DM Giustizia 144/2006

 

Il trattamento penitenziario per i collaboratori di giustizia

(Decreto Ministero della Giustizia 144/2006 - G.U. n° 84 10.4.2006)

 

Dal 25 aprile 2006 sarà in vigore il DM del Ministero della Giustizia n. 144/2006, che detta le nuove regole sulla detenzione dei collaboratori di giustizia. Questo provvedimento (pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 10 aprile 2006) riguarda sostanzialmente tutti i detenuti che collaborano, per cui è previsto uno speciale regime di protezione che ne assicuri l’incolumità. È stabilito che, non appena un carcerato manifesti la volontà di collaborare, il Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria debba fare in modo che questi non abbia alcun contatto con altri collaboratori coinvolti negli stessi casi, ma anche che gli vengano evitati i possibili colloqui investigativi di routine consentiti per legge (per avere informazioni utili a prevenire e reprimere atti criminali e delitti in genere, ad esempio) e precluse le comunicazioni epistolari, telefoniche o telegrafiche. In alcuni casi, però, si può concedere l’autorizzazione al colloquio telefonico con familiari o conviventi sottoposti a protezione, ma solamente tramite telefonino a spese del detenuto e purché il Servizio centrale di protezione attesti la disponibilità dell’utenza da parte del destinatario della chiamata. Tutte queste misure, comprese quelle messe in atto per garantirne la sicurezza, devono rimanere in vigore fino alla completa conclusione della redazione dei verbali e comunque almeno fino alla redazione del verbale illustrativo dei contenuti della collaborazione.

Il DM specifica che, se la volontà di collaborare è comunicata dall’autorità giudiziaria, le disposizioni appena illustrate devono provenire dalla Direzione generale dei detenuti e del trattamento del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria, che deve pure provvedere a darne comunicazione immediata al Procuratore della Repubblica ed al Procuratore nazionale antimafia. Tuttavia, se dovessero esserci particolari motivi d’urgenza, potrà essere l’istituto stesso a stabilire le disposizioni, comunicandolo sempre al Procuratore della Repubblica ed al Procuratore nazionale antimafia, oltre che alla Direzione generale dei detenuti e del trattamento, per le disposizioni future.

Il provvedimento detta regole precise anche per quanto concerne l’assegnazione di questi detenuti ad un istituto o ad una sezione di un istituto, specificando che essa deve essere fatta in modo non ci possano essere contatti tra collaboratori di giustizia che, in base alle notizie comunicate dall’autorità giudiziaria e dal Servizio centrale di protezione, risultano partecipare agli stessi procedimenti giudiziari o avere, comunque, reso dichiarazioni sugli stessi fatti delittuosi. Queste disposizioni è previsto che valgano pure, compatibilmente con la fruizione del beneficio concesso, per i collaboratori di giustizia assegnati al lavoro esterno, ammessi alla misura della semilibertà od alla cura ed all’assistenza all’esterno dei figli di età non superiore ai dieci anni.

Inoltre, i collaboratori di giustizia possono anche essere trasferiti temporaneamente in istituti o sezioni diverse da quelle di assegnazione, ma solo per compiere atti specifici altrimenti ineseguibili e comunque osservando tutte le disposizioni che li riguardano (protezione, isolamento dagli altri collaboratori che partecipano allo stesso procedimento, ecc.). Per quanto concerne, invece, il caso che le disposizioni non possano essere ottemperate nella casa di lavoro o nella colonia agricola di assegnazione, il DM stabilisce che il detenuto collaboratore possa essere assegnato in altre realtà più idonee.

Ministero della Giustizia

Decreto 7 febbraio 2006, n. 144

Regolamento, ai sensi dell’articolo 19, comma 2, della legge 13 febbraio 2001, n. 45,

in materia di trattamento penitenziario di coloro che collaborano con la giustizia.

