione dei pacchi in entrata ed in uscita dagli istituti con conseguente economia nell'utilizzazione del personale di Polizia penitenziaria adibito ai relativi controlli. Tale servizio potrà essere agevolmente gestito, come avviene là dove esiste, con il lavoro dei detenuti, i quali, d'altronde, potranno anche utilizzare il servizio per il vestiario e il corredo di loro proprietà: ovviamente a proprie spese. Le direzioni che utilizzano attualmente servizi di lavanderia esterni dovrebbero realizzare un risparmio.


Art. 11 - Vitto giornaliero

 

La modifica del testo vigente consiste nell'aggiunta di un comma, il n.4.
Il comma 4 è stato introdotto per consentire di aggiornare periodicamente le tabelle vittuarie, tenendo conto dei progressi delle scienze alimentari e nutrizionali e recependo le possibili variazioni della produzione alimentare. L'aggiornamento può avvenire anche prima della scadenza del periodo indicato nella norma se si manifestano situazioni che lo richiedano.
Nell'ultima parte del comma si raccomanda, laddove possibile, il rispetto delle prescrizioni alimentari delle varie fedi religiose.


Art. 12 - Controllo sul trattamento alimentare e sui prezzi dei generi venduti nell'istituto

 

Due modifiche: al comma 4 e al comma 6


Al comma 4, si è ritenuto opportuna la precisazione che il "permesso" di assentarsi dal lavoro o dalla scuola non comporti variazione della retribuzione o del sussidio scolastico, poiché la riduzione di tali emolumenti aveva portato a continue defezioni, vanificando l'operatività della rappresentanza dei detenuti nel controllo del vitto.
Il comma 6 è stato modificata nel senso di dare la facoltà alle direzioni di richiedere i prezzi esterni correnti dei generi in vendita all'interno agli esercizi della grande distribuzione più vicini all'istituto. Le indicazioni comunali erano spesso insufficienti e non aggiornate.


Art. 13 - Locali per la confezione e la somministrazione del vitto. Uso di fornelli

 

L'articolo è ampiamente rielaborato, ma alcune delle modifiche cercano di dare concretezza a indicazioni già contenute nel testo vigente.


Lo scopo essenziale è quello di avere un vitto migliore ed una migliore distribuzione dello stesso. E' pacifico che le cucine presenti in molti istituti per la somministrazione del vitto a varie centinaia di detenuti con lunghi tempi di distribuzione portano ad un prodotto che non viene di fatto consumato da chi può permettersi, e ne ha la facoltà, di cucinare in cella con fornelli personali. Ma questo è uno spreco per l'amministrazione e una spesa in più per il detenuto.
La indicazione fondamentale, contenuta nel comma 1, è quella di avere cucine che non servano più di 200 detenuti: se l'istituto ha capienza maggiore, dovrà avere più cucine. Il vitto è inoltre distribuito in locali comuni, che dovrebbero essere collegati con la cucina per rendere più celere la distribuzione. Il servizio di cucina è svolto dai reclusi, per i quali vengono costantemente svolti corsi di formazione professionale. Questo risulta dai commi 1, 2 e 3.
Il comma 4 consente l'uso di fornelli personali alimentati dalla rete elettrica, il cui uso sarà però limitato. Il confezionamento del vitto in cella viene così ad essere ridimensionato, con notevole vantaggio dell'igiene nella conservazione dei generi alimentari, che erano tenuti in cella in spazi inidonei a questo scopo.

Art. 14 - Ricezione, acquisto e possesso di oggetti e di generi alimentari

 

Le modifiche di questo articolo sono numerose, ma non modificano l'impianto della norma.
Al comma 1, si danno indicazioni per la impostazione della normativa interna.
Al comma 2, la previsioni di limitazioni al regime ordinario, riservate però a situazioni di maggiore sorveglianza.
Al comma 3, si regola l'uso delle bevande alcooliche, stabilendo che il consumo delle stesse avvenga durante i pasti nei locali comuni, con lo scopo di evitare i traffici interni e le negative ricadute su persone con problemi di alcoolismo, prevedendo addirittura la preclusione dell'acquisto e del consumo di tali bevande per singoli o gruppi.
Le modifiche dei commi 4 e 6, hanno lo scopo di rendere più omogenee le prassi operative dei vari istituti.
Nel comma 10 viene disciplinata a livello regolamentare una disposizione da tempo emanata con circolare ministeriale.


Art. 15 - Cessioni fra detenuti e internati

 

La modifica del comma 1 vuole consentire una applicazione razionale del divieto di cessione, limitandolo ai soli oggetti di valore. Il testo vigente poteva favorire applicazioni fiscali, che disconoscevano la situazione reale di una comunità, nella quale, il passaggio di oggetti usuali non di valore fa parte della normalità dei rapporti e non c'è alcuna ragione di impedirlo. Si tratta di vietare soltanto le situazioni patologiche, come i traffici illeciti fra detenuti, che non si alimentano certo con passaggi di cose che non abbiano un valore apprezzabile.
Sempre in questo quadro, anche il passaggio fra appartenenti allo stesso nucleo familiare di somme risultanti dal peculio rappresenta un movimento del tutto naturale e accettabile, che non c'è ragione di vietare. Lo stesso serve anzi a rafforzare solidarietà familiari e a migliorare le relazioni del nucleo di appartenenza.

 

Art. 16- Utilizzazione degli spazi all'aperto

 

Le modifiche apportate al testo vigente hanno la loro spiegazione nella parte finale del comma 3: contenere gli effetti negativi della restrizione fisica delle persone in un ambiente chiuso. Devono, quindi, esistere ed essere effettivamente utilizzati gli spazi per lo svolgimento di attività fisica, fruibili anche per attività sportive, ricreative e culturali. Tali spazi devono essere tali da evitare ricadute negative sul piano psicofisico. Di qui il coinvolgimento dei servizi sanitario e psicologico nella indicazione delle più adeguate soluzioni strutturali e di gestione.

 

Paragrafo II - Assistenza sanitaria in generale e per particolari gruppi di persone.
Il servizio di biblioteca (artt. da 17 a 21).

Le modifiche apportate sono rivolte alla definizione di interventi che rispettino il diritto costituzionale alla salute delle persone detenute e internate. A tal fine occorre, da un lato, un'attività di prevenzione sulle cause di rischio sotto questo profilo, e, dall'altro lato, un servizio sanitario organizzato e adeguato per la cura delle patologie ordinarie e straordinarie. Si ribadisce l'esigenza di un sistema integrato e fra gli istituti e fra questi e i servizi sanitari esterni. A questi punti generali di impostazione è dedicato l'art.17.
L'art.18 riguarda una particolare categoria di detenute e internate, le gestanti e le puerpere ed in genere le madri che possono tenere e tengono con sé i figli. Analoga attenzione è riservata dall'art.20 ad un altro gruppo di detenuti: gli infermi e i seminfermi di mente.
L'art.19 dà invece indicazioni sulla parte economica concernente l'erogazione delle prestazioni sanitarie.
Si inserisce in questo paragrafo anche l'esame del servizio di biblioteca, di cui all'art.21, articolo finale del capo II.


Art. 17 - Assistenza sanitaria - Art. 18 - Spese per prestazioni sanitarie

 

La riscrittura degli artt. 17 e 19 del regolamento di esecuzione trova la propria ratio nell'entrata in vigore di alcune disposizioni di carattere immediatamente precettivo del recente decreto legislativo 22 giugno 1999, n. 230, regolante i rapporti tra l'Amministrazione penitenziaria e gli organi del servizio sanitario nazionale in materia di assistenza sanitaria alle persone detenute ed internate.
La materia dell'assistenza sanitaria è attualmente compiutamente regolata dall'art. 1 del citato decreto legislativo.
La materia della programmazione e dell'organizzazione dei servizi sanitari penitenziari è attribuita alla competenza degli organismi sanitari nazionale e regionali; all'amministrazione penitenziaria sono lasciati poteri concorrenti in sede di redazione del progetto obiettivo per la tutela della salute in ambito penitenziario, nonché poteri di controllo sul funzionamento dei servizi sanitari; residuano altresì in capo ai Provveditori regionali compiti consultivi in sede di redazione dei piani sanitari regionali.
Si è ritenuto di estendere la possibilità di far ricorso a proprie spese a prestazioni sanitarie - attualmente limitate alle cure mediche e chirurgiche - da parte di personale sanitario non penitenziario, anche a quei trattamenti terapeutici (di riabilitazione motoria o funzionale, di ortodonzia, …) attualmente non consentiti ma che la prassi corrente indica come di frequente richiesta da parte della popolazione penitenziaria.
Si è modificato il penultimo comma dell'art. 17 sul punto relativo alla indicazione dell'autorità che procede in quanto il combinato disposto degli artt.11 op e 240 disp. att. cpp rende oggi superflua - o addirittura fuorviante - qualunque ulteriore indicazione.


All'art. 19 si è ribadita - a scopo rafforzativo - l'affermazione del sesto comma dell'art. 1 del decreto legislativo


Si è altresì ritenuto di estendere agli apolidi ed alle persone senza fissa dimora le previsioni che attualmente il comma 5 dell'art. 1 del decreto legislativo riserva agli stranieri in materia di iscrizione temporanea al servizio sanitario nazionale.


Art. 19- Assistenza particolare alle gestanti e alle madri con bambini. Asili nido

 

Le modifiche apportate riguardano alcuni punti essenziali.
Il primo, al comma 1, è quello che il parto deve essere preferibilmente effettuato in luogo esterno di cura.
Il secondo, al comma 4, è che, fra gli operatori impegnati nei vari servizi, devono essere considerati anche i puericultori (professionalità, questa, che non rientrava fra quelle previste dalla Amministrazione penitenziaria), indispensabili per la gestione degli asili nido.
Il terzo punto, al comma 5, riguarda l'accoglienza in carcere delle madri che hanno con sé i figli fino a tre anni. Come prima indicazione si dà quella della creazione, di regola, di appositi reparti di ostetricia e di asilo nido. Viene stabilito che, comunque, là dove con la madre c'è il bambino, le camere non debbono essere chiuse e non devono pertanto limitare le possibilità di movimento dei piccoli. Inoltre, al comma 6, si prevede che ai bambini siano assicurati servizi adeguati all'interno e anche all'esterno, in particolare con l'intervento dei servizi territoriali e del volontariato, così confermando e generalizzando prassi applicative già in essere presso alcuni istituti.


Art. 20 - Disposizioni particolari per gli infermi e i seminfermi di mente

 

Sono stati aggiunti due commi: il primo all'inizio e l'altro alla fine dell'articolo.
Il comma 1 interviene in due direzioni, che risentono della diversa impostazione tra l'intervento psichiatrico di oggi e quello dell'epoca in cui il regolamento fu redatto (prima della riforma della assistenza psichiatrica di cui alla legge180/78).
La prima direzione è quella del rapporto delle persone con l'esterno e, in particolare, con la famiglia. Tale rapporto non va precluso, ma favorito, pur con le debite cautele: rendere difficile tale rapporto può significare un rafforzamento dell'effetto di isolamento che il carcere produce e un'ulteriore indebolimento delle relazioni con la famiglia, che certamente non aiutano il malato a superare o comunque a convivere con la sua patologia.
La seconda direzione riguarda il tipo di intervento da attuare nell'istituto: anche qui non deve essere la segregazione e l'isolamento la via da seguire, ma, all'opposto, la ricerca di una intensificazione delle attività trattamentali: non l'abbandono, ma una maggior cura nei confronti di questi soggetti problematici.
Sempre al comma 1, si prevede il coinvolgimento del servizio sanitario pubblico competente, con il fine di determinare la presa in carico del soggetto da parte di questo, sia durante lo stato di detenzione, sia all'esito dello stesso.
Al comma 9, invece, si fa riferimento al caso di soggetti "multiproblematici", con problemi di tossicodipendenza e psichiatrici, prevedendo la collaborazione dei servizi relativi ai distinti problemi.


Art. 21 - Servizio di biblioteca

 

Le modifiche apportate al testo vigente sono limitate, ma significative.
Al comma 3, risolvendo i problemi posti dal testo vigente, si chiarisce che anche la attività svolta da detenuti o internati in biblioteca può essere attività lavorativa regolarmente retribuita.
Con il comma 5, aggiunto, si è voluta individuare la biblioteca anche come sede di lettura, di studio e eventualmente di discussione, prevedendo che sia attrezzata, presso la stessa, una sala cui possono accedere i detenuti o internati.


Parte terza

 

Ingresso in istittuto e modalità di trattamento

 

(Capo III del Titolo I: articoli da 22 a 68)

Paragrafo I - Ingresso in istituto (artt. da 22 a 26).

 

L'ingresso in un istituto di pena può essere una delle fasi più traumatiche del rapporto della persona con la istituzione nella quale viene inserito e privato della libertà. Con le modifiche di questa parte del regolamento vengono rafforzate le cautele volte a contenere e controllare le reazioni della persona.
Nell'art.22, la modifica apportata riguarda l'isolamento giudiziario.
Nell'art.23, le modifiche interessano gli interventi possibili di chiarimento e di sostegno del soggetto in questo particolare momento.
Gli articoli 24 (con una modesta modifica) e 25 (non modificato) concernono gli aspetti più propriamente burocratici delle operazioni che accompagnano l'ingresso in istituto. All'atto di questo viene anche istituita la cartella personale, prevista dall'art.26, che presenta una sola e limitata modifica.


