Ombudsman per le carceri?

 

Carcere, i vantaggi dell’Ombudsman

di Alessandro Margara (Presidente onorario aggiunto della Corte di Cassazione)

 

Narcomafie, luglio – agosto 2003

 

In presenza del controllo sulla legalità del sistema penitenziario, già affidato alla magistratura di sorveglianza, si giustifica l’istituzione del difensore civico all’interno delle carceri? Si deve chiarire, intanto, che vi è una differenza di carattere concettuale fra il magistrato di sorveglianza e il difensore civico, indipendentemente dalla specifica funzione di quest’ultimo. Il primo, infatti, è sempre un organo di giustizia, anche quando la sua funzione, come nel caso dell’attività di sorveglianza, non è assistita da strumenti giurisdizionali (procedura di accertamento e funzioni decisorie su una questione).

Questo aspetto di debolezza del controllo di giustizia del magistrato di sorveglianza dovrebbe venire meno se il legislatore ordinario, come è suo dovere, desse esecuzione alla sentenza costituzionale (la n° 26 dell’11.2.1999) che impone l’adozione di una specifica procedura giurisdizionale per decidere in merito ai reclami dei detenuti al magistrato di sorveglianza per violazione dei propri diritti. Sfortunatamente l’obbligo di legiferare è tuttora disatteso.

Inoltre la funzione di controllo del magistrato di sorveglianza sulla legalità del carcere non brilla per particolare attivismo ed efficacia: sia perché tale funzione è sovrastata da quelle specifiche relative ai benefici penitenziari e ad altre materie (dai permessi alle misure alternative, alle misure di sicurezza, etc.); sia perché spesso la magistratura di sorveglianza non coglie lo stretto legame fra controllo sul carcere e interventi di propria competenza nelle stesse materie ora indicate; sia, infine, perché si è fatta strada l’idea che la terzietà delle decisioni giurisdizionali della magistratura di sorveglianza possa essere turbata dal coinvolgimento in un reale controllo della legalità in carcere.

A queste ragioni, peraltro non insuperabili, si deve aggiungere la scarsa funzionalità degli uffici, tra le cause principali delle risposte tardive e parziali alle richieste dei detenuti in materie fondamentali come quelle dei permessi e delle misure alternative. Sia per la diversità delle funzioni che avrebbe un difensore civico, sia per la modesta efficacia del controllo di legalità del magistrato di sorveglianza, resta dunque uno spazio significativo per lo svolgimento della funzione di difesa civica e di garanzia dei diritti delle persone in situazioni di limitazione della libertà personale. Infine un ulteriore motivo giustifica l’istituzione del difensore civico. Semplificando, si può dire che il potere di chi gestisce il carcere nei confronti del detenuto non è assoluto, ma nei fatti tende a diventarlo. L’ingresso del difensore civico in carcere potrebbe riequilibrare questo rapporto, ora profondamente sbilanciato.

Se dunque esiste uno spazio per l’operare del difensore civico, si tratta di vedere concretamente in cosa possa tradursi quest’opportunità. Una considerazione di fondo: qualunque controllo presuppone una serie di regole e una realtà che vi s’ispira. Possono esserci trasgressioni verso le quali esercitare il controllo, ma all’interno di un generale rispetto delle norme. Quando la realtà non si avvicina al modello legale, il controllo diventa difficile e frustrante, come dimostra il sostanziale fallimento della vigilanza sull’esecuzione penale da parte del magistrato di sorveglianza.

Cito solo tre esempi. La vita all’interno delle carceri si caratterizza, generalmente, con permanenze in cella di 20 ore su 24: questo è assolutamente contrario al modello previsto dall’Ordinamento penitenziario; lo svolgimento di un’attività lavorativa è un diritto nonché un obbligo per chi è detenuto, ma nel 90% dei casi resta un diritto sulla carta; inoltre in diverse sentenze costituzionali è stato ribadito il diritto all’osservazione e al trattamento previsto dalla legge penitenziaria, ma le risorse destinate a questa voce sono assolutamente insufficienti.

Come potranno essere tutelati tali diritti dal difensore civico? Quale impatto potrà avere sulla complessa realtà penitenziaria? Quello che potrebbe crescere, in una visione ottimistica, è un confronto critico tra i due modelli e il riconoscimento che quello previsto dalla legge non solo è doveroso, ma è anche il più efficace contro i tanti mali che affliggono il sistema penitenziario.

Aggiungo un’osservazione. Uno dei vari aspetti critici del carcere è rappresentato dalla reattività dei soggetti più fragili, moltiplicata dall’indifferenziata durezza delle dinamiche di contenimento. Queste persone saranno presumibilmente i più assidui "frequentatori" del difensore civico. Non sarà facile gestire tali casi, giudicarne l’attendibilità, specialmente di fronte ai tentativi di chiusura difensiva delle strutture carcerarie. Questa

sarà la difficile strada del difensore civico: svolgere la funzione difensiva senza dimenticare la propria posizione pubblica, non schiacciata sulla mera difesa del ricorrente ma tesa alla ricerca della verità. Va inoltre sottolineato che molti dei rilievi di illegalità che verranno mossi non rappresenteranno un reato. È pacifico che, invece, quando reato ci sia, l’intervento del difensore civico dovrà trovare il suo approdo nel processo. Quando, comunque, si viola la normativa penitenziaria relativa ai diritti e agli interessi dei detenuti (anche gli interessi devono essere rilevanti perché si affermi la legalità), il magistrato di sorveglianza dovrebbe essere messo a conoscenza della questione, consentendo però al difensore civico di sviluppare separatamente il proprio intervento.

