Suicida il giorno dopo l'arresto

 

Suicida in carcere. Si è impiccato il giorno dopo l’arresto

 

Il Mattino, 9 gennaio 2003

 

Si è ucciso impiccandosi in una cella del carcere di Poggioreale Arturo Raia, 30 anni, il pregiudicato arrestato con l’accusa di aver ucciso nella notte tra l’8 e il 9 dicembre scorso il ventiduenne Claudio Taglialatela. Lo studente universitario di Battipaglia fu ammazzato nella sua auto al corso Umberto dopo una rapina durante la quale gli fu sottratto il telefonino. Raia sarebbe dovuto comparire oggi davanti al gip del tribunale di Napoli per la convalida dell’arresto avvenuto due giorni fa a Forcella. "Purtroppo per noi, con questa morte il calvario continua", ha commentato il padre di Claudio.

 

Il deputato Villari incontra il responsabile di Poggioreale: sono amareggiato, ma non accusate il personale

 

Il Mattino, 11 gennaio 2004

 

Ventiquattr’ore dopo il suicidio di Arturo Raia i riflettori sono puntati sull’inferno dei vivi. Ancora una volta: come sempre, quando suona la campana per un detenuto. Poco importa la sua matricola, o se si tratti del presunto assassino di uno studente di 20 anni ucciso per un cellulare. E su Poggioreale, metafora di quell’inferno che resta il penitenziario più sovraffollato d’Europa, si concentra anche l’attenzione dei politici. Ben tre parlamentari, nella sola giornata di ieri, hanno varcato i portoni del carcere. In tempi diversi il deputato della Margherita Riccardo Villari e i suoi colleghi diessini Aldo Cennamo e Vincenzo Siniscalchi hanno girato per quei padiglioni, parlato con i detenuti reclusi, con il personale di polizia penitenziaria, con il direttore Salvatore Acerra. Problemi di sempre (sovraffollamento, condizioni igieniche, assistenza sanitaria) e nuove tragedie, come il suicidio di un uomo rinchiuso in cella: materie sulle quali ragionare ancora una volta. Inevitabile partire dai numeri.

"Pur nella sua atavica drammaticità - spiega Riccardo Villari - in questo momento la situazione appare leggermente migliorata. Dalle informazioni che ho avuto, a Poggioreale in questo momento sono recluse poco più di 1600 persone. Ricordo che in una mia recente visita la popolazione detenuta sfiorava le 2000 unità". Numeri comunque da brivido, se si pensa che Poggioreale ha una capacità di accoglienza ottimale di 1100 detenuti. Aumenta in maniera esponenziale il numero dei reclusi stranieri. Extracomunitari, soprattutto. E per loro, spesso, questo carcere è due volte inferno. E cala dramaticamente il livello dell’età. Per i corridoi, come nelle celle, si incrociano sempre più volti di giovani. Impressionante resta la media di ingressi giornalieri: dalle 20 alle 35 persone entrano quotidianamente a Poggioreale; inutile dire che tra loro ci sono anche moltissimi tossicodipendenti. Nelle celle di molti padiglioni i problemi di spazio sono stati risolti con l’escamotage dei letti a castello: basterebbe solo questo a spiegare in che condizioni si è costretti a convivere, a Poggioreale.

"Ho visitato il padiglione Salerno - prosegue l’onorevole Villari - quello in cui vengono rinchiusi gli incensurati". Un padiglione a rischio: è accertato, infatti, che proprio chi fa il suo ingresso per la prima volta in carcere è più esposto al rischio del suicidio. Un giovane recluso stringe la mano al parlamentare: "Va tutto bene - spiega - ma qui il vero nemico è il tempo. Non passa mai". Altra cella, altra richiesta: "No, non mi lamento - dice un uomo di mezza età - Forse, però, se ci dessero più libri...". Poi si entra al padiglione Genova. Piano terra, zona destinata ai detenuti in isolamento. Nell’ultima cella in fondo a sinistra di questo corridoio si è suicidato Arturo Raia. "Il locale è sotto sequestro, sigillato - racconta Villari - L’interno è visibile solo dallo spioncino". Tocca al direttore. Salvatore Acerra si ritrova a fronteggiare l’ultima tormenta che si abbatte su Poggioreale. Non è la prima volta, ma l’esperienza maturata in questo carcere di frontiera lo ha abituato a fronteggiare ogni emergenza. A Villari Acerra confida la sua amarezza per quello che è accaduto.