 

Il Ministro della Giustizia

di concerto con

Il Ministro dell’Interno

 

Visto il decreto-legge 15 gennaio 1991, n. 8, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 marzo 1991, n. 82, recante "Nuove norme in materia di sequestri di persona a scopo di estorsione e per la protezione dei testimoni di giustizia, nonché per la protezione ed il trattamento sanzionatorio di coloro che collaborano con la giustizia", come da ultimo modificata dalla legge 13 febbraio 2001, n. 45, recante "Modifica della disciplina della protezione e del trattamento sanzionatorio di coloro che collaborano con la giustizia nonché disposizioni a favore delle persone che prestano testimonianza" e, in particolare l’articolo 17-bis, comma 2 [1];

Vista la legge 26 luglio 1975, n. 354, recante "Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della liberta", nonché il decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 2000, n. 230, "Regolamento recante norme sull’ordinamento penitenziario e sulle misure privative e limitative della liberta";

Visto l’articolo 17, commi 3 e 4, legge 23 agosto 1988, n. 400[2];

Udito il parere del Consiglio di Stato, espresso dalla Sezione consultiva per gli atti normativi nell’adunanza del 30 maggio 2005, le cui osservazioni sono state recepite, ad eccezione di quella concernente la formula utilizzata nell’articolo 4, il cui accoglimento importerebbe conseguenze in contrasto con le regole fondamentali del trattamento penitenziario;

Vista la comunicazione alla Presidenza del Consiglio dei Ministri a norma dell’articolo 17, comma 3, della citata legge 23 agosto 1988, n. 400;

 

Emana il seguente regolamento:

 

Articolo 1.

Ambito di applicazione

 

1. Sono sottoposti alle disposizioni del presente regolamento:

a) i detenuti e gli internati che risultano tenere o aver tenuto condotte di collaborazione previste dal codice penale o da disposizioni speciali relativamente ai delitti previsti dall’articolo 9, comma 2, decreto-legge 15gennaio 1991, n. 8 [3], e che siano ammessi alle speciali misure di protezione o per i quali sia stata avanzata la proposta di ammissione a misure speciali di protezione, ovvero per i quali sia stata avanzata richiesta di piano provvisorio di protezione, ovvero che siano sottoposti a piano provvisorio di protezione, ovvero che siano sottoposti a misure di eccezionale urgenza ai sensi dell’articolo 13, comma 1, decreto-legge 15 gennaio 1991, n. 8;

b) i detenuti e gli internati che risultano tenere o aver tenuto condotte di collaborazione previste dal codice penale o da disposizioni speciali relativamente ai delitti previsti dall’articolo 9, comma 2, decreto-legge 15 gennaio 1991, n. 8, per i quali, sebbene non sia stata avanzata richiesta di speciali misure di protezione, il Procuratore della Repubblica che sta raccogliendo o che ha raccolto il verbale illustrativo dei contenuti della collaborazione previsto dall’articolo 16-quater del medesimo decreto-legge, richiede, in vista della formulazione della proposta di ammissione a speciali misure di protezione, l’adozione di particolari cautele nella gestione penitenziaria;

c) i soggetti che sono stati sottoposti nel passato alle speciali misure di protezione e ne sono fuoriusciti con misure di reinserimento sociale ai sensi dell’articolo 13, comma 5, decreto-legge 15 gennaio 1991, n. 8, salvo che, anche sulla base di informazioni provenienti dall’autorità giudiziaria, il nuovo stato di detenzione o di internamento non sia conseguente a fatti incompatibili con le condotte di collaborazione con la giustizia;

d) i detenuti e gli internati che sono stati sottoposti nel passato alle speciali misure di protezione poi revocate, ovvero al piano provvisorio di protezione non seguito dalla richiesta delle speciali misure di protezione, ovvero a misure di eccezionale urgenza non seguite dalla definizione di un piano provvisorio o delle speciali misure di protezione;

e) i detenuti e gli internati che, sebbene non tengono o non hanno tenuto condotte di collaborazione, sono sottoposti alle speciali misure di protezione in ragione delle situazioni previste dall’articolo 9, comma 5, decreto-legge 15 gennaio 1991, n. 8.

 

Articolo 2.

Principi direttivi del trattamento penitenziario dei collaboratori di giustizia

 

1. I soggetti indicati all’articolo 1 godono dei diritti e sono sottoposti ai doveri previsti dalla legge 26 luglio 1975, n. 354, ed al regolamento approvato con decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 2000, n. 230.

2. Le modalità di esercizio dei diritti e di adempimento dei doveri dei soggetti indicati all’articolo 1 possono essere modificate soltanto al fine di garantire la genuinità delle dichiarazioni, di assicurare la riservatezza nonché di tutelare l’incolumità personale del detenuto o dell’internato.

