Dossier: "Morire di carcere"

 

"Morire di carcere": dossier gennaio 2010

Suicidi, assistenza sanitaria disastrata, morti per cause non chiare, episodi di overdose

 

Continua il monitoraggio sulle "morti di carcere", che nel mese di gennaio registra 7 nuovi casi: 7 suicidi.

 

Nome e cognome

Età

Data morte

Causa morte

Istituto

Pierpaolo Ciullo

39 anni

02-gen-10

Suicidio

Altamura (BA)

Celeste Frau

62 anni

05-gen-10

Suicidio

Cagliari

Giacomo Attolini

49 anni

07-gen-10

Suicidio

Verona

Antonio Tammaro

28 anni

07-gen-10

Suicidio

Sulmona (AQ)

Eddine Abellativ

27 anni

13-gen-10

Suicidio

Massa Carrara

Mohamed El Abbouby 

25 anni

15-gen-10

Suicidio

Milano San Vittore

Ivano Volpi

29 anni

19-gen-10

Suicidio

Spoleto (PG)

 

Suicidio: 2 gennaio 2010, Carcere di Altamura (Ba)

 

Dopo che il 2009 ha fatto registrare il numero più alto di suicidi in carcere della storia italiana (72), il 2010 sembra essere iniziato all’insegna della medesima "emergenza": infatti sabato 2 gennaio, nel carcere di Altamura (Ba) è morto Pierpaolo Ciullo, 39 anni, detenuto per reati di droga. Si sarebbe ucciso asfissiandosi con il gas.

Il giovane è stato rinvenuto, ormai senza vita, ai piedi del letto nella sua cella, dove sembra fosse da solo; vicino al corpo un fornello da campeggio, alimentato da una bombola di gas, di quelli in dotazione ai detenuti. A nulla sono serviti i soccorsi del personale della Casa Circondariale. L’ipotesi del suicidio non è stata ancora confermata ufficialmente, ma sembrerebbe al momento la più probabile.

Pierpaolo Ciullo, originario della Provincia di Lecce, era arrivato da poco nell’Istituto Penitenziario di Altamura, proveniente dalla Casa Circondariale di Lecce. Da quanto si è appreso avrebbe chiesto spontaneamente di essere trasferito, perché nel carcere leccese vi era un rapporto difficile con gli altri detenuti e per lui la situazione era diventata insostenibile.

Nel piccolo carcere di Altamura, dove a fronte di 52 posti "regolamentari" i detenuti presenti sono 90, erano anni che non si verificava un suicidio. Nel complesso delle carceri pugliesi, invece, i detenuti sono oltre 4.300 (la capienza è di 2.535 posti) e nel 2009 si sono verificati 3 suicidi (a Foggia, all’Ipm di Lecce e a San Severo), mentre i tentativi di suicidio sono stati circa 80. Nel 2008 i suicidi erano stati 2 ed i tentativi di suicidio circa 60. (Ristretti Orizzonti, 4 gennaio 2010)

 

Pierpaolo morto per suicidio, o per "incidente"

 

L’esame del medico legale ha escluso segni di lesione da parte di terzi sul corpo di Pierpaolo Ciullo, il detenuto 39enne trovato morto nel carcere di Altamura. Si esclude che la morte - avvenuta sabato pomeriggio, per asfissia - possa essere stata provocata.

Pierpaolo Ciullo, di 39 anni, di Acquarica del Capo (Lecce) è morto sabato pomeriggio nella sua cella nel carcere di Altamura per asfissia da inalazione da gas. L’ipotesi più probabile è il suicidio ma non è da escludere che possa essere stata una disgrazia. Ciullo era all’istituto penitenziario di Altamura da ottobre. Doveva scontare una pena, in fase terminale, per maltrattamenti in famiglia e reati contro la persona avvenuti all’interno del nucleo familiare. È il genere di reati per il quale si viene ristretti ad Altamura che è un carcere speciale.

Il suo corpo senza vita è stato trovato nel pomeriggio di sabato, subito dopo la messa alla quale non aveva partecipato. Era accanto ad un fornelletto da campeggio, alimentato da una bomboletta del gas, di quelle in uso ai detenuti. Il gas era aperto. L’ipotesi iniziale è stata quella del suicidio. Ma non è da escludere una disgrazia.

Di certo il medico legale non ha riscontrato segni esterni provocati da "terze persone". Non ci sono segni di violenza, dunque. Non è stata pertanto disposta l’autopsia. La direttrice del carcere, Caterina Acquafredda, definisce il detenuto "una persona che non ha mai creato problemi nella struttura, estremamente tranquilla, ossequiosa e rispettosa del personale". (www.notizie-online.it, 5 gennaio 2009)

 

Fratello del detenuto morto non crede a suicidio

 

Non credono al suicidio i familiari di Pierpaolo Ciullo, il detenuto trovato morto nella sua cella nel carcere di Altamura il 2 gennaio scorso. Per questo il fratello difeso dall’avvocato Stefano Colella, ha presentato alla procura di Bari una querela denuncia contro ignoti e la richiesta di autopsia sul corpo è già stata disposta dal pm Angela Maria Morea.

All’esame necroscopico che verrà effettuato sul corpo, entro la fine di questa settimana, prenderà parte insieme al medico legale un consulente di parte per accertare se realmente Ciullo è morto di asfissia provocata dalla bomboletta del gas che aveva a disposizione per prepararsi il caffè. Le prime analisi sul corpo hanno escluso lesioni, pare quindi che il 39enne di Acquarica del Capo, nel Sud Salento, abbia inalato volontariamente il gas mentre il suo compagno di cella era alla messa.

