Alternative al carcere

 

"Niente più carcere per uomini nuovi"

 

Carlo Giovanardi illustra la proposta per impedire a chi ha avviato percorsi di recupero di finire in carcere quando la sentenza passa in giudicato.

 

Il Nuovo on line, 27 dicembre 2001

 

Nessuna depenalizzazione per i tossicodipendenti che commettono reati, ma è necessario offrire a chi ha già avviato un percorso di recupero la possibilità di completarlo. Il ministro per i Rapporti con il Parlamento, Carlo Giovanardi, in un’ intervista al Nuovo, illustra in che modo sarà possibile per i giovani evitare il carcere quando, durante le fasi di uscita dalla tossicodipendenza, si viene raggiunti da una sentenza passata in giudicato. E sui Ser.T., le strutture pubbliche, il ministro non ha dubbi: "Non ci sarà nessun ridimensionamento".

 

Signor Ministro, sì alle pene alternative al carcere per i tossicodipendenti. Ma dove sarà possibile scontarle, considerata la carenza delle strutture?
Innanzitutto va detto che già oggi centinaia di ragazze e ragazzi usufruiscono delle pene alternative alla detenzione: sono agli arresti domiciliari o vengono affidati alle comunità di recupero. Il problema si pone quando la sentenza passa in giudicato. In questa circostanza, molte volte, i ragazzi che hanno già da due o tre anni avviato percorsi di recupero nelle comunità devono interrompere il loro cammino per andare in carcere. In questo modo non solo si rovina il lavoro di recupero, ma anche il carcere non serve più a nulla. La proposta delle comunità è quella di allargare le possibilità di scontare la pena presso strutture alternative. Che possono essere le comunità stesse o altre strutture. Anche il ministero della Giustizia sta lavorando alla trasformazione della casa circondariale di Castelfranco da adibire a luogo dove sia possibile espiare la pena ma anche completare il recupero.

Serve quindi un provvedimento ad hoc. Quali saranno i tempi?
Sì, serve un provvedimento per allargare questa possibilità. Prima, però, è necessario sgomberare il campo da una grande confusione. Qui non si parla di depenalizzazione. Se si commette un reato, si viene condannati. E sempre di pena stiamo parlando. Il problema va focalizzato sul quando la sentenza passa in giudicato. La pena deve essere espiata in carcere o in strutture alternative? Il governo, e in particolare il ministero della Giustizia, può studiare un provvedimento per identificare le fattispecie nelle quali - anche con sentenza passata in giudicato - si può arrivare a fare espiare la pena presso le comunità di recupero oppure presso le strutture alla quali sta lavorando Castelli. Va anche detto la proposta vuol dare una possibilità in più a chi vuol uscire dalla droga. Un cammino che resta comunque un fatto individuale. Ecco perché bisogna essere rigorosi. Se chi sceglie la comunità poi sgarra - o perché non si comporta bene nella comunità o perché fugge - allora scatta il carcere. La nostra proposta vuol essere un’alternativa per i giovani, ma anche per la società. E’ interesse di tutti mirare al recupero.

Questo per i tossicodipendenti che delinquono, ma per chi fa uso di sostanze stupefacenti e vuole uscire dalla droga cosa offre lo Stato, dal momento che sui Ser.T., per esempio, si è parlato di un ridimensionamento quando non li si è addirittura definiti - è il caso del ministro Gasparri - "metadonifici"?
E’ chiaro che si vuole arrivare a fare una politica di prevenzione, repressione e di recupero bisogna mettere in campo tutte le risorse disponibili: che sono le comunità ma anche le strutture pubbliche. Un conto è dire che le strutture pubbliche devono orientarsi più al recupero che alla distribuzione di metadone o a terapie di mantenimento. Ma è chiaro che bisogna tener conto delle energie che sono già nel territorio. Ci mancherebbe altro. Lo stesso don Gelmini ha detto che noi, comunità, vogliamo essere trattati come i Ser.T..

