Svizzera

 

Anche la persona condannata alla pena perpetua
dopo dieci anni può andare in semilibertà e,
dopo quindici, in liberazione condizionale

 

Ristretti Orizzonti, n° 3 - 2002

 

L’organizzazione del sistema carcerario svizzero spiegata da Serafino Privitera, responsabile della formazione nel carcere di Lugano

 

Nel carcere di Lugano lei è responsabile della formazione, sia per il personale, sia per i detenuti: una figura professionale che in Italia non esiste. Ci spiega meglio quali sono i suoi compiti?

Oltre alla formazione e all’aggiornamento professionale del personale penitenziario, organizzo anche corsi di formazione - lavoro per i detenuti. Da noi i detenuti possono imparare due tipi di professione, il cuoco e il falegname. In più abbiamo attivato corsi di informatica di base e di informatica avanzata, in sette moduli, che alla fine permettono di ottenere una patente riconosciuta a livello europeo.

 

Com’è organizzata la formazione del vostro personale penitenziario?

Io organizzo i corsi per il personale penitenziario di tutto il Canton Ticino. Abbiamo una scuola federale di formazione e aggiornamento, con sede a Friburgo, dove si insegna in lingua francese e in lingua tedesca. In più, per i candidati e gli agenti che vengono dal Ticino, ci sono i traduttori istantanei, che traducono in lingua italiana.

Il programma di formazione federale dura quindici settimane, distribuite nell’arco di due anni, ed è suddiviso in due moduli: il primo di nove settimane ed il secondo di sei. A livello cantonale, invece, facciamo un corso di dodici mesi: la parte teorica dura sei mesi e i restanti sei sono la parte pratica. Adesso, proprio in febbraio, è terminata la parte teorica di un corso per agenti di custodia, durante il quale hanno appreso, a grandi linee, tutte le materie legate al diritto penale, alla procedura penale, alla criminologia, alla psicologia.

Terminata questa fase, i candidati entrano in servizio come ausiliari e, nei sei mesi successivi, completano la formazione scolastica. Poi entrano in servizio effettivo intraprendendo, nel frattempo, il programma di formazione federale. A livello cantonale organizziamo anche dei seminari sulle relazioni umane, per dare al personale una cultura generale sul mondo carcerario.

 

Tra gli operatori penitenziari, oltre agli agenti di custodia, quali altre figure professionali sono rappresentate?

Abbiamo il medico, che è un medico cantonale, poi abbiamo lo psichiatra, lo psicologo, gli infermieri, e poi c’è tutto il Servizio di patronato, che in passato era scisso in due branche: il Servizio sociale e il Servizio di patronato. Il Servizio sociale si occupava di prendere in carico i detenuti all’interno del penitenziario, mentre il Servizio di patronato interveniva una volta che le persone venivano scarcerate, o andavano in liberazione condizionale. Adesso questi due Servizi sono stati unificati e credo che politicamente questo sia stato molto positivo, perché il Servizio di patronato adesso può seguire il detenuto dal momento in cui viene arrestato fino al suo reinserimento nella società.

 

In Italia c’è una riforma che prevede il passaggio della medicina penitenziaria dal Ministero della Giustizia a quello della Sanità. Il vostro personale medico è dipendente dal Ministero della Sanità, oppure dal Ministero della Giustizia?

Fa capo sempre al Ministero della Giustizia. L’Amministrazione federale è costituita da cinque Dipartimenti. La Giustizia dipende dal Dipartimento delle istituzioni che comprende, appunto, la Divisione Giustizia, inoltre la Divisione Interni, la Divisione Militare e la Divisione di Polizia. La Divisione Giustizia, a sua volta, comprende la Sezione dell’esecuzione delle pene e delle misure, e questa Sezione, appunto, comprende il Penitenziario, l’Ufficio di patronato e la Scuola di formazione.

 

Con l’ingresso in carcere di molti stranieri, in Italia è emersa la necessità di formare gli operatori anche su materie come la mediazione culturale. Anche in Svizzera avete di queste iniziative?

Sì, e sono io che le organizzo. Diamo al personale delle nozioni di antropologia culturale, quindi facciamo conoscere loro le altre etnie e le altre religioni. Inoltre in ogni istituto sono presenti un prete cattolico e un pastore protestante ed entrano all’interno anche degli imam musulmani.

 

Quindi puntate molto sulla formazione culturale. Ma qual è il tipo di popolazione detenuta che avete in Svizzera? Avete molti stranieri? Avete molti tossicodipendenti? Qual è l’età media dei detenuti?

Certo, crediamo principalmente alla formazione culturale. Alla formazione del personale ed anche alla formazione dei detenuti, nonostante le difficoltà dovute al fatto che da noi siano presenti circa l’80% di stranieri, di quasi tutte le nazionalità del mondo, con prevalenza di italiani, ex iugoslavi ed albanesi, turchi e poi anche sudamericani.

Tra gli stranieri abbiamo un 20% di italiani; con i sudamericani abbiamo soprattutto il problema che molti partono dalla Colombia ed atterrano a Zurigo cercando di trasportare l’eroina: ingoiano queste capsulette e parecchi vengono subito arrestati, all’arrivo a Zurigo.