Art. 22 - Ammissione in istituto

 

L'art.68 riguarda le varie forme di isolamento del detenuto o internato. Non si occupa però dell'isolamento giudiziario di cui si interessa, invece, la norma in esame, con riferimento alla previsione dell'art.33, n.3, della legge.
Il comma 5 del testo vigente già richiamava le indicazioni della disposizione della legge ora ricordata: l'isolamento è disposto con provvedimento esplicito dell'autorità giudiziaria, nel quale devono essere precisate le modalità, i limiti e la durata dell'isolamento medesimo. L'obbligo della autorità giudiziaria di procedere, come già indicato nel comma 5, viene rafforzato con l'inserimento di un nuovo comma, il n.6, nel quale si dispone che, in caso di mancata indicazione nel provvedimento dei dati prescritti, la direzione richiede alla autorità giudiziaria le integrazioni necessarie. Nella seconda e ultima proposizione del nuovo comma 6 si fa anche carico alla direzione di segnalare, sempre alla autorità giudiziaria, l'eventuale insorgenza di stati di sofferenza psicofisica della persona.


Art. 23 - Modalità dell'ingresso in istituto

 

Una prima modifica del testo vigente è apportata al comma 2, che fa carico alla direzione di segnalare alle autorità giudiziarie competenti le condizioni fisiche della persona entrata in istituto che potrebbero comportare l'obbligo o la facoltà delle stesse autorità giudiziarie di rimettere la medesima in libertà (si tratta delle situazioni di gravidanza e puerperio o di grave infermità fisica). Le modifiche apportate riguardano: la estensione di queste disposizioni, limitate nel testo vigente ai condannati, anche agli imputati (per i primi, si deve verificare l'applicabilità degli artt.146 e 147, comma 1, nn.2) e 3) del codice penale; per i secondi dell'art.275, comma 4, del codice di procedura penale); e la comunicazione, per i condannati, oltre che al tribunale di sorveglianza, anche al magistrato di sorveglianza, che, in caso di urgenza e se siano applicabili le norme citate del codice penale, può provvedere in via provvisoria ai sensi dell'art.684, comma 2, del codice di procedura penale.
Il comma 3 è del tutto nuovo e prevede che la persona, al suo ingresso in istituto, sia esaminata da un esperto dell'osservazione e trattamento. Nella prassi degli istituti di maggiori dimensioni esisteva il c.d. "servizio nuovi giunti", che qui viene regolato in modo organico e generale. L'esito del colloquio fra il "nuovo giunto" e l'esperto viene comunicato a tutti gli operatori per gli interventi opportuni e, in particolare, agli operatori della osservazione e trattamento perché all'iniziale contatto con l'esperto faccia seguito una vera e propria presa in carico da parte del servizio. Sono segnalati, in specie, anche alle autorità giudiziarie interessate, gli eventuali aspetti di rischio che la situazione della persona presenta. Se questa ha problemi di tossicodipendenza, va segnalata al servizio tossicodipendenze operante all'interno dell'istituto.
Il comma 5 del nuovo testo, integra il comma 4 di quello vigente, e prevede che i chiarimenti degli operatori, relativi alla normativa penitenziaria, siano completati con la indicazione della ammissibilità o meno alle misure alternative alla detenzione e agli altri benefici penitenziari.


Art. 24 - Iscrizioni a registro

 

Nel comma 2, in conformità dell'art. 230 del D. Lgs. n. 51/1998, si prevede che il registro delle istanze, impugnazioni e dichiarazioni dei detenuti e internati venga vidimato dal Direttore dell'istituto.
Una modesta modifica riguarda il comma 4 sulle modalità di comunicazione urgente delle istanze, impugnazioni e dichiarazioni dei detenuti e internati: la evoluzione tecnica nella comunicazione di atti ha consigliato di utilizzare una formulazione più generica, che rinvia al mezzo di comunicazione più rapido.


Art. 26 - Cartella personale

 

Al comma 3, la modifica è rappresentata da una precisazione che è apparso utile fare: quella di annotare non solo le sanzioni disciplinari, ma anche la sospensione delle stesse, quando venga disposta ai sensi art. 75 di questo regolamento (il che generalmente avviene), nonché l'esito di tale sospensione ai sensi della stessa norma (il che generalmente non avviene).


Paragrafo II - Osservazione della personalità, programma di trattamento, assegnazioni dei detenuti e internati e regolamento interno (artt. da 27 a 36).

Osservazione della personalità e conseguente definizione e individualizzazione del programma di trattamento e successiva attuazione di questo in parallelo con il procedere della osservazione, tutte queste rappresentano le operazioni centrali del sistema delineato dalla legge sull'Ordinamento penitenziario. Si tratta di previsioni della legge, sulle quali il regolamento di esecuzione non può dire molto più di quanto già non dica il testo vigente. Il problema qui non è rappresentato dalla normativa, ma dalla sua applicazione, ancora incompleta per le povertà organizzative attuali della amministrazione penitenziaria.
Alcune modifiche sono state, comunque, operate.
Si è intervenuti, nell'art.27, comma 1, su un particolare aspetto della osservazione e, nel comma 4, aggiunto, sulla continuità e unitarietà della stessa nei vari istituti in cui le persone sono assegnate durante la esecuzione. Si è pure intervenuti, nell'art. 29, in un nuovo comma iniziale, sul contenuto del programma di trattamento. Nell'art. 30, ci si è limitati ad una migliore scrittura del comma 5. Nell'art.32, si è ridisegnata la casistica dei raggruppamenti di detenuti per motivi cautelari, sottolineando anche la necessità di verificare nel tempo la permanenza delle situazioni di rischio.
Nell'art. 33, si sono date nuove indicazioni sul rapporto fra istituto e operatori e detenuti stranieri. Modeste modifiche sono state anche apportate all'art. 36, che riguarda il regolamento interno.
Restano immodificati gli artt. 28, 31, 32-bis e 32-ter., che assumono la nuova numerazione di 33 e 34.

 

Art. 27 - Osservazione della personalità

 

La prima modifica riguarda il comma 1, cui è stato aggiunta, in fine, una nuova proposizione, che include nella osservazione anche una riflessione sulle condotte antigiuridiche poste in essere, sulle motivazioni e le conseguenze delle stesse, sia nei confronti dei terzi che dello stesso interessato, nonché sulle possibili azioni riparatorie. Questo non significa ovviamente che il soggetto osservato debba riconoscere necessariamente le proprie responsabilità, ma pone comunque la riflessione sui fatti come uno dei momenti della osservazione da non mettere fra parentesi. Si tratta di un elemento di chiarezza nei rapporti fra gli operatori e la persona, che dovrebbe rappresentare una delle chiavi di lettura della vicenda del condannato e del percorso più utile da seguire per superarla.
L'altra modifica è rappresentata dall'aggiunta di un nuovo comma, il n. 4. Tale modifica potrebbe apparire superflua, ma non lo è. E' chiaro che gli istituti penitenziari rappresentano un sistema unitario, nel quale le acquisizioni dei singoli istituti devono circolare ed essere conosciute dagli altri. Se la persona detenuta o internata viene trasferita, non si azzerano le notizie raccolte in precedenza e i dati già acquisiti nel corso della osservazione e trattamento. Tali dati rappresentano la base del lavoro ulteriore, svolto presso il nuovo istituto. Il che, nel concreto, significa che possono essere confermate, se non vi siano specifici elementi in contrario, le valutazioni e gli interventi favorevoli operati in precedenza, senza ricominciare da capo l'osservazione già svolta altrove. Data la diversità di prassi degli istituti in proposito, è apparso utile un esplicito richiamo ai principi della continuità e unitarietà della osservazione e del trattamento durante l'intero percorso penitenziario dell'interessato.


Art. 29 - Programma individualizzato di trattamento

 

E' aggiunto un nuovo comma 1 per ribadire, in primo luogo, che il programma di trattamento deve essere specificamente riferito al singolo individuo, dato che, nella prassi operativa, è troppo spesso generico, quindi inidoneo a fornire valide linee-guida mirate al recupero sociale del condannato. Il riferimento alle norme citate nel nuovo comma accentua, inoltre, gli aspetti del programma di trattamento che disegnano il percorso di riabilitazione del condannato e lo finalizzano al suo reinserimento sociale, rafforzando, anche in tal modo, la dimensione strettamente individuale entro cui il programma deve muoversi..
Art. 30 - Assegnazione dei detenuti e degli internati agli istituti.

Come accennato in precedenza, vi è la sola riscrittura del comma 5, nel quale, più chiaramente, si chiariscono le rispettive competenze degli organi centrali e dei provveditorati regionali della amministrazione penitenziaria in materia di assegnazioni di detenuti e internati.


Art. 31 - Raggruppamento delle sezioni

 

E' stata apportata una sola modifica, di carattere formale, costituita dalla sostituzione dell'espressione "custodia preventiva" con "custodia cautelare".


Art. 32 - Assegnazione e raggruppamento per motivi cautelari

 

Le modifiche apportate sono due. Da un lato, si sottolinea la esigenza di verificare la permanenza dei motivi di cautela, che determinano l'assegnazione di detenuti e internati in istituti o sezioni apposite. Dall'altro lato, si chiarisce che tali separazioni cautelari sono da operare sia per quei detenuti o internati che rappresentano un rischio per gli altri, sia per quelli a rischio di aggressione da parte di altri (come i detenuti per particolari reati e coloro che sono sospettati da altri detenuti di determinati comportamenti processuali): rilevano, quindi, le situazioni di rischio attivo e quelle di rischio passivo.


Art. 35 - Detenuti e internati stranieri

 

Il problema dei detenuti stranieri, che, all'epoca della emanazione della legge e del regolamento di esecuzione, era di minime dimensioni, è divenuto oggi estremamente rilevante.
Per garantire un livello minimo di comprensione ed interazione tra l'amministrazione penitenziaria e persone che provengono dalle più remote località della terra, è indispensabile avvalersi di mediatori culturali, più che di semplici interpreti. Tale intervento professionale è utile anche per potere disporre interventi trattamentali spendibili nei paesi d'origine (come quelli che comportino una crescita culturale e professionale della persona), paesi verso i quali, in molti casi, i detenuti stranieri saranno espulsi al termine della esecuzione della pena. Questo il significato del comma 2, aggiunto all'unico esistente nel testo vigente.

Art. 36 - Regolamento interno

 

Si tratta di una materia che, sia con riferimento alle previsioni della legge sia con riferimento a quelle del regolamento, ha trovato scarsa applicazione, poiché pochissimi istituti hanno provveduto a redigere i regolamenti interni. Ciò è avvenuto, in buona parte, perché le già ricordate e tuttora esistenti povertà organizzative dell'amministrazione penitenziaria hanno comportato in quasi tutti gli istituti una insufficienza di strumenti trattamentali e la conseguente generalizzazione di un trattamento uniforme, ai minimi termini.
Di qui un richiamo a utilizzare il regolamento interno proprio per realizzare modalità trattamentali diverse nei vari istituti, secondo le indicazioni dell'art.14 della legge e per rendere operative proposte trattamentali diverse nel quadro di programmi di trattamento diversi ed individualizzati. Occorrerà naturalmente che sia fatto ogni sforzo da parte dei singoli istituti perché si crei quel ventaglio di proposte trattamentali, che sono la condizione perché il regolamento di istituto abbia senso e possa funzionare.


Paragrafo III - Colloqui e corrispondenza. Uso di radio e altri strumenti (artt. da 37 a 40).

In tema di colloqui, corrispondenza epistolare e telefonica e di uso di strumenti di svago, di lavoro e di informazione, sono state apportate quelle modifiche che la prassi ha evidenziato come possibili e che si ritengono opportune tenuto conto della loro valenza trattamentale; in ogni caso sono state rispettate le esigenze di sicurezza consentendo deroghe al favor accordato a tali settori.
La sostanza delle nuove concessioni è rappresentata dalla considerazione che un più frequente e intenso contatto dei reclusi con le persone di riferimento all'esterno, particolarmente i familiari, può avere soltanto effetti positivi: il rafforzamento o almeno il contrasto all'indebolimento delle relazioni con la famiglia, il contenimento dell'effetto di isolamento della persona prodotto dalla reclusione, la riduzione delle tensioni dei detenuti e internati all'interno degli istituti.
Per i colloqui, le modifiche dell'art.37, riguardano la frequenza e le modalità, nonché la ammissibilità di deroghe migliorative in particolari situazioni.
Per la corrispondenza epistolare e telegrafica, all'art. 38, è stata apportata una importante innovazione.
All'art. 39, che riguarda la corrispondenza telefonica, è aumentata la frequenza, la durata massima della comunicazione e viene meno la sussidiarietà della telefonata alla mancata effettuazione del colloquio.
Nuove previsioni anche all'art. 40 per ammettere la utilizzazione da parte delle persone recluse di nuovi strumenti di informazione e lavoro.