 

Quindi lei esclude un ridimensionamento dei Ser.T.?
Le rispondo con un esempio. Si può dire che le ASL in Italia non funzionano, ma nessuno si sognerebbe mai di eliminarle. Il problema sarà, eventualmente, di discuterne la politica, gli indirizzi, gli orientamenti. Ma nessuno penserebbe mai di fare a meno di queste strutture, senza le quali la risposta sarebbe assolutamente insufficiente. Le comunità sono benemerite, ma possono dare delle risposte fin dove arrivano. Solo il concerto tra le comunità e le strutture pubbliche può produrre risultati.

Ritorniamo alla proposta. Il beneficio delle pene alternative varrà anche per i tossicodipendenti extracomunitari?
Intanto bisogna vedere se si tratta di un extracomunitario clandestino: in questo caso si sovrappone uno stato di permanenza illegale in Italia che può comportare una espulsione immediata dal territorio. Se invece si tratta di un extracomunitario in regola con il permesso di soggiorno, non si vede perché non si debba applicare la stessa regola che vale per gli italiani.

La proposta vincerà tutte le resistenze, soprattutto quelle di Alleanza Nazionale?
Sinceramente non ho mai conosciuto delle resistenze da parte di AN. Sarebbe una sorpresa per me, dopo il lavoro fatto insieme in questi anni nell’ambito dell’associazione dei parlamentari contro la droga, scoprire che AN possa essere contraria a questa ipotesi. Probabilmente c’è stato un equivoco. Probabilmente qualcuno pensava alla depenalizzazione. Ma questa è una cosa diversa.

A Ginevra è stato dato il via un progetto sperimentale con la creazione di luoghi che offrono la possibilità di praticarsi il buco. Questo resta un tabù per il nostro Paese?
Non se ne parla nemmeno. Il nostro slogan è libertà dalla droga. Non libertà di drogarsi. Quindi l’esatto contrario di quella esperienza.

 

 

GIOVANARDI E’ D’ACCORDO CON L’APPELLO
DEL CARDINALE MARTINI PER I TOSSICODIPENDENTI

 

Alternative al carcere? Ministri divisi

 

La Stampa, 27 dicembre 2001

 