"Mi ha detto che questa vicenda lo ha profondamente amareggiato - racconta Villari - La morte di un detenuto è sempre una tragedia. Ma è sereno, perché sa che nessuna responsabilità può ricadere sul personale di polizia penitenziaria". E turbati si dicono anche loro, gli agenti. È un lavoro duro, il loro. Doppiamente duro, nell’inferno-Poggioreale. "C’è un profondo turbamento per quanto è successo - dice Villari - Ma tutti gli agenti che ho incontrato mi hanno garantito di aver fatto il possibile per evitare la tragedia; e so che svolgono il loro lavoro con spirito quotidiano di abnegazione". Genova, Roma, Napoli, Avellino, Salerno: il fuoco dell’inferno dei vivi cova sotto tutte le latitudini dei padiglioni. Spesso anche per gli uomini in divisa.

"Si è sentito non più invincibile e ha ceduto"

"Il suicidio è uno dei rischi maggiori che si presentano per chi, detenuto, si trova a affrontare la drammatica esperienza del carcere. Le cause possono essere diverse, ed è difficile azzardare ipotesi nel caso di Arturo Raia, che non conosco. Posso però immaginare che quest’uomo sia stato spinto a un gesto estremo nel momento in cui quel senso di invincibilità e di onnipotenza che lo caratterizzava ha cominciato a sgretolarsi".

La dottoressa Brunella Tempone conosce bene la realtà carceraria. Fino a pochi anni fa, prima di passare al Sert di Torre del Greco dove ora lavora, ha prestato servizio proprio a Poggioreale: in quel pool di psicologi che assistono quotidianamente la popolazione carceraria.

Dottoressa, ci spieghi come viene fornita questa assistenza ai reclusi.

"Al momento del loro ingresso in carcere tutti i detenuti vengono sentiti da uno psicologo e sottoposti a visita medica. La copertura è totale, nel senso che nessuno può sfuggire ai controlli. Il servizio è in funzione dalle dieci del mattino alle undici e mezza di sera, giorni festivi compresi".

E dopo che cosa avviene?

"Subito dopo il colloquio, lo psicologo valuta se sussista il rischio di comportamenti autolesivi da parte del detenuto. Segue, nel caso questo rischio sia presente, un’assegnazione mirata: dalla sistemazione in determinate celle alla decisione della sorveglianza a vista. Ma spesso è veramente difficile valutare il rischio, a meno che non si tratti di soggetti recidivi, con personalità fragile; o di chi fa per la sua prima volta ingresso in carcere e si trova a subire un impatto particolarmente drammatico con quella realtà. In questi casi viene assegnato il sostegno psicologico".

Raia però non era un detenuto primario.

"E questo teoricamente fa calare il rischio. E non era né giovanissimo, né alla sua prima esperienza carceraria".

E dunque?

"Dunque posso solo presumere che abbia subìto un improvviso crollo psicologico. La sua convinzione di essere invincibile, superiore a chiunque, deve essere improvvisamente venuta meno".