Art. 37 - Colloqui

 

Nel comma 1 è stato soppresso l'obbligo di comunicare all'ispettore distrettuale ovvero al provveditore - secondo l'attuale dizione - l'elencazione della concessione di colloqui con persone diverse dai congiunti e conviventi, attesa la sostanziale inutilità di tale comunicazione e considerato che la concessione resta documentata negli atti dell'istituto.
Il comma 5 modifica le modalità di fruizione dei colloqui, stabilendo che i colloqui avvengano in locali muniti di mezzi divisori soltanto per ragioni sanitarie o di sicurezza mentre di regola possono essere effettuati in locali interni o in appositi spazi all'aperto. Si noti che la possibilità di colloqui con queste modalità era già presente nell'ordinamento vigente. La modifica consiste nella inversione della regola: le modalità ordinarie non implicano l'uso di mezzi divisori, che, però, dovranno essere utilizzati se, come detto, vi siano ragioni sanitarie o di sicurezza.
Nel comma 8 viene aumentato a sei il numero di colloqui ordinari, assorbendo, in tal modo, quelli che erano considerati premiali. Nel comma successivo, poi, la concessione di ulteriori colloqui viene correlata oltre che alle gravi infermità del detenuto o internato, anche a circostanze personali e familiari rilevanti, in particolare se il colloquio si svolge con figli di età inferiore a 10 anni. Vengono però esclusi dall'aumento del numero dei colloqui i detenuti e internati per i reati previsti nel primo periodo del comma 1 dell'articolo 4-bis della legge, vale a dire quelli più pericolosi, per i quali sono esclusi numerosi altri benefici. Il comma 13 tende a garantire ai detenuti e internati lavoranti la possibilità di fruire di regolari colloqui.
Infine, si è ritenuto inutile ripetere quanto la legge stabilisce nell'art. 18-bis, poiché i colloqui investigativi hanno una ratio del tutto diversa da quelli in esame.


Art. 38 - Corrispondenza epistolare e telegrafica

 

Nel comma 1, viene prevista la possibilità che i detenuti e gli internati ricevano la corrispondenza anche mediante fax.


Art. 39 - Corrispondenza telefonica

 

La ridotta frequenza e la durata della corrispondenza telefonica come determinate nella prima stesura di questo regolamento non hanno più ragione di sussistere, attesa l'esperienza positiva di questi anni e considerato che, ormai, tutti gli istituti di pena sono dotati di adeguati apparati telefonici. E' possibile, quindi, aumentare la durata massima delle telefonate e disporne la cadenza settimanale anche a prescindere dai colloqui effettuati. Anche qui si conferma, però, una limitazione per i detenuti per i delitti più gravi. Anche per la corrispondenza telefonica, si prevede la possibilità che essa venga concessa oltre i normali limiti, quando si svolge con figli di età inferiore agli anni 10.
Al fine di snellire la procedura, si dispone che l'autorizzazione concessa sia valida fino a che non intervenga una apposita revoca.
Di grande rilievo, soprattutto pratico, sono poi le disposizioni contenute nei commi 8 (possibilità di telefonare con scheda telefonica prepagata) e 10 (telefonate tra congiunti o conviventi detenuti o internati).


Art. 40 - Uso di apparecchi radio e altri strumenti

 

Senza aggravare il bilancio dell'Amministrazione, si è ritenuto di dover togliere l'obbligo della autoalimentazione degli apparecchi radio. Considerato il rilevante numero delle pile consumate, da smaltire con procedimenti assai costosi, si ritiene che questa scelta corrisponda ad esigenze ecologiche e anche economiche rilevanti.
L'autorizzazione ad utilizzare anche in cella un personal computer portatile, quando, e solo quando, siano presenti motivi di lavoro e di studio, corrisponde ad una situazione di fatto frequente negli istituti penitenziari e garantisce la disponibilità di uno strumento divenuto indispensabile per molti. Si tenga conto, fra l'altro, che i corsi di formazione professionale informatica sono fra i più diffusi negli istituti.


Paragrafo IV - Istruzione e formazione professionale (artt. da 41 a 46).

Con questo paragrafo si entra nella parte del regolamento che riguarda gli elementi del trattamento come indicati dall'art.15, comma 1, della legge. E' una parte di estrema rilevanza nel modello di istituto penitenziario che la legge ha disegnato. Se il concetto portante della legge è quello della realizzazione della individualizzazione del trattamento nei confronti delle persone recluse, la effettiva disponibilità degli strumenti trattamentali è indispensabile. La situazione penitenziaria reale, come già accennato, risente di molte povertà organizzative, cui si dovrebbe ovviare con la normativa di riordino della amministrazione: il risultato di quella povertà è però la grave insufficienza degli strumenti trattamentali e, in sostanza, l'adeguamento a tale insufficienza nelle prassi operative e nei sistemi organizzativi che le sostengono: così la inattività e le lunghe permanenza in cella dei detenuti sono divenute la regola. Se è pacifico che occorrono nuove risorse organizzative per fare funzionare gli istituti come devono secondo la legge, è vero però che vanno sottolineate le regole di tale funzionamento per contrastare le dinamiche prodotte da un lungo periodo di disapplicazione di fatto della legge. Di qui una serie di indicazioni che attivano i percorsi necessari perché le situazioni di inerzia e di inattività delle persone recluse siano superate.
Il presente paragrafo concerne la istruzione nella sua accezione (v. art.19, comma 1, della legge) di formazione culturale e professionale. Le modifiche apportate riguardano tutti gli articoli dal 41 al 46 e sono caratterizzati da un costante richiamo alla incentivazione delle proposte trattamentali per questo settore e alla indicazione degli interventi utili per realizzarla.
L'art. 41 è dedicato ai corsi della scuola dell'obbligo e dà indicazione per la generalizzazione degli stessi, tenendo conto che la situazione detentiva può essere l'occasione per il superamento di una inferiorità conseguente alla pregressa violazione di un obbligo.
L'art. 42 concerne i corsi di formazione professionale, con lo stesso fine di allargamento di queste esperienze.
Negli artt. 43 e 44 indicazioni analoghe vengono per i corsi di istruzione secondaria successivi alla scuola dell'obbligo e per gli studi universitari.
Modifiche sono operate anche negli artt. 45 e 46, sulle quali ci si soffermerà in occasione dell'esame specifico di tali norme.

 

Art. 41 - Corsi di istruzione a livello della scuola d'obbligo

 

Nel comma 1 si prevede un protocollo di intesa fra Ministero della pubblica istruzione e Ministero della giustizia per la attivazione, lo svolgimento e il coordinamento dei corsi scolastici in questione. Tale protocollo dovrebbe essere prevalentemente la fonte per la attuazione dei corsi stessi, fonte particolarmente utile nei casi in cui non funzioni o non funzioni bene il rapporto fra gli organi locali dei due ministeri.
Significativo il comma 4, che fa carico alle direzioni di favorire la partecipazione ai corsi, di organizzarli in orari compatibili con lo svolgimento di altre attività trattamentali (particolarmente di lavoro) e di evitare trasferimenti che possano interrompere la frequenza dei corsi da parte degli iscritti.
Con il comma 6, si prevede l'istituzione, in ciascun istituto penitenziario, di una Commissione didattica avente il compito di formulare un progetto annuale o pluriennale di istruzione, realizzando così una integrazione tra la direzione dell'istituto e il corpo insegnante.


Art. 42 - Corsi di formazione professionale

 

Nel comma 1 si dispone che i provveditori regionali programmino, con la collaborazione degli enti locali, i corsi di formazione professionale, che saranno poi attuati dagli enti territoriali competenti. I corsi saranno programmati tenendo conto delle esigenze della popolazione detenuta. Richiamata la previsione dell'ultimo comma dell'art.21 della legge, si sottolinea, nello stesso comma 1, che i corsi si potranno svolgere, in tutto o in parte, con particolare riferimento per le esercitazioni pratiche, all'esterno degli istituti.
Il comma 2 richiama anche per i corsi di formazione professionale le stesse indicazioni date dall'art.41 per i corsi scolastici al fine di favorire la partecipazione agli stessi e di evitare la interruzione della medesima.
Anche per i corsi di formazione professionale, si prevede, nel comma 6, una Commissione didattica.

 

Art. 43 - Corsi di istruzione secondaria superiore

 

Nel comma 1 si prevede che, utilizzando il protocollo di intesa fra i due ministeri di cui al comma 1 dell'art.41, sia incentivata la istituzione dei corsi in questione, assicurandone la presenza di almeno uno in ogni regione.
Il comma 3 richiama le disposizioni dell'art.41, già commentate, per incentivare la partecipazione ai corsi e per non interromperla, nonché per recepire le disposizioni in materia di Commissione didattica.
Il comma 4 prevede che, al di fuori dei corsi di studio regolari, possano essere organizzati, come è già avvenuto in alcuni istituti, corsi di studio con intervento di personale volontario qualificato, con la finalità di preparare i partecipanti a sostenere annualmente gli esami previsti per i corsi di studio seguiti.
Il comma 6 regola il rapporto fra la attività di studio e quella di lavoro.

 

Art. 44 - Studi universitari

 

Il comma 4, aggiunto al testo vigente dell'articolo, dà disposizioni sulla sistemazione degli studenti universitari. Si ipotizza, al di là delle sistemazioni individuali, la creazione di reparti appositi. Questi, fra l'altro, potrebbero favorire un contatto sistematico con i docenti all'interno degli istituti, come sta avvenendo in alcune realtà penitenziarie con progetti sperimentali.


Art. 45 - Benefici economici per gli studenti

 

Le modifiche apportate sono finalizzate ad agevolare la partecipazione degli studenti alle attività di studio, senza ridurre l'attività di lavoro.


Art. 46 - Esclusione dai corsi di istruzione e di formazione professionale

 

Il comma 2 esclude opportunamente che la decisione sull'allontanamento dai corsi di istruzione sia adottata dalla sola direzione dell'istituto e prescrive da un lato che sia acquisito il parere delle autorità scolastiche e dall'altro che vi sia una motivazione adeguata nel caso che la decisione della direzione sia diversa dalle conclusioni del parere.

Paragrafo V - Lavoro e remunerazione. Peculio (artt. da 47 a 57).

Con le modifiche proposte si vuole dare nuovo impulso al lavoro dei detenuti negli istituti, elemento trattamentale fondamentale, per riparare ad una gravissima mancanza di risorse lavorative interne. Riescono a lavorare meno del 15% dei detenuti. Ciò rappresenta una violazione della previsione dell'art.20, comma 3 della legge, per i condannati e per gli internati (da tale norma obbligati al lavoro come necessario strumento trattamentale) e dell'art.15, comma 3 ( che prevede che anche gli imputati siano ammessi, a loro richiesta, ad attività lavorative). Si deve pertanto fare tutto il possibile per aumentare le risorse lavorative interne.
Sono date anche nuove indicazioni sul lavoro esterno, inquadrando lo stesso in uno sviluppo complessivo di inserimento sociale.
Immodificati gli articoli 50, 52, 55 e 56.

Art. 47 - Organizzazione del lavoro

 

La strada seguita con le modifiche è quella di sottolineare, per un verso, l'impegno delle direzioni di organizzare e gestire le lavorazioni penitenziarie, ma anche quella di indicare, per altro verso, la possibilità di affidare le stesse a imprese esterne, particolarmente coinvolgendo il mondo della cooperazione sociale non profit. Si chiarisce, quindi, che le direzioni possono affidare alle imprese esterne in comodato i locali utilizzabili per lavorazioni e anche le eventuali attrezzature ivi esistenti: le imprese svolgono la loro attività con autonomia economica e organizzativa, anche nei rapporti con i detenuti e gli internati. Ciò dovrebbe ridurre al minimo l'impegno amministrativo delle direzioni, oggi particolarmente povere di risorse su questo versante. Si chiarisce che, in linea di massima, il comodato deve essere gratuito proprio perché l'intervento dell'imprenditore esterno solleva le direzioni da una serie di oneri economici di amministrazione e di gestione ed inoltre consente l'adempimento del dovere della amministrazione penitenziaria, sopra sottolineato, di rendere possibile l'inserimento lavorativo di tutti i detenuti disponibili.
Sempre al fine di facilitare lo svolgimento delle attività lavorative all'interno degli istituti, si indica anche la opportunità, al comma 2, di organizzarle, in quanto possibile, in locali esterni alle sezioni detentive, ma ovviamente interni alle mura di cinta, così da evitare le operazioni di rientro nelle sezioni alla pausa pranzo e il successivo ritorno dopo la stessa. Ciò semplifica anche le operazioni di controllo sull'arco dell'intera giornata.
Al comma 3, si precisa che la partecipazione di imprese esterne, particolarmente di quelle appartenenti alla cooperazione sociale non profit, può avere ad oggetto servizi interni, come quelli di somministrazione del vitto, di pulizia e di manutenzione dei fabbricati. Il servizio del vitto è in genere appaltato a imprese private, limitatamente, però, alla sola fornitura dei generi vittuari, ma con risultati poco soddisfacenti: il ricorso alla cooperazione sociale per l'intero servizio potrebbe migliorare la qualità dello stesso. Anche gli altri servizi citati potrebbero guadagnare efficienza ed estensione con l'intervento di imprese esterne, che interverrebbero con propri quadri tecnici, in grado di qualificare o riqualificare la mano d'opera detenuta. Tutto ciò, come già si è accennato, solleverebbe la amministrazione da incombenze e adempimenti contabili, che riesce oggi solo con molte difficoltà a fronteggiare.
Il comma 4 è volto ad utilizzare in quanto possibile le lavorazioni penitenziarie per le forniture di vestiario e corredo, necessarie agli istituti: lavorazioni, quindi, che possono anche essere gestite da imprese esterne, ma all'interno degli istituti e con la mano d'opera dei detenuti. Si danno indicazioni per semplificare i passaggi burocratici e contabili e si sottolinea soprattutto che il ricorso a commesse all'esterno deve essere del tutto limitato a casi di particolare convenienza economica, tenendo conto, nella valutazione complessiva di tale convenienza, dell'obbligo dell'amministrazione penitenziaria di fare lavorare i detenuti, obbligo che deve essere comunque adempiuto.

