Essere madri in carcere

 

Essere madri in carcere

 

Il Giornale di Vicenza, 11.03.2004

 

Essere madri in carcere: in Italia 60 bimbi vivono in prigione con la mamma Il Cif ha organizzato un incontro con una volontaria del gruppo che assiste le donne dietro le sbarre.

 

Mille e ancora mille modi di dire donna. In un’epoca sempre più consumistica ed orientata alla mercificazione di valori e sentimenti, un messaggio importante dalla sezione scledense del Cif, Centro italiano femminile, che, accanto ai chiassiosi appuntamenti degli strip maschili e delle feste in discoteca per sole donne, ha proposto a palazzo Toaldi Capra nei giorni precedenti un incontro sul tema delle "Donne e carcere".

A conclusione di un’intensa settimana di appuntamenti dedicati al cosiddetto gentil sesso che ha visto la collaborazione del Cif con lo "Sportello Donna" e "Iris centro Donna", è intervenuta Emma Rossi a raccontare la sua esperienza di volontaria in carcere.

Da quindici anni associata alla Caritas di Vicenza Emma Rossi ha vissuto fianco a fianco ai detenuti, in un universo definito da lei stessa di "estrema sofferenza".

"L’ambiente del carcere è un ambiente durissimo - racconta Emma Rossi - un mondo chiuso dove viene soffocata la personalità, l’affettività, l’individualità delle persone".

A sopportare maggiormente il fardello del dolore, secondo la volontaria, sono le donne che spesso debbono continuare a rivestire, seppure in condizioni di estrema difficoltà, il ruolo di madri, accanto a quello di carcerate.

"In Italia sono 15.000 le detenute madri - continua Emma Rossi - e attualmente si contano 60 bambini che vivono nelle prigioni assieme alle mamme".

Oltre ai casi di madri che riescono a ottenere la vicinanza dei figli, esistono numerosi casi di bambini che soffrono di disturbi psicologici dovuti all’allontanamento e che, in certi casi, arrivano a rifiutare la propria mamma.

Per cercare di alleviare, almeno in parte, le enormi sofferenze e problematiche sorte all’interno del carcere, sono nati gruppi di volontari che operano in diverse direzioni, dall’assistenza dei carcerati, a quelle delle famiglie, con l’intento nobile di dare la possibilità ai detenuti di vivere meno traumaticamente l’esperienza della prigione e, al tempo stesso, di dare degli stimoli per fare sentire queste donne e questi uomini delle persone.

"Tutti le carceri dovrebbero aprire le loro porte ai gruppi di volontari - prosegue Emma Rossi - che potrebbero sia stare vicino ai detenuti, sia insegnare loro un lavoro o proporre delle attività alternative, come il teatro, il cucito, il cineforum".

L’esperienza assai positiva del carcere di Padova ha dimostrato che con un direttore "illuminato", a detta di Emma Rossi, la prigione si è trasformata in un luogo di crescita e miglioramento degli individui.

"In fin dei conti, il carcere dovrebbe proprio servire a imparare dagli errori del passato - conclude Emma Rossi - e ad educare in previsione di una vita nuova, al di fuori".

 

 

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