Resta da definire se lo abbia fatto per procurasi la morte oppure per cercare uno sballo: era un consumatore abituale di cocaina e seguiva una terapia ansiolitica. Ciullo era in carcere da qualche mese a Borgo San Nicola, per essersi presentato a casa della ex convivente con un fucile. Accusato di violenza sessuale e maltrattamenti era stato preso di mira dagli altri detenuti e aveva chiesto di essere trasferito in un altro carcere per scontare la pena che sarebbe finita nel settembre 2011. Sulla sua morte l’onorevole Rita Bernardini, del gruppo Radicali-Pd, ha presentato un’interrogazione a risposta scritta al ministro della Giustizia.

 

Disposta l’autopsia

 

Sarà fatta l’autopsia sul corpo di Pierpaolo Ciullo, di 39 anni, di Acquarica del Capo (Lecce), il detenuto che è morto sabato pomeriggio nella sua cella nel carcere di Altamura per asfissia da inalazione da gas. La Procura ha accolto la richiesta dei familiari che vogliono ulteriori elementi di certezza. Un suicidio o una disgrazia sono le cause della morte. Finora è stata esclusa la morte violenta. Il decesso di Ciullo ha presentato sin dall’inizio degli interrogativi. E non è detto che l’autopsia riesca a chiarirli. I punti fermi arrivano dal referto del medico legale. Morte da "asfissia da inalazione di gas". E nessun segno di violenza o di intervento di "terze persone".

Sulla base di ciò, come ha riferito la direttrice del carcere Caterina Acquafredda, la Procura aveva inizialmente autorizzato la sepoltura del corpo. I familiari hanno però fatto istanza affinché venga fatta l’autopsia e l’hanno ottenuta. Si terrà oggi o domani. Ciullo era all’istituto penitenziario in via dell’Uvaspina da ottobre. I legali della famiglia hanno specificato che stava scontando delle pene relative "a due sentenze di condanna per violazione di domicilio, violenza privata, porto abusivo d’arma e resistenza a pubblico ufficiale". Era stato trasferito ad Altamura dalla casa circondariale di Lecce.

Il suo corpo senza vita è stato trovato nel pomeriggio di sabato, subito dopo la messa alla quale non aveva partecipato. Da quanto finora si è appreso, era da solo (il compagno di cella era invece andato a messa). Il corpo era accanto ad un fornelletto da campeggio, alimentato da una bomboletta del gas, di quelle in uso ai detenuti. Il gas era aperto. È stato trasportato d’urgenza in infermeria ed è stato chiamato il 118 ma non c’è stato nulla da fare. Nell’immediatezza si è pensato al suicidio dal momento che era solo nella cella. Ma da un attento esame della situazione l’ipotesi si è affievolita. L’uomo aveva la testa libera, non imprigionata ad esempio in una busta di plastica utilizzata per creare l’effetto "camera gas" molto ricorrente nei suicidi. Anche i legali della famiglia pensano ad altro perché secondo loro l’ipotesi di suicidio "sembra la meno probabile proprio per le modalità e le circostanze nelle quali è avvenuto". Se viene meno il suicidio, un’altra ipotesi percorribile è quello della disgrazia. Ciullo potrebbe aver aperto volontariamente il gas ma potrebbe esserne rimasto stordito. (La Repubblica, 7 gennaio 2009)

 

Suicidio: 5 gennaio 2010, Carcere di Cagliari

 

Ieri mattina era di ottimo umore e scherzava con gli agenti della polizia penitenziaria. Ha pranzato e si è riposato. Alle 16,30 è entrato in bagno e si è impiccato. Celeste Frau, 62 anni di Uta, stava scontando una condanna a 12 anni per rapina aggravata. Secondo i giudici di primo e secondo grado era uno dei tre malviventi che, volto coperto e armi in pugno, nel marzo del 2007 avevano rapinato Mauro Guidi, rappresentante di gioielli mentre rientrava nella sua villetta a Poggio dei Pini. La condanna inflitta in Tribunale nel 2007 era stata confermata ai primi di dicembre dalla Corte d’appello.

Celeste Frau era in cella con altri tre detenuti. Che non vedendolo uscire dal bagno si sono allarmati. Quando si sono affacciati, hanno visto il suo corpo penzolare dalla finestra. Aveva annodato le lenzuola. Non ha lasciato un biglietto né, che risulti, ha mai manifestato con alcuno intenti suicidi.

La vittima era una vecchia conoscenza del direttore di Buoncammino, Gianfranco Pala. Che definisce la sua morte "imprevista ed imprevedibile". Frau, riferisce Pala, "aveva passato buona parte della sua vita in galera e non era depresso. Aveva un ottimo rapporto con i detenuti e con gli agenti. Semmai aveva problemi cardiaci e per questo era seguito con particolare attenzione dai medici". Aggiunge, Pala, che i compagni di cella sono rimasti molto colpiti.

Il suo avvocato, Erika Dessì si dice "affranta". "Ero fermamente convinta della sua innocenza, ha commentato ieri. "Frau è stato condannato perché a casa sua sono stati trovati alcuni gioielli della rapina. Ma il suo telefono all’ora della rapina aveva agganciato una cella di Assemini, dove risiedeva. Dopo la pubblicazione della sentenza mi sarei battuta in cassazione per farlo assolvere". Poco dopo la sua morte, in carcere è arrivato il sostituto procuratore Gilberto Ganassi. Nelle prossime ore deciderà se disporre l’autopsia.