 

Art.48 - Lavoro esterno

 

Vi sono mere modifiche formali sulle quali è superfluo soffermarsi. Modifiche significative sono invece contenute nei commi 10, 13 e 15.
Al comma 10, si risolve un problema emerso in qualche situazione. Sorgevano difficoltà nella corresponsione della retribuzione da parte del datore di lavoro a soggetto diverso dal lavoratore: il che è previsto dal testo vigente del regolamento, che prevede il versamento delle retribuzioni alla direzione dell'istituto. Il testo modificato, dando per presupposta la dovuta corresponsione della retribuzione al lavoratore, pone a suo carico l'obbligo di versarla alla direzione dell'istituto. Analoga prescrizione non deve estendersi alle somme dovute per assegni familiari, che vengono, invece, messe direttamente a disposizione degli aventi diritto. Si stabilisce anche che il datore di lavoro debba avvertire la direzione della avvenuta corresponsione della retribuzione.
Nel comma 13 si dispone che nella determinazione delle prescrizioni (contenute nel provvedimento di assegnazione al lavoro) si dovrà tenere conto anche della esigenza di consumazione dei pasti e del mantenimento dei rapporti con la famiglia secondo le indicazioni del programma di trattamento.
Infine, nel comma 15, si sottolinea che la revoca della ammissione al lavoro all'esterno deve essere subordinata alla stessa condizione prevista per la ammissione: e cioè alla approvazione del magistrato di sorveglianza.

 

Art. 49 - Criteri di priorità per l'assegnazione al lavoro all'interno degli istituti

 

La soppressione della seconda parte dell'articolo è dovuta alla circostanza che l'attuale testo della legge, al comma 6 dell'art.20 (modificato più volte, da ultimo, dall'art.2 del decreto-legge 14.6.1993, n. 187, convertito, con modificazioni, dalla legge 12/8/1993, n. 296), già prevede i criteri contenuti nel vigente regolamento.


Art. 51 - Attività artigianali, intellettuali o artistiche

 

La modifica è puramente formale e tiene conto della intervenuta modifica dell'art. 20 della legge: per effetto di ciò le indicazioni del comma 7 sono ora contenute nel comma 14 della norma di legge citata.

 

Art. 53 - Esclusione dalle attività lavorative

 

La modifica tende a rendere particolarmente approfondita la grave decisione della esclusione dal lavoro. La decisione resta del direttore, ma lo stesso deve acquisire le valutazioni del gruppo degli operatori della osservazione e trattamento e del preposto alle attività lavorative, nonché, in un caso specifico (quello del lavoro a domicilio), anche del datore di lavoro.


Art.54 - Lavoro in semilibertà

 

La modifica del comma 1 si rende necessaria a seguito di quella del comma 10 dell'articolo 48, che configura analoga situazione. Per coloro che svolgono lavoro autonomo in regime di semilibertà, si prevede l'obbligo di versare i corrispettivi al netto delle ritenute non appena percepiti.


Art. 57 - Peculio

 

Con la modifica del comma 3 dell'art. 57, si affida al direttore dell'istituto la competenza a provvedere sulla autorizzazione alla utilizzazione del fondo vincolato. Tale modifica consegue al disconoscimento, da parte di alcuni magistrati di sorveglianza, della competenza in materia, non prevista dall'art.25 della legge. Ci si adegua pertanto a tale indicazione, attribuendo al direttore una funzione che è comunque prevista dalla norma di legge citata.
Nel comma 4, si prevede che la utilizzazione del peculio non debba essere limitata ai soli motivi indicati nel testo vigente, ma possa riferirsi anche ad altri usi purché rispondenti a finalità trattamentali.

 

Paragrafo VI - Altri elementi del trattamento (artt. da 58 a 68)

 

Questa parte del regolamento si occupa degli altri elementi del trattamento.
Valgono qui solo alcuni accenni: sarà poi l'esame dei singoli articoli che consentirà l'approfondimento delle modifiche operate.
Le manifestazioni di professione religiosa, all'art.58, rappresentano un tema di particolare rilievo in questo periodo, nel quale in carcere sono presenti moltissime persone appartenenti ad altre culture e, quindi, anche ad altre religioni. C'è un problema di rispetto del diritto a professare la propria fede religiosa e c'è anche un aspetto diverso, che è quello del valore costruttivo che il credo, le pratiche e i legami religiosi possono avere per i percorsi riabilitativi delle persone. Siamo quindi dinanzi a un elemento del trattamento da non trascurare sotto tale profilo.
Le attività culturali, ricreative e sportive hanno svolto, mancando sovente la presenza delle attività trattamentali più rilevanti, come l'istruzione e il lavoro, in modo proficuo, anche se discontinuo, una loro funzione utile come alternativa all'inattività. Di queste tratta l'art.59.
L'elemento trattamentale rappresentato dai rapporti con la famiglia include espressamente, all'art. 61, la previsione di concessioni dirette ad ampliare la possibilità di incontri all'interno degli istituti con il proprio nucleo familiare, che rispondono all'esigenza di affettività delle persone. Agli artt.62 e 63 si regolano le comunicazioni ai familiari degli eventi rilevanti dei reclusi: arresto, infermità, decessi.
Sempre nel quadro di riferimento trattamentale, si esaminano poi gli articoli 64 e 65, che riguardano i permessi e, infine, all'art.68, la partecipazione della comunità esterna alla azione rieducativa.
Non sarà svolto l'esame per quegli articoli per i quali non intervengono modifiche: sono gli artt. 60, 66 e 67.


Art. 58 - Manifestazioni della libertà religiosa

 

La modifica del comma 3 individua un criterio di valutazione della compatibilità del culto religioso di singoli detenuti o internati con la situazione detentiva. Anziché al generico riferimento al pregiudizio dell'ordine e della disciplina, si indica come limite del culto religioso quello di non esprimersi in comportamenti molesti per la comunità, limite che sembra più oggettivo e meno strumentalizzabile da chi voglia svolgere azioni di mero disturbo di comportamenti inusuali.
Al comma 6 si chiarisce, al di là dei dubbi che poteva creare la espressione "riti" religiosi, che la disponibilità di locali idonei riguarda le "pratiche rituali … anche in assenza di ministri di culto". Chiarimento che può essere in particolare pertinente per le pratiche rituali della religione musulmana, che non ha ministri del culto in senso proprio e che interessa ormai un numero notevole di detenuti.
Infine, al comma 7, in relazione alla previsione del "diritto" alla assistenza religiosa degli appartenenti a religione diversa dalla cattolica, diritto riconosciuto dal comma 4 dell'art. 26 della legge, si prevedono maggiori garanzie dell'osservanza di tale diritto. Così, da un lato, si prevede che, per le confessioni religiose che hanno regolato con legge i propri rapporti con lo Stato, l'accesso dei ministri di culto prescinde dal loro inserimento nell'elenco formato presso il ministero dell'interno; e, d'altro lato, per i culti diversi e non rientranti nelle altre previsioni, si prospetta il ricorso al comma 2 dell'art.17 della legge e alla autorizzazione all'ingresso negli istituti, di competenza del magistrato di sorveglianza, di coloro che hanno concreto interesse per la risocializzazione dei detenuti, finalità, questa, propria di qualsiasi riflessione e pratica religiosa.


Art. 59 - Attività culturali, ricreative e sportive

 

Al comma 1 si sottolinea, con la modifica introdotta con l'aggiunta di una seconda proposizione, che le attività culturali ricreative e sportive devono essere organizzate in modo tale da consentire la partecipazione dei detenuti che lavorano o che frequentano corsi formativi o scolastici. Gli orari di svolgimento delle prime dovranno pertanto essere resi compatibili con gli orari delle seconde.


Art. 61 - Rapporti con la famiglia e progressione nel trattamento

 

Questo articolo presenta due aspetti innovativi, tutti contenuti nel comma 2.
Il primo è quello di prevedere, alla lettera a), un accesso più ampio ai colloqui previsti dall'articolo 35 all'interno di un percorso trattamentale, e in base alla valutazione del gruppo di osservazione, finalizzato alla favorevole evoluzione delle relazioni familiari.
Il secondo è quello di inserire, alla lettera b) del comma 2, l'autorizzazione alla visita dei familiari, prevista come ricompensa dall'art.71 del testo vigente.
Infatti, mentre con la lettera a) si prevede la possibilità di ampliamento dell'accesso ai colloqui come primo passo di un percorso di ricostruzione di relazioni familiari, con la lettera b), si sposta l'istituto della visita dall'ambito premiale della ricompensa (era collocato, come già detto, nell'art.71 del testo vigente) all'ambito specificamente trattamentale, indicando il ruolo rilevante che giuocano le indicazioni del gruppo di osservazione e trattamento, con un interesse spostato dal premiare meritevoli condotte interne all'attivare costruttive dinamiche familiari.

 

Art. 62 - Comunicazione dell'ingresso in istituto

 

La modifica nel primo comma è puramente formale e coinvolge, in genere e senza specificazione delle qualifiche (quelle indicate nel testo vigente sono, fra l'altro, superate perché riferite al disciolto Corpo degli agenti di custodia), gli operatori penitenziari nella segnalazione dell'arresto del detenuto o internato alle persone di riferimento all'esterno.
Si è invece aggiunto il comma 3 - comunicazione dell'ingresso in istituto dello straniero all'autorità consolare - nei casi e nelle modalità previste dalla normativa vigente e dagli accordi internazionali.


Art. 63 - Comunicazione di infermità o di decessi

 

La modifica apportata al testo vigente è motivata dalla esigenza di rendere la comunicazione in questione, certamente dolorosa per chi la riceve, meno burocratica e più attenta e rispettosa. In quanto possibile, la informazione potrà essere data di persona anche da un operatore penitenziario. La modificazione apportata è più generica, ma, salvando la tempestività dell'intervento, richiama in modo particolare sulle modalità più opportune che lo stesso deve avere.


Art. 64 - Permessi

 

Nel comma 5 si dà atto che le operazioni di scorta e traduzione sono ora compiute dal Corpo di polizia penitenziaria, così come previsto dall'art.42bis della legge. In conformità a tale norma, si danno anche indicazioni circa le modalità di effettuazione dell'accompagnamento.
E' aggiunto il comma 6 al fine di fornire una indicazione operativa per la risoluzione di problemi che frequentemente sorgono in occasione della concreta esecuzione di permessi, in particolare e più frequentemente quando, per l'evolversi della situazione sanitaria del familiare del detenuto o internato, la sede di effettuazione del permesso non corrisponde più a quella indicata nel provvedimento di concessione.


Art. 65 - Permessi premio

 

E' apportata, innanzitutto, una modifica al comma 3. Dopo avere stabilito che, durante la fruizione del permesso premio, i controlli del condannato sono effettuati dall'Arma dei carabinieri o dalla Polizia di Stato, così come attualmente previsto, si prevede che in casi particolari l'Amministrazione penitenziaria può disporre ulteriori controlli da parte del personale del Corpo di polizia penitenziaria.
Tale innovazione attribuisce a detto Corpo una nuova e rilevante funzione, che è da ricollegare alla valenza trattamentale della misura del permesso premio.
Un'ulteriore modifica è apportata al comma 5. Si prevede che della fruizione del permesso premio vengano notiziati l'istituto e il centro di servizio sociale del luogo in cui il permesso stesso è fruito, in modo da agevolare il riferimento del fruitore a tali organi per le esigenze che si presentino nel corso del permesso.

 

Art. 66 - Comunicazioni all'autorità di pubblica sicurezza

 

Tenuto anche conto dei rilievi del Consiglio di Stato e delle amministrazioni concertanti la norma è in sostanza invariata.

 

Art. 68 - Partecipazione della comunità esterna all'azione rieducativa

 

Le disposizioni introdotte con il nuovo comma 4 sono volte a collegare le iniziative ex art.17 della legge alle attività trattamentali degli operatori penitenziari ed anche a sottrarre le prime alla precarietà che le caratterizza, prevedendo invece modalità e tempi determinati per la loro attuazione.
Al comma 5, con una riscrittura del comma 4 del testo vigente, si regola il venire meno della autorizzazione all'accesso agli istituti negli stessi termini e con le stesse modalità previste per la concessione della autorizzazione.
E' stato poi riformulato il comma finale per agevolare e incrementare le partecipazioni della comunità esterna, inserendo le stesse in una programmazione, nella quale, accanto alla direzione dell'istituto, è coinvolta anche la direzione del centro servizio sociale.

 

Parte quarta

 

Regime Penitenziario
(Capo IV del Titolo I: articoli da 69 a 93)

 

Paragrafo I - Il regime penitenziario e la sua applicazione (artt. da 69 a 75).

Le norme regolamentari esaminate in questo paragrafo concernono la presa di conoscenza, da parte del recluso, del regime penitenziario e del suo rapporto con lo stesso. Accanto a questo nucleo stanno alcune altre norme in qualche misura collegate.
L'art. 69 fa riferimento, appunto, alle modalità con cui i detenuti e gli internati sono informati della normativa che li riguarda e dei doveri e anche dei diritti che ne derivano.
Prescindendo dagli artt.70 e 71, che non sono modificati, l'art. 72 regola l'obbligo di risarcimento dei danni provocati ai beni dell'amministrazione o di terzi: obbligo, quindi, che consegue alla violazione di norme di comportamento che il detenuto e l'internato devono osservare.
L'art. 73 ha ad oggetto le circostanze in cui può essere disposto l'isolamento di un detenuto o internato, al di fuori della situazione di isolamento per ragioni giudiziarie, regolata dall'art. 22.
L'art. 74 riguarda le perquisizioni, uno strumento di controllo della osservanza delle regole da parte dei detenuti e internati, mentre l'art.75 riguarda le istanze e i reclami degli stessi alle autorità incaricate della vigilanza complessiva del rispetto delle regole negli istituti, comprese quelle che garantiscono diritti o interessi dei medesimi reclusi.