ROMA Pene alternative al carcere per i tossicodipendenti: all’appello lanciato il giorno di Natale dal cardinale di Milano, Carlo Maria Martini, il ministro per i Rapporti con il Parlamento risponde positivamente. Ma l’opposizione sfida il governo di passare dalle parole ai fatti. In visita ieri alla Comunità Incontro di Don Gelmini, Carlo Giovanardi ha detto di considerare "assurdo che chi ha commesso reati perché schiavo della tossicodipendenza, e accetta un percorso di recupero, debba scontare la pena proprio mentre sta uscendo dal tunnel della droga". Quanto agli obiettivi del governo, l’esponente del CCD - CDU ha ricordato la creazione di un apposito dipartimento nazionale. Proprio le strutture pubbliche, secondo Giovanardi, "hanno una funzione importantissima in questa strategia, per intensificare sia la prevenzione, sia il recupero: noi non vogliamo abbandonare alla droga chi è cascato nel meccanismo della tossicodipendenza". Ora l’opposizione vuole mettere alla prova il governo. La sollecitazione è venuta da Giuliano Pisapia di Rifondazione comunista. "La pena detentiva non solo è inutile ma anche controproducente. Il tossicodipendente che esce dal carcere non curato e reinserito nella società - ha osservato Pisapia - finisce o nell’ambito della criminalità organizzata o ritorna, purtroppo, in piazza a commettere nuovi reati". Ecco, ha concluso l’esponente del PRC, "se le parole del ministro Giovanardi fossero condivise dal governo, fatto di cui purtroppo dubito, sarà possibile in pochi mesi modificare l’attuale legislazione". Gli stessi dubbi li ha espressi il presidente dei Verdi. Infatti, Alfonso Percoraro Scanio, ha chiesto al ministro "fatti e non chiacchiere". "Il governo avanzi una proposta concreta. Sarebbe - ha aggiunto Pecoraro Scanio - un segno di civiltà ben diverso dalla becera propaganda proibizionista di altri esponenti del centrodestra ma è facile prevedere che quelle di Giovanardi resteranno parole in libertà o al massimo una "captatio benevolentiae" nei confronti del cardinal Martini senza purtroppo alcuna seria conseguenza". Un riferimento critico rivolto soprattutto ad AN. Non è un caso, infatti, che Maurizio Gasparri - anche lui ieri in visita alla comunità di Don Gelmini - abbia sottolineato la linea dura del governo contro i tossicodipendenti, senza alcuno accenno all’appello del cardinale di Milano. Il ministro delle Comunicazioni ha spiegato che l’obiettivo dell’esecutivo "è quello di modificare di 180 gradi le politiche sulla tossicodipendenza". Una sterzata che porterà in primo luogo all’abbandono di "quella cultura della riduzione del danno che ha determinato un indebolimento dell’azione di contrasto, il mancato sostegno alle azioni di recupero e la scarsa convinzione circa la necessità di un’azione repressiva". A fotografare le posizioni nella maggioranza è stata la diessina Livia Turco: "E’ incredibile che il governo parli due lingue così diverse". Da un lato, ha osservato l’ex ministro per gli Affari sociali, Gasparri che "continua imperterrito a sostenere le sue posizioni di sempre, ignorando i dati che ci dicono come la strategia della riduzione del danno abbia ridotto di molto le morti per overdose". Dall’altro, Giovanardi: "Mi fa molto piacere sentirlo dire che il carcere non risolve il problema e che bisogna invece puntare a pene alternative".

 

 

Droga, si apre lo scontro sulle pene alternative
Il ministro della Giustizia Castelli: nessun carcere privato a San Patrignano

 

La Gazzetta del Mezzogiorno


San Patrignano finisce nuovamente nell’occhio del ciclone. Nel dibattito avviato dall’appello natalizio del cardinale di Milano Martini, la questione non è più se la maggioranza è compatta nel voler ampliare per i tossicodipendenti detenuti l’accesso alle pene alternative al carcere, anche in considerazione dell’affollamento dei penitenziari.

Al centro della polemica, invece, finisce l’accordo siglato dal ministro della Giustizia Castelli con la comunità di recupero di Muccioli, per sperimentare una gestione pubblico - privata nella "colonia agricola" di riabilitazione che avrà sede nell’ex carcere di Castelfranco, in Emilia Romagna, in via di ristrutturazione. Un progetto di "custodia attenuata" che il suo stesso ideatore, l’ex direttore del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (DAP) Margara ritiene sia stato stravolto in corso d’opera: "La gestione dell’istituto era del DAP - spiega - e per i percorsi terapeutici ci si affidava ai Ser.T., mentre pensare di cedere il carcere a San Patrignano è un’espropriazione dei ruoli". Un’idea condivisa dall’opposizione e dalle altre comunità di recupero, che parlano di "privatizzazioni delle carceri", e dal sindacato di polizia penitenziari, l’OSAPP, che avverte: "Se a gestire Castelfranco arriva S. Patrignano escono gli agenti". Un coro di critiche che lasciano "stupefatto" il Guardasigilli, il quale assicura in serata che non intende promuovere comunità di Stato.