 

Caligaris (Sdr): suicidio effetto del degrado delle carceri

 

"Le condizioni di sovraffollamento e il numero inadeguato di agenti di polizia penitenziaria sono le principali cause del disagio nelle carceri italiane. Il suicidio di Celeste Frau (che si è tolto la vita ieri mattina a Buoncammino, ndr) rappresenta l’ennesimo tragico documento umano di sconfitta per tutti". Lo afferma Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione "Socialismo Diritti Riforme", che proprio nella mattinata di ieri ha effettuato con i volontari i colloqui con i detenuti nella Casa Circondariale cagliaritana.

"Quando il numero dei detenuti cresce in maniera esponenziale - sottolinea - è molto difficile tenere sotto controllo l’inevitabile disagio che peraltro aumenta a dismisura nelle Festività. A Buoncammino sono stati superati abbondantemente i limiti di guardia e dentro le celle si moltiplicano le difficoltà con altissimi rischi di episodi di autolesionismo. A fronte di oltre cinquecento detenuti si registra un numero di Agenti inadeguato. Mancano infatti 70/80 unità per garantire la sicurezza e prevenire episodi drammatici. Né si può ignorare che le condizioni di salute di molti detenuti sono gravi e che l’inattività moltiplica il senso di inutilità dell’esistenza".

"Il sovraffollamento - afferma ancora l’esponente socialista - è una pena aggiuntiva alla mancanza di libertà. Limita l’azione degli educatori, condiziona l’operatività delle figure professionali interne alla struttura e quella dei volontari. Impedisce di svolgere le attività indispensabili per il recupero dei cittadini privati della libertà. Spesso i detenuti dissimulano i momenti di grave difficoltà con un’apparente serenità che solo la professionalità e la sensibilità degli Agenti, le persone più prossime a loro, il più delle volte riescono a percepire intervenendo preventivamente".

"È tempo che il Governo, il Ministero della Giustizia e il Dap - conclude Caligaris - assumano una risoluzione positiva al problema sicurezza. Il sistema penitenziario va rivisto. Occorrono investimenti per creare una rete interistituzionale interna ed esterna. È indispensabile un coordinamento delle azioni rieducative e di prevenzione. In questo modo si creerebbero posti di lavoro e l’infrastruttura dei servizi ridurrebbe drasticamente la recidiva a vantaggio della vera sicurezza". (L’Unione Sarda, 7 gennaio 2009)

 

Mio padre si diceva innocente, un suicidio annunciato

 

La malattia psichiatrica dopo l’arresto e la condanna. Si dichiarava innocente e si sentiva incastrato da qualcuno del suo ambiente.

La rabbia avvelena il dolore: "La morte di nostro padre poteva essere evitata". Ne sono convinti Daniela (41 anni) e Giacomo (39) Frau, figli di Celeste, il sessantenne titolare di un’autodemolizione ad Assemini che si è tolto la vita martedì in carcere a Buoncammino. "Aveva una grave forma di depressione - spiegano ancora i due figli - era stato per diverso tempo ricoverato nel reparto di Psichiatria dell’ospedale Santissima Trinità, nei colloqui in carcere era sempre accompagnato da qualcuno, non veniva mai lasciato solo. Evidentemente quei controlli sono venuti meno se martedì nostro padre ha potuto impiccarsi. Adesso vogliamo la verità: chiediamo che la giustizia accerti le cause della morte di nostro padre e se esistono delle responsabilità da parte di chi cura i detenuti oppure di chi dirige il carcere".

Celeste Frau stava scontando una condanna a 12 anni per rapina aggravata. Sentenza confermata in Appello e che potrebbe aver scatenato la sua depressione. Il titolare dello sfascia carrozze, che arrotondava gestendo una bancarella di carne e pesce arrosto in occasione delle feste paesane, aveva avuto qualche precedente guaio con la giustizia legato alla sua attività di autodemolizione ma da anni non era più incappato in disavventure giudiziarie. Fino al dicembre del 2007, quando venne arrestato per la rapina (in concorso con altri due complici, rimasti senza nome) ai danni di un rappresentante di gioielli a Poggio dei Pini.

L’avvocato che lo aveva difeso nel processo di primo grado, Gianfranco Sollai, ricorda bene i particolari della vicenda: "Celeste Frau si era rifatto una vita e si è sempre dichiarato innocente, arrivando a realizzare di essere stato incastrato da chissà chi per quel fatto. Ha sempre detto ai giudici che chiunque avrebbe potuto abbandonare una ricarica telefonica riferita al suo telefonino cellulare sul luogo in cui fu ritrovata la vettura del rappresentante di gioielli distrutta dal fuoco e che la collana e gli anelli ritrovati a casa sua, riconosciuti dalla vittima della rapina, li aveva acquistati da conoscenti per regalarli alla compagna".

Il fatto di sentirsi rinchiuso in carcere da innocente ha intaccato la psiche di Celeste Frau, come risulta da ricoveri e cartella clinica. Anche perché ormai aveva cambiato vita. "Era un padre affettuoso e generoso", ricordano tra le lacrime i figli.