Art. 69 - Informazioni sulle norme e sulle disposizioni che regolano la vita penitenziaria

 

Le modifiche riguardano il solo comma 2 e sono due

La prima comprende fra le normative comprese nell'estratto, da mettere a disposizione dei detenuti e internati, anche il presente regolamento di esecuzione, riparando ad una omissione del testo vigente.
La seconda prevede che l'estratto in questione sia fornito ai detenuti stranieri nella lingua del loro paese, limitandosi ovviamente a traduzioni nelle lingue più diffuse fra gli stessi.


Art. 72 - Risarcimento dei danni arrecati a beni dell'amministrazione o di terzi

 

Al comma 1 si richiama l'attenzione sulla esigenza che deve essere valutata la colpevolezza del soggetto a cui carico viene addebitato un danno: è necessario, pertanto, individuare quantomeno un comportamento colposo del soggetto e non addebitargli una responsabilità oggettiva.


Art. 73 - Isolamento

 

Le modifiche apportate al testo vigente sono numerose.
La prima è che vengono anche inserite disposizioni relative alla esecuzione della sanzione dell'isolamento diurno nei confronti del condannato all'ergastolo. Resta fuori dalla previsione di questa norma solo l'isolamento giudiziario del quale si occupa, invece, l'art.22 del presente regolamento.
In secondo luogo, per tutte le situazioni di isolamento, si sottolinea, al comma 7, la necessità di una particolare attenzione da parte degli operatori delle varie professionalità. Si sottolinea, inoltre, al comma 8, che non possono essere utilizzate sezioni o reparti di isolamento per casi diversi da quelli previsti dalla legge.
Quanto alle disposizioni specifiche nei vari casi di isolamento regolati dalla norma in esame, non ci sono modifiche per quanto riguarda l'isolamento continuo per ragioni sanitarie.
Per l'isolamento per esecuzione della sanzione della esclusione dalle attività in comune, le modifiche riguardano due aspetti: la sede e il contenuto della sanzione. Per la prima, si indica quella di una camera di una delle sezioni ordinarie dell'istituto; solo se questo, per il comportamento del sanzionato, crea problemi, la esecuzione della sanzione avverrà in una sezione apposita, ma con camere singole, aventi le caratteristiche delle camere ordinarie: solo questo ultimo aspetto è effettivamente innovativo in quanto le altre indicazioni emergevano già dal testo vigente. Si vuole chiaramente evitare che la esecuzione della sanzione in parola sia caratterizzata da aspetti afflittivi che vadano oltre il contenuto della sanzione medesima. Quanto a tale contenuto, si sottolinea che la esclusione è dalla comunicazione con i compagni, mentre si sopprime la preclusione dei colloqui e delle comunicazioni telefoniche con i congiunti, che sono pertanto ammissibili. Si è ritenuto che la risorsa dei rapporti con i congiunti non vada compromessa per la esecuzione della sanzione e possa anzi contribuire a recuperare una più corretta condotta del soggetto e rapporti equilibrati dello stesso all'interno dell'istituto, cose, queste, che rappresentano, poi, i fini stessi della sanzione disciplinare.
E' definito in concreto anche il contenuto della sanzione dell'isolamento diurno nei confronti del condannato all'ergastolo. Si chiarisce, in conformità con le prassi e gli orientamenti giurisprudenziali, che l'isolamento non esclude la ammissione ad attività lavorative e che ciò riguarda anche il momento formativo e, quindi, la partecipazione ai corsi di formazione professionale. Sono possibili anche le attività di istruzione attraverso rapporti singoli con docenti, volontari o non, e la partecipazione alle attività religiose. Il fine di tale intervento è quello di evitare che la esecuzione della sanzione, che interviene sovente a distanza di anni dall'inizio della detenzione, interrompa le acquisizioni del soggetto e il percorso riabilitativo dallo stesso già avviato.


Art. 74 - Perquisizioni

 

Le modifiche del comma 2 hanno carattere formale di aggiornamento dopo la costituzione del Corpo di polizia penitenziaria in luogo di quello disciolto degli Agenti di custodia..
Al comma 4 si sottolinea la necessità che si evitino vessazioni e comportamenti che mortifichino comunque la dignità delle persone detenute o internate.
Al comma 7, infine, si richiede che le ragioni di urgenza siano motivate e specificate in modo da evitare un uso distorto della facoltà di procedere senza ordine del direttore alle perquisizioni effettuate fuori dai casi ordinari.


Art. 75 - Istanze e reclami

 

Le modifiche riguardano il solo comma 1 e sono dirette ad evidenziare la necessità di una reale presenza negli istituti del magistrato di sorveglianza e del provveditore regionale. Presenza negli istituti vuol dire verifica delle condizioni degli stessi, ma anche rapporto diretto con i detenuti. Appositi separati registri, riservati alle autorità predette e al direttore dell'istituto svolgono la funzione di verifica dei colloqui effettuati e di indicazione dei rilievi, che possono sollecitare interventi presso altri organi giudiziari o penitenziari.
E' da rilevare che, per un verso, la presenza del magistrato di sorveglianza è importante e per l'aspetto del controllo e per quello della informazione sulla attività del suo ufficio concernente i detenuti; e che, per altro verso, deve diventare sempre più significativa la presenza del provveditore regionale per stimolare tutte le iniziative di attuazione della legge penitenziaria e favorire quella omogeneità di regimi e di prassi degli istituti di pena, oggi così poco diffusa.

 

Paragrafo II - Ricompense e sistema disciplinare (artt. da 76 a 82)

 

Le modifiche agli artt. 76 - ricompense - e 77 - infrazioni e sanzioni disciplinari - sono modeste. Nel primo articolo, si prende atto dello spostamento dell'istituto della "visita" dall'art. 76 all'art. 61. Nel secondo articolo, si modificano tre sole delle fattispecie di infrazioni disciplinari che la norma prevede.
Per il resto le modifiche intervengono sul rapporto tra procedimento penale e procedimento disciplinare e sulle modalità e tempi di svolgimento dello stesso.


Art. 76 - Ricompense

 

Al comma 3 si sottolinea la esigenza che, nel proporre la concessione di benefici agli organi competenti, sia sentito anche il gruppo di osservazione e trattamento, che ha così la possibilità di dare esplicito conto di quale sia stata la partecipazione dell'interessato allo sviluppo del percorso trattamentale. Come conseguenza delle modifiche introdotte con l'articolo 61 viene soppresso l'istituto della visita previsto dalla lettera b) del comma 2 del testo attuale dell'art.71.


Art. 77 - Infrazioni disciplinari e sanzioni

 

Le modifiche sono limitate ai soli nn.4) e 5) del testo vigente, riuniti nel n.4, e al n.19), divenuto n.18)


La prima modifica, oltre a unificare atteggiamenti e comportamenti, ne qualifica il carattere molesto come riferito alla comunità penitenziaria, concetto più generale e significativo di quello usato nel testo vigente.
La seconda modifica, invece, intende sottolineare che, quando i ritardi in questione siano giustificati (il che accade sovente, ad esempio, per i ritardi dei mezzi di trasporto, ritardi che possono anche essere documentati o comunque verificati), non vi è infrazione disciplinare.

 

Art. 78 - Provvedimenti disciplinari in via cautelare

 

Con le modifiche al testo vigente si sono volute introdurre più appropriate garanzie ad un uso corretto dell'intervento cautelare in sede disciplinare.
Pertanto, al comma 1, si stabilisce che l'intervento cautelare debba essere disposto con provvedimento motivato, nel quale, ovviamente, dovrà essere indicata la ricorrenza degli elementi, menzionati all'inizio del comma 1, che consentono l'adozione dell'intervento predetto.
Nel comma 3, si sottolinea la necessità di attivare al più presto il procedimento disciplinare, che dovrà comunque rispettare i termini di attivazione e decisione previsti dalle modifiche del successivo art.81.


Art. 79 - Procedimento penale e procedimento disciplinare

 

Il testo vigente si riferiva all'art.3 del codice di procedura penale abrogato, che imponeva esplicitamente la sospensione del procedimento disciplinare fino all'esito del procedimento penale. Il nuovo codice di procedura penale, pur non contenendo una disposizione corrispondente, all'art.653 dispone: "La sentenza irrevocabile di assoluzione pronunciata in seguito a dibattimento ha efficacia di giudicato nel giudizio per responsabilità disciplinare davanti alle pubbliche autorità quanto all'accertamento che il fatto non sussiste o che l'imputato non lo ha commesso". In presenza di tale disposizione e quando vi sia informativa di reato alla autorità giudiziaria concernente lo stesso fatto, è apparso necessario disporre che il procedimento disciplinare possa essere sospeso. Si è anche disposto che ci si aggiorni periodicamente sulla situazione del procedimento dinanzi al giudice penale, procedimento che, fra l'altro, può anche concludersi senza arrivare alla fase del dibattimento. E' evidente che se si conclude prima (quale ne sia il modo e il provvedimento conclusivo), il procedimento disciplinare può riprendere il suo corso.

 

Art. 81 - Procedimento disciplinare

 

La modifica del testo vigente è limitata, ma significativa. Si stabilisce che, sia la contestazione all'interessato, sia la successiva fase della decisione, debbano essere compiuti entro precisi termini: la contestazione entro 10 giorni dal rapporto e l'udienza disciplinare per la decisione entro 10 giorni dalla contestazione.
Significativa è la modifica del comma 8, in cui si prevede che il provvedimento con il quale è deliberata la sanzione sia comunicato anche al magistrato di sorveglianza.


Paragrafo III - Trasferimenti e traduzioni (artt. da 83 a 87)

 

Per i trasferimenti le modifiche interessano il maggiore spazio dato alle richieste dei detenuti ed internati e un regime più attento ad alcune situazioni nei trasferimenti collettivi per sfollamento.
Per le traduzioni, invece, si mettono in evidenza le conseguenze del passaggio alla Polizia penitenziaria della competenza alle stesse.
L'art. 87 riguarda invece i detenuti e internati, ai quali viene consentito l'uso di abiti civili, con eliminazione delle limitazioni precedenti.


Art. 83 - Trasferimenti

 

Al primo comma, la modifica del testo vigente intende rendere la amministrazione penitenziaria più attenta alle istanze espresse dagli interessati. Il testo vigente dà indicazioni molto vaghe, mentre con la modifica proposta anche se non si stabilisce un obbligo di accogliere le istanze così come formulate dagli interessati, si vincola l'amministrazione a tenerne conto: si dovranno quindi seguire le indicazioni delle istanze o, in caso diverso, spiegare la decisione adottata in senso difforme.
Si aggiunge il comma 9 per regolare i trasferimenti di gruppi di detenuti o internati, per sfollamento di un istituto. Si danno indicazioni per non comprendere nei provvedimenti di trasferimento detenuti e internati il cui trasferimento possa compromettere attività trattamentali o sanitarie avviate o la partecipazione degli interessati a procedimenti penali in corso.


Art. 84 - Traduzioni

 

Le modifiche apportate, anche nella rubrica, derivano dalla assunzione diretta delle traduzioni di detenuti e internati da parte della Polizia penitenziaria, che è parte della Amministrazione penitenziaria, assunzione diretta prevista dall'art.42-bis della legge, introdotto dall'art.2 della legge 12/12/1992,n.492.


Art. 85 - Autorità che dispongono i trasferimenti fra istituti o le traduzioni

 

La modifica del comma 1 è soltanto formale: vi si dà atto che, come fatto altrove, la denominazione "ispettore distrettuale" è sostituita dalla denominazione "provveditore regionale". Per il resto, vi è stata una semplificazione del testo.


Art. 86 - Traduzioni di detenute e internate

 

La modifica della rubrica consegue alla esecuzione diretta delle traduzioni da parte della polizia penitenziaria: non vi è più, quindi, assistenza ad attività svolta da altro organismo della forza pubblica. La modificazione del testo è solo formale: il personale femminile di custodia appartiene alla polizia penitenziaria.


Art. 87 - Uso di abiti civili nelle traduzioni

 

Si è soppressa la distinzione, sul punto di cui in rubrica, fra detenuti e internati. La distinzione fra detenuti e internati non appare più giustificata ed è, comunque, di assai scarsa applicazione nella realtà.

 

Paragrafo IV - Eventi conclusivi della detenzione o internamento. Disordini collettivi e intervento della forza pubblica (artt. da 88 a 93)


Per questa serie di articoli, si deve rilevare che non vi sono modifiche per gli artt. 90, 91 e 92. Per le modifiche agli altri articoli 88, 89 e 93 si rinvia all'esame fatto per i singoli testi.

 

Art. 88 - Trattamento del dimittendo

 

Nel comma 1 è inserita la previsione che i dimittendi, nel periodo prossimo alla dimissione, siano trasferiti, a loro domanda, in istituto vicino al luogo di residenza. Questo dovrebbe facilitare i contatti con il proprio ambiente, con i familiari e con i servizi competenti, in attuazione del particolare programma di trattamento di preparazione alla dimissione, già previsto dal testo vigente.
Nel comma 2 si indicano quali servizi collaborano alla attuazione del programma. Mentre non si menziona il consiglio di aiuto sociale, non più funzionante, anche se non soppresso, si indicano, accanto al centro servizio sociale, i servizi territoriali competenti e il volontariato. Si impegna la direzione a richiedere la attivazione di queste risorse.