Recuperata AN alla causa, la linea del governo resta "libertà dalla droga e non libertà di drogarsi", ribadisce il ministro per i Rapporti con il Parlamento Giovanardi. Questo, però, non significa depenalizzare i reati connessi alla tossicodipendenza. Pedrizzi di AN ricorda infatti che la legge Jervolino - Vassalli prevede già l’affidamento in prova alle comunità o ai Ser.T. per condanne o residui di pena inferiori a 4 anni. E Ignazio La Russa specifica che è solo per i reati gravi che AN è contraria ad evitare "un giusto periodo di detenzione". Mentre Gustavo Selva (AN) rileva che le affermazioni di Giovanardi sono coerenti con il progetto di Castelfranco. Sulla colonia agricola, però, l’ex ministro Livia Turco non ha dubbi: "Sarebbe paradossale per un governo che fa della sussidiarietà il punto cardine della sua politica - sostiene - realizzare una comunità di Stato". Ancora più duro Monsignor Albanesi, presidente del coordinamento delle comunità di accoglienza: l’ipotesi Muccioli - Castelli "ci porta ai giorni del craxismo - afferma -, quando si privilegiavano solo gli amici degli amici". Di "carcere privato", con lo Stato che "appalta la detenzione e delega la sua funzione punitiva" parla l’associazione "Antigone" per i diritti dei detenuti. Mentre l’ex sottosegretario alla Giustizia Corleone boccia la "privatizzazione dell’esecuzione penale". Come Segio Segio, che vede dietro al mancato atto di clemenza giubilare l’operazione di Castelli per "il business delle carceri gestite dalle comunità più repressive".

Critiche affrettate, replica Andrea Muccioli, assicurando che il progetto avviato tre mesi fa non prevede "comunità di Stato o carceri private". Mentre i commenti dimostrano come "di questi problemi si discute in una logica spartitoria - osserva - di interessi economici e politici". Muccioli ricorda che la comunità di S. Patrignano dal 1983 "ha sostituito 2.500 anni di carcere con programmi alternativi indirizzati al recupero di 1.037 ragazzi agli arresti domiciliari, 1250 in affidamento sociale e 66 in detenzione domiciliare, facendo risparmiare allo Stato 272 miliardi". Proprio per questi risultati, "che parlano chiaro", il ministro Castelli afferma di aver coinvolto San Patrignano nel progetto "ambizioso", e si assume "la responsabilità di questa scelta". "Non si tratta di privatizzare le carceri - sostiene il Guardasigilli - ma di studiare misure che puntino in primo luogo al recupero del detenuto, a suo vantaggio e a vantaggio della società, con la diminuzione del rischio di recidive". Ed il lavoro dei detenuti ha la doppia funzione di "reinserimento" e "risarcimento" sociale.

Il ministro Castelli ricorda poi che "a fronte della politica fallimentare della sinistra" per le tossicodipendenze, fin dall’estate scorsa aveva annunciato di voler istituire "circuiti penitenziari alternativi".

 

 

"Droga, riabilitazione sì ma senza depenalizzare"

 

 

Il Messaggero

 