Sotto accusa le condizioni dei detenuti nei carceri italiani, compreso Buoncammino, tra sovraffollamento dei detenuti e carenza di assistenza. Luigi Manconi, presidente dell’associazione "A buon diritto", ricorda che nel 2009 il numero dei suicidi in carcere è stato il più alto della storia, rivolgendosi al ministro della Giustizia. Oggi l’autopsia sul corpo di Celeste Frau richiesta dal magistrato Gilberto Ganassi. (L’Unione Sarda, 8 gennaio 2010)

 

Suicidio: 7 gennaio 2010, Carcere di Verona

 

Quarto suicidio nelle carceri italiane dall’inizio dell’anno: Giacomo Attolini, 49 anni, detenuto comune nel carcere di Verona, si è impiccato utilizzando una maglietta legata alle sbarre della finestra del bagno in cella. L’uomo - secondo quanto si è appreso - si è tolto la vita nella tarda sera di ieri, attorno alla mezzanotte.

In otto giorni, dunque, sono già quattro i detenuti che hanno deciso di farla finita: il 2 gennaio, ad Altamura (Bari) si è ucciso Pierpaolo Ciullo, 39 anni: tre giorni dopo si è impiccato nel carcere Buoncammino di Cagliari, Celeste Frau, 62 anni; ieri sera, nel supercarcere di Sulmona è stato trovato senza vita Amato Tammaro, 28 anni, di ritorno in cella dopo un permesso premio; sempre ieri sera, infine, il suicidio a Verona di Attolini.

Era accusato di omicidio premeditato Giacomo Attolini, 48 anni, il pizzaiolo di origini siciliane, ma residente a Villafranca di Verona, che questa notte si è impiccato alle sbarre dell’infermeria nel carcere di Montorio (Verona).

Attolini era in carcere dal 29 marzo scorso dopo avere sparato e ucciso a Mozzecane (Verona) Andrea Sutik, 25 anni, romena, e ferito il marito Tiberio, 23. L’uomo era stato denunciato dieci giorni prima per violenza sessuale ai carabinieri dalla giovane donna, che aveva lavorato nella sua pizzeria a Villafranca. La donna aveva raccontato ai carabinieri che Attolini l’aveva trascinata in una stanza della sua pizzeria, scaraventandola su un letto e cercando di violentarla.

"Piuttosto che restare sette anni in galera per la denuncia che avete fatto vi ammazzo, faccio la galera per qualcosa", aveva detto il pizzaiolo prima di sparare ai due davanti al figlio di 5 anni della coppia, residente a Roverbella (Mantova). L’incontro era stato chiesto dallo stesso pizzaiolo - che sosteneva di essere stato vittima di una estorsione - per trovare un accordo. La donna, colpita alla testa, era morta dopo due giorni di agonia, mentre il marito, ferito all’addome, era stato dimesso dopo pochi giorni di degenza in ospedale.

Nella perizia depositata in Tribunale lo scorso novembre lo psichiatra incaricato dal Gip lo aveva ritenuto in pieno possesso delle facoltà mentali: uno "stato emotivo-passionale" avrebbe dato origine al gesto omicida.

 

Aveva già tentato uccidersi

 

"Una morte annunciata, che poteva essere evitata": non ha dubbi l’avvocato Guido Beghini, difensore di Giacomo Attolini, il pizzaiolo di Villafranca (Verona) che si è impiccato nel carcere di Montorio. "Purtroppo non sono affatto sorpreso di quello che è successo. Attolini era in infermeria non a caso: aveva già tentato di uccidersi e mi avevano assicurato che era sottoposto ad una sorveglianza molto stretta".

Il legale racconta che "era stato privato delle lenzuola e di ogni altro materiale che potesse consentirgli un gesto estremo. Si è strappato la maglia e si è impiccato approfittando di un cambio di turno". Il difensore del pizzaiolo che il 29 marzo 2009 sparò e uccise Andrea Sutik, 25enne romena che lavorava nel suo locale come donna delle pulizie e che lo aveva denunciato per violenza sessuale, sottolinea che "la partita non era chiusa".

"L’indagine era ancora aperta - prosegue - avevo chiesto un nuovo interrogatorio a fine mese, anche perché attendevo la perizia di parte per il riconoscimento della semi-infermità mentale". "Avevo visto il mio cliente l’ultima volta prima di Natale - conclude l’avvocato - non era la vicenda processuale ad affliggerlo, ma piuttosto i suoi problemi personali: pensava alla sua famiglia, alla moglie e alle figlie. È stata la vergogna ad armare la sua mano".

 

Uil denuncia: cadavere ancora in cella 12 ore dopo il suicidio

 

"Un detenuto di origine italiana, verso le 23.45 di ieri sera, si è tolto la vita impiccandosi in cella nel carcere di Verona. A 12 ore dalla morte siamo costretti a segnalare come il cadavere sia ancora in loco, non rimosso. Il personale di Polizia Penitenziaria, con pietas umana, ha solamente potuto coprire la salma con una coperta, in attesa dei rilievi da parte della Magistratura competente. Riteniamo che ogni commento a questa incredibile vicenda sia superflua e rivolgiamo un concreto pensiero di solidarietà ai nostri colleghi costretti a fare servizio con il morto in sezione".

Eugenio Sarno, segretario generale della Uil Pa Penitenziari, commenta il suicidio avvenuto nel carcere veronese ieri sera e non nasconde le preoccupazioni per il futuro. "Il 2010, evidentemente, comincia peggio di come è finito il 2009. Quattro suicidi in 8 giorni sono la prova provata di un sistema penitenziario non solo incapace di garantire diritti, dignità e civiltà al personale e ai detenuti ma persino incapace di tutelare la stessa vita umana.

