Legge Fini e referendum del 1993

 

In spregio al popolo italiano

di Patrizio Gonella (Associazione Antigone)

 

Il disegno di legge del governo si muove in aperto confitto con gli esiti del referendum del 1993, in ambiti di dubbia costituzionalità

 

Fuoriluogo, 30 dicembre 2003

 

Di fantasia il legislatore ne ha ben poca. Pier Paolo Pasolini, nel lontano 1975, in una lettera indirizzata a Marco Pannella sul Corriere della Sera (Lettere Luterane, Einaudi, 2003) rifletteva sulla tragedia umana della droga, flagello delle nuove generazioni. E nell’esprimere la sua antipatia, da intendersi quale non simpatia e non empatia, verso la droga e i tossicomani, espressione a suo dire di un fenomeno sociale definito sotto-culturale, con altrettanta nettezza sosteneva la necessità e l’urgenza di un’estesa depenalizzazione dell’uso e del consumo di droghe leggere e pesanti.

Non si può e non si deve criminalizzare la vita quotidiana dei tossicodipendenti. Il disegno di legge Fini sulle droghe, chiude quei pochi varchi di libertà presenti nella legge Jervolino - Vassalli del 1990 e si muove in aperto conflitto agli esiti referendari del 1993.

Secondo i dati recenti forniti dall’amministrazione penitenziaria la percentuale di detenuti tossicodipendenti rispetto alla popolazione detenuta globale è pari al 28%. Una percentuale che sale sino al 39% se si vanno a considerare i detenuti ristretti per violazione dell’articolo 73 del Dpr 309/90.

Ciò significa che solo un 10% di coloro che stanno dentro per effetto della Jervolino- Vassalli è costituito da spacciatori di professione, mentre tutti gli altri sono consumatori che vendono e trafficano in sostanze per poi farsi. Contro di loro si muove la proposta del governo. Si tratta di oltre 17 mila tossicodipendenti, perlopiù giovani e scarsamente alfabetizzati. La proposta di legge governativa, in virtù dei suoi effetti immediati - pene più severe e nuovi divieti - e di quelli riflessi e indiretti - nuova ondata di cultura proibizionista -, porta con se il rischio fondato di sovraccaricare di lavoro inutile poliziotti e magistrati e di riempire, aldilà della loro capacità di contenimento, le galere.

La proposta Fini è espressione di una concezione illiberale del diritto penale, utilizzato impropriamente quale strumento di regolamentazione e proibizione di comportamenti sociali. Il corpo investigativo che avrà il compito di definire, codificare, memorizzare, coordinare le azioni di polizia sarà la neonata Direzione centrale per i servizi antidroga. Un nuovo maxi-organo di investigazione centralizzato, organizzato sul modello della Direzione investigativa antimafia. Tutto dovrà passare di là: informazioni, operazioni, decisioni. Se da lì partiranno ordini di repressione del consumo di hashish e marijuana, a tali ordini e priorità, come in una catena di Sant’Antonio, dovranno adeguarsi le forze dell’ordine sul territorio.

Così funziona negli Usa, così Fini vuole che funzioni in Italia. Con una supervisione politica nelle mani della Presidenza del Consiglio dei Ministri. D’altronde la novità più significativa presente nella proposta governativa è il contrasto e la lotta ai derivati della cannabis. Ai fini penali, oppio, foglie di coca, sostanze di tipo anfetaminico, indolici, cannabis saranno pari.

Nel lungo elenco delle droghe vietate è inclusa una generica voce residuale che comprende ogni altra pianta i cui principi attivi possono provocare allucinazioni o gravi distorsioni sensoriali e tutte le sostanze ottenute per estrazione o per sintesi chimica che provocano la stessa tipologia di effetti a carico del sistema nervoso centrale. Non sono specificate quali siano queste sostanze. Tutto e niente. L’assenzio? Il rosmarino? Il crack?