3. Nei confronti di un soggetto che al momento dell’ingresso in carcere si trova nelle condizioni previste dall’articolo 1, l’Amministrazione penitenziaria adotta, a richiesta delle autorità preposte alla tutela del soggetto e, in caso di urgenza, di propria iniziativa, le misure di protezione necessarie ad assicurarne l’incolumità personale.

4. La direzione dell’istituto di pena adotta tutte le misure di sostegno e di trattamento, compatibili con le esigenze di sicurezza, idonee ad evitare che le condizioni di vita dei soggetti indicati all’articolo 1 risultino deteriori rispetto a quelle degli altri detenuti.

 

Articolo 3.

Provvedimenti nei confronti dei detenuti che manifestano la volontà di collaborare

 

1. Qualora il detenuto o l’internato manifesta la volontà di collaborare con la giustizia, il Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria, in attuazione dall’articolo 13, comma 14, decreto-legge 15 gennaio 1991, n. 8, dispone immediatamente le misure necessarie ad evitare l’incontro con altre persone che collaborano con la giustizia, i colloqui investigativi di cui all’articolo18-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354 [4], e le comunicazioni epistolari, telefoniche o telegrafiche, nonché adotta le specifiche misure volte a garantire la sicurezza. Le misure sono mantenute fino alla completa conclusione della redazione dei verbali e comunque almeno fino alla redazione del verbale illustrativo dei contenuti della collaborazione.

2. Se la manifestazione della volontà di collaborare è comunicata dall’autorità giudiziaria, le disposizioni sono impartite dalla Direzione generale dei detenuti e del trattamento del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria, che adotta altresì le opportune misure di protezione, dandone immediata comunicazione al Procuratore della Repubblica ed al Procuratore nazionale antimafia.

3. Nell’ipotesi indicata al comma 2, qualora ricorrano ragioni di urgenza, la direzione dell’istituto che abbia ricevuto direttamente la comunicazione dall’autorità giudiziaria adotta provvedimenti di contenuto analogo a quelli indicati nel comma precedente, dandone immediata comunicazione al Procuratore della Repubblica, al Procuratore nazionale antimafia, nonché alla Direzione generale dei detenuti e del trattamento per le successive disposizioni.

4. Analoghe misure d’urgenza si applicano ai detenuti ed agli internati che manifestano la volontà di collaborare direttamente alla direzione dell’istituto che provvede alle comunicazioni di cui al comma 3.

5. Qualora non pervenga diversa comunicazione da parte del Procuratore della Repubblica al quale il detenuto sta rendendo o ha reso le dichiarazioni indicate all’articolo 16-quater, decreto-legge 15 gennaio 1991, n. 8, le misure previste dai commi 2 e 3 sono revocate decorsi centottanta giorni da quello in cui il soggetto ha manifestato la volontà di collaborare, secondo quanto comunicato dal Procuratore della Repubblica.

 

Articolo 4.

Criteri di assegnazione agli istituti o alle sezioni

 

1. Fatte salve le misure indicate all’articolo 3, comma 1, i detenuti e gli internati indicati all’articolo 1, comma 1, lettere a) e c), sono assegnati, con provvedimento della Direzione generale dei detenuti e del trattamento del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria, ad appositi istituti o sezioni di istituto.

L’assegnazione deve essere effettuata in modo da evitare contatti fra collaboratori di giustizia che, in base alle notizie comunicate dall’autorità giudiziaria e dal Servizio centrale di protezione, risultano partecipare ai medesimi procedimenti giudiziari o avere, comunque, reso dichiarazioni sui medesimi fatti delittuosi.

2. Fatte salve le misure indicate all’articolo 3, comma 1, su richiesta del Procuratore della Repubblica che sta raccogliendo o che ha raccolto il verbale illustrativo dei contenuti della collaborazione, o su richiesta di altro Procuratore della Repubblica, d’intesa con il primo, i detenuti e gli internati indicati all’articolo 1, comma 1, lettera b), sono assegnati con provvedimento della Direzione generale dei detenuti e del trattamento del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria, ad appositi istituti o sezioni di istituto, comunque diversi da quelli indicati al comma 1. L’assegnazione deve essere effettuata in modo da evitare contatti fra collaboratori di giustizia che, in base alle notizie comunicate dall’autorità giudiziaria e dal Servizio centrale di protezione, risultano partecipare ai medesimi procedimenti giudiziari o avere, comunque, reso dichiarazioni sui medesimi fatti delittuosi.