Art. 89 - Dimissione

 

Sono state apportate due sole modifiche al testo vigente.
Al comma 4, la modifica consegue a quelle relative alla esecuzione delle misure di sicurezza ricavabili dagli artt.658,659 e 679 c.p.p.. Perché si proceda alla esecuzione di una misura di sicurezza occorre che la stessa sia disposta dal magistrato di sorveglianza, previo accertamento della pericolosità sociale attuale dell'interessato. Si sottolinea pertanto la necessità che sia intervenuto il provvedimento predetto.
La modifica del comma 5 si muove nello stesso quadro richiamato nel comma 2 dell'articolo precedente.


Art. 93 - Intervento delle forze di polizia

 

Vi è solo una modifica formale conseguente alla modifica della denominazione dell'ispettore distrettuale, ora provveditore regionale.


Parte sesta

 

Misure alternative alla detenzione e altri provvedimenti della magistratura di sorveglianza
(Capo VI del Titolo I: articoli da 96 a 109)

 

Paragrafo I - Affidamento in prova, detenzione domiciliare e semilibertà (artt. da 96 a 101).

Gli articoli, oggetto di profonde modifiche, su cui ci si sofferma in questo paragrafo, hanno lo scopo di definire sul piano regolamentare la esatta identificazione, durata, decorrenza e scadenza delle pene in esecuzione in misura alternativa, anche a seguito di eventi che possono modificarle, come la cessazione, la revoca e l'annullamento della misura dell'affidamento in prova e anche delle altre misure. Allo stato, in assenza di indicazioni univoche, si sono sviluppate prassi operative diverse e sovente poco rigorose, che rendono problematica la esecuzione delle misure e la loro durata. Si tenga presente che, per la esecuzione delle pene detentive in istituto, esiste un sistema collaudato regolato dalla legge, che ha negli uffici esecuzione dei vari organi del pubblico ministero e negli uffici matricola degli istituti di pena gli organi operativi. Per le misure alternative, salvo il caso della semilibertà concessa a chi già si trova in carcere, questo sistema non è normalmente coinvolto o è, comunque, coinvolto in modo diverso, soprattutto quando (come accade in oltre i due terzi dei casi), la ammissione alle misure alternative avviene senza passaggio dal carcere. La situazione può ritenersi migliorata a seguito della legge 27/5/1998, n.165, per effetto della quale, quando non vi è preventivo passaggio dal carcere, l'intervento dell'organo del pubblico ministero è necessario si esprima nella redazione di un ordine di esecuzione della pena (mentre in precedenza questo poteva non esserci). E' poi molto frequente che vi siano in esecuzione, sopravvenute spesso in tempi diversi e da diversi organi del pubblico ministero, una serie di pene non cumulate che accrescono le difficoltà di conoscere con certezza origine, entità, decorrenza e scadenza delle misure alternative.
Le nuove previsioni regolamentari hanno lo scopo di indicare gli adempimenti indispensabili per garantire quella certezza, allo stato tutt'altro che esistente.
Si sottolinea che l'intervento regolativo è stato effettuato con riferimento all'affidamento in prova al servizio sociale, per essere poi esteso, con articoli successivi, alle altre misure. Ciò è apparso più funzionale in quanto la misura dell'affidamento in prova, oltre ad essere la più diffusa, è anche quella che presenta problemi specifici, in specie, ma non solo, nelle parti trattate nel successivo art.91ter, che appare più agevole leggere nel contesto della disciplina complessiva. Per le altre misure il riferimento alla presente disciplina dell'affidamento in prova è operato solo se la stessa sia compatibile con le misure stesse.
La nuova disciplina assorbe le previsioni contenute negli articoli 92-bis e 92-ter del testo vigente, che pertanto non vengono riprodotte.


Art. 96 - Istanza di affidamento in prova al servizio sociale e decisione

 

Venendo allo specifico esame del testo, i commi 1, 2 e 3 del nuovo articolo 96 rappresentano un adeguamento della disciplina regolamentare alle nuove disposizioni introdotte con la legge n.165 del 27 maggio 1998, chiarendo che nelle ipotesi di inapplicabilità della sospensione della esecuzione previste dall'articolo 656 del codice di procedura penale, l'istanza di affidamento può comunque essere presentata dal condannato libero, qualora ricorrano le condizioni di cui al comma 3 dell'articolo 47 della legge. In tal caso la domanda è proposta la tribunale di sorveglianza competente.
Il comma 4 opportunamente dispone che, a cura della cancelleria, in calce all'ordinanza, siano annotati i dati di identificazione della sentenza e quelli necessari per identificare l'eventuale provvedimento di pene concorrenti, nonché l'indirizzo dell'Ufficio di sorveglianza e del Centro di Servizio Sociale per Adulti.
Sono importanti le indicazioni del comma 5, nel quale si sottolinea che le prescrizioni che accompagnano la misura alternativa implicano esclusivamente la competenza operativa del servizio sociale e non possono vedere coinvolti nella gestione organi diversi. Sarà il servizio sociale a svolgere l'attività di sostegno e di controllo nel quadro di un trattamento complessivo, attuato con le metodologie proprie del servizio sociale.
Infine, il comma 6 richiama l'attenzione su un altro punto rilevante per lo svolgimento regolare della esecuzione della pena. Anche qui le prassi diverse vanno riportate ad unità. Quando vi è stata sospensione della esecuzione della pena in relazione alla presentazione della istanza di affidamento e questa viene respinta, è essenziale che la ordinanza di rigetto indichi esattamente la pena cui si riferisce la decisione e che il provvedimento sia comunicato al competente organo del pubblico ministero perché la esecuzione riprenda. Si prevede anche la comunicazione della ordinanza di rigetto al Servizio sociale.


Art. 97 - Esecuzione dell'affidamento in prova al servizio sociale

 

Al comma 1, si precisa (correggendo sul punto il testo vigente) che l'ordinanza emessa dal tribunale di sorveglianza è immediatamente esecutiva, salvo che lo stesso organo non disponga la sospensione della esecuzione, così come si ricava dai commi 6 e 7 dell'art.666 c.p.p..
Questo comporta che, se l'interessato è detenuto, l'ordinanza deve essere subito trasmessa in copia per la esecuzione, da parte della cancelleria del tribunale di sorveglianza, alla direzione dell'istituto di pena in cui l'interessato si trova per la sua liberazione e l'attuazione della misura alternativa, previa sottoscrizione del verbale di accettazione delle prescrizioni stabilite con la stessa ordinanza. Si chiarisce che, non essendovi scarcerazione in senso proprio in quanto la esecuzione della pena prosegue in regime diverso, non ricorre l'applicazione del comma 1 dell'art.659 c.p.p. ed è escluso l'intervento, ivi previsto, del pubblico ministero per la esecuzione del provvedimento.
Lo stesso comma 1 indica tutti gli organi cui deve essere inviata copia della ordinanza anche se l'interessato sia libero. In tale caso, è il comma 3 che chiarisce come debba concretarsi l'attuazione della misura, che ha nel centro servizio sociale l'organo operativo, che provvede a redigere il verbale di accettazione delle prescrizioni da parte dell'interessato. Dalla sottoscrizione di tale verbale inizia la attuazione dell'affidamento in prova: verbale, questo, che registra la accettazione delle prescrizioni da parte dell'interessato e che è, quindi, necessariamente autonomo dal verbale di cui al comma 5 dell'art.47 della legge, che è atto dello stesso tribunale di sorveglianza decidente. Si precisa anche che il verbale di accettazione delle prescrizioni è sottoscritto dall'interessato davanti al direttore dell'istituto o davanti al direttore del centro di servizio sociale (a seconda che l'interessato sia detenuto o libero) o ai loro sostituti.
Il comma 4 chiarisce il ruolo essenziale del pubblico ministero competente per la esecuzione, che, ricevuta copia del verbale di accettazione delle prescrizioni da parte del servizio sociale, deve aggiornare la posizione esecutiva ed indicare la data esatta di conclusione del periodo di prova. Nello stesso comma 4 si chiarisce che, se l'affidamento concerne pene inflitte con sentenze di condanna diverse, il pubblico ministero competente, deve emettere provvedimento di esecuzione di pene concorrenti, sempre con la indicazione conclusiva della data esatta della fine del periodo di prova relativo alla complessiva pena cumulata.
Il comma 5, infine, registrando una prassi dei tribunali di sorveglianza, prevede che, nella sua ordinanza, il tribunale di sorveglianza può stabilire particolari modalità per la concreta attuazione dell'affidamento. Ciò sarà particolarmente utile quando tale attuazione si realizzi presso enti o organi di accoglienza e risulti opportuno che non vi siano periodi intermedi di piena autonomia dell'interessato, che possano pregiudicare il corretto avvio della prova.
Il comma 6 restituisce al magistrato di sorveglianza il potere di modifica della prescrizione relativa alla sede della prova, attribuitogli dal comma 8 dell'art.47 della legge, potere che il comma 5 dell'art.91 del testo vigente del regolamento attribuiva invece al tribunale di sorveglianza. Tale soluzione, oltre che più corretta, evita il passaggio attraverso il tribunale di sorveglianza che complica e ritarda un provvedimento, che in molti casi deve essere estremamente sollecito per essere efficace.
Anche il comma 7 modifica il corrispondente comma 6 dell'art.91 del testo vigente: ha come oggetto la effettiva condotta operativa del servizio sociale durante la esecuzione della prova e sulla sua portata influisce anche la profonda modifica dell'art.105 del Regolamento di esecuzione attualmente in vigore. Si sottolinea anche la possibilità che i centri di servizio sociale si avvalgano della collaborazione di assistenti volontari, come previsto dall'art.78 della legge.
I commi 8 e 9 dell'articolo 97 in esame, recuperano, invece, senza alcuna modifica, i commi 7 e 8 dell'art.91 del testo vigente.


Art. 98 - Prosecuzione o cessazione, revoca e annullamento dell'affidamento in prova al servizio sociale

 

L'articolo in esame regola le situazioni indicate nella rubrica, che hanno in comune le modifiche della situazione esecutiva che possono intervenire durante lo svolgimento della misura alternativa. Più precisamente tratta: la prosecuzione o cessazione della misura in relazione alla sopravvenienza di nuovi titoli di esecuzione ai commi da 1 a 4;la eventuale revoca della misura ai commi da 5 a 7; e il caso di annullamento della ordinanza ammissiva alla misura al comma 8.
In precedenza, di parte di queste materie, esclusa l'ultima, si occupavano gli artt. 92-bis e 92-ter del testo vigente. Tali norme, come d'altronde, gli artt.51-bis e 51-ter della legge, riguardano tutte le misure alternative (affidamento in prova ordinario e in casi particolari, detenzione domiciliare e semilibertà). Data la particolarità che la applicazione di tali norme presentano in materia di affidamento in prova al servizio sociale, si è ritenuto preferibile, come già si è accennato in linea generale, definire le regole pratiche in argomento per questa misura alternativa, salvo poi richiamare quelle applicabili anche in ordine alle altre misure.
Nei commi da 1 a 4, concernenti la prosecuzione o cessazione dell'affidamento, si sottolinea la esigenza di individuare, se possibile fin dalla fase del provvedimento provvisorio del magistrato di sorveglianza, i dati necessari di identificazione della pena: attraverso i dati della sentenza o delle sentenze di condanna, i dati relativi alla esecuzione della pena (p.m. competente, numero registro esecuzione, data ordine esecuzione, entità della pena residua). Tali dati dovranno comunque essere acquisiti nella fase definitiva dinanzi al tribunale di sorveglianza e risultare dalla ordinanza conclusiva.
I commi 2 e 3 trattano l'ipotesi in cui vi sia stato il provvedimento provvisorio di prosecuzione della misura e la successiva decisione conforme del tribunale di sorveglianza. Il comma 2 chiarisce (prendendo atto degli effettivi tempi di accertamento e decisione) che il provvedimento provvisorio mantiene i suoi effetti sino alla emissione del provvedimento definitivo del tribunale di sorveglianza, se questo esamina il caso in udienza entro il termine stabilito dall'art.51-bis, anche se la decisione intervenga in un'udienza successiva ove occorrano ulteriori accertamenti. Il comma 3 sottolinea la necessità che, ricorrendo una situazione di esecuzione di pene concorrenti, il pubblico ministero competente emetta provvedimento di cumulo delle stesse, indicando la data esatta di conclusione del periodo di prova relativo alla complessiva pena cumulata. Nello stesso comma 3, si prevede che il centro di servizio sociale rediga verbale apposito nel quale l'affidato prende atto della nuova durata del periodo di prova e si impegna a rispettare le prescrizioni durante lo stesso.
Il comma 4 è dedicato al caso in cui la decisione del tribunale di sorveglianza registri il venire meno delle condizioni di ammissibilità all'affidamento e disponga la cessazione della misura. Anche qui si sottolinea la necessità di indicare nella ordinanza di cessazione della misura tutti i dati utili: sentenze di condanna, organo del pubblico ministero competente per il provvedimento di esecuzione delle pene concorrenti, entità della pena residua e nuovo fine pena, dati che, poi, il provvedimento di esecuzione delle pene concorrenti del pubblico ministero definirà conclusivamente. A questo riguardo si ricorda che, nel definire la pena residua da espiare, va dedotto tutto il periodo eseguito in affidamento in prova, che è considerato utilmente espiato: v. sentenza 6/12//1985, n.312 della Corte costituzionale.
I commi 5, 6 e 7 sono dedicati invece alla procedura di revoca dell'affidamento "qualora il comportamento del soggetto, contrario alla legge o alle prescrizioni dettate, appaia incompatibile con la prosecuzione della prova" (art. 47, comma 11). Se lo ritiene necessario (e ciò avverrà quando gli elementi emersi appaiano certi e rilevanti ai fini della prosecuzione della prova) , il magistrato di sorveglianza provvederà alla sospensione della misura, dando direttamente (senza intervento del p.m. della esecuzione) ad un organo di polizia l'incarico di provvedere al conseguente riaccompagnamento dell'interessato in istituto. Nel comma 6, si regolano i tempi di validità del provvedimento provvisorio, analogamente a quanto fatto nel comma 2 per l'altro provvedimento provvisorio ivi previsto. Nel comma 7, si sottolinea la necessità che, se vi è decisione di revoca dell'affidamento, la ordinanza relativa contenga tutti gli elementi utili alla identificazione della pena e la definizione della entità del residuo della stessa ancora da espiare, in applicazione di quanto disposto con la sentenza costituzionale 29/10/1987, n.343.
E' parso utile indicare anche, nel comma 8, una precisa strada da seguire in caso di annullamento, da parte della Corte di Cassazione, della ordinanza ammissiva alla misura. Attualmente questa situazione non trova precise regole operative e, generalmente, trattandosi di provvedimenti di annullamento con rinvio, gli atti sono restituiti al tribunale di sorveglianza competente. E, in genere, non accade diversamente anche quando l'annullamento è senza rinvio. Appare invece necessario coinvolgere nuovamente l'organo del pubblico ministero competente alla esecuzione per gli interventi di sua spettanza. Anche qui si sottolinea, per evitare le disuniformità in materia (frutto di una applicazione non frequente e della particolarità del caso), che il periodo trascorso in affidamento resta utilmente espiato e va, quindi, dedotto per determinare la pena residua da espiare: v. sentenza 13/6/1985, n. 185 della Corte costituzionale.