Dopo la proposta di pene alternative per i tossicodipendenti lanciata dal ministro per i Rapporti con il Parlamento, Carlo Giovanardi, il centrodestra è sembrato disunito. C’è stata più di una levata di scudi da parte di AN. Allo stesso ministro, esponente del CCD, chiediamo di fare il punto della situazione.
"Vediamo di fare un po’ di chiarezza. Noi non ci siamo mossi dal nostro principio fondamentale: "libertà dalla droga e non libertà di drogarsi". Questo vuol dire che tutte le ipotesi di liberalizzazione, depenalizzazione, esperimenti alla svizzera di distribuzione controllata di eroina, sono escluse".
Anche la pratica della "riduzione del danno"?
"La nostra impostazione di principio si basa su tre caposaldi sui quali nella CDL siamo tutti d’accordo: prevenire, reprimere, recuperare. Sul terzo punto dobbiamo vedere cosa fare con il tossicodipendente: lo manteniamo a metadone ed eroina fino a farlo morire o ipotizziamo una via di recupero. E qui si può discutere, come ha fatto anche il ministro della Sanità Sirchia: se le terapie a scalare sono finalizzate al recupero, hanno un senso, se invece sono finalizzate a mantenere qualcuno come uno zombie fino alla morte, no".
Il capogruppo di AN, La Russa, si è allarmato all’ipotesi di pene alternative.
"E’ stato un equivoco. Il quadro penale rimane quello attuale. Non si depenalizza nulla. La novità è che per il recupero si fa un ragionamento basato su dati di fatto: le migliaia di ragazzi già affidati dai giudici alle varie comunità o ai Ser.T.. Per loro, se non si sono resi responsabili di reati gravissimi, come l’omicidio o l’associazione mafiosa - su questo sono d’accordo con La Russa - si può pensare che alla fine del loro percorso di riabilitazione nelle comunità, possano non andare in carcere che, come tutti sanno, è l’università del crimine. Parliamo di reati che possono anche andare oltre i 4 anni di pena, ma che siano sempre compatibili con la prospettiva del recupero. Non vogliamo cancellare nessuna condanna che il drogato abbia ricevuto, si tratta solo di vedere se invece di espiarla in carcere, può più produttivamente scontarla in una comunità. Beninteso che se non riga dritto finisce in galera".
La polemica si è accesa sulla scelta di San Patrignano.
"Anche qui c’è un equivoco. Le comunità a cui vengono affidati i ragazzi sono molte: San Patrignano, don Gelmini, don Ciotti, don Picchi, i Ser.T. e via dicendo. C’è una scelta pluralista. La polemica è nata sulla proposta del ministro Castelli che indicava una struttura già esistente, quella dell’ex carcere di Castelfranco, vicino a San Patrignano, per sperimentare un’espiazione di pena particolare da far gestire non solo alle guardie carcerarie ma anche a chi da una vita si occupa del recupero di questi ragazzi".
Non è comprensibile la reazione della sinistra di fronte a una struttura così caratterizzata come San Patrignano?
"Io mi indigno a vedere la Turco o altri esponenti della sinistra lanciarsi in battaglie ideologiche. Nessuno esclude tutte le altre comunità. Se l’idea dell’alternativa alla pena è valida, potrà essere applicata benissimo anche altrove. Nessuno nel centrodestra pensa che ci sia una gerarchia delle comunità. Non erano i leader della Cina comunista a dire che non importa il colore del gatto, purché prenda i topi?".
Allora il problema si riduce alla scelta del mezzo di recupero, visto che sul fine si è tutti d’accordo?
"Non è così, perché se la logica è quella di Franco Corleone o dei radicali di arrivare alla liberalizzazione della droga, siamo su un crinale diverso, incompatibile".
Sul progetto di Castelli c’è chi parla di "privatizzazione delle carceri"…
"E’ una cosa che fatico a capire. Quando i giudici oggi mandano migliaia di ragazzi nelle comunità che fanno, privatizzano la giustizia? Mi pare che queste reazioni denuncino una sinistra crucciata dalla nostra volontà di fare quello che in 5 anni a loro non è riuscito".

 

 

"Condanne pesanti? Prima si sconti la pena"

LA RUSSA (PRESIDENTE DEI DEPUTATI DI ALLEANZA NAZIONALE)

 

Il Messaggero, 29 dicembre 2001


"Il dibattito in corso è assurdo, perché già adesso tutti i tossicodipendenti che sono in carcere, per qualunque reato, comunque commesso in relazione alla loro condizione di tossicodipendenti, possono scontare la loro pena, se inferiore ai quattro anni, fuori dal carcere. E se anche si tratta di una condanna superiore, si può essere ammessi in una comunità terapeutica - o addirittura a casa purché si frequenti un Ser.T. - per scontare gli ultimi quattro anni. Allora di che cosa si sta parlando? Solo di reati così gravi che comportano pene superiori ai quattro anni. Ma allora si sappia che riguardano anche un numero ridotto di tossicodipendenti detenuti". Per Ignazio La Russa, capogruppo di Alleanza nazionale alla Camera, si è sollevato un inutile polverone, perché già oggi la legge consente ai tossicodipendenti per condanne lievi di non finire dietro le sbarre.
Il suo timore è quello di una impunità dovuta allo stato di tossicodipendenza?