Non possiamo non ribadire che il passaggio parlamentare dell’11 e 12 gennaio potrebbe rappresentare un momento di svolta per il mondo penitenziario sempreché la politica voglia concretamente mettere mano alle criticità del sistema. Dopo i 70 suicidi del 2009 a questi ritmi il 2010 si candida a superare anche tale record. È necessario - conclude Sarno - che il Governo, il ministro Alfano, il Parlamento si impegnino per investimenti concreti finalizzati alla restituzione della legalità, della dignità e della sicurezza al sistema penitenziario.

Nonostante la gogna mediatica, favorita da un’Amministrazione sempre più oscurantista, il personale penitenziario garantisce, per quello che può, la tenuta del sistema. Ma siamo in prossimità del crollo psicofisico e pertanto, per evitare il tracollo e l’ingestibilità generale, occorre ridare fiato alla speranza; Non attraverso roboanti annunci ma attraverso atti concreti che si chiamano assunzioni e politica della detenzione sostenibile. In assenza di tali necessari, urgenti e improcrastinabili fatti non si potrà smettere di comunicare e commentare notizie come quella odierna". (Ansa, 8 gennaio 2010)

 

Dopo il suicidio, inchiesta amministrativa e giudiziaria

 

La direttrice dell’ufficio detenuti del Veneto conferma l’apertura di un’inchiesta interna e di quella giudiziaria. La Forestan oggi in visita dai detenuti. La Regione Veneto istituisce il garante dei detenuti. "Un esperto super partes", ha detto l’assessore Valdegamberi.

Due le indagini aperte in seguito al suicidio in carcere, a Montorio, di Giacomo Attolini, detenuto in attesa di giudizio, che al terzo tentativo è riuscito a togliersi la vita in cella. La conferma arriva da Angela Venezia, direttrice dell’ufficio detenuti e trattamento del Provveditorato regionale dell’amministrazione penitenziaria. "Sono in corso l’indagine amministrativa e quella giudiziaria", ha confermato la dottoressa Venezia, chiarendo che "per questo motivo non può rilasciare alcuna considerazione e commento" su quanto avvenuto a Montorio.

Sull’argomento glissa anche Margherita Forestan, nominata lo scorso 21 dicembre garante dei detenuti dall’intero Consiglio comunale, rimandando il suo intervento "a dopo che avrà una maggiore conoscenza della realtà carceraria". E oggi la Forestan farà visita ai detenuti di Montorio.

"Un fatto non casuale" lo ha invece definito l’assessore regionale alle Politiche sociali, Stefano Valdegamberi, che proprio ieri mattina - nella sede dell’Ulss 20 - ha illustrato alla stampa il disegno di legge, "approvato all’unanimità dalla Giunta veneto, che istituisce la figura del garante regionale dei detenuti".

Un esperto super partes, in estrema sintesi, cui spetta un compito ingrato, a leggere i numeri. "Dal 2000 a questi primi giorni del 2010 sono stati 565 i suicidi in carcere e 1568 le morti sospette", ha ricordato Valdegamberi, concentrando poi in uno slogan la finalità del provvedimento: "Il carcere deve diventare una palestra di riscatto se vogliamo che diventi palestra di sicurezza. Occorre quindi seguire i detenuti con progetti specifici, che mirino a una effettiva rieducazione, all’osservanza del diritto al riscatto delle persone incarcerate, per abbattere drasticamente una percentuale drammatica, che testimonia il fallimento della missione rieducativa degli istituti di pena, se è vero che il 90% delle persone che escono dal carcere tornano a delinquere perché non sanno come sopravvivere. Di contro, detenuti aiutati al reinserimento, 9 volte su dieci non tornano a delinquere. È dunque questa la strada giusta".

Il ruolo del Garante sarà quello di osservare e vigilare sull’andamento delle carceri e sulla condizione dei detenuti, segnalando eventuali violazioni alle autorità competenti, ma anche di sensibilizzare sui temi dei diritti umani fondamentali e sull’umanizzazione della pena.

Il Garante sarà effettivamente presente all’interno degli istituti di pena e contatterà personalmente i detenuti. I suoi requisiti sono una profonda conoscenza della realtà penitenziaria e un’indiscussa competenza in materia di diritti umani. La sua funzione non si esaurirà dentro le carceri, ma si realizzerà anche attraverso azioni di promozione culturale, di analisi e riflessione su dati statistici e ricerche sociali, formulazione di proposte.

Al novembre 2009 negli istituti penitenziari del Veneto risultano 3209 detenuti, di cui 842 nella casa circondariale di Verona. Complessivamente, nei 17 istituti del Triveneto si trovano 4.495 detenuti, a fronte di una capienza ottimale pari a poco più della metà. (L’Arena di Verona, 12 gennaio 2010)

 

Suicidio: 7 gennaio 2010, Carcere di Sulmona (Aq)

 

Un detenuto del supercarcere di Sulmona, in provincia dell’Aquila, si è suicidato nella sua cella. Si chiamava Antonio Tammaro, aveva 28 anni ed era originario di Villa Literno, in provincia di Caserta. Il cadavere è stato scoperto in serata dagli agenti di custodia. L’uomo era sottoposto alla misura restrittiva della libertà personale per accertata pericolosità sociale.