Art. 99 - Affidamento in prova in casi particolari

 

Le modifiche apportate conseguono alla entrata in vigore della legge 27/5/1998, n.165. La modifica contenuta nel comma 1 deriva dall'abrogazione dell'art.47-bis e dalla sua sostituzione con il già vigente art.94 del T.U. Leggi stupefacenti, approvato con d.P.R. 9/10/1990, n. 309. Così anche il chiarimento di cui al comma 2: le limitazioni di cui al comma 9 dell'art. 656 c.p.p., non valgono, infatti, che per l'applicazione del sistema di cui ai commi 5 e 6 dello stesso articolo; fuori di tali casi continuano ad applicarsi le norme degli artt. 90 e segg. del T.U. Leggi stupefacenti citato.
Le disposizioni regolamentari di cui agli artt. 91, 91-bis e 91-ter sono applicabili anche nell'affidamento in prova in casi particolari: si tratta infatti di una misura che ha caratteristiche specifiche, ma a cui è applicabile, in mancanza di queste, il regime generale previsto dall'Ordinamento penitenziario e, in particolare, dall'art.47, che regola l'affidamento in prova al servizio sociale, di cui l'affidamento in prova in casi particolari è, come detto, una ipotesi speciale (come confermato dal suo originario inserimento nell'Ordinamento penitenziario con l'art.47-bis, introdotto dalla legge 21/6/1985 n.287, modificato dalla legge 10/10/1986, n.663 e infine sostituito dal ricordato art.94 del d.P.R. 9/10/1990, n. 309).
Il comma 4, in questo quadro, regola il rapporto fra l'affidamento in prova ordinario e quello in casi particolari. L'entità della pena detentiva per la ammissione al primo non può essere superiore ad anni tre (anche come residuo di maggior pena), mentre il secondo è ammissibile per una pena non superiore ad anni 4 (anche come residuo di maggior pena). Con riferimento a tale specifica disciplina del secondo, si indicano le modalità operative di intervento quando si sia conclusa la attuazione del programma riabilitativo dalla tossicodipendenza o dalla alcooldipendenza.
In ordine all'opportunità di dettare le suddette disposizioni con il presente regolamento di esecuzione della legge 354/1975, dalla quale, come sopra osservato, risulta espunta la corrispondente norma di cui all'articolo 47-bis, si ritiene - in contrario avviso rispetto al parere del Consiglio di Stato - che permanga l'utilità di una specifica norma regolamentare in tema di "affidamento in prova in casi particolari" ai sensi dell'articolo 94, comma 6, del decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309. In effetti, tale ultima disposizione, richiamata dalla fonte primaria e cioè dall'articolo 1 della legge 27 maggio 1998, n. 165, che ha sostituito il testo dell'articolo 656 c.p.p., rinvia espressamente, per quanto non diversamente stabilito, alla disciplina prevista dalla legge 26 luglio 1975, n. 354.

Art.100 - Detenzione domiciliare.

A prescindere dalle modifiche soltanto formali di cui ai commi 3 e 5 (conseguenti a intervenute modifiche legislative o regolamentari), l'unica modifica sostanziale è contenuta nel comma 8, che richiama, in quanto compatibili, le disposizioni regolamentari di cui agli artt. 96, 97 e 98 del presente regolamento nel testo modificato. Anche per la detenzione domiciliare, come già rilevato, esistono i problemi che hanno consigliato la dettagliata disciplina prevista nelle norme regolamentari citate. L'unico limite è rappresentato dalla compatibilità con la disciplina indicata negli articoli in questione, concernente specificamente l'affidamento in prova. Diversamente da questo, che si attua con un regime in libertà con particolari condizioni e limiti, la detenzione domiciliare si attua con un vero e proprio regime detentivo, anche se extracarcerario. Per questa misura, quindi, diversamente da quanto accade per l'affidamento, non sorgeranno i problemi del rapporto fra periodi di esecuzione in detenzione domiciliare e effetti espiativi della pena detentiva: i primi, quale che ne sia stato l'andamento, varranno a ridurre nella stessa esatta misura la entità della seconda.


Art.101 - Regime di semilibertà

 

Il nuovo articolo 101, oltre a richiamare, al comma 9, le disposizioni degli articoli 96, 97 e 98 in quanto compatibili, prevede, con il comma 2 una nuova disciplina delle modalità di attuazione della semilibertà. Le modifiche sottolineano la esigenza che la semilibertà non si preoccupi esclusivamente dello svolgimento di una particolare attività, in genere di lavoro, ma inserisca la stessa in un processo di evoluzione complessiva della integrazione familiare e sociale della persona.


Paragrafo II - Altri provvedimenti della magistratura di sorveglianza (artt. da 102 a 109).

Si tratta di modifiche riferite a singoli interventi della magistratura di sorveglianza, che vengono qui raccolte in un unico paragrafo. Si rinvia all'esame delle singole disposizioni e alle modifiche relative alle stesse.

 

Art. 103 - Riduzioni di pena per la liberazione anticipata

 

Le modifiche dei commi 1 e 3 sono formali e conseguono a modifiche legislative o regolamentari.
La modifica del comma 2 è volta a sostituire alla valutazione dell'"atteggiamento" del condannato (e, quindi, di un dato soggettivo), la valutazione di dati oggettivi che vadano oltre i semplici atteggiamenti. Inoltre, si inserisce anche la comunità esterna, oltre agli operatori, ai compagni e alla famiglia, come riferimento per stabilire -e criterio di valutazione del mantenimento di - rapporti corretti e costruttivi.


Art. 104 - Liberazione condizionale

 

Con la modifica del comma 2, in analogia con quanto fatto all'art.91, si indicano più esattamente e analiticamente i vari momenti attuativi del beneficio.


Art. 105 - Intervento del servizio sociale nella libertà vigilata

 

La modifica del comma 1, da un lato, sopprime la parte che fa riferimento all'art. 649 del c.p.p. abrogato, che non ha una norma corrispondente nel c.p.p. vigente, e, dall'altro, indica il contenuto dell'intervento del servizio sociale per relationem all'art.118, già citato da norme precedenti, nel quale si trova una nuova, aggiornata e dettagliata descrizione dell'intervento stesso.


Art.106 - Remissione del debito

 

L'unica modifica, consistente nella aggiunta della seconda proposizione del comma 1, ripete lo specifico contenuto della sentenza costituzionale 15/7/1991, n. 342.


Art. 107 - Comunicazioni all'organo dell'esecuzione

 

Nel comma 1, vengono dettate più precise disposizioni in materia di comunicazione del dispositivo dei provvedimenti della Magistratura di Sorveglianza.


Art. 108 - Rinvio della esecuzione delle pene detentive

 

E' stata apportata una correzione formale, già operata in altre norme, conseguente alla soppressione, con il nuovo c.p.p., delle funzioni di pubblico ministero per il pretore e la istituzione di un distinto ufficio del pubblico ministero presso lo stesso.


Parte settima

 

Organizzazione Penitenziaria


(Titolo II: articoli da 110 a 117)

Paragrafo I - Istituti penitenziari (artt. da 110 a 117).

Le modifiche introdotte presentano particolare rilievo soprattutto per alcuni articoli. L'esame che se ne fa nel contesto dei singoli articoli è preferibile ad un esame complessivo, che mortificherebbe il senso dei singoli interventi.


Art. 110 - Esecuzione di pene in istituti di categoria diversa

 

Anche se il numero delle case mandamentali e di arresto è ormai molto ridotto, si procede, nel comma 2, a modifiche utili per una migliore funzionalità delle stesse, precisando, in particolare, che le funzioni di direzione e di osservazione e trattamento in tali istituti sono svolte dal personale che svolge le stesse funzioni nella casa circondariale esistente nel territorio in cui è compresa la casa mandamentale. Per una più larga utilizzazione di tali istituti, là dove ancora esistenti, si prevede, ai commi 2 e 4, che possano esservi assegnati, oltre che i condannati alla pena dell'arresto, anche quelli alla pena della reclusione per un tempo non superiore a due anni, anche come residuo pena, che non presentino particolari problemi di custodia..
In mancanza di una distribuzione capillare delle sedi di casa di reclusione, si prevede, al comma 3, che i condannati possano essere assegnati a case circondariali, come è sempre largamente avvenuto. Si stabilisce un nuovo e maggiore limite di pena per la ammissione, che è portato da 3 a 5 anni di reclusione. Va rilevato che il limite dei tre anni era già frequentemente superato nella realtà operativa degli istituti.


Art. 111 - Ospedali psichiatrici giudiziari, case di cura e custodia, istituti e sezioni speciali per infermi e minorati fisici e psichici

 

Al comma 1, si sottolinea la necessità che, negli ospedali psichiatrici giudiziari, sia assegnato ed operi personale infermieristico. Questo, in riferimento alla natura ospedaliera che è propria di tali istituti e alla conseguente funzione di cura che gli stessi debbono espletare.
Al comma 7, con una applicazione dell'art.65 della legge che integra le indicazioni dei due commi, si privilegia la esecuzione della pena negli istituti ordinari anche per coloro che siano condannati a pena diminuita per vizio parziale di mente, come d'altronde largamente avviene nella prassi operativa degli istituti. Si ritiene che, negli istituti ordinari, che devono essere dotati di servizio psichiatrico, i problemi di salute mentale possano essere, in linea di massima, affrontati senza quelle ricadute negative che l'inserimento in una struttura psichiatrica può presentare. In sostanza l'inserimento in tali strutture equivale alla loro istituzionalizzazione, che i nuovi criteri di assistenza psichiatrica tendono ad escludere in quanto possibile. L'assegnazione e il mantenimento di tali soggetti in istituti o sezioni per soggetti affetti da infermità o minorazioni psichiche è, pertanto, condizionato alla circostanza che le loro condizioni si manifestino incompatibili con la permanenza negli istituti ordinari.


Art. 113 - Convenzioni con ospedali psichiatrici civili

 

Le modifiche apportate all'articolo derivano dalla abolizione degli ospedali psichiatrici civili, che sono stati sostituiti da servizi che prestano una assistenza psichiatrica. Si prevede che la gestione degli ospedali psichiatrici giudiziari debba tenere conto delle più avanzate acquisizioni terapeutiche anche attraverso protocolli di trattamento psichiatrico convenuti con altri servizi psichiatrici territoriali pubblici.


Art.115 - Distribuzione dei detenuti ed internati negli istituti

 

Il nuovo testo dell'art.102 interviene su vari punti.
Al comma 1, si afferma un principio che è strettamente legato al decentramento organizzativo della amministrazione penitenziaria. Svincolo rilevante di tale decentramento, il cui terminale sono poi i singoli istituti, è rappresentato dai provveditorati regionali della amministrazione penitenziaria. In ogni regione si deve avviare un processo di tendenziale autosufficienza del sistema degli istituti e di conseguente autonomia del singolo territorio regionale, sia pure con i temperamenti conseguenti alla pregressa evoluzione del sistema degli istituti sull'intero territorio dello Stato e sovente con una distribuzione scarsamente razionale.
Dei circuiti penitenziari si occupa il comma 2, che ne precisa le caratteristiche essenziali. I diversi circuiti si realizzano senza differenza di regime giuridico, unico pertanto anche in quegli istituti o sezione ad alta sorveglianza. La differenza dei circuiti serve a realizzare una distribuzione dei detenuti e internati negli istituti e sezioni, tale da rendere operativi i criteri indicati nel comma 2 dell'art.14 e nell'art.64 della legge.
I commi 3 e 4 si soffermano su un circuito in cui la custodia può essere attenuata per la minore pericolosità delle persone che vi vengono assegnate. Il comma 3 sottolinea la esigenza in tali istituti di interventi assistenziali e trattamentali adeguati. Va chiarito che, con tale richiamo, si vuole sottolineare che possono essere maggiori, per gli appartenenti a tale circuito, l'osservazione e il trattamento individualizzati con riferimento alle loro specifiche condizioni e problemi, fermo restando che in tutti gli istituti devono essere attivi gli strumenti trattamentali indicati dall'art.15 della legge. Tale regime potrà riguardare, in particolare,: gli istituti e le sezioni femminili, che, per il modesto numero e la ordinaria tipologia delle persone presenti, non presentano profili di pericolosità significativi; una parte dei c.d. "giovani adulti" (da 18 a 25 anni), quelli cioè che non hanno alle spalle una storia criminale significativa e la commissione di gravi reati; i tossicodipendenti e alcooldipendenti, per i quali devono realizzarsi interventi adeguati alle loro condizioni da parte dei servizi socio-sanitari pubblici; le persone con patologie di ordine psichico e fisico, con particolare riferimento ai sieropositivi per HIV, per i quali devono essere escluse tutte le forme di isolamento, seguite in passato in carcere, e devono invece essere attivati regimi di vita aperti e lo svolgimento di attività che li impegnino, così che siano contrastati i processi di autoesclusione e di sempre maggiore abulia e inerzia che sovente caratterizza questi soggetti; analogamente è a dire anche per gli internati, sia per coloro che presentano problemi psichici, per i quali valgono le cose ora dette, sia per coloro che non hanno tali problemi, per i quali è necessario un trattamento impostato sullo svolgimento di una attività di lavoro. Per questi gruppi di soggetti, la permanenza in cella per lunghi periodi, da evitare per tutti, è comunque particolarmente nociva e una loro maggiore possibilità di movimento non compromette certamente la sicurezza degli istituti. Di qui la già rilevata necessità che sia realizzato nei loro confronti un regime trattamentale, intensificato e individualizzato nei termini indicati, e a custodia attenuata.


