Droghe: oltre i pregiudizi...

 

Droghe: oltre le criminalizzazioni e i pregiudizi…

 

Progetto Uomo, 28 febbraio 2006

 

Le questioni più scottanti su carcere e droga affrontate dagli esperti legali del Gruppo di lavoro "Percorsi Giudiziari e Carcere" della Fict. La questione dei detenuti tossicodipendenti. Gli operatori dei Progetti per realizzare la formazione a favore degli operatori terapeutici che lavorano con i carcerati. Il Gruppo di lavoro "Percorsi Giudiziari e Carcere", della Rete Tematica Fict, ritiene che l’intervento all’interno delle strutture penitenziarie sia imprescindibile, indipendentemente dalle modalità di realizzazione che differenzia l’operato dei Centri della Fict. Proprio per questo motivo si manifesta necessaria la formazione costante e continuativa che consenta, da un lato, di non sprecare energie preziose, dall’altro di mantenere un serbatoio di utenza importante, fornendo adeguati strumenti di tutela agli operatori.

Ciò è realizzabile attraverso la creazione di una équipe integrata (tecnici e operatori terapeutici) che porti cultura e professionalità al fine di vincere le resistenze ad operare con i "carcerati" e progettare percorsi idonei. Solo conoscendo l’aspetto delinquenziale, che caratterizza in modo più o meno incisivo i giovani carcerati, è possibile adottare una metodologia di intervento opportuna.

Una formazione di questo tipo deve tenere conto di numerosi parametri, ad oggi sottovalutati e tali da agevolare la prevenzione alla recidiva. Lavorare sulla connotazione criminale, infatti, in modo preciso, può costituire un ottimo punto di partenza.

Si tratta, quindi, di fornire significati ad un intervento da attuare su una tipologia di "sofferenza". Bisogna, tra gli altri, tenere in considerazione gli extracomunitari tossicodipendenti che affollano gli Istituti Penitenziari, per i quali occorre una maggiore definizione degli interventi in ragione della doppia condizione di marginalità. È evidente il bisogno di offrire all’extracomunitario, oltre al recupero dalla tossicodipendenza, una serie di strumenti che, anche in caso di espulsione dal territorio, al termine del percorso o dell’espiazione della pena, possano avere significato.

Alla luce delle questioni emerse, si ritiene interessante la realizzazione di progetti a cogestione pubblico/privato sociale per il trattamento e l’inserimento di tossicodipendenti in fase di arresto/fermo, nel corso del giudizio per direttissima/fase di convalida.

Il Gruppo "Percorsi Giudiziari e Carcere" nell’esaminare le realtà esistenti che operano in tal senso, tra cui il Progetto "Dap-Prima", ritiene che i Centri della Fict, supportati da opportuna formazione, abbiano gli strumenti per partecipare.

Per questo motivo, è opportuno sensibilizzare il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria sul ruolo che le realtà locali possono assumere nella gestione di progetti di intervento all’interno delle strutture penitenziarie rivolti a detenuti tossicodipendenti.

 

A proposito del Progetto "Dap Prima"

 

Assomiglia all’esperienza, già da anni in corso a Milano, dal titolo "La cura vale la pena" da cui, evidentemente, trae spunto. L’analisi dell’esperienza milanese, sottesa al progetto e sconosciuta alla maggioranza, richiede la valutazione di alcuni elementi e la verifica delle condizioni di realizzazione in realtà culturali differenti, in quanto richiede un grosso coinvolgimento del servizio pubblico e di quello privato, ma, soprattutto, una grossa sensibilizzazione della Magistratura di merito. Inoltre, la realizzazione di queste sperimentazioni richiede un’adeguata formazione degli operatori e la necessità di una idonea impostazione del lavoro terapeutico nell’area delinquenziale con opportuno recupero della frattura sociale e della consapevolizzazione del reato.

Per i Centri della Rete Fict si tratta dell’opportunità di incidere in modo significativo nel momento del giudizio, dal punto di vista "terapeutico", dando al tossicodipendente la possibilità di diventare protagonista attivo del cambiamento in un momento delicato quale l’arresto.

Rappresenta, quindi, un sostanziale momento di contatto tra il tossicodipendente e il territorio, che consente di promuovere la sperimentazione di forme di connessione tra sistema penale e sistema delle risorse esterne che, uscendo dalla rigida dicotomia aiuto/controllo, restituisca all’intervento sulle tossicodipendenze la complessità che lo caratterizza. Il momento dell’incontro/scontro tra la persona ed il sistema di controllo formale, se opportunamente gestito può, infatti, assumere significati "altri" dalla semplice logica punitiva.

 

Gli arresti domiciliari

 

Desta particolare preoccupazione, l’inserimento di soggetti sottoposti alla misura cautelare degli arresti domiciliari (art. 89 c.p.p.). È la misura più prossima alla detenzione, e meno affittiva rispetto alla stessa. Ha il pregio di consentire all’indagato di scontare la pena, ha il difetto di condizionare le motivazioni al recupero. In caso di trasgressione dà vita al reato di evasione.

