Intervista ad Angiolo Marroni

 

Angiolo Marroni, garante per i diritti dei detenuti del Lazio

 

L’Opinione on line, 31 marzo 2004

 

Il 26 febbraio, il consiglio regionale del Lazio ha eletto Angiolo Marroni garante dei diritti dei detenuti. Il Lazio è la prima regione in Italia ad aver istituito questa figura di garanzia, prevista dalla legge regionale n. 31 dello scorso 6 ottobre che ha istituito un "ufficio del garante delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale". È presto per valutare l’importanza o l’efficacia di questa nuova figura di garanzia, ma si può da subito dire che la persona designata a ricoprire il nuovo incarico non è un burocrate qualsiasi, o un "buonista" in cerca di sinecura. Marroni è un personaggio importante della politica laziale.

70 anni, napoletano, avvocato, giornalista, deputato regionale dal 1985, Pci prima, Ds "moderno" oggi, si è occupato, marito di una staffetta partigiana di Reggio Emilia deputata del Pci, per due legislature, lui stesso assessore al Bilancio della regione Lazio nelle due legislature che hanno preceduto l’arrivo di Storace. Da quasi venti anni (assieme alla moglie, Leda Colombini, che si occupa dei bambini detenuti assieme alle madri) frequenta con meticolosa regolarità le carceri laziali, dove in qualità di "volontario" ha seguito la nascita di alcune importanti cooperative sociali.

Garantista equilibrato, esperto delle cose del mondo e della burocrazia, gli viene riconosciuto da più parti di aver aiutato detenuti di ogni colore e rango. Per ricoprire il nuovo incarico ha accettato le regole sul "conflitto di interessi" poste dalla legge, e ha preparato la lettera di dimissioni da consigliere regionale. È forse l’unico politico italiano che, con questo gesto, si è dimezzato lo stipendio. "Io stesso, quando la legge è stata preparata, ho voluto essere sicuro che a nessuno venisse in mente di utilizzare la sofferenza del carcere come bacino elettorale o per altri interessi.

Quindi la legge prevede che in questo ufficio non possano lavorare politici con cariche istituzionali, avvocati, giornalisti. Anticipo volentieri il momento dell’andata in pensione dalla regione, se in cambio mi danno la possibilità di continuare a lavorare sul carcere". "La realtà carceraria, ci dice Marroni, è troppo spesso dimenticata. Gli istituti penitenziari del nostro paese ospitano 56.000 detenuti, a fronte di una capacità massima di sole 42.076 unità. Anche nel Lazio - dove ci sono 14 istituti con una popolazione detenuta di 5.406 unità - c'è una situazione insostenibile che va assolutamente affrontata e la figura del garante si farà carico delle istanze di chi vive direttamente la condizione di detenuto ma anche di coloro che di riflesso - penso ai familiari - si vedono costretti a forti condizionamenti".

 

Dottor Marroni, lei è stato da poco nominato, dalla regione Lazio, garante per i diritti dei detenuti. Cosa significa questa carica, e che poteri ha?
Il Garante è una figura istituzionalmente definita e decisa dal consiglio regionale del Lazio. Questo dà a tale figura un’autorevolezza ed una responsabilità molto ampia: essa dovrà rispondere ad un’istituzione, la regione, e per essa a tutti i cittadini del Lazio, non solo detenuti.
Trattandosi di un istituto a livello regionale, il potere di cui è investito non può essere esercitato nei confronti dell’amministrazione dello Stato. Verso questo interlocutore quale è lo Stato, ovvero il ministero di Giustizia e l’amministrazione penitenziaria, al Garante regionale è dato comunque un potere di persuasione, un potere di intervento più che altro politico. A pensarci bene poi, non è un potere così esiguo, dal momento che si tratta di un potere concesso da un’istituzione pubblica e che potrà essere esercitato anche attraverso richieste formali. Il Garante avrà inoltre poteri di iniziativa, la legge infatti lo prevede su questioni generali. Nulla vieta inoltre che il Garante possa indire un incontro, una conferenza, un convegno per affrontare questioni generali, e per porre interrogazioni e appelli all’attenzione del Parlamento nazionale ed anche del Parlamento europeo.