3. I detenuti e gli internati indicati all’articolo 1, comma 1, lettere d) ed e), sono rispettivamente assegnati, con provvedimento della Direzione generale dei detenuti e del trattamento del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria, ad appositi e tra loro distinti istituti o sezioni di istituto, comunque diversi da quelli indicati ai commi 1 e 2.

4. Le disposizioni previste ai precedenti commi si applicano, compatibilmente con le modalità di fruizione del beneficio concesso, anche ai detenuti e agli internati, collaboratori di giustizia:

a) assegnati al lavoro all’esterno ai sensi dell’articolo 21, legge 26luglio 1975, n. 354 [5];

b) ammessi alla misura della semilibertà ai sensi dell’articolo 48 della medesima legge [6];

c) ammessi alla cura e all’assistenza all’esterno dei figli di età non superiore agli anni dieci ai sensi dell’articolo 21-bis della medesima legge[7].

5. Per il compimento di specifici atti non esperibili nell’istituto o nella sezione di assegnazione, su richiesta del Procuratore della Repubblica che svolge le indagini, la Direzione generale dei detenuti e del trattamento del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria può trasferire, per il tempo strettamente necessario e comunque preventivamente indicato, i detenuti e gli internati di cui all’articolo 1 ad istituti o sezioni diversi da quelli indicati ai commi 1, 2, 3 e 4, assicurando comunque le esigenze di sicurezza ed evitando i contatti con altri collaboratori di giustizia che, in base alle notizie comunicate dall’autorità giudiziaria e dal Servizio centrale di protezione, risultano partecipare ai medesimi procedimenti giudiziari o avere, comunque, reso dichiarazioni sui medesimi fatti delittuosi.

6. Qualora agli internati che si trovano nelle condizioni previste dall’articolo 1, per salvaguardare la genuinità delle dichiarazioni nonché per tutelare l’incolumità personale, non sia possibile assicurare nella casa di lavoro o nella colonia agricola di assegnazione le stesse condizioni restrittive e le stesse opportunità di trattamento applicate agli altri internati, la Direzione generale dei detenuti e del trattamento del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria può assegnarli ad un’altra casa di lavoro o colonia agricola, assicurando comunque le suddette esigenze.

7. I medesimi criteri indicati al comma 6 si applicano agli internati che si trovano nelle condizioni previste dall’articolo 1 e che sono assegnati ad una casa di cura e custodia, ad un ospedale psichiatrico giudiziario, ad un istituto per infermi o minorati, ovvero che sono sottoposti ad osservazione psichiatrica ai sensi dell’articolo 112 del decreto del Presidente della Repubblica 30giugno 2000, n. 230 [8].

8. La Direzione generale dei detenuti e del trattamento del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria, qualora ricorrano gravi ragioni di sicurezza, può, sentita l’autorità giudiziaria, assegnare i detenuti o gli internati indicati all’articolo 1, comma 1, lettera d), ad istituti o sezioni di istituto ordinari.

 

Articolo 5.

Ordini di servizio in materia di sicurezza

 

1. La direzione dell’istituto penitenziario dotato di sezione per detenuti o internati indicati all’articolo 1 adotta, anche sulla base di eventuali disposizioni del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria, un apposito ordine di servizio contenente tutte le prescrizioni alle quali deve attenersi il personale per la gestione dei soggetti ivi ristretti e in ogni caso:

a) l’assegnazione, ai servizi di sezione, di personale capace ed esperto, nonché la rigorosa limitazione e la registrazione degli accessi;

b) le cautele per assicurare la riservatezza degli atti relativi al collaboratori di giustizia;

 

c) le modalità di spostamento e di uscita dei detenuti dalla sezione;

d) le cautele per assicurare che il cibo, i farmaci e gli oggetti che i detenuti possono legittimamente acquistare o detenere non possano subire manipolazioni;

e) l’indicazione delle misure per garantire il rispetto dei divieti contenuti nell’articolo 13, comma 14, decreto-legge 15 gennaio 1991, n. 8.