Tammaro, che occupava una cella da solo, era tornato in carcere mercoledì dopo un permesso premio. Si è impiccato, legando le lenzuola alla grata della sua cella. Sulla vicenda il sostituto procuratore della Repubblica di Sulmona, De Siervo, ha avviato un’inchiesta. Il detenuto è stato soccorso dagli agenti di polizia penitenziaria, che lo hanno portato all’infermeria del carcere dove poco dopo sono arrivati i sanitari del 118, ma ormai l’uomo era già morto.

Il supercarcere di Sulmona - oltre 500 detenuti - è tragicamente conosciuto come "il carcere dei suicidi": dieci, in quindici anni. Fra i quali anche quello della direttrice del penitenziario Armida Miserere, che si tolse la vita il 19 aprile del 2003 sparandosi un colpo di pistola alla testa, e quello del sindaco di Roccaraso, Camillo Valentini, trovato nella sua cella il 16 agosto del 2004 soffocato da un sacchetto di plastica stretto alla gola da lacci per le scarpe. In tutti gli altri casi, i detenuti sono morti impiccati, come il giovane di Villa Literno.

 

Ha usato i lacci delle scarpe

 

È quanto emerso dai rilievi della Polizia scientifica di Sulmona effettuati ieri nel tardo pomeriggio, attività coordinata dal vice questore Egidio Labbro Francia consistente in un minuzioso rilievo fotografico già depositato sul tavolo del sostituto della Procura della Repubblica di Sulmona, Federico De Siervo. Il pm notificherà domani alle ore 10 l’incarico all’anatomopatologo Ildo Polidoro che dovrà effettuare l’autopsia sulla salma del detenuto, esame che si svolgerà all’obitorio dell’ospedale di Sulmona tra domani e domenica. Amato Tammaro soffriva di disturbi psichici. (Ansa, 8 gennaio 2009)

 

Dai Radicali un’interrogazione sul suicidio di Sulmona

 

I parlamentari radicali nel gruppo del Pd hanno presentato un’interrogazione, a prima firma Rita Bernardini, al Ministro della Giustizia Alfano sul suicidio del detenuto Antonio Tammaro nel supercarcere di Sulmona. È quanto si legge in una nota.

L’uomo, 28enne, di origini napoletane, ricorda la nota dei radicali, "era detenuto nella parte dell’istituto adibita a Casa Lavoro, quindi non stava scontando una pena per aver commesso reati, ma era sottoposto a misure di sicurezza perché socialmente pericoloso. Tammaro si è impiccato mercoledì sera, nella cella che occupava da solo, il giorno dopo il suo rientro da un permesso premio".

"Non solo questo è il quarto suicidio nei primi otto giorni del nuovo anno (dopo un 2009 che, con 72 suicidi, ha stabilito il peggior record di tutti i tempi) - aggiungono i radicali - ma è anche l’ottavo in cinque anni nel solo carcere di Sulmona, dove la Casa Lavoro - la più grande d’Italia, che attualmente ospita circa 160 internati a fronte di una capienza regolamentare di cento posti - non si distingue dal carcere se non per il nome. E proprio sulle condizioni della Casa Lavoro di Sulmona i parlamentari radicali avevano già presentato un’interrogazione, che giace ancora senza risposta".

Rita Bernardini e i colleghi della delegazione Radicale nel Pd si sono dunque rivolti al ministro Alfano per sapere, tra l’altro, "se intenda avviare un’indagine amministrativa interna per verificare l’esistenza di eventuali profili di responsabilità del personale in merito al suicidio di Antonio Tammaro; se ritenga necessario assumere iniziative normative volte a modificare il regolamento sull’ordinamento penitenziario al fine di assicurare una detenzione più rispettosa del diritto alla vita e degli altri diritti fondamentali, anche attuando misure per prevenire il rischio-suicidi; se non intenda provvedere all’immediata chiusura della casa di lavoro di Sulmona, o quanto meno, prendere iniziative per rivedere la sua organizzazione e funzionalità".

"I radicali, infine - conclude la nota - più in generale hanno chiesto al ministro se non ritenga opportuno assumere iniziative normative per sostituire il requisito della pericolosità sociale (di dubbio fondamento empirico), quale presupposto per l’applicazione di una misura di sicurezza detentiva, con altro quale ad esempio quello del "bisogno di trattamento". (Agi, 9 gennaio 2010)

 

Suicidio: 13 gennaio 2010, Carcere di Massa Carrara

 

Quinto suicidio nelle carceri italiane dall’inizio dell’anno: Abellativ Sirage Eddine, 27 anni, detenuto extracomunitario nel reparto infermeria del carcere circondariale di Massa, si è impiccato la notte scorsa con un lenzuolo annodato al tubo della doccia.

In due settimane, dunque, sono già cinque i detenuti che hanno deciso di farla finita nelle sovraffollate carceri italiane per le quali ieri il Consiglio dei Ministri ha dichiarato lo stato di emergenza: il 2 gennaio, ad Altamura (Bari) si è ucciso Pierpaolo Ciullo, 39 anni; tre giorni dopo si è impiccato nel carcere Buoncammino di Cagliari Celeste Frau, 62 anni; il 7 gennaio, infine, si sono suicidati Amato Tammaro, 28 anni, nel supercarcere di Sulmona, e Giacomo Attolini, 49 anni, nel penitenziario di Verona. (Ansa, 14 gennaio 2010)

 

Detenuto suicida, sotto accusa gli agenti dell’infermeria

 

Abellativ Sirage Eddine, il marocchino di 27 anni che si è tolto la vita impiccandosi nel carcere di Massa, poteva essere fermato in tempo dalle guardie carcerarie? In parole povere: gli agenti hanno commesso un errore nel sorvegliare il detenuto? Se lo domandano gli inquirenti che stanno lavorando sul suicidio nella casa circondariale di via Pellegrini.