L’uso di tutte queste sostanze è vietato, senza eccezioni. E senza differenziazioni chiunque detenga, coltivi, produca, fabbrichi, estragga, raffini, venda, offra o metta in vendita, ceda, distribuisca, commerci, trasporti, procuri ad altri, passi o spedisca qualunque delle citate sostanze verrà punito da 6 a 20 anni di galera e con una multa da 26 mila a 260 mila euro. Viene riproposta la dose massima giornaliera, fissata per legge. Anche un milligrammo in più, porta diritti in carcere. Se il fatto dovesse essere di lieve entità la pena detentiva non andrebbe a superare i 6 anni e la multa i 26 mila euro.

La lieve entità si andrà a misurare per la quantità scarsa di droga rinvenuta o in virtù delle particolari circostanze e/o delle modalità del rinvenimento. Una quantità di fumo pari a 10 canne è scarsa o molta per Fini? Andrea Pazienza spiegava ad una mamma che qualora in bagno dovesse trovare un cucchiaino o una fetta di limone, ciò potrebbe significare inequivocabilmente che suo figlio si buca. Il rinvenimento di un bilancino e di due dosi di eroina potrebbe essere interpretato segno altrettanto inequivocabile di volontà di spaccio e essere causa di 20 anni di prigione.

Rispetto alla legge del 1990, così come modificata nel 1993, è chiaro il pugno duro nei confronti dei consumatori di cannabis e la volontà di punire la detenzione finalizzata all’uso. Il referendum popolare del 18 aprile del 1993 aveva abrogato, fra l’altro, proprio quelle norme che prevedevano sanzioni penali per i consumatori. Pertanto per effetto della vittoria referendaria le condotte di acquisto e detenzione finalizzate all’uso non sono oggi soggette a sanzioni penali, ma a sole sanzioni amministrative.

Nel disegno di legge Fini l’unica possibilità di evitare la galera è quella che il giudice, a sua discrezione, nei casi di detenzione di droghe, applichi la misura del lavoro di pubblica utilità in sostituzione del carcere. Le ipotesi di sospensione della esecuzione della pena detentiva trovano una estensione applicativa rispetto al 1990 visto che la pena residua per potervi accedere è di sei anni e non più di quattro come nel Dpr 309. Rimangono quattro gli anni di pena residua da scontare nel caso di persone condannate per i reati previsti all’articolo 4 bis dell’ordinamento penitenziario.

La certificazione dello stato di tossicodipendente può essere fatta però anche da strutture private iscritte a un apposito albo. La storia penale di un tossicodipendente potrà essere pertanto decisa anche da un soggetto privato, seppur non profit. Il contrasto con gli esiti del referendum del 1993 e la delega ai privati di decisioni che hanno rilevanza penale, presentano profili di dubbia costituzionalità.

Il disegno di legge Fini ha due versanti di evidente pericolosità sotto il profilo penalistico. Da un lato i simboli che in esso sono contenuti evidentemente diretti a spaventare, a condizionare, a manipolare, a riempire di contenuti etici le norme e le decisioni della magistratura. La droga è un male. Lo devono sapere i giudici e i poliziotti quando hanno davanti un eroinomane o uno che si fa le canne. Devono trattarli allo stesso modo e con lo stesso armamentario giudiziario. Dall’altro lato vi è un attacco frontale ai consumatori di droghe leggere, ritenute il vero male, il vero pericolo. Nella proposta Fini è evidente il troppo già sentito discorso secondo cui s’inizia con l’hashish e si finisce con l’eroina, sempre. Certo è che se le pene sono le stesse, il trattamento è lo stesso, sarà ben più facile che droghe leggere e droghe pesanti seguano le stesse rotte e si trovino dagli stessi pusher. Se ti devi prendere 20 anni di galera perché vendi 10 grammi di fumo, tanto vale cercare di diventare milionario spacciando 10 chili di cocaina.

 

 

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