Sergio Segio

 

Dopo tredici anni ci riprovano

di Sergio Segio

 

Fuoriluogo, maggio 2003

 

Il sonno della ragione genera mostri, e se questo tipo di torpore colpisce la maggioranza di un Parlamento, il risultato, va da se, è quello di una legge - mostro. È successo nel 1990 con la legge n. 162 sulle droghe, quantomeno riguardo alle sue parti più ottusamente repressive, condensate nella filosofia della punibilità del semplice consumo di sostanze e nella sua principale strumentazione: la "dose media giornaliera".

La legge n. 162/1990, cosiddetta Jervolino-Vassalli (dai nomi della democristiana Rosa Russo Jervolino e del socialista Giuliano Vassalli, rispettivamente ex ministro degli Affari sociali e della Giustizia, allora ancora contemperata dalla Grazia), è del 26 giugno di 13 anni fa. La data non è casuale, essendo quella in cui ricorre l’annuale Giornata mondiale contro la droga, indetta delle Nazioni unite.

In quel frangente, l’allora presidente dei senatori socialisti, Fabio Fabbri, arrivò a minacciare le elezioni anticipate se il Parlamento non avesse approvato nei tempi dovuti la nuova legge. Ulteriore dettaglio che conferma il forte impianto ideologico, il carattere di legge-manifesto di questa normativa, poi riassunta nel Testo unico delle leggi in materia di stupefacenti, promulgato con decreto del Presidente della Repubblica, n. 309 del 9 ottobre 1990.

Non è, dunque, meno casuale e di minor preoccupazione che, 13 anni dopo, l’attuale governo abbia nuovamente scelto la data del 26 giugno per annunciare una revisione legislativa che vanifichi le positive modifiche prodotte sulle norme del 1990 dal referendum dell’aprile 1993, col quale vennero bocciate alcune parti della legge e, in particolare, l’architrave della "dose media giornaliera".

Era quella, infatti, il fondamento della legge-mostro partorita e imposta in particolare da Psi e Dc (vigeva il VI governo Andreotti, composto da Dc, Psi, Psdi, Pri, Pli). Una sorta di linea Maginot che si intese opporre al criterio della "modica quantità" , proprio della legge precedente, la n. 685 del 1975. Sino al 1990, infatti, era esclusa la punibilità per la detenzione di una "modica quantità" di sostanza finalizzata al consumo personale.

La legge 162 volle invece, programmaticamente, punire chiunque consumasse droghe. Così, il possesso di una quantità di sostanza inferiore alla dose media giornaliera (definita con apposite tabelle ministeriali in 100 milligrammi di principio attivo per l’eroina, 150 milligrammi per la cocaina, 1/2 grammo per l’hashish) comportava sanzioni amministrative (sospensione della patente, del passaporto, etc.). Al di sopra di quella soglia le sanzioni diventavano automaticamente penali (ma anche la reiterazione o l’inosservanza della sanzioni amministrative comportava l’avvio al circuito penale).

La ratio, insomma, era di escludere ogni discrezionalità da parte della magistratura e delle forze dell’ordine nel valutare caso per caso se la droga fosse destinata all’uso personale o allo spaccio, e dunque di punire severamente anche il semplice consumo. Una filosofia cupamente repressiva, che trovò alfieri e gazzettieri anche in alcune comunità terapeutiche, che teorizzarono la necessità di "fare toccare il fondo" alle persone tossicodipendenti.

"L’unico modo per costringere il tossico a smettere è fare terra bruciata intorno a lui. Ai drogati deve essere proibito qualunque tipo di attività lavorativa": così don Oreste Benzi, della comunità Giovanni XXIII di Rimini.

In realtà e nella pratica, ben prima di raggiungere questo "fondo" da cui eventualmente risalire, grazie a quella legge e a tale filosofia, molti morivano, si infettavano di Aids o finivano in carcere, dove non di rado si suicidavano. Dopo il varo della 162, il rigore punizionista colpì anche personaggi noti (Laura Antonelli, Patty Pravo, Marco Bassetti), arrestati o sottoposti a giudizio talvolta solo per un paio di spinelli. Nel luglio 1991, nel giro di pochi giorni, tre persone arrestate per droga si suicidarono in carcere. Tra di esse, Stefano Ghirelli: 18 anni appena compiuti, incensurato, portato nel carcere di Ivrea poiché trovato con 25 grammi di hashish, s’impiccò dopo il rifiuto del giudice di concedergli la libertà provvisoria per "pericolosità sociale".

Questi avvenimenti cominciarono a incrinare il muro dei sostenitori della legge, assieme al già sensibile aumento dei detenuti (il 31 dicembre 1990 i tossicodipendenti ufficialmente presenti in carcere erano 7.299, sei mesi dopo erano già saliti a 9.623 per arrivare a ben 14.818 il 31 dicembre 1992) e all’aumento delle morti (nel 1990, per la prima volta, il numero dei decessi per overdose superò le mille unità, arrivando a 1.161; l’anno seguente giunse a 1.383 e, nel 1992, a 1.217).

Claudio Martelli, allora ministro Guardasigilli, nonché vicepresidente del Consiglio, si trovò a dover correre urgentemente ai ripari, specie dopo una sentenza della Corte costituzionale che, pur respingendo alcune eccezioni presentate da giudici di merito, invitava esplicitamente il legislatore a migliorare la legge e i giudici, se del caso, a non applicare rigidamente il criterio della dose media giornaliera.

Si arrivò così al "decreto Martelli", n. 247, che nell’agosto 1991 rese non più obbligatorio l’arresto qualora la sostanza rinvenuta superasse di poco la dose fissata dalle tabelle. Un tampone che non risolse il problema. Alla vigilia del referendum abrogativo, promosso dal Cora (il Coordinamento antiproibizionista dei radicali) e fatto proprio anche da molte associazioni e comunità che in precedenza avevano costituito il Cartello "Educare, non punire", il governo Amato, anche sulla base di un impegno preso con Marco Pannella, il 12 gennaio 1993 emanò un decreto che triplicava i limiti previsti per la dose media giornaliera.

Ma, aldilà dei tardivi correttivi, il 18 aprile 1993 il 55% dei cittadini votanti bocciò la punibilità e la dose media, nonché un altro obbrobrio introdotto dalla 162: l’obbligo per i medici, in violazione di ogni deontologia, di segnalare i tossicomani alla polizia.

Da allora, non di meno, circa 30.000 persone tossicodipendenti continuano ad entrare in carcere ogni anno: per detenzione e spaccio, vero o presunto, nonché per altri reati connessi.

Sui 56.271 detenuti in carcere al 30 giugno 2002, i tossicodipendenti risultavano 15.698. Come si sa, la situazione nelle prigioni è da tempo intollerabile. Il buon senso e quello di umanità suggerirebbero misure deflative, magari proprio a partire da una completa depenalizzazione delle condotte relative al consumo personale, dando finalmente così piena attuazione alla volontà popolare espressa nel 1993.

Viceversa, la volontà del governo - e in modo particolare di Alleanza nazionale, che già nell’aprile 2002 aveva depositato al Senato il Pdl n. 1322 – s’indirizza in modo diametralmente opposto, per la reintroduzione della "dose media giornaliera" o "dose massima consentita" che dir si voglia. Se sbagliare è umano, perseverare è diabolico. In questo modo, le carceri, che già sono un dramma, rischiano di diventare un vero inferno.

 

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