"Se la condanna è a 20 anni, prima il detenuto sconti quello che gli spetta e poi - negli ultimi quattro anni - si avvierà il recupero. Io non credo che il ministro Giovanardi sostenga che un condannato per rapina o per associazione finalizzata allo spaccio, all’indomani di una condanna a 20 anni possa essere messo in libertà, purché si presenti al Ser.T. tutte le settimane o vada in una comunità. Si tenga conto che la pena ha diverse funzioni: quella del recupero del condannato, ma anche quella retributiva - risarcire il male che si è fatto - che serve a inibire la commissione di altri reati, oltreché come atto di giustizia verso la società".

È quel che si dice l’effetto di una condanna esemplare?

"Sì, la pena deve essere anche la paura di una pena: se a un tossicodipendente si dice che può uccidere tanto il giorno dopo, per male che gli vada, va in una comunità di recupero..."

Ma in carcere la fase del recupero non esiste affatto.

"Se parliamo di chi è condannato a una lunga pena detentiva e di che fare prima che scattino gli ultimi quattro anni, allora sono d’accordissimo nell’affrontare la questione. Che cosa deve succedere? Che vanno create all’interno delle strutture carcerarie situazioni di vero ed effettivo recupero dei tossicodipendenti. E allora vanno bene le comunità organizzate dallo Stato. Già nel 1970 a Milano esisteva il COC, centro osservazioni criminologia, dove erano destinati i tossicodipendenti, e parliamo di 30 anni fa. Ma una cosa non va mai dimenticata".

E quale?

"Quali sono i reati di cui si macchia un tossicodipendente? Furto, scippo, tutti reati puniti con pene inferiori ai quattro anni e per i quali già oggi, con l’attuale normativa, il tossicodipendente non finisce in carcere. Allora di chi si sta discutendo? Di quel 5% di condannati che ha compiuto reati gravi e per i quali va considerato sì il recupero ma anche la sanzione".

Che cosa pensa del progetto San Patrignano - Ministero della Giustizia di creare una struttura che ospiti tossicodipendenti detenuti?

"Ne penso tutto il bene possibile. Sono a favore di San Patrignano, ma nessuno vieta che possano essere fatti accordi anche con altre comunità".

Comunità che guardano con qualche perplessità la scelta del ministero.

"Ma questo è dovuto a invidie, gelosie. Il fatto è che prima di rivolgersi a una comunità per assegnarle simili compiti bisogna valutarne attentamente l’affidabilità. E tutte sono meritorie ma non tutte ugualmente affidabili"

Repressione, recupero. E la fase della prevenzione?

"Intanto, sulla droga il dato è culturale. Noi abbiamo sempre detto che se c’è una cultura di morte - e qui inserisco anche il concetto della libertà di drogarsi - la diffusione della droga crescerà, qualunque cosa si faccia. Bisogna dire chiaro e tondo che drogarsi non è una libertà, come dice la sinistra, ma che drogarsi fa male".

 

 

Tossicodipendenti e carcere:
il documento delle comunità terapeutiche

 

La Nazione

 

Ha tredici mesi di vita il documento proposto dalle comunità terapeutiche della nostra provincia intitolato Tossicodipendenza e carcere. Un documento tornato di grande attualità in questi giorni, in cui si è acceso il dibattito sulle pene alternative al carcere per i reati connessi al consumo di droga e la proposta del ministro Castelli di far gestire alcuni detenuti alla comunità di San Patrignano.