Non sarà semplice accertarlo, anche perché l’autopsia eseguita dal medico legale Maurizio Ratti per ora ha accertato le cause del decesso ("asfissia meccanica acuta") ma non è riuscita a stabilire quanto tempo è rimasto impiccato il ragazzo magrebino. Il racconto delle guardie è però netto: un agente ha visto il marocchino penzoloni ed è entrato tirandolo giù.

E il detenuto era ancora vivo, cianotico ma vivo. Se fosse confermato questo aspetto ecco che la mancata sorveglianza sarebbe da escludere. Anzi, sarebbe la conferma della perfetta esecuzione del controllo. Gli agenti sono sicuri di non aver fatto errori. E anzi rivelano un particolare: la sera dell’ultimo dell’anno una guardia aveva sventato il suicidio di un altro carcerato, che voleva togliersi la vita perché messo al corrente di un grave problema familiare. Ma siccome non poteva essere fuori per dare una mano ai suoi cari, preso dallo sconforto aveva deciso di mettersi un sacchetto di plastica in testa e asfissiarsi con il gas di una bomboletta da campeggio che gli serviva per cucinare.

Era stato salvato in extremis, ma l’episodio conferma la difficoltà che esiste anche per le forze dell’ordine nel carcere di Massa. Tornando al gesto estremo di Sirage c’è un’altra cosa da chiarire: perché il ragazzo si trovava in infermeria? A quanto pare non era malato e non aveva necessità di cure.

A livello di si dice radio carcere fa trapelare che il magrebino si trovasse lì per tenerlo lontano dagli altri detenuti, che non gli perdonavano o il suo comportamento oppure qualche reato commesso precedentemente. Circostanza questa che avvalorerebbe il disagio del giovane, tanto da spingerlo a togliersi la vita, ma avvalorerebbe anche l’ipotesi che forse un controllo maggiore era indispensabile. Per ora il pm, Rossella Soffio, ha concesso il nulla osta per la sepoltura. In attesa degli esiti degli accertamenti tossicologici. (Il Tirreno, 18 gennaio 2010)

 

Suicidio: 17 gennaio 2010, Carcere di San Vittore (Mi)

 

Un detenuto originario del Marocco, Mohamed El Abbouby, è deceduto intorno alle 19.30 di ieri al pronto soccorso della clinica San Giuseppe di Milano, dopo essere stato ricoverato d’urgenza perché trovato esanime circa un’ora prima nella zona bagno-cucina della sua cella nel carcere di San Vittore a Milano. Il decesso sarebbe stato al momento classificato come suicidio, e potrebbe essere stato determinato dall’inalazione di gas. Sembra che nel tardo pomeriggio di ieri il detenuto si trovasse da solo, in quanto i suoi compagni di cella erano "lavoranti". Il Pm di turno al Tribunale di Milano ha aperto un fascicolo sulla vicenda.

El Abbouby, pregiudicato di 25 anni, si trovava a San Vittore dal 15 agosto 2009 dopo la condanna in primo grado nel processo con rito direttissimo a sei mesi di carcere per la "rivolta" al Cie di via Corelli a Milano. L’uomo avrebbe quindi lasciato il carcere il 15 febbraio prossimo, tra meno di un mese.

Sentito da Apcom, il legale di El Abbouby, l’avvocato Mauro Straini, ha commentato la morte del suo assistito spiegando che "nel 2009 in Italia si è registrato un record di suicidi tra i reclusi, 72 casi, e in questo primo scorcio dell’anno si sono già verificati alcuni casi. Invece di discutere solo in merito alla costruzione di nuovi penitenziari - ha aggiunto il legale - bisognerebbe ripensare seriamente al senso della pena e della custodia cautelare che andrebbe applicata soltanto in casi estremi ridimensionando la facilità con la quale viene disposta oggi". (Apcom, 16 gennaio 2010)

 

Morte di Mohammed in carcere, proteste e polemiche

 

"Ennesimo suicidio in carcere". La denuncia del comitato antirazzista di Milano si riferisce alla morte di Mohammed El Abbouby, detenuto nordafricano vittima delle esalazioni di una bomboletta del gas da campeggio nella sua cella a San Vittore. Gli agenti lo hanno trovato in fin di vita e lo hanno accompagnato in ospedale, dove è morto.

Luigi Pagano, provveditore regionale alle carceri lombarde, ritiene però che non si sia trattato di suicidio: "Stava scontando una pena di sei mesi in regime aperto e tra un mese sarebbe uscito. E non aveva dato segni particolari di malessere, tanto che lo avevamo inserito tra i lavoranti". Pagano ha disposto comunque l’apertura di un’inchiesta interna e un fascicolo d’indagine è stato aperto anche dalla procura di Milano.

L’ipotesi alternativa al suicidio è che si sia trattato di un incidente: il ragazzo avrebbe inalato il gas, come fanno a volte i detenuti con problemi di tossicodipendenza, e avrebbe perso conoscenza. Mohammed El Abbouby, 25 anni, era stato arrestato il 15 agosto in occasione della rivolta del centro di identificazione in via Corelli, sempre a Milano, e condannato con l’accusa di danneggiamento, incendio e resistenza a pubblico ufficiale.

