Brasile

 

Brasile: i detenuti si organizzano, tra mafie e disastro sociale


Le Monde Diplomatique, 17 gennaio 2007

La rielezione di Luiz Inácio Lula da Silva alla presidenza del Brasile, il 29 ottobre, permetterà a questo paese di continuare nella sua politica di maggiore integrazione dell'America del sud. Ma a questo impegno se ne aggiunge un altro: combattere le cause fondamentali della povertà. Il paese infatti, nonostante i programmi sociali che hanno garantito a Lula l'appoggio delle classi più povere, deve affrontare enormi difficoltà.

Tre ondate di assalti notturni a mano armata. Bottiglie molotov e bombe artigianali lanciate contro commissariati e altri edifici pubblici, banche, supermercati. Più di cento autobus incendiati. I 1.004 attacchi sferrati a San Paolo dall'organizzazione criminale Primeiro comando da capital (Primo comando della capitale - Pcc) in maggio, luglio e agosto di quest'anno sono stati di una tale portata, che per alcuni giorni hanno paralizzato la città, cuore economico e finanziario del Brasile, una delle megalopoli più grandi del mondo con i suoi venti milioni di abitanti. I negozi hanno abbassato le saracinesche, il traffico si è fermato, i cinema, i teatri, i ristoranti e i bar hanno chiuso le loro porte. In luglio due milioni di persone si sono ritrovate improvvisamente senza trasporti pubblici (1). La gente si barricava in casa, terrorizzata.
Il bilancio ufficiale dei tre episodi è stato di 34 poliziotti e di 11 guardie carcerarie uccisi, e di 123 civili assassinati in rappresaglia da squadroni della morte legati alla polizia di San Paolo (2).
Finora questo è stato l'episodio più sanguinoso di una guerra che dura da decenni fra un'organizzazione criminale (il "partito", come lo chiamano i suoi membri) e i poteri pubblici dello stato di San Paolo. Attualmente il Pcc controlla 130 delle 144 prigioni di questo stato.
Il Pcc è nato nell'agosto 1993, in un istituto di pena di Taubaté, all'interno dello stato di San Paolo. Un prigione di massima sicurezza: celle individuali, solo due ore di aria al giorno, divieto di avere televisioni, radio, giornali, riviste, libri e visite in intimità; non c'è acqua calda, i bagni sono svuotati dall'esterno dalle guardie solo quando l'aria diventa irrespirabile e i pasti brulicano di scarafaggi.
E se un prigioniero osa protestare, è percosso con spranghe di ferro.
Il direttore della prigione, José Ismael Pedrosa, allora chiudeva gli occhi sui maltrattamenti inflitti ai detenuti. Era conosciuto per aver diretto Carandiru nel 1992, quando in questo penitenziario di San Paolo fu compiuta la famosa strage di 111 detenuti da parte di un battaglione d'assalto della polizia militare (Pedrosa venne ucciso tredici anni dopo, nell'ottobre 2005, in un'imboscata attribuita al Pcc).
Ma quel 31 agosto 1993 a Taubaté, dopo un anno di richieste rifiutate, Pedrosa finisce per autorizzare un campionato di calcio fra i detenuti.
Tuttavia la partita fra il Comando Caipira - squadra di prigionieri originari dell'interno dello stato - e il Pcc - nome adottato in contrapposizione a quello dell'avversario - non avrà mai luogo. Quando infatti le due squadre si incontrano all'entrata del cortile dove si svolge la partita, il detenuto José Márcio Felicio, "Geleiao" (il gelatinoso), un metro e novanta per centotrenta chili, afferra con le mani la testa di un rivale e gli spezza il collo uccidendolo all'istante. La rissa generale che ne segue terminerà con la morte di un altro detenuto, anche lui ucciso da "Geleiao".
È in questo momento che "Geleiao" e altri sette detenuti, consapevoli che sarebbero stati oggetto di rappresaglie, concludono un patto: "Chiunque attaccherà uno di noi, ci attaccherà tutti - siamo la squadra del Pcc, i fondatori del Primo comando della capitale". L'"ideologia dei fratelli" non tarderà a diffondersi in tutte le prigioni.
"Geleiao", "Cesinha" (César Augusto Roriz da Silva) e "Mizael" (Mizael Aparecido da Silva) guidano le prime azioni del Pcc. A distinguersi sono soprattutto "Cesinha", dal temperamento violento, e "Mizael", il più istruito del gruppo. È a lui che viene attribuita la redazione di uno statuto per la nascente organizzazione. Lo statuto comporta sedici articoli, che l'"affiliato" deve rispettare religiosamente.
Il primo prevede che: "La lealtà, il rispetto e la solidarietà nei confronti del Partito devono passare avanti a tutto". I successivi articoli parlano "di unione contro le ingiustizie nelle prigioni", del contribuito di chi è fuori per i "fratelli" in prigione, del rispetto e della solidarietà fra detenuti, della condanna del furto, dello stupro e dell'estorsione praticati fra gli stessi prigionieri, specificando che la pena per il mancato rispetto delle regole stabilite può essere la morte. Il documento termina con la seguente esortazione: "Conosciamo la nostra forza e quella dei nostri nemici. Loro sono potenti, ma noi siamo pronti, uniti; e un popolo unito non sarà mai vinto. Libertà, giustizia e pace!".
Battezzati da uno dei fondatori del "partito", i nuovi iscritti obbediscono direttamente ai suoi ordini. L'organizzazione si sviluppa rapidamente.
E in meno di tre anni dispone di un esercito di "generali" che diffondono lo statuto, organizzano i detenuti e puniscono con la morte gli oppositori.