Art. 116 - Accesso ai ministri di culto negli istituti

 

L'articolo dà le opportune indicazioni in ordine all'accesso dei ministri di culo cattolico diversi dai cappellani e da quelli di cui all'articolo 58, ultimo comma.

 

Art. 117 - Visite agli istituti

 

Al comma 1, si sottolinea che le visite devono consentire la verifica delle condizioni di vita dei reclusi.
Al comma 4, confermata al ministero la facoltà di autorizzare alla visita persone diverse da quelle indicate nell'art.67 della legge, facoltà già prevista nel testo vigente del regolamento, si prevede anche la possibilità, per lo stesso ministero, di autorizzazione alla visita in linea generale di persone appartenenti a categorie non comprese nell'art.67. L'esempio più semplice è quello dei parlamentari europei: non appare contestabile la opportunità che gli stessi possano visitare gli istituti (e che vi sia quindi una autorizzazione in via generale da parte del ministero), tenendo anche conto che il Parlamento europeo ha predisposto documenti sulle regole da osservare nella esecuzione della pena e che esistono organi europei che svolgono funzioni di controllo sul carcere.

 

Paragrafo II - Servizio sociale e assistenza (artt. da 118 a 120).

Tutto il paragrafo è stato sostanzialmente modificato per adeguare la materia alla più recente legislazione. In particolare, l'art.118 dà una nuova descrizione delle funzioni del Servizio sociale, particolarmente nell'area della esecuzione penale esterna, che ha assunto grande rilievo a seguito della legge 27 maggio 1998 n.165. L'art. 119 è stato solo parzialmente abrogato, in quanto i Consigli di aiuto sociale non sono stati ancora formalmente soppressi, pur essendo venute meno le loro funzioni; in considerazione di ciò si è mantenuta soltanto la definizione degli uffici dei Consigli di aiuto sociale eliminando la parte relativa al loro funzionamento. L'art.120 interviene su una situazione del volontariato penitenziario, fattasi negli anni recenti più articolata e assai più significativa.


Art. 118 - Centro di servizio sociale

 

L'articolo in esame tiene conto del lungo percorso compiuto dal servizio sociale penitenziario nel corso degli oltre 20 anni di applicazione dell'Ordinamento penitenziario e, in particolare, di affermazione dell'area penitenziaria esterna, come si è chiamata l'area delle misure alternative alla detenzione.
Nel comma 1 si prende atto, intanto, dell'ultima evoluzione organizzativa dei centri, che si articolano, ora, in sedi centrali e sedi distaccate. Restano le sedi centrali, istituite là dove si trovano gli uffici di sorveglianza ex art.72 della legge (recentemente sono state aperte le ultime sedi, che non erano state ancora istituite): alle stesse sono state aggiunte varie sedi decentrate in base alle rilevazioni effettuate sulla distribuzione del lavoro sul territorio.
Fin dal comma 1 si indica l'altro aspetto organizzativo: quello della dotazione di personale. Lo stesso è distribuito, nelle varie sedi, in aree diverse, che sono specificate nel comma 2: area di servizio sociale, area di segreteria e area amministrativo-contabile. Anche sotto questo profilo si sottolinea la complessità che i centri hanno ormai assunto. Al comma 3, si precisa che l'area di servizio sociale è integrata anche da esperti dell'osservazione e trattamento ex art.80, comma 4, della legge.
Dopo una precisazione, al comma 4, circa la collocazione delle sedi (spazialmente separate da quelle degli istituti e degli uffici giudiziari), il comma 5 dà indicazioni circa la organizzazione della attività dei centri attraverso la descrizione delle funzioni del direttore degli stessi. Sempre allo stesso comma 5, si indica fra le funzioni del direttore quella di favorire la supervisione tecnica del personale, attività che risulta preziosa per il sostegno degli operatori e per una costante verifica e analisi critica della piena attuazione del loro ruolo.
L'attività degli operatori è poi analiticamente descritta negli ultimi commi, non senza ricordare, al comma 6, la necessità di coordinare l'attività dei centri con quella delle istituzioni e dei servizi sociali che operano sul territorio, e, al comma 7, il senso di questo coordinamento-integrazione, rappresentato dalla visione complessiva delle dinamiche sociali, nelle quali si inseriscono le vicende personali e familiari degli utenti. E' il comma 8, infine, quello che descrive il senso degli interventi degli operatori, articolati in un processo unitario e personalizzato, che deve essere caratterizzato: dalla occasione offerta al destinatario del servizio di sperimentare un rapporto corretto con la società, basato, da un lato sulla fiducia accordatagli, e, dall'altro, su un controllo del suo comportamento privo di connotazioni repressive; dall'aiuto al soggetto per la individuazione e la migliore utilizzazione delle risorse presenti nella realtà familiare e sociale; dal sostegno per l'adempimento degli obblighi e delle prescrizioni legate all'attuazione delle misure alternative; ad una riflessione critica sugli atteggiamenti del soggetto che hanno condizionato la condotta penalmente sanzionata.


Art. 120 - Assistenti volontari

 

Nel comma 1, registrando la positiva evoluzione del volontariato penitenziario, si prevede che l'autorizzazione allo svolgimento della attività di assistente volontario negli istituti possa riguardare anche più persone appartenenti ad organizzazioni di volontariato, le quali, attraverso convenzioni con le direzioni degli istituti e dei centri di servizio sociale, assicurino una presenza continuativa in determinati settori della attività penitenziaria.
Il comma 3 stabilisce regole che assicurino la continuità dell'intervento dei volontari ed una adeguata e tempestiva valutazione dello stesso.
Nel comma 4, si sottolinea l'opportunità che il volontariato operi attraverso la integrazione con gli operatori istituzionali e che il suo accesso agli istituti si realizzi con le modalità e i tempi previsti per le attività trattamentali. Analoghi principi devono informare la collaborazione degli assistenti volontari alle attività dei centri di servizio sociale nella gestione delle misure alternative.
Nel comma 5, infine, si prevede che il magistrato di sorveglianza, su proposta del quale (v.art.78, comma 1, della legge) l'assistente volontario è nominato, debba esprimere il proprio parere quando si propone la revoca della nomina.

 

Parte ottava


Cassa delle Ammende (Parte II artt. da 121 a 130)


L'attività della Cassa delle ammende, istituita dall'art. 4 della legge 9.5.1932, n. 547, é attualmente disciplinata da poche e generiche disposizioni contenute nel detto art. 4, nonché da alcune norme contenute nel Regolamento di esecuzione dell'Ordinamento penitenziario, risalenti al 1976.
Una simile disciplina presenta vistose lacune per quanto concerne l'assetto organizzativo di detta Cassa, le sue finalità, non più attuali, e il suo funzionamento.
E' pertanto necessario che la Cassa delle ammende, organismo dotato di personalità giuridica, abbia una disciplina organica, per quanto riguarda sia il suo assetto organizzativo e le funzioni degli organi che la amministrano, sia, in particolare, le regole amministrative e contabili occorrenti per il suo corretto funzionamento.
E' indispensabile anche rivedere la disciplina della materia dei versamenti delle somme a favore della Cassa delle ammende tramite gli Uffici del Registro, dato che il servizio di riscossione delle entrate dello Stato ha subito una radicale trasformazione. Infatti, il decreto legislativo 9 luglio 1997 n. 237, ha soppresso il servizio di cassa presso i predetti Uffici del Registro ed ha stabilito che detto servizio di riscossione deve essere effettuato mediante concessionari appositamente autorizzati.
Inoltre, è da considerare che, a seguito del trasferimento agli Enti Locali, disposto dal d.P.R. 24.7.1977, n. 616, delle funzioni di carattere economico sino ad allora svolte dai Consigli di aiuto sociale di cui agli artt. 74 e seguenti dell'Ordinamento penitenziario, le disponibilità finanziarie della Cassa delle ammende destinate alla erogazione di contributi a favore di detti Consigli hanno finito con il non essere più utilizzate per mancanza di proposte al riguardo.
Occorre anche definire i problemi che impediscono la concreta attuazione del quinto comma, n. 3), dell'art. 74 della legge n. 354/75, che prevede l'assegnazione, sul bilancio della Cassa delle ammende, del 50% dei proventi delle manifatture carcerarie.
E' poi da tenere presente che la mancanza di apposite norme impedisce alla Cassa delle ammende di utilizzare personale, locali, macchinari e attrezzature dell'Amministrazione penitenziaria, presso la quale essa è istituita ed opera, ed impedisce altresì di ricevere eventuali oblazioni volontarie, donazioni, sovvenzioni o contributi da parte di privati, nonché di determinare forme di investimento del proprio patrimonio diverse da quella dell'accensione di un conto corrente presso la Cassa depositi e prestiti.
A risolvere le succitate problematiche e a dare alla Cassa delle ammende un migliore assetto e nuove finalità mirano le disposizioni contenute negli articoli da 121 a 130.
In particolare, l'art. 126 detta una nuova disciplina della materia dei versamenti di somme a favore della Cassa delle ammende, in armonia con le vigenti disposizioni che regolano la riscossione delle entrate dello Stato.
L'art. 129, comma 2, consentirà alla Cassa delle ammende di operare come soggetto cofinanziatore dei fondi strutturali europei, i quali, come è noto, vengono erogati unicamente in favore di progetti già finanziati, ad opera del Paese membro, al momento della loro presentazione.
Date le ben note carenze delle disponibilità finanziarie del bilancio dello Stato e data la cospicua somma di cui già dispone la Cassa delle ammende (oltre 80 miliardi), a cui si aggiungerà quella acquisibile annualmente (circa 10 miliardi), tali disponibilità potrebbero divenire un moltiplicatore dei fondi strutturali europei.
Si aggiunge che la normativa comunitaria consente di utilizzare detti fondi per la formazione, l'orientamento, la creazione di imprese (es. cooperative), l'inserimento lavorativo ecc., per le categorie di persone svantaggiate (prime, fra queste, sono, appunto, quella dei detenuti ed internati, in generale e, in particolare, quelle dei tossicodipendenti e degli extracomunitari). E', quindi, facilmente intuibile l'enorme potenzialità di cui potrà disporre l'Amministrazione penitenziaria sia per incentivare il lavoro dei detenuti e internati, sia per offrire loro le indispensabili opportunità di reinserimento sociale al momento della loro dimissione dal carcere.
Nel comma 3 dell'art. 129 viene mantenuta l'attività assistenziale che la Cassa delle ammende già svolgeva attraverso i Consigli di aiuto sociale, con la novità, però, che si prevede l'elargizione dei fondi unicamente attraverso la presentazione di appositi progetti, ossia di finanziamenti mirati, aventi come destinatari i detenuti ed internati ed i loro familiari o conviventi.
In sostanza, un organismo che, con la sua autonomia, possa consentire all'Amministrazione penitenziaria di ampliare le forme di intervento in materia di lavoro penitenziario, nonché di realizzare progetti che facilitino il reinserimento sociale dei detenuti ed internati appare perfettamente in linea con le indicazioni dell'Unione Europea in materia di amministrazione pubblica, riguardanti la realizzazione di "Agenzie" mediante le quali si possano raggiungere, in modo flessibile, obiettivi precisi.

Parte nona

 

Disposizioni finali e transitorie (articoli da 131 a 136)

 

In questa parte si provvede all'adeguamento formale delle disposizioni finali alle modifiche normative intervenute. Ovviamente non sono riprodotte le disposizioni transitorie del d.P.R. n. 431 del 1976 (artt. 123 e 124), la cui attualità è ormai venuta meno. Parimenti è stata abrogata la regolamentazione del personale infermieristico, poiché è totalmente mutata la legislazione relativa a tutto il personale paramedico.
Nella disciplina transitoria del presente regolamento, si prevede che l'adeguamento delle strutture penitenziarie alle disposizioni degli articoli 7 e 13, commi 1 e 3, del presente regolamento debba avvenire entro cinque anni.
Con l'articolo 136 si provvede ad abrogare il precedente regolamento di esecuzione. Ovviamente ciò non incide sulle discipline previste da altre disposizioni normative speciali (come ad es. le norme di attuazione della legge sui collaboratori di giustizia, cfr. d.m. 24 novembre 1994, n. 687).

 

 

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