 

Libero troppo presto, due tragedie evitabili

 

Quanta violenza, nello spazio di trenta giorni. L’omicidio a scopo di rapina di uno studente di ventidue anni, l’omertà della gente, il suicidio del principale indiziato. "Sono tutte vicende amare", premette Sergio Amato, il pm della procura di Napoli che indaga sul delitto di corso Umberto. Il fermo disposto nei confronti di Arturo Raia porta la sua firma. Un’altra morte nello spazio di un mese, proprio quando il caso sembrava prossimo alla conclusione. "Tutto ciò è molto triste, dico davvero. Però non vorrei che si finisse per dimenticare che la vera vittima di questa storia rimane Claudio Taglialatela. Quel ragazzo aveva scelto una vita normale, aveva amici e affetti come ognuno di noi. È stato ammazzato e non sa neppure perché". Raia però resta innocente fino a prova contraria. "Sicuramente sì. Ho grande rispetto e pietà per la sua morte. Ma voglio anche ricordare il grande impegno con il quale le forze dell’ordine hanno lavorato a un’indagine difficile, senza testimoni oculari, nell’intento di individuare i responsabili di un grave delitto". Lei lo ha interrogato per oltre cinque ore. Vi siete guardati negli occhi. Che impressione le ha fatto? "È troppo presto per entrare nel caso specifico. Ma ragionando in generale, mi è capitato già altre volte di imbattermi in persone che ostentano comportamenti violenti, trascorrono molti anni in carcere ma dentro nascondono una profonda debolezza. Detto questo, va fatta forse un’altra riflessione".

Quale?

"Raia era stato sette anni in cella. Ma aveva precedenti per tre rapine e due tentati omicidi, dunque sette anni non sono neanche molti. Se fosse rimasto qualche anno di più in carcere, molte delle cose di cui stiamo parlando oggi non sarebbero successe".

A suo avviso Napoli è una città insicura?

"Sarebbe ipocrita dire che ci sentiamo sicuri. Sono aumentate le rapine a mano armata, prima si usavano prevalentemente armi giocattolo. Oggi non è più così, sono quasi sempre pistole vere".

E perché secondo lei?

"Ho una mia idea: ora tra la gente c’è chi comincia a reagire ed esce di casa armato. I delinquenti lo hanno capito e si stanno regolando di conseguenza. Questa però è una spirale perversa. E non è un problema di controllo del territorio. Polizia e carabinieri fanno la loro parte, gli arresti ci sono. Né le scarcerazioni possono essere addebitate al giudice. È la legislazione che consente anche a chi ha commesso gravi reati di tornare libero in tempi relativamente brevi".

Occorrono norme più severe?

"Sarei anche disposto ad allargare la forbice del ricorso alla custodia cautelare, rendendola applicabile in caso di quasi probabile colpevolezza e non, come accade oggi, dinanzi alla presenza dei soli gravi indizi. Però, una volta accettato questo parametro, non dovrebbe più essere possibile ottenere sconti o benefici. Si potrebbe tornare alla formulazione originaria del codice dell’89 che per alcuni reati prevedeva una presunzione di pericolosità assoluta in presenza di esigenze cautelari".

Lei è in magistratura da dieci anni. Questo è il caso più doloroso di cui si è occupato?

"Non direi, ogni omicidio porta con sé qualche particolare che ti segna più degli altri. Questo è brutto per il movente. Credo proprio che Claudio Taglialatela sia stato ammazzato per una fesseria, un telefono, un’auto o pochi soldi, nulla che potesse valere una vita umana. E aveva vent’anni".

 

Napoli: suicida in carcere, la famiglia accusa

 

L’Unità, 11 gennaio 2003

 

Si è ucciso impiccandosi con un lenzuolo legato alle sbarre. Per gli inquirenti non vi è alcun elemento da far dubitare che Arturo Raia, 30 anni, pregiudicato finito in carcere giovedì con l’accusa di aver ammazzato in un tentativo di rapina il 22enne Claudio Taglialatela, si sia suicidato. Il caso è stato annotato da! pm Sergio Amato al modello 45 della procura, il registro nel quale confluiscono le notizie dei fatti non costituenti reato. Perché Raia abbia deciso di farla finita resterà un segreto impossibile da svelare: l’uomo non ha lasciato testimonianze. I familiari chiedono “giustizia e chiarezza sulla morte di Arturo”.

 

 

Precedente Home Su Successiva