Subito dopo il loro battesimo, i novizi si vedono promossi al rango di "piloti di braccio" (le ali degli edifici dove si trovano le celle della prigione). A loro volta, i "piloti" battezzano gli altri prigionieri, definiti "fratelli". Nessuno è costretto a far parte dell'organizzazione.
I semplici simpatizzanti sono chiamati "cugini".
L'ordine di ribellarsi Frutto della politica repressiva degli ultimi dieci anni - aumento delle lunghe pene detentive, criminalizzazione dei reati minori, diminuzione delle garanzie in favore della difesa - si contano nel solo stato di San Paolo 141mila detenuti. Di questi, 124mila nelle unità carcerarie - il 35% in attesa di giudizio - e 17mila nelle celle dei distretti di polizia della megalopoli e dell'interno dello stato. In totale il numero di questi detenuti è il doppio delle capacità di accoglienza degli istituti carcerari (3).
Ormai la quasi totalità di questa popolazione appartiene o è legata al Pcc. Per comandare a distanza questo sviluppo, "Cesinha" e "Geleiao" hanno sfruttato il cellulare, creando le prime "centrali" telefoniche dell'organizzazione criminale. In tutto lo stato se ne contano rapidamente più di 1.500, in funzione 24 ore su 24, abbastanza sofisticate per organizzare teleconferenze fra i "militanti" in prigione e quelli in libertà (4).
Solo nel 2001 il governo di San Paolo si rende conto dell'importanza del telefono portatile. Provocando un trauma nell'intero paese, una gigantesca rivolta scoppia in seguito allo spostamento di alcuni prigionieri verso la temuta prigione di Taubaté. Questo trasferimento rompeva uno dei patti impliciti fra i leader del Pcc e le autorità dello stato. Per evitare incidenti che avrebbero finito per mettere in evidenza le condizioni medievali di prigioni sovraffollate, il governo aveva concesso alcuni vantaggi ai detenuti, riconoscendo implicitamente che tutte le unità carcerarie erano sotto il controllo del "partito".
Il trasferimento di questo gruppo di prigionieri rompeva il patto e l'ordine di virar (ribellarsi) veniva trasmesso via cellulare ai "piloti" delle carceri. In poco tempo 29 prigioni in 19 città, e soprattutto nella capitale, scatenavano una ribellione di 30mila detenuti. Ripresa in diretta e in modo spettacolare dalla televisione, la rivolta di massa ha assicurato la definitiva celebrità del Pcc e ha messo a nudo il degrado del sistema carcerario brasiliano. In questo modo il "partito" ha ottenuto quello che aveva voluto: finire in prima pagina sui giornali e sulle televisioni di tutto il mondo.
Le misure prese dal governo per evitare nuove rivolte si sono rivelate disastrose. Infatti i vari capi della rivolta sono stati mandati in diversi penitenziari. Ma questo, invece di indebolirli, li ha trasformati in propagandisti dei "vantaggi" ottenuti dai prigionieri appartenenti al "partito". Così gli iscritti si sono moltiplicati.
Oggi si ritiene che i soli "affiliati" siano almeno 50mila.
Tuttavia, mescolando i generi, la lotta legittima contro l'oppressione all'interno del sistema penale paolista serve anche a un commercio più redditizio: il traffico di stupefacenti, stimato per il solo "mercato" di San Paolo in 300 milioni di dollari all'anno. Per gestire dalle prigioni la sua parte di bottino, il Pcc ha diviso lo stato in regioni affidate ai "piloti di strada". Questi ultimi negoziano con una rete di trafficanti di livello intermedio che agiscono al servizio degli "amministratori" dei signori del business, i "padroni" (5).
"Questi padroni - osserva il commissario Cosmos Stikovitz Filho, del Dipartimento di indagini sugli stupefacenti - agiscono come i capi mafiosi che si vedono al cinema. Danno solo gli ordini, senza alcun coinvolgimento diretto. Sono persone con una posizione sociale elevata, che vanno in giro in Bmw e in Mercedes, personalità al di sopra di ogni sospetto, se le facessi dei nomi rimarrebbe a bocca aperta...".
Il grande sedativo del detenuto Riportando la calma in alcuni quartieri, dove ha messo fine alle innumerevoli guerre fra bande, il Pcc non ha difficoltà a sedurre molti ragazzi, rivenditori occasionali, che si battono per sopravvivere in un ambiente di estrema povertà. Questi ragazzi sono ben contenti di appartenere a un'organizzazione così importante, anche se il loro livello è il più basso.
Lo spaccio di droga è praticato anche all'interno delle prigioni.
Un detenuto incontrato al penitenziario di Hortolandia ci spiega: "Tutti i direttori sanno che la maconha [hascisc] è il grande sedativo del detenuto; gli permette di "viaggiare" e di costruire castelli in aria. Quando manca, la violenza aumenta. È per questo motivo che il suo uso è tollerato". Un altro detenuto elogia il Pcc: "Il numero di morti si è ridotto perché il Pcc controlla i prigionieri. Nessuno uccide senza la sua autorizzazione. I cellulari e la droga entrano grazie alla corruzione e alle visite. Inoltre il Pcc aiuta chi ha più bisogno, paga l'autobus per i visitatori che vengono da lontano e organizza lotterie per palloni e biciclette nella Giornata dei bambini. Chi fa altrettanto?".