Ci sono due tipi di problemi da risolvere. Uno di tipo economico: ferma restando la competenza economica del Ministero della Giustizia a corrispondere la retta per soggetti in arresti domiciliari, il Gruppo evidenzia ed auspica che, in concomitanza con le procedure di accreditamento ed in virtù delle stesse, si creino protocolli di intesa tra il Ministero ed i Centri accreditati, con relativo snellimento delle pratiche di convenzionamento. È desiderabile l’equiparazione delle rette a quanto stabilito dall’Intesa Stato/Regioni, per evitare l’ulteriore sperequazione esistente che, attualmente, disincentiva i Centri ad accogliere tale tipologia di utenza, penalizzando così le persone "ristrette" nei percorsi giudiziari. Uno di tipo terapeutico: gestire gli utenti sottoposti alla misura degli arresti domiciliari è un intervento nei confronti di persone spesso non motivate, il cui allontanamento comporta la richiesta all’Autorità Giudiziaria che può provvedere in alcuni giorni, paralizzando l’attività terapeutica. Da non sottovalutare come la scelta di allontanare coincida con la consapevolezza che il soggetto dovrà necessariamente tornare in carcere.

 

La riparazione nell’esecuzione penale

 

L’art. 27 della Costituzione prevede la rieducazione del condannato. La rottura del patto sociale e l’inserimento nel circuito criminale portano l’autore di reato a contatto con una serie di elementi, tra cui il carcere, ma non sempre alla percezione di quanto commesso. Anzi, spesso, il regime restrittivo, di qualsivoglia natura, viene recepito in modo persecutorio senza una reale consapevolezza del danno commesso alla vittima. All’interno dei Centri della Rete Fict non si è mai presa in considerazione l’ipotesi di lavorare sul concetto di "riparazione sociale", pur avendo tutti gli strumenti e le competenze per farlo.

Probabilmente, è difficile tradurre in modo scientifico questa concezione che si presenta di estrema attualità, specie in considerazione del sempre più consolidato orientamento giurisprudenziale dei Tribunali di Sorveglianza, di applicare il comma 5 dell’art. 47 O.P. Manca il modello generalizzabile, spendibile sia all’interno che all’esterno della Fict.

In realtà l’obiettivo è coerente con la filosofia di "Progetto Uomo": la persona va posta, come sempre, al centro del percorso di riabilitazione e l’operatore, che lo affianca, inventa passaggi extracarcerari nei quali ci sia una integrazione della responsabilità. La riabilitazione sociale è il fine del modello "riabilitativo" della pena e passa attraverso una riparazione che vede l’espiazione come un momento del recupero. L’intervento sul senso di colpa può essere percepito in modo persecutorio (modello carcere) o riparativo. Il terapeuta individuale, da solo, non riesce a perseguire questo secondo fine, ma la Comunità può riprodurre il contesto all’interno del quale si esprime la "colpa". Il contesto è educativo e deve essere rappresentato una realtà il più democratica possibile.

È necessario evitare il pericolo di standardizzazione del reato, tale da rendere sterile qualsiasi intervento, soprattutto se limitato a quei soggetti che, a seguito della commissione del delitto, vengono effettivamente perseguiti. Questo lavoro deve essere esteso anche a quegli utenti che nonostante l’incensuratezza hanno commesso reati. Paradossalmente la percezione, da parte di questi ultimi, è più reale: si ritengono fortunati per "averla fatta franca". Diversamente coloro che sono sottoposti a misure cautelari o misure alternative ritengono di aver assolto il debito nei confronti della società

 

I Centri della Fict, spesso, sottovalutano la rottura del rapporto sociale: non lavorano sufficientemente sulla colpa. Danno più rilievo alla trasgressione quotidiana in Comunità che non ai reati commessi. L’attività del difensore, allorché la relativa strategia sia fondata sulla negazione del fatto reato, rischia di compromettere un modello riparativo, tuttavia è possibile individuare modalità di intervento che non inficino il lavoro del difensore e, nello stesso tempo, consentano il processo di responsabilizzazione che include le reazioni emotive originate dall’evento negativo. La riparazione, anche solo psicologica, consente la riacquisizione di cose per sé, non solo nei confronti della vittima. Sul punto occorre una formazione adeguata, che può essere: centrale istituzionale; capillare locale.

 

Gli aspetti criminologici

 

Sta sorgendo una impostazione sanzionatoria di tipo anglosassone (vedi legge Cirielli) in cui è dato risalto alla paura della criminalità, indipendentemente dagli effettivi tassi della stessa. Questa impostazione produce lo sviluppo di politiche dirette a ridurre specificamente i livelli di paura. Scompare, quindi, la figura del delinquente come figura svantaggiata per dare spazio a quella del soggetto pericoloso per la collettività. Anche il tossicodipendente (la proposta di riforma sulla tossicodipendenza) sta rientrando in questo stereotipo. La sua pericolosità è data dalla reiterazione di comportamenti antisociali, che fino a questo momento hanno goduto di vantaggi dovuti alla propria condizione, quanto meno per quanto riguarda la possibilità di accedere a misure alternative (art. 89 e 94 T.U. DPR 309/90)

