Carcere, scuola di suicidio

 

Carcere, scuola di suicidio

 

Il Manifesto, 28 maggio 2003

 

Giovanni Cabras, ventotto anni, si è ucciso la notte scorsa nel carcere di San Sebastiano, a Sassari. È il sesto caso che avviene negli istituti penitenziari in poco più di un mese, una quindicina dall’inizio dell’anno. Come vengono classificati i suicidi dietro le sbarre, perché aumentano quelli veri e perché ci sono quelli finti. Viaggio nelle patrie galere.

Un detenuto di 28 anni, Giovanni Cabras, di Pirri, si è ucciso la notte scorsa nel carcere sassarese di San Sebastiano. Il giovane, che scontava una condanna per reati contro il patrimonio, è stato trovato dai compagni di cella impiccato in bagno. Fin qui la fredda notizia di agenzia, una notizia che assume una luce diversa se messa insieme a queste altre: la sera di Pasqua un 41enne cagliaritano, Roberto Salidu, si impicca con una sciarpa alle sbarre della finestra della sua cella nel carcere di Villa Fastiggi (Fano). Doppio suicidio nel carcere romano di Rebibbia 10 giorni dopo: la notte del 30 si toglie la vita nel braccio G 12 del nuovo complesso Accuad Abdel Rahim, ventenne marocchino. Arrestato per furto, doveva scontare un anno per il cumulo di precedenti condanne. Il giorno dopo è la volta di un romano di 41 anni, Marco De Simone, spostato dal nuovo complesso al reparto psichiatrico del penale, nessun medico e poche strutture. San Vittore (Milano), 4 maggio: arriva al reparto "nuovi giunti" un giovane ecuadoriano. Ha ucciso la moglie e ferito il figlio investendoli con un’auto. La notte viene portato in infermeria per una sospetta polmonite, la mattina dopo lo trovano in bagno, impiccato. Stessa storia, il 19 maggio, per un detenuto bulgaro di 22 anni - tossicodipendente dall’età di 9 - della casa circondariale di Macomer, nel nuorese. Un’estremità del lenzuolo al collo, l’altra alle sbarre della finestra. Sei suicidi in poco più di un mese. Una quindicina dall’inizio dell’anno, conferma Vittorio Antonini, ergastolano, vicepresidente dell’associazione carceraria di Rebibbia, Papillon. In media col 2002 (52 suicidi), meno che nel 2001 (70). E si tratta di dati sottostimati. L’amministrazione penitenziaria (Dap) tende a declassificare a eventi involontari fatti volontari, dice Luigi Manconi, ex portavoce dei Verdi e presidente di A buon diritto. Tra detenuti esiste la pratica del drogarsi inalando il gas delle bombolette per alimenti. Se un detenuto ci muore, è da considerarsi overdose involontaria o suicidio voluto? L’amministrazione lo considera sempre un atto involontario, ma non di rado si tratta di suicidio vero e proprio. E questo è solo un esempio. C’è poi da considerare un elemento burocratico: se un detenuto cerca di uccidersi nella propria cella, ma muore in ospedale, o in ambulanza, il suo non sempre rientra negli "atti suicidali carcerari". Certo è che chi si uccide in prigione è giovane - il 53% ha meno di 35 anni, il 15 meno di 25 - e lo fa entro il primo anno di detenzione (65%) se non nei primi 6 mesi (55%).

 

Il carceriere

 

"Temevo l’onda di ritorno delle discussioni su amnistia e indulto, approdate a un nulla di fatto - dice Luigi Pagano, 49 anni, da 14 direttore di San Vittore - che per ora è stata relativamente contenuta. Quello dei suicidi nel grande carcere di Milano, 1430 detenuti circa, è un vecchio problema: 3 - 4 all’anno, fino a due anni fa". Pagano sostiene che ora la situazione è migliore: "Abbiamo creato una polisportiva, cerchiamo di coinvolgere più detenuti possibile. E poi abbiamo aumentato le possibilità di lavoro e scambio con l’esterno". Dal primo di agosto dello scorso anno a San Vittore è attivo un servizio chiamato Dars (detenuti a rischio suicidale): individuato un soggetto a rischio, anche su segnalazione del personale di sorveglianza, gli psicologi del Dars intervengono tempestivamente. Il servizio è utile, forse verrà sospeso. Problemi di fondi, che il ministero della salute non sarebbe disposto a fornire.

 

I carcerati

 

I tre quarti dei suicidi in carcere sono finti suicidi andati male. Non mangi, deperisci e poi fingi di ucciderti. Se ti va bene prendi l’incompatibilità col carcere che può voler dire, per detenuti con pene brevi, uno sconto di pena, un trasferimento in un ospedale psichiatrico giudiziario (OPG), in comunità. Se ti va male, muori. Regina Coeli, Rebibbia, i carceri di Novara e Cuneo: Franco La Maestra ci ha passato 12 anni e mezzo. Militante delle Brigate Rosse, da un paio d’anni è in libertà. Lavora.

In genere si comincia con atti di autolesionismo - dice - ti tagli addosso, prendi a capocciate il muro. Poi insceni il suicidio. Solo che a quel punto è pericoloso. Sei deperito, puoi avere un mancamento, ti possono cedere le gambe. E allora sei morto. Il gioco, però, è pericoloso anche se sopravvivi. Fascicoli personali, magistrati di sorveglianza, guardie: tutti controllano il detenuto. Dice Antonini: "In carcere i tentati suicidi vengono puniti, come pure gli atti di autolesionismo". Tutto finisce nella tua cartella, vengono stesi dei rapporti, iniziano ad osservarti 24 ore su 24. A quel punto, se hai inscenato il suicidio, devi continuare a fingere, tutto il tempo. E non è facile. Simulato o meno, spesso la risposta delle istituzioni al tentato suicidio passa rapidamente dalla visita medica alla cella di isolamento, che dovrebbe essere (ma non è sempre così precisa Antonini) piantonata a vista.

 

Il volontario

 

Aumenta la popolazione carceraria (55.670 detenuti nel 2002), aumentano i suicidi negli istituti penali. Ma non nella stessa misura. Dice Luigi Manconi: dal ‘90 ad oggi il numero di detenuti è quasi raddoppiato. Quello dei suicidi, invece, è più che triplicato, anche se con andamento tutt’altro che regolare. La vela dei suicidi in carcere si gonfia anche al vento delle decisioni politiche. Così è stato nel 2000, l’anno del Giubileo. Le speranze alimentate dalle parole delle gerarchie ecclesiastiche e dal dibattito politico hanno creato un clima di attesa, mortificato dalla mancata approvazione di un segno di clemenza. Sfociato in un altissimo numero di suicidi alla fine del 2000. Così ancora prima, nel 1991, l’anno in cui la legge che regola l’accesso ai benefici carcerari, la legge Gozzini, viene modificata in senso restrittivo. E i suicidi aumentano: 29 nel 1991, 47 l’anno successivo, 61 due anni dopo. A partire dal ‘92 e nei dieci anni seguenti i suicidi arrivano a triplicarsi. È difficile escludere una correlazione tra la crescita dell’affollamento - poco spazio, tensione, servizi scarsi - e crescita dell’insostenibilità della condizione reclusa. Oggi la densità è di 130 detenuti per 100 posti effettivamente disponibili. E si tratta di una stima ottimistica.

 

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