Tuttavia questo detenuto dimentica di precisare che qualunque "affiliato" deve pagare una quota mensile. Tutti devono pagare, sia chi è uscito di galera sia la famiglia di chi è ancora in prigione. Chi si sottrae a questo obbligo rischia la vita. Poco importa se non ha avuto fortuna nel corso delle ultime rapine o nei traffici di cui si occupa o se non è riuscito a racimolare la somma sufficiente. "Il Pcc è onnipresente - riconosce il procuratore Márcio Christino. Comanda nelle prigioni.
Organizza le evasioni. Uccide i suoi nemici o li obbliga a suicidarsi.
Compie attentati dinamitardi. Corrompe i rappresentanti del potere pubblico. Sfida le autorità".
Un nome è diventato famoso nel mondo del crimine, negli ambienti della polizia e nei media: "Marcola", alias Marco Williams Herbas Camacho, rapinatore di banche, condannato a 39 anni di carcere - dove ne ha già scontati 19 - e sospettato di aver pianificato la morte di un giudice corregidor (6) nel 2003. Non ha mai parlato alla stampa, preferendo rimanere nell'ombra, e passa per essere una persona istruita - secondo la leggenda avrebbe letto più di 2mila libri.
Negli archivi dei giornali non ci sono molte sue foto e si sa solo quello che vuole dire, quelle poche volte che nel corso degli interrogatori ha risposto alle domande.
Sia la polizia che il pubblico ministero considerano "Marcola" il cervello dell'organizzazione. Lui dichiara sistematicamente: "Non ci sono prove sulla mia appartenenza al Pcc. A dire così sono i giornali o i detenuti. Non sono il capo di nulla. Mi batto per i miei diritti.
Se i detenuti si ritrovano nella mia lotta, non è colpa mia".
Con o senza prove, "Marcola" è sottoposto a un regime disciplinare speciale (Rdd): cella individuale di sei metri quadrati con una finestrella per dare aria alla stanza; letto in cemento, gabinetto e doccia con acqua fredda. In estate la temperatura supera i 40 gradi. Due ore quotidiane di aria e due ore per le visite settimanali di due persone, senza alcun contatto fisico, tenuto a distanza da sbarre, tende o vetri. Niente radio né televisione, l'unica cosa permessa è la lettura.
Interrogato dai deputati federali membri della Commissione parlamentare di inchiesta (Cpi), che si occupa del traffico di armi, "Marcola" avrebbe risposto: "Volete combattere il crimine qui? Ma è all'esterno che dove cercare! Andate a combattere i crimini compiuti dai colletti bianchi. Non vorrei mancare di rispetto, ma io sto pagando per quello che ho fatto e per quello che si dice abbia fatto. Ma che cosa dire dei deputati, succhiatori di sangue retribuiti e sempre assolti?
I politici non sono mai responsabili dei loro errori, delle loro mancanze, mentre io ne devo rispondere".
La ripercussione degli avvenimenti di San Paolo ha portato il governo federale di Brasilia a proporre un aiuto (7). Si è pensato anche a mandare l'esercito. Tuttavia il governatore dello stato Cláudio Lembo, del Partito del fronte liberale (Pfl), oppositore del presidente Lula, ha rifiutato la proposta dichiarando che la situazione era sotto controllo. A pochi mesi dal primo turno delle elezioni presidenziali del 1° ottobre 2006, accettare l'invio dell'esercito avrebbe significato ammettere il fallimento della sua polizia, che con 150mila uomini è spesso presentata come la meglio preparata del paese. Inoltre l'avversario alle elezioni del presidente Lula era propro l'ex governatore di San Paolo, Geraldo Alckmin.
Violenza, rabbia e risentimento Lembo non ha cambiato atteggiamento neanche dopo che un giornalista (Ghillerme Poetanova) e un tecnico (Alexandre Calado) di Globo, la più potente rete televisiva del paese, sono stati sequestrati il 12 agosto 2006. In cambio della loro liberazione il Pcc esigeva che questa televisione presentasse un video nel quale uno dei suoi membri, accuratamente incappucciato, avrebbe letto un manifesto in cui si chiedeva "un trattamento degno per i prigionieri, in conformità alla legge sull'adempimento delle pene".
Nonostante il parere contrario della polizia, la rete televisiva ha accettato. E poche ore dopo la trasmissione del video il giornalista e il tecnico sono stati rimessi in libertà. Ma una questione rimane in sospeso, quando e come finirà questa guerra? Nessuno è in grado di dare una risposta.
Le violazioni dei diritti umani, le umiliazioni e i numerosi incidenti, denunciati regolarmente dalle famiglie dei detenuti, permettono alle bande criminali di presentarsi come i difensori dei prigionieri.
"Se non si discutono le questioni di fondo - esclama la sociologa Vera Malaguti Batista - il problema potrà essere risolto con un bagno di sangue, ma si ripresenterà fra un mese o un anno. La polizia ha paura, la gente ha paura e ha ragione di aver paura. Ma se il problema continuerà a essere affrontato in questo modo, la situazione non potrà fare altro che peggiorare. La violenza, la rabbia, la frustrazione aumenteranno ancora di più. (...) La gente deve sapere chi è la popolazione carceraria e come vive all'interno delle prigioni" (8).
A Vienna, dove assisteva al vertice Unione europea-America latina, durante le sommosse del maggio 2006, il presidente Lula ha dichiarato che la causa principale degli avvenimenti va cercata nella mancanza di un adeguato programma di spesa sociale, e ha aggiunto: "Costa meno tenere un ragazzo a scuola fino all'università che un giovane in prigione" (9). La speranza è che questo saggio principio diventi parte integrante del programma del suo secondo mandato.