Un’altra precisazione riguarda i destinatari degli interventi del difensore civico: questi dovrebbero includere tutti i detenuti e gli internati, non solo negli istituti penitenziari, ma anche nelle caserme e nei posti di polizia nonché nei centri di detenzione temporanea per gli immigrati. Non sarebbe male che anche le persone sottoposte a misure alternative fossero comprese tra i destinatari, perché anche nei loro confronti possono verificarsi violazioni di diritti o interessi.

Quanto allo svolgimento dell’attività del difensore civico, dovrebbe essere scontato il suo diritto di accesso ai luoghi di detenzione. Sarà, poi, un punto rilevante e particolarmente delicato quello dei suoi poteri istruttori. D’altronde, se la possibilità di interventi istruttori viene riconosciuta agli ordinari difensori in un procedimento, questa dovrebbe essere riconosciuta anche a un organo di difesa pubblica come il difensore civico.

Per quanto si è detto in precedenza, l’intervento di difesa civica dovrebbe inquadrare la violazione specifica emergente, nelle eventuali inadempienze generali di cui pure si è parlato: non per minimizzare la prima, ma per estendere l’efficacia dell’intervento agli aspetti collettivi che l’inadempienza eventualmente presenta. Anche per questo aspetto è essenziale che il difensore civico possa intervenire d’ufficio.

Sarà necessaria, ad ogni modo, la destinazione di fondi sufficienti ad assicurare il buon funzionamento dell’Ombudsman, perché se gli interventi fossero isolati e tardivi si tratterebbe di un’occasione sprecata. Inoltre ci si dovrebbe porre il problema dell’indipendenza del sistema e del singolo operatore nei confronti dell’amministrazione penitenziaria: occorrono obbiettività e professionalità.

Pertanto sarà essenziale definire la portata dell’intervento conclusivo del sistema di difesa civica. Intanto, bisognerebbe distinguere il caso nel quale l’amministrazione riconosce l’inadempienza e provvede a ripararla e il caso in cui ciò non avviene. È chiaro che l’amministrazione dovrebbe motivare un’eventuale posizione contraria.

Lascia invece perplessi, quando non vi sia accordo, a scelta di affidare l’efficacia dell’intervento del difensore civico alla pubblicazione negli organi di stampa delle sue conclusioni, che avrebbe il potere sostanziale di avallare la soluzione raggiunta dallo stesso rafforzando la reazione difensiva e non collaborativa dell’amministrazione. Credo più utile un intervento di proposta e di mediazione che coinvolga anche i livelli superiori dell’amministrazione, per i quali sia previsto un obbligo di risposta e partecipazione. È indubbio che il sistema di difesa civica trarrebbe forza dall’autorevolezza della committenza, ma dovrebbe essere chiara la natura di organo di garanzia del difensore civico, sottratto alla variabilità degli orientamenti politici.

Esistono diversi progetti legislativi di istituzione di un difensore civico nazionale: si ricorda il progetto Salvato, Manconi, Russo Spena ed altri, nella passata legislatura, e il progetto Mazzoni, Finocchiaro, Pisapia nella attuale. In tali progetti, il difensore civico è un organo collegiale, i cui componenti sono nominati dal Parlamento. Inoltre l’istituzione di un difensore civico regionale in carcere è prevista in un progetto della Regione Lombardia, mentre una recente delibera del Consiglio comunale di Roma ha istituito un difensore civico comunale. È bene chiarire subito che soltanto per un difensore civico nazionale si possono prevedere i particolari poteri di accesso negli istituti di detenzione e di accertamento dei fatti. Questa limitazione è esplicita nella relazione al progetto della Regione Lombardia.

Nei progetti legislativi ricordati all’inizio si prevede la collaborazione tra il difensore civico nazionale e quelli regionali, provinciali e comunali, utile per conferire una capacità di intervento locale al difensore civico nazionale. Luigi Manconi, già cofirmatario di uno dei progetti legislativi ricordati, ha insistito sull’avvio da parte dei Comuni, particolarmente di quelli maggiori (con carceri di grandi dimensioni nel loro territorio) di esperienze analoghe a quelle di Roma. Sul tema generale e su quello specifico dell’intervento comunale si è tenuto un seminario a Firenze l’11 aprile scorso.

Iniziative di questo tipo potrebbero partire da subito, com’è successo per quella del Comune di Roma, senza attendere l’intervento legislativo, sicuramente non immediato e forse neppure prossimo. È ovvio che un difensore civico comunale non disporrebbe di poteri specifici, di libero accesso e di possibilità di accertamento dei fatti, ma contribuirebbe a formare una reale consapevolezza dei problemi del sistema penitenziario da parte degli enti che rappresentano la comunità esterna, stimolando il dialogo con un’istituzione - il carcere - che ha forti dinamiche di separatezza. Potrebbe farsi strada la consapevolezza che la legalità, anche in carcere, è sicurezza e non il contrario.

 

 

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