Abbiamo un 30 % di detenuti tossicodipendenti e l’età media dei detenuti è più o meno la stessa che avete qui in Italia: c’è la prevalenza di giovani dai 18 ai 35 anni, qualcuno supera quest’età, dai 45 ai 50, ai 60.

 

Quali sono i reati per i quali avete il maggior numero di detenuti?

L’ultima statistica, elaborata dal Consiglio federale, ha evidenziato un aumento dei reati contro la persona: ma, anche se parliamo di aumento, non sono così tanti come si può pensare. Comunque il maggior numero di reati è legato alla tossicodipendenza, circa il 30 % dei detenuti sono condannati o imputati per traffico e spaccio di droga.

I detenuti per reati contro la vita sono pochissimi. In tutta la Svizzera abbiamo circa 5.000 detenuti, di cui 2.600 sono giudiziari, cioè sono sotto inchiesta, quindi i definitivi presenti in tutta la Confederazione sono circa 2.400. Tra questi abbiamo soltanto tredici persone condannate per assassinio. Tredici.

 

Nel vostro Codice penale, che pene sono previste per l’omicidio?

La pena massima, prevista dal Codice penale svizzero, è di vent’anni. È prevista anche la reclusione perpetua, equivalente all’ergastolo italiano, però esiste solo in teoria, nella pratica non abbiamo quasi mai avuto il caso di una persona rimasta in carcere oltre quindici anni, perché il Codice penale stabilisce che anche la persona condannata alla pena perpetua dopo dieci anni può andare in semilibertà e, dopo quindici anni, in liberazione condizionale.

 

In Svizzera, qual è il limite di pena oltre il quale si deve necessariamente entrare in carcere?
Attualmente la pena sospesa non deve superare i diciotto mesi, secondo quanto stabilisce il Codice penale. Con la revisione che è in corso, questo limite viene portato a tre anni. Ma si consideri che i reati commessi in Ticino prevalentemente non sono reati per i quali sono previste pene di lunga durata. Ho dei dati molto recenti (risalgono a venerdì scorso) relativi al carcere "La Stampa" di Lugano: abbiamo cinquanta detenuti con pene superiori ai tre anni. Tra questi cinquanta, uno solo sta scontando una pena di venti anni. Tutti gli altri hanno pene comprese tra i tre e gli otto anni.

 

In Italia abbiamo delle pene che sono doppie, rispetto alla Svizzera. Forse perché voi credete di più al recupero del condannato?
Certo, c’è una notevole apertura in questo senso. La revisione del Codice penale, che è in discussione alle Camere federali, prevede un’ulteriore apertura verso l’esterno: adesso il Codice penale, nella parte generale, stabilisce che gli istituti di pena del futuro saranno principalmente istituti aperti, non istituti chiusi. Negli istituti di pena ad alta sicurezza, diciamo così, dovranno andarci soltanto le persone che saranno reputate pericolose per la società. Purtroppo c’è qualcuno davvero pericoloso, quindi dobbiamo pensare a delle strutture adatte a queste persone, mentre tutti gli altri andranno a scontare la pena in istituti aperti. Già oggi, quando possibile, applichiamo questo sistema.

 

Per i tossicodipendenti, in Italia abbiamo la legge Jervolino – Vassalli che prevede forme di pena alternativa specifiche. Avete qualcosa del genere anche in Svizzera?

Per noi fa diritto la Legge federale sugli stupefacenti, poi a livello cantonale ci sono dei servizi che prendono in carico le persone tossicodipendenti, per la disintossicazione ed il successivo recupero.

 

Ma questa presa in carico può avvenire soltanto al termine della pena o anche durante la sua esecuzione?

Ci sono tre possibilità. Può avvenire prima che sia emanata la sentenza, se il tossicodipendente dichiara che vuole essere curato, e in questo caso si dice che la pena viene anticipata perché, prima ancora che avvenga il processo, lui può già passare sotto l’assistenza di questi servizi per tossicodipendenti e, anche se arriva la condanna, non entra in carcere, purché la pena non superi i 18 mesi. Oppure il tossicodipendente può chiedere di essere affidato a questi servizi quando la pena è già in esecuzione, sempre che il residuo della pena non superi i 18 mesi. Infine può chiedere di essere preso in carico all’uscita dal carcere, ed anche in questo caso decide prima di tutto il detenuto, il tossicodipendente, nessuno lo obbliga a curarsi. È una forma molto aperta, democratica.

 

Oltre a queste forme di affidamento, avete altri tipi d’intervento nel campo delle tossicodipendenze, in particolare riguardo alle strategie di "riduzione del danno"?

A livello federale c’è un esperimento nell’ambito del quale si è arrivati addirittura alla distribuzione controllata dell’eroina.

 

Che risultati avete ottenuto, con questo tipo di sperimentazione?

Secondo il Consiglio Federale i risultati sono positivi, anche se a livello di Unione Europea ci hanno messo dei veti. Abbiamo comunque riscontrato dei buoni risultati, in termini di recupero delle persone tossicodipendenti ad una vita di relazione discreta, poi è chiaro che la recidiva c’è comunque, anche con questo tipo di interventi.

 

Nel prossimo numero, la seconda parte dell’intervista sul tema dell’affettività nelle carceri svizzere.

 

 

Intervista a cura di Francesco Morelli

 

 

 

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