Nel richiamare i problemi legati all’intervento su soggetti provenienti dal circuito penale, di cui abbiamo fatto cenno, diventa sempre più necessario sviluppare la capacità di selezionare adeguatamente le richieste dei detenuti. È fondamentale riuscire a distinguere la figura del tossicodipendente criminale, cioè quel soggetto nel quale è prioritario il rapporto con la droga e prevalente il momento della dipendenza – tanto da essere indotto alla commissione di reati dalla necessità di procurasi i soldi – da quella del criminale tossicodipendente. Quest’ultimo appartiene già al mondo della delinquenza, a prescindere dall’assunzione di sostanza. Il suo delinquere non è funzionale al bisogno di procurarsi la droga. I nostri operatori hanno il timore, giustamente, di dover fronteggiare questo secondo tipo di utenza.

Ecco perché si evidenzia la necessità che la formazione fornisca strumenti adeguati alla identificazione dei soggetti più idonei ad accedere ad un percorso comunitario. In quelle realtà locali in cui la selezione viene preventivamente effettuata dal Sert interno all’Istituto penitenziario, questo problema è ridimensionato. È sufficiente, nonché consigliata, l’autoformazione, fondata sulle esperienze maturate all’interno dei Centri della Fict, che consenta di far emergere elementi di sviluppo metodologico.

Da un punto di vista pratico, gli operatori hanno bisogno di conoscenze adeguate su vantaggi e svantaggi della presenza di soggetti in regime di arresti domiciliari, che consenta una serena gestione dei rapporti con le Istituzioni (Forze dell’Ordine, Tribunale, Assistenti sociali). A fronte di una scelta che consenta l’accesso in regime di arresti domiciliari è necessario instaurare con gli interlocutori, di cui sopra, un clima fondato sulla fiducia per non vanificare l’efficacia della misura e, nel contempo, non condizionare l’attività degli operatori. Gli operatori devono comprendere i livelli di tutela del loro operato ed i rischi cui si espongono, nei confronti dei quali devono assumere precise responsabilità.

 

Le misure alternative

 

È il tema, da sempre, più coinvolgente. I Centri della FICT sono sempre stati all’avanguardia, fin dal 1986, anno di emanazione della Legge Gozzini, e dell’introduzione dell’affidamento terapeutico. Ogni realtà è stata in grado di situarsi in una posizione privilegiata nei confronti della Magistratura di Sorveglianza e di instaurare un rapporto più o meno solido con i Centri di Servizio Sociale. L’argomento è quanto mai attuale, se si pensa che il progetto di revisione della legge tende a dare un maggiore risalto alle misure alternative e ad attribuire alle strutture del privato sociale funzioni di controllo/recupero. Sotto questo profilo il presunto ruolo di privilegio rischia di trasformare le Comunità in realtà custodiali, strutture a "custodia attenuata" distaccate.

Al momento i problemi vertono, in parte, sul concetto di "ricaduta" e sulla dicotomica interpretazione assunta da parte degli operatori della struttura e da parte della magistratura, sia di merito che di sorveglianza. La Magistratura, infatti, sta rivedendo i parametri riabilitativi riducendo la tolleranza nei confronti dei soggetti che non aderiscono in modo adeguato al progetto di recupero. Pur non venendo meno quel clima di fiducia, sotteso all’ammissione alle misure da parte dell’Autorità Giudiziaria (ivi compresa la sottoposizione alle misure cautelari di tipo restrittivo), il Magistrato sta diventando sempre meno tollerante o, quanto meno, richiede maggiore precisione nella descrizione dell’evoluzione del percorso, al fine di evitare comode strumentalità.

Questo regime, figlio della cultura del controllo e della sicurezza, segue il corso dei tempi. La ricaduta, per l’operatore può essere uno strumento di autocura, per il Magistrato, che vuole la guarigione, è la violazione delle prescrizioni. Per il Magistrato la prescrizione fondamentale è l’astinenza da sostanze.

Il Gruppo di lavoro propone la creazione di un tavolo unico permanente di confronto tra i soggetti individuati, in cui si discute di misure alternative alla carcerazione, si chiarisce il rapporto con Cssa e Tribunale di Sorveglianza in merito a:

Finalità, obiettivi, modalità e strumenti di verifica dei progetti terapeutico e socio-riabilitativi;

Rispettivi obblighi normativi;

Individuazione di strumenti idonei alla ricerca in merito agli esiti delle misure alternative alla carcerazione;

Chiarificazione del tema della sospensione pena e concessione della misura.

Questo tema investe sia la fase di merito che quella di esecuzione. La prima riguarda il riconoscimento della responsabilità penale e dell’imputabilità, la seconda sia l’applicazione della misura alternativa che quella di sicurezza.

Il progetto terapeutico ha una forte valenza in entrambi i momenti. Per questo gli operatori dovranno essere in grado di intervenire efficacemente da un lato per evitare che il percorso giudiziario infici l’intervento, dall’altro perché quest’ultimo agevoli la fluidità del primo. Anche questo argomento richiederà una buona dose di sinergie tra servizi pubblici, privati istituzioni.

 

 

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