3. Qualora l’istituto penitenziario non sia dotato di sezione per collaboratori di giustizia, la direzione dell’istituto di pena in cui sia ristretto un soggetto che abbia manifestato la volontà di collaborare o che comunque si trovi nelle condizioni di cui all’articolo 1, emana un ordine di servizio di contenuto analogo a quello indicato nel comma 2.

 

Articolo 6.

Colloqui e corrispondenza

 

1. Ai detenuti ed agli internati indicati all’articolo 1 si applicano integralmente le disposizioni previste dagli articoli 18 e 18-ter, legge 26luglio 1975, n. 354 [9], e dagli articoli 37, 38, 39 del decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 2000, n. 230 [10], salve le limitazioni previste dall’articolo 13, comma 14, decreto-legge 15 gennaio 1991, n. 8.

2. Le condizioni indicate all’articolo 1 integrano le particolari circostanze previste dall’articolo 37, comma 9, decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 2000, n. 230.

3. Ai detenuti o internati che si trovano nelle condizioni previste dall’articolo 1, comma 1, lettere a) e c), può essere concessa l’autorizzazione al colloquio telefonico con propri familiari o conviventi sottoposti a protezione mediante connessione ad utenza cellulare, purché il Servizio centrale di protezione attesti la disponibilità dell’utenza da parte del familiare o del convivente.

La connessione è effettuata dalla direzione dell’istituto tramite personale specificatamente addetto ed a spese del detenuto.

 

Articolo 7.

Traduzioni e trasferimenti

 

1. La traduzione, il trasferimento ed il piantonamento dei soggetti indicati all’articolo 1, anche se detenuti o internati in luoghi esterni agli istituti di pena, sono effettuati da personale del Corpo di Polizia penitenziaria.

2. La direzione dell’istituto penitenziario che provvede alla traduzione o al trasferimento emana le disposizioni ritenute utili ad assicurare l’incolumità fisica del detenuto o internato e della scorta, ad impedire tentativi di evasione, ad assicurare l’effettività dei divieti di colloquio e di incontro stabiliti dalla legge o da disposizioni dell’autorità giudiziaria competente.

3. La direzione dell’istituto penitenziario comunica tempestivamente l’ordine di traduzione o trasferimento al Servizio centrale di protezione che ne informa le Questure ed i Comandi provinciali dell’Arma dei Carabinieri competenti in relazione all’itinerario previsto.

4. Le Forze di polizia interessate dispongono la vigilanza ritenuta adeguata alle concrete esigenze di sicurezza.

5. Salvi i provvedimenti adottati dall’autorità di pubblica sicurezza, per particolari esigenze di ordine e di sicurezza pubblica, il responsabile del servizio di traduzione può richiedere, in situazioni di emergenza attinenti la sicurezza, l’intervento della Polizia di Stato e dell’Arma dei Carabinieri competenti per territorio.

6. La traduzione ed il trasferimento dei soggetti collocati in detenzione domiciliare o agli arresti domiciliari e sottoposti alle speciali misure di protezione, al piano provvisorio di protezione e alle misure di eccezionale urgenza ai sensi dell’articolo 13, comma

1, decreto-legge 15 gennaio 1991, n. 8, sono effettuati a cura del Servizio centrale di protezione, il quale vi provvede mediante le forze di polizia territoriali.

7. Qualora venga concesso un permesso ai sensi degli articoli 30 e 30-ter,legge 26 luglio 1975, n. 354 [11], se l’autorità giudiziaria ne ha disposto la fruizione in località nota al Servizio centrale di protezione, la traduzione del soggetto è effettuata a cura del Servizio medesimo, il quale vi provvede mediante le Forze di polizia territoriali. Il presente decreto, munito del sigillo dello Stato, sarà inserito nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana. È fatto obbligo a chiunque spetti di osservarlo e farlo osservare.

 

Roma, 7 febbraio 2006

 

Il Ministro della giustizia: Castelli

Il Ministro dell’interno: Pisanu

Visto, il Guardasigilli: Castelli

 

Registrato alla Corte dei conti il 27 marzo 2006

Ministeri istituzionali, registro n. 3, foglio n. 196

 

 

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