 

Note


(1) Le perdite delle dodici compagnie locali ammontano a circa 4 milioni di euro.
(2) Amnesty International "Brasile. Nuovi attacchi criminali a San Paolo", Amr 19/025/2006, Efai, Parigi, 14 luglio 2006.
(3) Si legga Mario Osava, "La situation explosive des prisons du Brésil", InfoSud, Ginevra, 17 luglio 2006; www.infosud.org; "Les prisons sont occupés à 132% de leur capacité", El País, Madrid, 30 settembre 2006.
(4) Dopo gli ultimi incidenti questo sistema di comunicazione è stato abbandonato, poiché la polizia ha cominciato intercettarli. Gli ordini adesso sono trasmessi dai parenti dei detenuti o, secondo alcuni, dagli stessi avvocati.
(5) Oltre allo scontro con le autorità, il Pcc è in guerra con un gruppo rivale, il Comando rosso. Le due organizzazioni si contendono sia il controllo delle prigioni che quello delle attività criminali, soprattutto il traffico di droga a San Paolo.
(6) Autorità giudiziaria di controllo sulle disfunzioni della giustizia.
(7) In particolare lo stanziamento di una somma di 40 milioni di euro destinati in parte alla ricostruzione delle prigioni distrutte durante le rivolte.
(8) Pagina 12, Buenos Aires, 16 maggio 2006.
(9) El País, Madrid, 15 maggio 2006. (Traduzione di A.D.R.)

 

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