Il documento del Gruppo Valdinievole, del Ceis e dell’associazione genitori Comunità incontro, ottenne l’adesione di tutti i sindaci della provincia, dei due vescovi, dei parlamentari Crucianelli e Bosi, dei consiglieri regionali Celesti, Fragai e Bosi. Vi si prevede un protocollo operativo per gestire l’espiazione della pena del tossicodipendenti nelle comunità, con l’intervento dei Ser.T. dell’ASL.

Giovanni Moschini del Gruppo Valdinievole plaude alla scelta di Castelli per San Patrignano, ma rilancia: "E’ opportuno allargare questa esperienza - pilota alle altre comunità ed ai Ser.T. pubblici. Il nostro documento redatto tredici mesi fa e presentato alla Conferenza di Genova, dimostra che avevamo visto giusto nell’individuare nelle nostre comunità (e nella collaborazione che esse hanno instaurato con i Ser.T. i dell’ASL) quella sorta di cuscinetto fra il carcere e il recupero del tossicodipendente che si è macchiato di reati connessi alla droga".

 

 

"Non tocca a noi svuotare le celle"

CURIOTTO (COMUNITÀ INCONTRO DI DON GELMINI)

 

 

Il Mattino

 

Innanzitutto sgombriamo il campo da ogni equivoco: qui non è questione di campanilismi, di vedere a quale comunità venga affidato il compito. Bisogna piuttosto valutare se questa sia o no una soluzione giusta". Aldo Curiotto, capo ufficio stampa della Comunità Incontro di Don Gelmini, è cauto sul progetto al quale stanno lavorando San Patrignano e il ministero della Giustizia.
Realizzare una struttura che accolga i tossicodipendenti detenuti. È o no una buona soluzione?
"Se questo progetto significa semplicemente che le comunità sono disposte ad accogliere soggetti che il giudice invia ai fini del loro recupero, allora diciamo subito che tutti sono d’accordo. Non è affare nostro, invece, svuotare le carceri. Il nostro problema è aiutare le persone e lo possiamo fare in base ai nostri strumenti e con i nostri metodi. Per questo siamo contrari se con questo progetto si intende dare in gestione alle comunità una struttura che, pur cambiando di nome, resta sostanzialmente un carcere. Si ritorna ai bracci speciali destinati ai tossicodipendenti, ma questo non è nello spirito delle nostre comunità".

Tossicodipendenti e carcere, un problema che si pone ormai ciclicamente. È veramente tutto da rifare?
"Intanto, bisogna distinguere le diverse anime della tossicodipendenza, che è criminalità, ma anche disagio, sofferenza, vuoto di risposte. Non è tutto da rifare perché la legge Jervolino - Vassalli del ‘90 ha rappresentato un passo in avanti anche se, come spesso accade, non è stata poi coerentemente applicata".
La legge del ‘90 già permette di scontare fuori dal carcere le condanne inferiori ai quattro anni. È questa la strada da percorrere per i tossicodipendenti che delinquono?

"Su questo punto noi siamo d’accordo da sempre, anche perché proprio da noi c’è stato una sorta di esperimento pilota. Alla fine degli anni Ottanta, quando ancora non c’era una legge che prevedeva questa possibilità, un magistrato molto vicino alla Comunità Incontro mandò qui un ragazzo tossicodipendente, utilizzando in modo improprio, ma efficace, la categoria "malato". In sostanza disse che come un malato aveva il diritto di essere curato in clinica pur essendo in stato di detenzione, così quel ragazzo aveva il diritto di essere ospitato da noi, la "clinica" adatta".

Mandare un tossicodipendente dietro le sbarre è una soluzione sempre totalmente sbagliata?
"Sì, è totalmente sbagliata. Ma non dimentichiamo che sono molte le variabili da considerare, perché andrebbe definito in quale misura il reato compiuto è frutto soltanto della tossicodipendenza. Per questo rischiano di non essere giuste entrambe le soluzioni: sia quella di punire, sia quella di non farlo".

 

 

  

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