Il Comitato considera El Abbouby "l’ennesima vittima del razzismo di uno stato che semina morte in ogni dove, in nome della democrazia imperialista che rappresenta". "Speriamo almeno - è scritto in un comunicato - che la sua morte possa servire a riscaldare i cuori e gli animi di coloro che, forse divorati dall’assuefazione, ritengono ancora che la lotta contro i Cie assuma un senso poco più che simbolico, o che sia una battaglia specifica, proprietà politica di una qualche parrocchia in cerca di gloria o rappresentanza". Altri quattro immigrati saranno processati per un’altra rivolta avvenuta a novembre al Corelli. Se fosse confermata l’ipotesi del suicidio, sarebbe il sesto caso in Italia dall’inizio dell’anno. (La Repubblica, 18 gennaio 2010)

 

Il detenuto suicida aveva scritto "lotterò fino alla fine"

 

"Anche se mi sento fisicamente depresso sto bene e come voi lotterò per la giusta causa fino al mio ultimo respiro". È quanto si legge nella lettera inviata dal carcere di San Vittore da Mohamed El Abbouby, un mese prima di togliersi la vita nella struttura penitenziaria.

Oggi gli spettatori del processo a 4 imputati per una rivolta nel Cie milanese di via Corelli stanno protestando anche per la sua morte, oltre che per la decisione dei giudici di espellerli dall’aula.

"Prima o poi la verità verrà a galla - scriveva El Abbouby, al quale restava da scontare un mese di pena, dopo essere stato condannato per un’altra ribellione all’interno dello stesso centro - non possiamo che vincere, sapendo che il prezzo sarà salato, ma ne vale tutto il sacrificio. Che dire di questo governo razzista, senza idee per la gioventù che, secondo logica, è il futuro di ogni nazione. Senza giovani lavoratori non si possono incassare le tasse e senza tasse addio pensioni". "Nella prossima missiva sarò molto più esplicito e dettagliato a proposito del mio passato e della mia persona", concludeva. Parole di speranza, ma El Abbouby si è suicidato inalando gas di una bomboletta da campeggio nella sua cella. (Agi, 19 gennaio 2010)

 

Antirazzisti ricordano Mohammed con protesta

 

Gli esponenti del "Comitato antirazzista milanese", che per alcuni minuti hanno interrotto l’udienza del processo milanese ad alcuni immigrati accusati di una rivolta avvenuta nel Cie di Milano, hanno ricordato con uno striscione e alcuni volantini Mohammed El Abbouby, condannato nei mesi scorsi per alcuni disordini avvenuti il 13 agosto scorso nel Cie di via Corelli e poi morto nel carcere di San Vittore il 15 gennaio scorso, dopo aver inalato del gas da una bomboletta. I manifestanti hanno esposto uno striscione sulla porta dell’aula del processo che riportava il nome dell’immigrato morto per un probabile suicidio e frasi come "in custodia cautelare a San Vittore da agosto, è morto in carcere il 15 gennaio 2010, vittima del razzismo di stato. Quanti ancora ne volete uccidere?".

El Abbouby era stato condannato assieme ad altri dodici immigrati per una rivolta avvenuta nel Cie di via Corelli. Il giudice aveva inflitto pene comprese tra i 6 e i 9 mesi di reclusione. Il processo ai 4 immigrati, interrotto dalle grida dei manifestanti, proseguirà a porte chiuse.

I legali degli imputati, gli avvocati Mauro Straini, Massimiliano D’Alessio e Eugenio Losco, hanno spiegato che "attraverso questa protesta si esprime il disagio che fortunatamente una parte della popolazione prova di fronte a queste ingiustizie". (Agi, 19 gennaio 2010)

 

Suicidio: 19 gennaio 2010, Carcere di Spoleto (Pg)

 

Settimo suicidio nelle carceri italiane dall’inizio dell’anno: Ivano Volpi, detenuto di 29 anni, si è impiccato nel reparto infermeria del carcere di Spoleto. Settimo suicidio nelle carceri italiane dall’inizio dell’anno: Ivano Volpi, detenuto italiano di 29 anni, si è impiccato nel reparto infermeria del carcere di Spoleto. L’uomo - secondo quanto si è appreso - sarebbe stato arrestato lo scorso 16 gennaio per reati di resistenza a pubblico ufficiale e danneggiamento. Secondo le prime informazioni, Volpi, con precedenti penali, sarebbe stato processato per direttissima e poi trasferito nel carcere di Spoleto.

Nel giro di 20 giorni, dunque, sono già sette i detenuti che hanno deciso di farla finita nelle sovraffollate carceri italiane per il quale la settimana scorsa il Consiglio dei Ministri ha dichiarato lo stato di emergenza. Proprio martedì 19 gennaio, presso il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria si è tenuta una riunione, presieduta dal capo del Dap, Franco Ionta, con all’ordine del giorno il rischio suicidi nelle carceri italiane. Nel corso della riunione si è deciso di impartire a breve delle direttive affinché si possa offrire maggiore assistenza psicologica ai detenuti che ricevono in carcere notizie negative quali, ad esempio, malattie di familiari, separazioni matrimoniali, oppure condanne definitive. (Ansa, 20 gennaio 2010)

 

 

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