 

E’ previsto anche l’accesso ai media?
Sì, è previsto il ricorso ai mezzi di informazione, il Garante può esercitare una funzione anche esterna, attraverso tutto ciò che è consentito dal nostro ordinamento nei confronti di tutti verso l’amministrazione penitenziaria. Ovviamente io auspico una collaborazione serena e leale. Devo dire che, dalle prime impressioni che sto ricevendo dall’amministrazione penitenziaria e da parte della polizia penitenziaria non vedo reazioni negative. Certo, mi rendo conto che questa figura crea ulteriori problemi a questa parte dello Stato, però non vedo negatività, tant’è che, a questa iniziativa si risponde bene, dobbiamo dialogare, dobbiamo collaborare.

 

E per quanto riguarda il rapporto con la magistratura di sorveglianza?
E’ vero, purtroppo, che la magistratura di sorveglianza non vive all’interno del carcere in modo continuato, come fanno i volontari, come fanno gli stessi operatori penitenziari. E’ oberata da moltissime incombenze, da moltissime richieste di interventi di varia natura, e questo rende più difficile conoscere i detenuti, non solo attraverso i fascicoli, ma attraverso la conoscenza diretta della persona e della sua evoluzione. Tuttavia bisognerà avere un rapporto corretto di leale collaborazione con la magistratura di sorveglianza e di rispetto reciproco. E’ molto importante e giusto dare rispetto, è giusto anche ricevere rispetto. E questo vale anche per il Garante, naturalmente.

 

Se l’amministrazione penitenziaria è gestita dal ministero di Grazia e Giustizia, a livello regionale quali sono i compiti e i poteri del Garante?
A differenza dei poteri limitati che ha nei confronti dell’amministrazione penitenziaria, questa figura ha poteri più forti, più penetranti nei confronti dell’amministrazione regionale. Mi riferisco a quelle che sono le competenze più specifiche della regione che hanno un riflesso sul carcere. La legge prevede dei poteri sia di intervento, sia di denuncia sia di avvio di procedimenti amministrativi nei confronti della parte dell’amministrazione regionale che non fa il suo dovere, o che si ritiene che non lo faccia.

 

Quali sono, dunque, le competenze della regione che partecipano al sistema carcerario?
Una tra le più discusse, ultimamente è quella della sanità. Ci sono grosse difficoltà con le strutture sanitarie esterne, e per certi versi anche difficoltà grosse con strutture sanitarie interne. Quando si pensa alla relazione tra detenuto e salute, si pensa sempre alla tossicodipendenza, all’aids, ma non si pensa mai che in carcere ci sono uomini, donne e minori che possono avere anche malanni diversi ma non meno gravi, come ce li abbiamo noi che viviamo fuori dal carcere. Si può dire patologie "normali", che però comportano diagnosi, analisi, specialisti e ricoveri. Tante cure che per un detenuto, in realtà, è molto più complicato ricevere, così come è molto complicato, per chi dirige un carcere, garantirle. Questo perché la sanità esterna, quella delle Asl, non è ancora in condizioni, e forse neanche lo desidera molto, di seguire un detenuto come un cittadino qualsiasi del proprio territorio. Tra l’altro all’Asl di Rebibbia c’è in costruzione un ospedale che dovrebbe essere destinato ai detenuti, speriamo lo si concluda presto! Accanto a questo problema della sanità che colpisce molto la sensibilità di tutti, c’è un problema molto grosso che colpisce un po’ meno l’immaginario, ma è altrettanto tremendo: è quello del lavoro. Del lavoro non se ne parla quasi mai, però il lavoro in carcere è un punto di fondamentale importanza. Non possiamo sempre pensare al detenuto che ha messo i soldi da parte e sta attendendo la libertà per goderseli o ha arricchito la famiglia. Noi dobbiamo pensare che la maggioranza dei detenuti è povera gente, nel senso che non ha una lira, con famiglie complicate: molte volte l’unico reddito di cui dispongono è quello del detenuto lavorante, e addirittura ci sono dei detenuti che attraverso i loro salari riescono a mandare un po’ di soldi a casa. Anche se la gente è infastidita perché dicono: "ma come, chi commette crimini deve avere un lavoro e gli incensurati no?". In realtà, bisogna considerare che si tratta sempre di un lavoro a bassa qualificazione e a basso reddito che non è in concorrenza con il mercato esterno. Senza pensare ora al lavoro all’esterno, il carcere si mantiene anche grazie al lavoro dei detenuti. Il fatto che non ci siano i fondi adeguati nel dipartimento dell’amministrazione penitenziaria non vuol dire che quel lavoro viene fatto da altri: non viene fatto, e il carcere nelle sue strutture decade. Questo è un punto fondamentale. Il lavoro interno, quello del fabbro, del falegname, del pittore è un lavoro che i detenuti desiderano. Lo Stato dà pochi soldi al dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, per il lavoro interno.

 

E il lavoro all’esterno?
È doveroso anche garantire un lavoro esterno. Premesso che non tutti i detenuti possono accedervi per motivi di condizione penitenziaria e per le norme di sicurezza verso la pericolosità sociale, comunque dall’esterno deve provenire una domanda. Per il lavoro sono nate delle forme di associazionismo, cooperative integrate, etc. La legislazione, anche quella regionale, ha stabilito che tra i soggetti deboli non ci sono soltanto i portatori di handicap, ma anche i detenuti. Sono nate diverse cooperative, alcune hanno una gamma di offerta di lavoro molto ampia, che funzionano. Tra queste ci sono la "Coop 29 giugno", la "Pantacop", la "Sintaxerror", la "Artemisia"... Molte di queste non sono più strutture assistite, sono realtà che stanno sul mercato, garantiscono reddito ai soci detenuti che lavorano, sono salari previsti dai contratti collettivi.

 

Ma il garante potrà intervenire anche sulla formazione?
La regione ha già mosso alcuni passi su questa strada che bisogna continuare a percorrere. Per esempio nel settore informatico, nella cura del verde, nell’assistenza sociale o in altre attività particolari, perché la formazione è cosa che accompagna il lavoro. La regione dispone di un budget considerevole anche da parte della Comunità Europea, e il Garante può sollecitare l’utilizzo di questo budget per la formazione anche in carcere.

 

La sanità, il lavoro, la formazione… Non pensa che i diritti del detenuto siano in realtà spesso violati anche a un livello più fondamentale?
E’ vero. Forse il più grave di questi problemi è il garantire la dignità del detenuto. Sembra un’espressione molto generica, ma che tocca molti aspetti della vita privata, intima, del detenuto. Molti fattori compromettono la dignità umana: il sovraffollamento, le fatiscenti condizioni delle strutture, oltre a certi atteggiamenti poco rispettosi di questa intimità. Il fatto è che il detenuto non perde per legge la dignità, sono le circostanze che spesso lo portano a perderla. Nel Lazio ci sono 14 istituti, ma bisogna tener conto anche di quei detenuti che sono stati trasferiti a scontare la pena fuori dalla regione. Anche qui bisogna considerare il principio della territorialità; i familiari che devono raggiungere il congiunto fuori dalla regione si accollano notevoli sacrifici e costi. Immaginate quante madri di famiglia che con prole al seguito devono spostarsi per chilometri...

 

Ma non c’è una norma precisa che stabilisce che i detenuti non possono essere trasferiti oltre i duecento km?
Questo è un altro aspetto che andrebbe curato.

 

Il Garante potrà incontrare i detenuti in regime d’isolamento?
Credo di no. Non può per un motivo generale: il detenuto in isolamento non può incontrare nessuno.

 

E i detenuti potranno inviare le loro lettere all’ufficio del Garante?
Certamente! Senza alcuna formalità.

 

Per quanto riguarda i sieropositivi in carcere?
Questa è un’altra questione, importante e difficile. Bisognerebbe prima di tutto capire meglio entro quale soglia di sieropositività si debba ritenere opportuna la carcerazione. Ma il problema non si risolve se, messi in libertà, i detenuti sieropositivi si ritrovano senza una struttura disposta ad accoglierli ed aiutarli. 

 

Quando stima che sarà appieno funzionale, dunque, l’istituzione da lei presieduta in qualità di Garante?
Attualmente siamo in fase preliminare. Dopo il voto in Consiglio sulla mia persona, la procedura è avviata, ma non ancora conclusa. Lo sarà una volta definita e si dovrà elaborare quanto prima un programma di attività che sarà costruito con il contributo di tutti. E’ chiaro inoltre che il Garante sarà al più presto dotato, dal Consiglio, di una strumentazione adeguata e di tutti i mezzi necessari per poter funzionare al meglio. I suoi collaboratori saranno scelti tra soggetti con una certa attitudine, che abbiano sensibilità e si impegnino per questo tipo di problematiche. Contemporaneamente, si dovrà provvedere a una sede autonoma. E’ giusto che sia autonoma perché l’istituzione deve avere una sua riservatezza, una sua caratterizzazione anche logistica nella città, in modo che possa essere facilmente raggiungibile da tutta la popolazione del Lazio, dai detenuti e dalle famiglie di questi.

 

 

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